FABRIZIO CORSELLI

Conosciuto come autore epico di poesie e romanzi a sfondo fantasy, con alcune spruzzate di mitologia classica, abbiamo incontrato più volte nel nostro cammino Fabrizio Corselli: ora è giunto il momento di conoscerlo meglio.
COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È FABRIZIO CORSELLI?
Sono una persona come tante altre, che coltiva la passione per il mito e l’approfondimento della cultura classica. Faccio un lavoro che mi piace, ed essendo un educatore di sostegno, con didattica, presso la Scuola di Settimo Milanese, ho la possibilità di relazionarmi continuamente con i ragazzi. Mi occupo prettamente di Poesia ed Estetica, con particolari riferimenti alla sinergia che deriva dall’accostamento della scultura e della forma poetica (coniando per questo il termine di “scultoreità poetica” o viceversa di “poesia scultorea”, legati a miei due significativi saggi). Inoltre sono un esperto di Olimpiadi Classiche.
Scrivo per diverse riviste del settore, in rete e cartacee, e porto avanti una serie di progetti legati sempre al mio campo d’interesse, investendo anche l’ambito del lavoro tanto che, con un ragazzo del sostegno domiciliare, sono riuscito a strutturare un corso integrativo di composizione poetica, oltre alla normale didattica, avviandolo così verso l’autopubblicazione delle sue poesie. Per il resto, ho l’hobby del Gioco di Ruolo e della Musica.
VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI, DAI RACCONTI AI ROMANZI?
A dire il vero, la produzione di racconti e romanzi è pressoché inesistente, se non per qualche poeme en prose che ho scritto all’inizio (Elogio al Fiore Notturno), prima di trovare la mia vera dimensione artistica, ossia la poesia. Le produzioni precedenti sono una lenta evoluzione di questo processo artistico, spaziando dagli sperimentalismi più arditi con gli Studi Trascendentali sull’Euritmia Testuale, attraversando la dimensione della pittura con Les Paradis de Nympheas sulle Ninfee di Monet, periodo in cui frequentavo molti pittori e gallerie d’Arte, fino ad arrivare allo stile “finale” che ritrovo pienamente in quello epico-mitologico. Elemento comunque comune a tutte le precedenti produzioni, e a quelle correnti, è sempre lo stesso: la musicalità del testo, la ricerca dell’armonia, della coerenza, la possibilità di trascendere la forma e raggiungere livelli espressivi sempre più alti, in modo da poter trattare quei canoni di bellezza, di umanità che fanno oltremodo parte della nostra società e di ogni singolo individuo. La linea conduttrice è quella estetica (laddove non si pone il termine nel senso di “formalismo sterile”).
La poesia è anche affiancata da una lunga serie di saggi e articoli, in quanto collaboratore per diverse riviste di arte e di cultura classica. Mi occupo soprattutto del campo della scultura neoclassica; in questo periodo lancerò presso la rivista nazionale InArte uno speciale sul mito di Eros e Psiche nell’arte italiana, in quattro puntate. Da questo punto di vista, sono riuscito a conciliare le due dimensioni tematiche. Nel tempo ho avuto anche modo di sviluppare una serie di teorie letterarie ed estetiche che mi hanno permesso di approfondire e supportare il mio interesse per la poesia, aiutandomi di conseguenza nella costruzione dei versi. Soprattutto ne giova la poesia epico-mitologica.
LA TUA ULTIMA FATICA SI INTITOLA “DRAK’KAST – STORIE DI DRAGHI”. CE NE VUOI PARLARE?
Drak’kast” rappresenta un’opera davvero singolare rispetto alle altre produzioni, poiché secondo il mio stile personale, esso non riprende più la struttura tipica del Concept Work, bensì un poema singolo di ben milleduecento versi (la versione integrale). La struttura è stata diluita, resa più accessibile anche al lettore meno esperto di poesia. Pur mettendo da parte lo stile che contrassegna i poemi a carattere mitologico, è stata fatta salva la dimensione dell’epos; anzi, direi che “Drak’kast”, da questo punto di vista strutturale risulta molto più “epico” di tanti altri testi redatti in precedenza.
Parlando del poema vero e proprio, esso descrive le vicende di Elkodyas, il Bardo, il quale, secondo antiche leggende, risulterebbe essere un drago metamorfosato nelle forme di un cantore elfo, e per questo chiamato dalla sua razza Orodrast, “Amico dei Draghi”. Il concept del drago è stato modellato su alcune ispirazioni nate dalla visione dell’immagine di Hobsyllwin disegnato da Ciruelo Cabral. In seguito, dopo aver presentato la base del progetto allo stesso illustratore, ho ottenuto il suo diretto permesso nell’uso delle immagini, e il benestare finale sull’e-book finito; è stata per me una gran soddisfazione.
Noto a tutti i saggi col nome di Canto di Omorya, “Drak’kast” narra della più ardua, se non leggendaria, delle imprese di Elkodyas. Una perigliosa avventura in prossimità delle foreste di Anthaloriel, il Mare di Smeraldo, che vede l’elfo impegnato nel tentativo di sottomettere la volontà del demone Azumennoxor, attraverso quei poteri che gli stessi draghi hanno conferito alla casta degli Hadragnir: potenti incantatori e custodi del Teframar.
[…Un linguaggio forgiato dalla stirpe elfica eleamar e quella dei draghi di Orodrel, per suggellare un patto di alleanza… ma la versatilità del linguaggio e della sua potenza non risiedevano soprattutto in una sorta di codice segreto, condiviso dalle due razze, bensì nell’uso che di esso venne fatto per l’attivazione di alcuni incantesimi. La magia quindi fondeva il potere della sfera magica dei draghi e quella degli elfi. Di ciò, l’Incantatore di Draghi, e nella fattispecie l’Hadragnir, ne fu ben consapevole, tale da sottomettere la volontà dei draghi più pericolosi, addirittura contrastandone il soffio o annullandone gli effetti generali. Del resto, si rivelarono potentissimi strumenti al servizio di tale casta.
Secondo le Cronache dei Reami Elfici, però, molti degli Incantatori caddero sotto l’influsso del nuovo potere magico, e molti ancora lasciarono il loro titolo di “paciere” per sostituirvi quello di carnefice. Il continente di Orodrel, sede dei Draghi, fu sconvolto da tanta degenerazione e non fece tardare la sua risposta; il Concilio decise così di sterminare coloro che avessero appreso le arti dell’Elimar. Solo pochi rimasero vivi, suggellando in tal modo, se così si può affermare, l’estinzione della stirpe degli Incantatori di Draghi. Pochi Hadragnir, invece, rimasero estranei alla vicenda, continuando la propria missione d’ambasciatori. Elkodyas fu uno di quelli.]
Un segreto che Elkodyas custodisce insieme al suo fedele famiglio Tyrintalle: un piccolo di drago avvinto al liuto del bardo attraverso l’antica magia del Kyel Durnein. Uno strumento musicale conosciuto da tutti come Kaélar, e ancor più bramato da coloro i quali hanno votato la propria causa alla salvaguardia della stirpe dei Faraudi (Draghi di antichissimo lignaggio).
“Drak’kast” mi ha dato molte soddisfazioni, soprattutto nella fase di progettazione della storia, della scelta dei personaggi e delle peripezie che avrebbero movimentato il viaggio. Molto bella, ma assente nella versione integrale è la parte che sviluppa l’interazione con Ankyla delle Foglie, il quale dovrà aiutare Orodrast a raggiungere l’antro del drago Azumennoxor.
“Drak’kast” non è però solo un’opera fantasy sui draghi e sugli elfi, bensì in esso si ravvisa una forte influenza della mitologia greca, dalla quale non potevo distaccarmi. E anche qui, mi sono concesso una potente digressione tematica con uno dei miti più belli e avvincenti della cultura greca. Volutamente ho innestato nella figura dell’elfo e lungo il suo viaggio la tessitura di una dimensione orfica, che fa di Orodrast quell’eroe che col potere della musica riesce a sottomettere creature selvagge, ad animare oggetti senza vita e a sconfiggere i nemici con il cimento del proprio strumento musicale. Del resto, il mondo in cui agisce Orodrast rientra in un mio personale progetto fantasy che cerca di fondere il mondo elfico con quello mitologico (per la precisione quella greca). Infatti, la dimensione degli elfi è quella delle ninfe e del nympholeptos, una dimensione della conoscenza che si sviluppa attraverso un processo di trascendenza e che in quell’elemento trova il proprio eidolon ispirativo.
Ho anche pensato di affiancare al poema un breve dizionario fantasy (Eluen Algadi) per facilitare il lettore a orientarsi nel variegato e complesso universo che fa da sfondo alla vicenda di Elkodyas. Lo stesso dizionario, completo, lo si ritrova nell’opera “Lyrellende – Cronache dei Reami Elfici”.
SEI STATO PIÙ VOLTE CHIAMATO “CANTORE EPICO” E NEI TUOI LAVORI SPAZI DALLA POESIA ALLA PROSA, DAL FANTASY AL MITOLOGICO INTERESSANDOTI DI TUTTO E INTERESSANDO TUTTI. TI STA STRETTA QUESTA ETICHETTA OPPURE TI CI RITROVI PERFETTAMENTE A TUO AGIO?
Molto lusinghiero, però preferisco la nomenclatura di “autore di poesia epico-mitologica” o di “Epica Moderna”. L’etichetta di “Omero dei tempi moderni” o quella di Orfeo, che viene data in aggiunta, soprattutto si riferisce allo spessore dei miei versi e allo stile che richiama molto quello dell’epica classica, con esiti positivi e di qualità (per di più segnalati sul sito della Treccani dal Prof. Carnero in rapporto alla ricostruzione del tema olimpico). Da questo punto di vista, diciamo che mi ci vedo molto.
Oramai “epico” non ha più lo stesso valore di “epico” di una volta, soprattutto circoscritto al periodo di Omero, vero e proprio auctor del genere. “Epico” adesso si lega più allo stile, nel caso della poesia, contemplando anche la sua struttura formulare, o comunque alla narrativa fantasy per definire il tema principale, ossia quello della descrizione delle imprese leggendarie di un eroe o più eroi, dominate da una serie di linee conduttrici quali la magia, il surreale, le divinità, il sovrannaturale e così via. Si assiste a un decentramento di fondo della percezione dei valori trattati che nell’epica classica sono facenti parte di un insieme ideologico, etnico, storico di un popolo nel quale si riconosce il pubblico, mentre nell’epica moderna diventano veri e propri topoi e motivi trasfigurati ma che pur sempre incarnano dei canoni eterni riscontrabili in qualsiasi era (Coraggio, Virtù, Bellezza, questa un po’ di meno, e altro ancora…). Di contro, seppur condivido nei miei poemi i formulari dell’epica classica, tipici della poesia orale, l’intento creativo che sta alla base della progettazione fa di me un “poeta letterario” e non un “aedo”, in senso tecnico. Diciamo che secondo quest’ottica, “cantore epico” non va bene, pur possedendo un’elevata capacità d’improvvisazione orale, e protesi i miei testi verso la declamazione.
La più ampia trattazione dei temi che vanno spaziando dalla poesia alla prosa, la si riscontra solo in un’opera, e cioè “Promachos e il Tamburo da Guerra”, ma la sua struttura ibrida è volontaria e congegnata. In questo modo, tendo ad equilibrare il giusto peso espressivo di alcune parti rispetto ad altre che, al contrario, subirebbero un calo nella fase drammatica. Per esempio, il Prologo al Ciclo Bellico esposto da Kyos di Tebe (per di più aderente alla struttura dell’epica classica, ossia il momento dell’esposizione dell’argomento trattato dall’opera dopo l’Invocazione alla Musa, nella protasi) avrebbe perduto molto se l’avessi posto in forma di prosa; così come i ponti narrativi che legano un testo poetico all’altro sono stati pensati per la prosa. Quest’opera è un’eccezione ma un progetto molto rappresentativo per ciò che riguarda l’Epica Moderna.
COME MAI LA SCELTA, DIREI AZZARDATA PER QUESTI TEMPI, DI DEDICARTI OLTRE CHE ALLA PROSA ANCHE AL POEMA IN VERSI E ALLA POESIA PIÙ IN GENERALE?
Azzardato è l’uso della parola “scelta”. Io sono ciò che sono, e mi sono accostato alla poesia in maniera naturale. A questo punto, urge fare una dovuta differenza; una cosa è la Scrittura e un’altra è l’Editoria. Oggi, molti “scrivono”, direi quasi in maniera ossessiva, per raggiungere una vacua e sterile fama, per di più fomentata dalla continua diffusione di reality e programmi televisivi che suggellano tale pratica. Addirittura non vieni considerato scrittore se non pubblichi. Se dovessimo legittimare questo modo di pensare, saremmo costretti a considerare calciatori come Cassano, Gattuso o Totti scrittori effettivi, e magari di successo (non parlando dei ghost writer). La maggior parte di coloro che scrivono non lo fanno più per vocazione o per passione. Da questo punto di vista, credo di avere una qualità in più di questi improvvisati cercatori d’oro, ossia la coerenza. Continuo nei miei progetti di diffusione della cultura classica, in maniera serafica e senza alcuna pressione imposta dal marketing, facendo di internet il mezzo di diffusione più congeniale. Ho il mio pubblico “addestrato”, come si direbbe per i greci, che si concentra soprattutto fra le Facoltà di Lettere Classiche, fra le diverse comunità elleniche e Associazioni o Fondazioni Internazionali, e un’altra fascia che si sviluppa all’interno dei lettori di fantasy. Ad alcuni la mia notorietà sta così stretta da infastidirli a tal punto da gridarmi contro “ma se sei così noto come mai non hai pubblicato con Mondadori o Feltrinelli?”. Si commenta da sola alla luce del tema sopra citato. C’è da dire pure che i miei testi non essendo previsti per una pubblicazione editoriale, ma come direbbe Pindaro, per synetoi, ossia per “intenditori”, non filtrano il linguaggio, risultando molto ostici. In più, si aggiunga che oggi il mito non riscontra molto interesse, e ciò è un peccato, considerato troppo distaccato dal reale, dal “vissuto”. “Drak’kast”, per esempio è stato scritto invece per qualsiasi tipo di lettore, ma qui ho cambiato stile e registri.
È vero anche che in Italia la poesia non ha molto seguito, soprattutto perché non vi sono i lettori di poesia. Il lettore di narrativa è ben diverso da quello che legge versi, soprattutto perché nel primo s’innesta una sgradevole sensazione di pochezza, di quantità minima che lo atterrisce. Il lettore deve essere incantato dalla “grandezza” del volume, dai romanzi di quattrocento pagine tanto che alcuni editori impongono un minimum sulla presentazione del manoscritto. Alla fine della lettura di una poesia, ci si rimane male, “troppo corta”, “non rimane niente”, non si soddisfa il gusto della quantità; ma la poesia cela in sé il potere della concentrazione, ossia la capacità di dire più di quanto riesca a farlo un testo prosastico. Nel verso è contenuto un intero cosmos. Il lettore non è allenato. Forse il problema è che in Italia ci sono più poeti, scrittori e artisti che fruitori. Ciò porta a una ineluttabile dequalificazione dello stesso prodotto d’arte.
Ricordo comunque che l’epica è nata in versi, e l’epos, nel senso di narrazione, è ben diversa dalla narrativa.
IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL GENERE FANTASY IN GENERALE. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?
Bisogna dire innanzitutto che sono un grande amante del genere fantasy, ancor prima di impiegarlo per le mie opere. Sin da piccolo ho amato questo genere, partendo dall’immaginario delle fiabe fino a quando comprai la mia prima scatola di gioco di ruolo (Uno Sguardo del Buio).
Mi ripeterò nuovamente, ma renderò meglio l’idea. Come ho già detto in un’altra intervista “è un retaggio infantile quello di voler raccontare storie fantastiche, fatte di draghi e cavalieri, che però nel tempo è cresciuto e si è sviluppato lambendo i confini della mitopoiesi”. Nella fase di scrittura, si fa avanti oltre alla fabulazione, dominata dalla semplice fantasticheria, anche l’Inventio più ragionata per la fase espressiva. “Il fantastico è immancabilmente legato a una esigenza della mente umana altresì a una sua capacità che spesso viene messa da parte o quasi dimenticata (a discapito del discutibile “vissuto” opposto da molti sedicenti scrittori, anche da quelli più autorevoli), ossia l’Immaginazione. “Il potere dell’immaginare è infinito, un potere tale da costruire nuovi mondi, da controllare il tempo e metamorfosare la propria esistenza in una proiezione di se stessi, in un alter ego che vive all’interno d’una realtà testuale. Il libro come dimensione parallela”. Il fantasy quindi non è solo letteratura d’evasione ma un nuovo modo di interpretare la realtà, seppur in un sistema traslato, trasfigurato come lo è l’atto che è sotteso all’attività artistica.
Per quanto riguarda, invece, la mia scrittura, posso dire che il fantasy mi ha dato l’opportunità di spaziare verso confini espressivi nuovi, di fare esperienza con uno stile diverso dal solito. In particolar modo, il Gioco di Ruolo mi ha aiutato a sviluppare alcune capacità a supporto del “poema epico”, come la capacità di tessere trame, di intelligere secondo schemi fuori della logica formale, di approfondire personaggi all’interno di un sistema “narrativo”, di operare crossover fra tipologie diverse di personaggi e mondi, calarsi pienamente nel personaggio e soprattutto d’improvvisare.
VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?
Allora. Per le opere a carattere mitologico, dalla mitologia greca e dalla cultura classica come lo è per “Promachos e il Tamburo da Guerra”. Per esempio, per la fiaba poetica di “Shams Al Nahar, e le dieci perle d’Oriente” (reperibile online), dalla cultura araba, e alcuni temi da “Le Mille e una Notte”. Per il Fantasy, invece faccio uso di tutti gli elementi possibili che derivano dall’ambientazione di “Ambher-Aurél” che scrissi tempo fa nel 1995, a supporto del gioco di ruolo. Una ambientazione completa in tutto e per tutto, molto dettagliata dalla quale continuamente prelevo temi, elementi e personaggi per i miei propositi editoriali, soprattutto a supporto dei moduli avventura e delle espansioni per AD&D 2°.Edizione, prodotte col “Chimerae Hobby Group” (vedere nella sezione link). In “Ambheur-Arél” c’è così tanto materiale da potermi permettere continuamente storie sempre più complesse. Per esempio, in “Lyrellende – Ciclo dei Reami Elfici” la storia è incentrata su una valadyn di nome Uar-Elleja, una danzatrice elfica, e sulla sua avventura presso i Regni della Luna, nel tentativo di disvelare i segreti che si celano dietro alla struttura dell’Envydal, il Circolo delle Tre Stelle. Leggendo per intero l’opera, è possibile comprendere al meglio la dimensione mistica del valadyn, l’interazione fra la sua arte e tutto ciò che la circonda. Anche quest’opera (Concept Work) è stata pensata per un lettore medio. Alla fine, l’ambientazione è un inesauribile crogiolo dal quale trarre tutta la mia piena ispirazione.
QUALI SONO I TUOI AUTORI PREFERITI, PRENDENDO IL TERMINE IN SENSO AMPIO, PASSANDO QUINDI DALLA LETTERATURA AL CINEMA?
I miei autori preferiti sono tanti e vari, in base al genere. Facciamo però una distinzione più artistica. Per la cultura classica, cito Omero, Pindaro, Tirteo e Alceo; da quest’ultimo ho imparato molto, soprattutto il concetto della musicalità basata sull’uso dell’allitterazione e dell’assonanza. Proseguendo con la poesia straniera, ci sono i poeti inglesi Byron e Yeats, il tedesco Heine, i francese Mallarmé e Verlaine, Rimbaud l’ho apprezzato soprattutto per la sua Stagione all’Inferno; per quella italiana, D’Annunzio, grande studioso dei Classici e Vincenzo Monti. La prosa (varia) vede invece Tolkien, Ende, De Sade, Baricco, Manfredi e Gaiman, sempre per citarne alcuni. Per il cinema, Spielberg, Carpenter, Jackson, Snyder, Williams (Attimo Fuggente); sono comunque un amante del genere horror. In musica classica, Paganini, Mozart, Rachmaninov e Vivaldi. Grande fruitore del power metal (Blind Guardian, Helloween, Gamma Ray, Dragonforce, Heavenly, Rhapsody…). Per esempio poi, i Manowar mi sono stati sempre accanto durante la stesura di “Promachos”; da questo punto di vista amo collimare la fase ispirativa a quella musicale, così come i Blind Guardian di sottofondo per “Drak’kast”. Non riuscirei mai scindere la musica dalla composizione testuale.
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?
Il futuro mi vedrà impegnato nella stesura di un’opera a carattere saggistico, intitolato “Eròmenos”, dove tratterò, in maniera non pretenziosa, il tema dell’Eros (nel senso più ampio) nei miti greci; una sorta di guida per il lettore che si accosta per la prima volta al mito greco. Secondo poi, curerò per la rivista nazionale InArte uno speciale, in quattro puntate, sul mito di Eros e Psiche nell’arte italiana. Infine, cercherò di avviare un corso di composizione poetica intitolato Nymphos che unisce oltremodo alcune parti dell’Estetica, con l’approfondimento della figura della Ninfa. Per ciò che riguarda il gioco di ruolo, è prevista l’uscita col Chimerae Hobby Group del setting base di “RavAge”.
Per ciò che riguarda un sogno, sicuramente quello di poter rievocare gli antichi giochi panellenici. Un progetto simile, so che era stato portato avanti dalla Scuola Atletica Krotoniate, con la quale avevo avuto tempo fa alcuni contatti.
DUNQUE, IN BOCCA AL LUPO!
23/03/2009, Davide Longoni