Autore a tutto tondo che sa abilmente spaziare dal racconto al romanzo, pittore, musicista, insegnate, amante del genere fantastico in primis, considerato uno dei migliori scrittori horror italiani: tutto questo e molto di più è Gianfranco Nerozzi. L’abbiamo incontrato per voi: scopriamo insieme cosa ci ha raccontato.
COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È GIANFRANCO NEROZZI?
Non lo so ancora chi sono veramente, grazie a Dio. Per questo che faccio lo scrittore… Per cercare di capirlo. Un’indagine introspettiva che vuole scoprire tutto quello che c’è di innocente e di colpevole dentro il mio essere. Gli interrogativi che nascono da questa inchiesta giudiziaria, diventano parole da condividere e immagini. Pulsioni e battiti, tentativi di redenzione e discese negli inferi comprese nel prezzo.
VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI, DAI RACCONTI AI ROMANZI?
Diciotto romanzi pubblicati. E un’infinità di racconti. La cosa di per sé, sul momento mi fa onore e mi rende soddisfazione. Poi sposto il punto di vista e penso al tempo che è passato e che passa. Dal 1990, anno in cui ho cominciato a produrre storie, sono trascorsi diciotto anni. Già, lo stesso numero dei miei romanzi. Quindi più scrivo e più invecchio? Magari, potrebbe essere saggio fermarsi, per fermare anche il tempo. Invece proseguo e proseguirò, fino a diventare decrepito: di libri e di altro. Del resto io non sono mai stato saggio…
DA QUALCHE TEMPO HAI PUBBLICATO IL TUO NUOVO ROMANZO “IL CERCHIO MUTO“. CE NE VUOI PARLARE?
È un romanzo che parla di giovani e di vecchi, di genitori e figli, un romanzo generazionale, si potrebbe dire. Che descrive fondamentalmente un percorso iniziatico: in avanti e all’indietro.
Ci sono discoteche come gironi infernali, droghe nuove, corse clandestine, mafia delle discoteche, stragi del sabato sera come apocalissi incombenti. La trama segue una struttura a cerchio di ragnatela, che invischia e nutre. Con alla base un’indagine poliziesca e un’indagine soprannaturale. Come faccio sempre, quando mi ci metto: è un romanzo che accarezza diversi generi e assume svariate sfumature. Così da trasformarsi in quello che io amo definire: romanzo degenere. Che esce dagli schemi, per poi rientravi e uscire di nuovo. “Il cerchio muto” è la gabbia dentro cui qualcuno si rifugia per non essere colpito e per non soffrire. Il luogo dove impera l’anestesia. Il silenzio. Evadere da questa gabbia e da questo cerchio, solo quello può renderci vivi, in grado di raggiungere un sogno o l’altro… L’idea di base di questo libro risale a dieci anni fa. Una trama difficile, complicatissima, che solo ora sono riuscito a concretizzare. Colpevole l’adolescenza di mio figlio Samuele. E la mia necessaria immedesimazione in genitore attento, con il difetto di produrre opere letterarie. Il tempo è diventato maturo coincidendo con la mia esigenza primaria di condividere paure e speranze per i giovani che crescono. Facendo i conti con la malinconia residua necessaria: per un passato remoto che ritorna sempre, fino a diventare premessa e promessa per un futuro migliore. “Il cerchio muto” diventerà anche uno spettacolo, che cercherò di portare in giro per proporlo soprattutto alle giovani generazioni e anche alle vecchie, di conseguenza: uno show che si potrebbe definire un reading live, subito da noi soprannominato Redivivo, dove diverse forme artistiche interpreteranno parti del libro. Ci saranno I Mastema, il mio gruppo fantasma, ci saranno ballerini, immagini proiettate, attori, scenografie… Tutto al servizio della fuga necessaria che occorre compiere per uscire dal libro stesso, una volta consumato, tenerlo dentro e farlo uscire in qualche modo, superare il cerchio…
IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL GENERE HORROR E PER IL MISTERO IN GENERALE. CHE SIGNIFICATO HANNO PER TE QUESTE TEMATICHE?
Fascinazione. Desiderio d’ispezionare l’insondabile. Per farlo mio per renderlo vivo. È una passione, se così si può chiamare… diciamo: un’esigenza! Che mi sono portato dietro subito, non dico appena nato, ma quasi. Sono sempre stato attirato da quell’universo fantastico che fa della paura la sua ragione di esistere al di sopra e al di sotto del vuoto. Sognare di mondi in preda al pericolo. Entrare dentro dimensioni parallele. Guardare nell’abisso e trovarsi tutte le volte a fare quattro chiacchiere con lui. Ecco, scrivere, per come lo intendo io, vuole dire proprio questo: parlare con il mostro dentro e quello fuori di te. Cercare di capirlo. Intervistarlo. Confrontandolo con quello degli altri.
SE NON VADO ERRATO, NELLA TUA CARRIERA SEI STATO ANCHE PITTORE, MUSICISTA E ATTUALMENTE TI OCCUPI PURE DI INSEGNAMENTO. COME SI CONCILIANO NELLA TUA VITA QUESTE ANIME DIVERSE?
Sono anime inverse, più che diverse. Parti della stessa medaglia. Dello stesso medagliere… Dipingere, comporre musiche e canzoni, scolpire, e poi… scrivere. Alla base di tutto c’è un disperato ed entusiastico desiderio d’espressione: la necessità di condividere emozioni e battiti con gli altri. Con il mondo intero. Così come anche l’insegnamento. Ho fatto lezioni per grandi e per piccoli, in tutti questi anni. Sono docente di thrilling alla scuola Incubatoio 16 di Carlo Lucarelli. E ho fondato assieme a Giampiero Rigosi, Andrea Cotti, Silvia Torrealta e Alfredo Colitto la Scuola di scrittura Zanna Bianca, ormai in auge da molti anni e al cui corpo insegnanti si è aggiunto anche Guido Leotta. In fin dei conti si tratta sempre della comunicazione di un verbo. Che può sembrare molto biblico detto così… La parola trasmessa, la sensazione. Consigli per trovare il coraggio di entrare dentro di noi per poi tirarci fuori. Al di là del discorso puramente tecnico, dello studio sistematico delle strutture e dei metodi per divenire professionisti della scrittura.
VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?
Provengono tutte dal filtro del tè. Risposta sibillina, eh!
Infinite volte mi hanno fatto ‘sta domanda e infinite volte ho risposto parlando dell’ossessione.
Il mondo che ci circonda, tutto quello che succede attorno a noi nel bene e nel male, le cose che ci piacciono e quelle che aborriamo, entrano dentro di noi, passando attraverso una sorta di selezionatore, un filtro interiore, per poi precipitare nel serbatoio dell’inconsapevolezza. Solo una parte di tutto ciò viene trattenuta. Quel prodotto di risulta lì, il residuo che rimane sul filtro, come quello del tè, appunto, rappresenta per un artista tutto quello che deve essere raschiato via e condiviso. Quindi la risposta della tua domanda potrebbe essere: prendo ispirazione da tutto quello che non riesco a digerire, sempre e comunque, nel bene e nel male, il povero dottor Jekyill mi sia testimone.
QUALI SONO GLI SCRITTORI CHE MAGGIORMENTE TI HANNO INFLUENZATO NELLA TUA CARRIERA DI SCRITTORE?
Il primo che ha contribuito a rilasciami addosso una scintilla è stato Dickens con il suo incredibile “Canto di Natale”: una storia struggente piena di fantasmi, evocativa e calda, nonostante la neve che cade. Poi c’è un autore, anche questo l’ho già riferito più volte, che mi ha fatto capire come si possa descrivere la luce passando dalla tenebra: William Peter Blatty con il suo “Esorcista”. Mi hanno definito lo Stephen King italiano, quindi come potrei non citare anche il grande maestro del Maine? King mi ha sicuramente influenzato, ma non tanto nello stile o nelle tematiche, che rispetto alle mie, vertono su canoni inversi (e diversi, eh!), ma piuttosto per il suo incredibile talento comunicativo. La straordinaria capacità che lui ha di farti entrare dentro i personaggi che descrive in modo totale. Poi la dimensione del quotidiano rapportata a quello dell’orrore e del fantastico. Con tutto l’effetto catartico potenziato che ne consegue. Ho trovato molto stimolanti certe storie di Clive Barker. Ora come ora adoro Cormac Mc Carthy. Fra gli italiani: Alan D. Altieri. Quando vidi in libreria il suo megatomo “Città oscura”, ero appena agli inizi della mia carriera, impregnato dal sogno di diventare scrittore a tutti gli effetti. Leggere un autore italiano che riusciva a essere così intenso e suggestivo e anche potente, come e più degli autori stranieri che allora ancora imperavano, soli e indiscussi… ha consolidato in me l’intento di accettare la sfida e di rendermi all’altezza… Adesso io e Altieri siamo colleghi di casa editrice e amici e la cosa mi onora e mi entusiasma. Poi ci sono tutti gli altri fratelli di penna: da Lucarelli, a Rigosi, a Cotti, a Baldini… tutti quanti insieme appassionatamente abbiamo creato una compagine e ci doniamo spalle e consigli e influenze a vicenda.
E PER QUANTO RIGUARDA I TUOI FILM PREFERITI, CHE CI DICI?
Una volta curai una rassegna che s’intitolava: “Un film che si chiama desiderio”, dove invitavo degli autori a presiedere alla proiezione del film che aveva significato qualcosa per la loro poetica e le loro scelte narrative. Io scelsi “Soldato blu”, un western, pensate… Niente di orrorifico, niente di misterioso. Una storia che parla di un massacro e di un amore che sopravvive alla violenza più cruda. Quando vidi per la prima volta quel film, non avevo nemmeno quattordici anni e dovetti mentire sulla mia età per entrare in sala. Ricordo che rimasi con gli occhi sbarrati di fronte a scene di inaudita violenza, ma nello stesso tempo trovandomi rassicurato da quel concetto lì: dell’amore che sopravvive a tutto. Sempre la contrapposizione fra luce e tenebra, perdizione e redenzione, raggiungere il fondo per risalire. Per capire la giusta direzione. Poi se vogliamo fare il gioco del film preferito, così, al volo, citando i primi che mi vengono in mente… Per l’horror: “Il signore del male” di John Carpenter, “La Mosca” di David Cronenberg. Per la fantascienza: “La cosa”, sempre di Carpenter e “L’invasione degli ultracorpi” in tutte le sue versioni: Dan Siegel, Philip Kaufman, Abel Ferrara, Oliver Hirschbiegel… Per il poliziesco: “Seven” di David Fincher. Per il noir: “Mystic river” e “Gone baby gone”, entrambi tratti dagli omonimi romanzi di Dennis Lehanne. Per l’action movie: “Face off” di John Woo. Arti marziali: “I tre dell’operazione drago”. Poi tutti i “Rocky”. “L’ultimo sogno” di Irwin Winkler.
I più belli visti negli ultimi tempi: “Il labirinto del fauno”, davvero stupendo. E “Gran Torino” di Clint Eastwood.
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?
Pubblicare altri diciotto romanzi come minimo e invecchiare altri diciotto anni di conseguenza. Ma tenendo sempre coperto il quadro che tengo nascosto nel cassetto, nella mia personale bat-caverna… Che Dorian Gray mi sia testimone…
09/05/2009, Davide Longoni