Quando avevo diciannove anni, mi trasferii in una casa di cura per balbuzienti. “Bbuon giorno,” dissi, “st sto cercando la dottoressa Madeline. Ssono George P, il il b balbuziente”.
“Vieni, vieni pure dentro figliolo, questa è la nostra casa di cura per balbuzienti, ti troverai bene qui da noi. Io sono la più anziana delle infermiere, lavoro in questo posto da dieci lunghi anni e ne ho visti passare di balbuzienti come te qui dentro, a centinaia, centinaia di migliaia. Pensa che tanti anni fa, proprio da quella porta, è entrato il sindaco in persona, era venuto a chiedere il nostro aiuto per poter entrare in politica. Lui non lo racconta a nessuno, ma prima di diventare sindaco non metteva insieme due parole”.
“Ne neanche adesso,” risposi all’infermiera. Era una donna tutta tonda, mi piaceva perché mi ricordava mia madre e mi confortava l’idea di mettermi nelle mani di qualcuno che assomigliasse a lei, mi sentivo di nuovo a casa mia come quando ero bambino e ancora non avevo questo problema.
“Di’ un po’ giovanotto, quanti anni hai? Devo riempire la tua scheda prima che suor Madeline arrivi e si arrabbi”.
“N ne ho d d diciannove, qua quasi venti”.
“Però… Alla tua età già avevo solo tre sorelle io, che adesso avrebbero la tua età e fra vent’anni avrebbero la mia”.
“L lei ha una b buona memoria”.
“Le vuoi conoscere…”
Quella fu una delle domande che hanno segnato la mia vita per il resto dei giorni a venire. Avrei dovuto dire di no, invece dissi “s s sì!”
Ci avviammo lungo un cortile che s’inerpicava tra le arcate in stile gotico dell’elegante edificio. Eppure tutto era troppo tranquillo per essere un luogo di guarigione. Mi sembrava piuttosto un luogo di morte, morte senza speranza, senza medicine efficaci per tornare indietro. Ogni metro sotto quelle arcate mi sembrava un passo verso la mia tomba. E in un certo senso fu così.
Arrivati all’altezza del refettorio, allungai il collo attraverso una grata per spiare, ero sempre stato molto curioso, sia prima sia dopo il mio piccolo incidente… C’era un gran tavolo al centro della sala, vi sedevano una ventina di persone, erano mute, gli sanguinava la bocca e ad ogni boccata ributtavano dentro sangue e minestra. Mi venne quasi da vomitare, poi però pensai che doveva essere la mia suggestione, la paura di non sapere dove mi trovavo, ad avermi giocato una qualche illusione passeggera e non dissi nulla, proseguii seguendo la mia nuova mamma.
“Eccoci qui, queste sono le mie tre sorelle, non puoi baciarle e non puoi farci l’amore. Ricorda George, sono le uniche regole che dovrai seguire in questa casa di cura per balbuzienti, altrimenti ti taglieremo la lingua!”
Mi ritornarono subito in mente le persone che avevo appena visto. Allora era vero che avevano tagliato loro la lingua!
“As aspetti, ddove sta andando? Non non voglio rimanere q qui da solo!”
Mentre cercavo di urlare qualcosa che non arrivò neanche alle sue orecchie carnose, una delle sorelle mi posò una mano sulla spalla, era una mano bianca e aggraziata, profumava di lenticchie. Quando la vidi, sentii il suo peso sulla mia pelle accartocciata e mi voltai lentamente per prepararmi al mio destino. In quanto a quelle tre ragazze, erano le più belle sorelle che potessi mai desiderare, ero davvero entrato in una stupenda famiglia, avevo di nuovo una mamma premurosa e tre sorelle graziose e mute.
Il fatto è che non sapevo se fossero mute, per me il loro silenzio risultò un mistero almeno quanto il mio, istigò le mie successive azioni. Che Dio mi perdoni per quello che feci e che mi venne fatto quella sera nella casa di cura per balbuzienti!
La prima delle sorelle mi prese il viso e il calore delle sue mani me lo fece fremere di ardore, di piacere, al solo pensiero di farle lo stesso, ma mi ricordai delle parole dell’anziana infermiera e desistetti per un secondo. Inoltre ancora non avevo conosciuto la dottoressa che doveva prendermi in cura, quella certa Madeline. La seconda sorella intanto si avvicinò a me e mi accarezzò da qualche parte. La terza sorella fece lo stesso, e adesso che ci penso questa fu l’unica a dire qualcosa prima della mia rovina. “Noi non siamo tue sorelle,” mi sussurrò all’orecchio, ero talmente eccitato che mi dimenticai completamente la ragione per la quale ero in quel posto. “Noi siamo le tue amiche, le tue amiche immobili”.
“M ma vvooi non ssiete immmmobili…”, risposi; tremavo come se l’inverno fosse entrato di un colpo in quel cortile. Il silenzio intanto continuava a incombere sulla mia testa, non poteva essere un luogo di guarigione, ormai ne ero completamente sicuro.
Mentre mi chiedevo come fare a non disobbedire alle due regole che mi avevano appena impartito, una delle tre sorelle − non ricordo neanche più quale delle tre − posò le sue morbide labbra sulle mie, io cercai di ricambiare nella maniera più discreta possibile. Chi mai se ne sarebbe potuto accorgere! Eravamo da soli, in un cortile abbandonato! Feci lo stesso con la seconda e poi con la terza e poi con la prima ancora, sempre più calde le loro lingue e sempre più abbandonato al piacere il mio cervello.
Fu in quel momento che due donne vestite di bianco uscirono da uno degli archi e mi colsero impreparato ai miei stessi impeti incontrollati. Avevo l’affanno e mi ribolliva la bocca.
“George! Lo sapevo… Sei come tutti gli altri! Non hai saputo resistere alla tentazione di disubbidire alle due uniche regole. Ma non ti rendi conto che queste tre anime innocenti potrebbero essere tue sorelle!”
“Nno ssignora, s si sbaglia. Q queste so sono le mie aamiche im m immobili”.
Quando l’anziana infermiera guardò le sue sorelle, si accorse che erano esattamente dove le aveva lasciate, erano le tre statue più belle che avessi mai visto e io non avevo saputo resistere alla tentazione di baciarle.
L’altra donna era proprio Madeline, aveva la faccia da Madeline e le mani da Madeline, doveva proprio essere lei. E nelle mani aveva un brutto paio di cesoie che non mi piacquero affatto. Ah, povero me! Se solo ripenso a quella sera… Fu quella la sera in cui mi tagliarono la lingua e capii perché tutte quelle persone erano tanto silenziose mentre mangiavano la loro minestra! Che cos’altro avrebbero potuto mangiare? Sant’Iddio, e dove erano finite le statue delle mie amiche immobili? Anche se non avevo più la lingua, mi sembrava di sentire il sapore della loro carne fresca ancora nella mia bocca e ancora avrei rifatto lo stesso se solo avessi saputo dove le avevano portate dopo che facemmo l’amore in quel cortile.