Zun-nash iniziò per primo la danza. Aveva il corpo dipinto di rosso quasi per intero, tranne delle chiazze di forma rituale sulla pancia. Solo un gonnello di foglie di palma copriva le sue pudenda agli occhi degli altri sacerdoti. Lui era quello più anziano e aveva il diritto di iniziare il ballo.
Il fuoco sacro crepitava nella notte stellata e una brezza dolce giungeva dal mare non troppo distante. Per decisione unanime dell’Accolita di Rasnashim, ogni celebrazione della mezza estate doveva avvenire in luoghi nascosti, affinché i bambini degli Umani non si spaventassero e i boschi di Mu non corressero il rischio di essere incendiati.
Le fiamme cercavano il nero profondo che occupava lo spazio tra le stelle, mentre Zun-nash aumentava il ritmo di danza nelle gambe. L’infuso di Shakot [1] stava già dando i suoi primi effetti e gli occhi del vecchio erano riversi a guardare le creature del Fuoco Primordiale che apparivano una dopo l’altra nella sua mente, oltre la cortina. Ai sacerdoti che lo seguirono subito nel ballo non competevano: a loro spettava solo la fiduciosa sottomissione alle sue indicazioni.
Il Visitatore, come era stato chiamato quell’uomo ritrovato tra le mangrovie di San-Someron [2], se ne stava ai margini del cerchio sacro nel quale potevano porre piede solo gli iniziati alla Danza del Fuoco. Tra la battigia e gli alberi del bosco, i suoi occhi spalancati, bagnati e colmi di spavento, non si staccavano dalla spasmodica danza di Zun-nash e quando traevano tregua dal ballo che sapeva d’immondo si volgevano verso l’incombente e tetro monte alle sue spalle.
Una schiuma bianca uscì dalla bocca del sacerdote e quando gli altri se ne accorsero gli si avvicinarono per ballargli appresso, pronti a sorreggerlo nel momento in cui fosse crollato, sopraffatto dalla visione delle sacre creature e dall’estasi. Il momento era ormai vicino e ci volle solo un minuto scarso perché cadesse sulle ginocchia.
La danza si fermò, i tamburi cessarono il loro ritmo penetrante e tre uomini alzarono in alto l’anziano sacerdote.
La luce del sacro fuoco illuminava di bagliori rossastri i volti. I danzatori urlarono al fuoco.
Il Visitatore non smise di tremare, stretto tra le proprie braccia come una camicia di forza autoimposta. Sebbene giungessero folate calde dalle vicine fiamme, aveva freddo. Cos’era successo a quel vecchio? Cos’era quella specie di danza tribale? Se non il senso di un rito di qualche genere arcaico, tutto il resto gli rimaneva oscuro.
I sacerdoti cominciarono a ripetere una nenia mentre correvano attorno al fuoco sacro con il corpo svenuto di Zun-nash alzato verso il cielo.
«Zun-nashom adder limoh! [3] Zun-nashom adder limoh! Zun-nashom adder limoh!»
La cantilena si fece sempre più rapida, al pari del passo dei tre sacerdoti che sostenevano l’anziano nella loro corsa.
Infine tutto si calmò. Ogni uomo rimase in piedi a guardare assorto le fiamme sacre. I danzatori immobili si voltarono verso il monte di basalto e urlarono: «Yaddith-ghom, Yaddith-ghom [4]». E come se si trattasse di vecchia stoppia da eliminare, gettarono l’anziano sacerdote tra le braccia roventi del fuoco sacro.
L’uomo si contorse non appena cadde al centro del colossale falò e istintivamente il Visitatore si ritrasse verso il bosco, incapace di alzarsi in piedi di fronte all’orrore puro. Lo sconcerto fu come un pugno nello stomaco. Sentì la pancia gonfiarsi e la gola piena, e vomitò. Si mise a piangere.
«Ma cosa… ma cosa…» diceva a ripetizione, come un motorino ingolfato. Il tono scioccato della sua voce lo spaventò ancora di più. Si preoccupò solo di allontanarsi a tutti i costi da quel gruppo di assassini. Avevano ucciso un vecchio gettandolo nel fuoco mentre era ancora vivo! Stava già arrivando l’odore di carne bruciata. Quello era il momento giusto per fuggire, nessuno lo stava osservando perché tutti erano intenti a guardare le carni del vecchio annerirsi e friggere tra le ultime convulsioni.
Quando i sacerdoti si voltarono per andare a prendere il Visitatore, non lo trovarono più nel luogo in cui l’avevano lasciato.
«Sciocchi, cercatelo!» disse il nuovo sacerdote anziano.
«Con calma, Pundra-nash», gli rispose un accolito. «Ci sarà tempo. Prima o poi lo ritroveremo».
* * * * *
Una pallida luce si diffuse sull’orizzonte del mare e le nubi che giungevano da Occidente si tinsero di rosa. Il Visitatore si era accoccolato tra le rocce di un promontorio isolato, poco distante dal lembo di foresta che aveva attraversato. I suoi piedi erano ancora fradici e l’abito gli si era incollato addosso come una pellicola appiccicosa.
Gli tornarono alla mente rumori, colori e odori della sera precedente. Lo scricchiolio sibilante della carne che friggeva, il rosa che diveniva rosso, poi viola e nero e la puzza di carne cotta alla griglia. Non la carne buona, ma quella che è rimasta troppo tempo sulla brace.
Quando la sera precedente era fuggito si era meravigliato della sua agilità nel superare paludi e acquitrini nell’intrico delle radici volanti delle mangrovie. Un’ottima dimostrazione di come la paura permetta di scoprire forze insospettate.
Aveva 47 anni e ormai era passato il tempo in cui il suo fisico dava le migliori prestazioni. Anzi, da quando era diventato un religioso si era lasciato trascinare nel vortice delle preoccupazioni che le persone gli affidavano e la sua pancia si era ingrossata più di quanto desiderasse.
Giunto a un monticello pietroso prospiciente il mare, il cui disegno era tagliato da fasci di cristalli colorati, si era dovuto fermare in preda a un leggero attacco d’asma. Si era guardato dietro le spalle e in lontananza non aveva visto che la linea scura degli alberi. La luce delle stelle non riusciva a illuminare il paesaggio, tuttavia un barlume grigio e frastagliato sciabordava ritmicamente ai piedi dell’altura sulla quale aveva iniziato a inerpicarsi. Poi, trovata una piccola insenatura che avrebbe potuto fare da francescano giaciglio, vi si era sistemato, chiudendosi tra le braccia. Appoggiata la testa alle rocce, i suoi occhi si erano chiusi sotto il peso di una inarrestabile stanchezza.
Una volta sveglio se ne rimase a guardare la sottile falce di fuoco salire dalla linea dell’orizzonte. Il sole prometteva di essere in cielo in breve tempo e forse tutto sarebbe apparso nella sua vera luce, così da poter ritrovare quel che conosceva e di cui era sempre stato certo.
Quello era un incubo, uno dei peggiori mai fatti. Ma solo un incubo!
Tentò di ricostruire il suo cammino, la sua mente riandò ai passi compiuti da quando era uscito dalla canonica. Partito da Verulengo, vicino a Verona, sul sentiero che attraversava i campi, si era immerso nella recita delle sue preghiere senza badare se ci fosse qualche cosa di diverso rispetto al solito. Il sentiero era quello di sempre! Fatto centinaia di volte, se non migliaia. Ma poi… poi era successo qualcosa. Per quanto tentasse di capire cosa, continuava a rimanere con un pugno di mosche.
Nulla, il buio! L’idea era che non ci fosse stato nulla di differente tra il prima e il dopo.
Si era imbattuto in un gruppo di persone vestite in un modo particolare che lo avevano guardato con sorpresa. Lui si era sentito offeso da quelle occhiate e aveva pensato di trovarsi tra i membri di una compagnia di hippie e di averli sorpresi nel bel mezzo di uno dei loro affari loschi. In quegli anni anche le sue zone ne erano piene.
Erano quattro uomini e quello più alto gli aveva detto qualcosa. Non aveva capito le sue parole. Nemmeno una. Una sorta di lingua del nord o forse dell’est. O forse era semplicemente fumato. In breve i quattro avevano mostrato intenzioni bellicosenei suoi confronti e lui si era messo a scappare. Tentò di tornare alla canonica, fece marcia indietro e corse di ritorno sul sentiero fatto. Ma in qualche modo incomprensibile doveva aver sbagliato direzione perché, al posto di trovare i muri bianchi col tetto di larghe pietre tipico del suo paese, giunse alle porte di un villaggio che non riconobbe.
Una volta accortosi che i quattro stavano arrivando, aveva ripreso la sua fuga e infine si era infilato in un bosco. Solo per qualche istante gli passò per la testa il pensiero che di boschi da quelle parti non ne aveva mai veduti, ma il timore che quella gente potesse raggiungerlo mise tutto in secondo piano. Piante strane, esotiche, mai viste a parte quelle che sembravano mangrovie… Il suo abito lungo gli rendeva difficile il passo ma in fin dei conti era riuscito a seminare gli inseguitori. Ormai si stava facendo sera. Ed era lì, mentre stava cercando di capire cosa fosse successo, che era stato trovato da quella tribù dipinta di rosso.
Gli assassini dell’anziano danzatore.
Il luogo in cui aveva dormito era elevato rispetto ai dintorni il che gli permetteva di scrutare il panorama. Oltre la foresta si ergeva l’azzurra sagoma aguzza di una grande montagna dalla cui cima si alzavano tenui fumi. Dava l’idea di un vulcano dalla caldera addormentata. La costa si incurvava in un’ampia linea lungo la quale cresceva la foresta da dove era sbucato. Una stradicciola, niente più che un sentiero, andava verso una penisola dove si potevano intravedere delle strutture di legno o di pietra. Una foschia scintillante alla prima luce del mattino confondeva la veduta proprio in quel punto.
Si mise in cammino, intenzionato a ritrovare la via di casa sebbene fosse finito in un luogo totalmente alieno. Non aveva idea del posto in cui era: tutto appariva così diverso! Perfino l’aria aveva un odore differente e l’ossigeno gli entrava nei polmoni quasi bruciando. Dentro sentiva una grande solitudine e aveva tanta fame. Il timore di ricacciarsi tra le mani di quella gente lo spinse a ripescare energia da luoghi sconosciuti dentro di sé e si diresse verso la sua nuova meta.
* * * * *
«Che cosa ne pensi di quelle voci… sul Visitatore?» Màdiara si fermò per un attimo dal suo lavoro, in attesa della risposta. Stava sgombrando il tavolo dal primo pasto della giornata e non appena la loro bambina, Ehona, si era allontanata verso la sua stanza, aveva approfittato per parlare con il marito.
«Non lo so, Màdiara. Gli hanno affibbiato uno strano soprannome che non capisco. Pare sia fuggito».
Serep era un uomo attempato in confronto alla giovane moglie, e forse proprio questo contribuiva a farle amare la profonda pacatezza che risaltava dalla sua voce calda e piana.
«Sì, fuggito da dove però? C’è chi dice che fosse nelle prigioni di Orozar. Gli hanno vista addosso la veste del carcerato».
«Se è così lo staranno cercando. E a giudicare dalla notizia che è giunta fin qui, pare proprio che le cose stiano in questo modo».
Màdiara riprese a sparecchiare e andò al catino dell’acqua calda immergendovi le scodelle. I suoi movimenti erano agitati. Serep lo notò e tentò di tranquillizzarla abbracciandola dalle spalle. Le baciò i capelli biondi.
«Non ti preoccupare. Può darsi che sia del tutto innocuo. »
«Dobbiamo stare molto attenti che Ehona non esca di casa!» rispose lei con tono brusco.
«Credi che…» cominciò il marito.
«Più che crederlo lo temo! Perché era in carcere? Sarà un Lij. Un Grigio.»
«Non penso. Non vestono a quel modo.»
«Be’, allora ancora peggio», rispose la moglie alzando la voce, «sarà un Blaj!»
«Stai zitta!» la avvertì Serep. Spiò verso la stanza della figlia. «Non vorrai che ti senta!»
Perfino lui, al solo pensiero che un Blaj potesse aggirarsi per la zona, rabbrividiva e gli veniva il desiderio immediato di tapparsi in casa. Gli abitanti dell’isola avevano sempre guardato con terrore al mare, da dove giungevano silenziosi i Blashiri. Abitarvi affianco non permetteva certo di stare sereni.
La moglie si girò verso di lui e lo guardò negli occhi.
«Serep. Dobbiamo trovare una soluzione.»
«Una soluzione per cosa?»
«Ti hanno mandato qui, in questo villaggio sperduto, solo perché sei Capitano Locale. Potresti rimettere il tuo mandato nelle mani del…»
«Starai scherzando, vero? Lo stipendio che mi dà questo lavoro ci permette di vivere più che bene.»
«Certo, accanto a una città abbandonata e a pochi chilometri dal mare.»
«Ci sono io a proteggerti», le disse lui con un tono raddolcito.
Lei si guardò attorno e, anche se pensava che il marito sarebbe stato all’altezza di un combattimento corpo a corpo con gli uomini più forti, non sapeva che cosa sarebbe accaduto nello scontro con un Blaj. Aveva udito racconti tremendi riguardo ai Blashiri. Leggende secondo i più, cronache del passato secondo gli anziani sopravvissuti. Ormai era da molto tempo che non si vedeva un Puro camminare sul suolo dell’Impero.
Puro! Che termine inappropriato per indicare i membri di quella razza spaventosa! pensò Màdiara.
Quando alzò la testa si accorse che il marito era intento a guardare dietro le sue spalle, oltre i vetri della finestra. Gli occhi spalancati e i muscoli del viso divenuti di ghiaccio.
Màdiara intuì, le gambe presero a formicolare in un’ondata violenta di spavento.
Ehona… Ehona. Dov’è?
La vide lì, fuori casa e stava correndo verso un uomo con una lunga veste nera. Era riverso a terra e sembrava privo di coscienza.
«Ehona, no!» urlò la madre e assieme al marito corse fuori di casa.
* * * * *
Il Visitatore mangiò tutto quello che gli misero davanti. Aveva una tale fame da non soffermarsi a considerare se fosse solito ingerire certi animali o quelle piante… ma non faceva nulla. Andava tutto bene, l’accoglienza soprattutto!
Era già svenuto e voleva rimanere in forze. L’immagine del vecchio che veniva gettato tra le fiamme lo terrorizzava ancora. Tremava per debolezza e spavento.
L’uomo che gli stava di fronte, forse sui cinquant’anni, era di certo il marito della donna, molto più giovane. Lei non aveva smesso di fissarlo con espressione preoccupata. Una bambina dal visetto curioso veniva rispedita ogni cinque minuti nella sua camera. Probabilmente i due non volevano che sentisse quel che si stavano dicendo. Purtroppo lui continuava a non capire nulla di quelle frasi.
«Nubeod ha’n lot-mur [5]» disse lei.
Il marito le lanciò un’occhiataccia. «Jolasa ti rosoh tahbadi. [6]»
La donna adocchiò nuovamente il Visitatore e lo guardò senza nascondere il suo disprezzo. Sebbene fossero incomprensibili, le parole che seguirono suonarono pregne di livore nei suoi confronti.
«Pa rer ta ras! [7]»
Quindi si allontanò sdegnata inseguita dal marito.
Il Visitatore si osservò attorno. Era in una casa modesta. Avvicinandosi al villaggio le sue forze erano venute meno ma era stato raccolto da quella famiglia. Il minimo di umanità ricevuta era manna dal cielo, in quella situazione, anche se a sentire il tono delle loro voci pareva che gli eventi stessero tornando verso l’ostilità.
Com’era potuto succedere? Dov’era finito? Era una specie di realtà alternativa… un mondo parallelo nel quale era ricaduto per un disegno divino?
Dio, perché mi fai questo… perché mi fai questo?
Si alzò e fece un giro della stanza. I muscoli delle gambe doloranti urlarono “siediti, siediti e lasciaci in pace!” Sentiva le voci dei due giungere agitate e forti da una camera accanto a quella in cui si trovava lui.
Era in una cucina, o forse si trattava di una sala da pranzo. Magari entrambe. Non c’era sporcizia anche se l’aspetto gli diede l’impressione di trovarsi in una specie di passato dell’umanità. Di tecnologia nemmeno l’ombra.
E se fuggissi? Se scappassi? Potrebbero essere pericolosi anche loro. Quanto vorrei ritrovare la strada per Verulengo!
Tuttavia continuava a dirsi che avevano dimostrato buon cuore raccogliendolo e soccorrendolo.
Improvvisamente le voci dei suoi soccorritori si fermarono e lui tese le orecchie all’immediato silenzio. Forse fu solo un’impressione, ma gli parve di sentire delle parole, sussurrate dalla voce della donna. Sembrava quasi la voce di una tipa arcigna e inamovibile.
Zun-nashom, o qualcosa del genere.
Le conosceva, le aveva già sentite prima quelle parole. Erano state pronunciate dagli assassini del vecchio prima di gettarlo nel fuoco.
Come se una morsa gelida entrasse in contatto con la schiena, si irrigidì per il terrore.
Scappa, scappa, gli diceva una voce interiore.
Si guardò attorno, i muscoli del viso intorpiditi da un crampo di spavento.
Fuggi!
Prima che i due tornassero si gettò verso l’uscita per scappare. Ancora a correre, fuggire senza sosta da un orrore che lo tallonava come un predatore.
Si allontanò dal villaggio, cercò di andare distante da qualunque essere umano, ammesso che fossero esseri umani. Non era più sicuro nemmeno di quello. Gli sembravano solo mostri pronti a gettarlo in una fornace in cui le sue carni avrebbero sfrigolato e fischiato per il calore, banchetto per un immondo dio.
Gesù, Gesù, dove sei?
* * * * *
Dopo un intero giorno di fuga ogni suo sforzo di ritrovare casa cominciò a sembrargli inutile. C’era un luogo in cui poter andare senza correre il rischio di essere scoperto, additato e minacciato? Poteva credere di trovare infine una strada da seguire senza incappare in qualche nemico?
Stava ormai per gettare la spugna e lasciarsi andare a una rassegnazione disperata, quando sentì per la prima volta in due giorni parole nella sua lingua.
«Ehi», gli disse qualcuno.
Lui stava riposando con la schiena appoggiata a un albero simile a un faggio.
«Tu sei il Visitatore…»
Fu una frase sussurrata, quasi soffiata.
Il Visitatore si girò per capire da dove provenisse la voce. Accanto a un tronco poderoso fatto di rughe e sughero, c’era un uomo che lo osservava. Aveva una veste lunga, grigia. Il Visitatore si sentì subito minacciato da un individuo che lo aveva scoperto, ma quando gli parlò ancora in un limpido italiano, gli venne naturale rilassarsi ed ebbe un moto naturale di simpatia verso di lui. Si alzò e gli andò incontro dicendogli: «Lei mi capisce? Lei mi capisce?»
«Certo, la capisco bene.»
L’uomo lo osservò da capo a piedi.
«Siete un sacerdote?»
«Sì, sono un prete. Non capisco come ho fatto a trovarmi qui. Siamo a Verulengo? Sono tornato a Verona?»
«Venga con me. Mi segua», gli fece l’altro, senza rispondergli. Il Visitatore si fidò di lui. Avere vicino qualcuno che gli parlava in italiano era sempre meglio che essere preda senza scampo di qualcuno che non riusciva nemmeno a comprendere.
Lo condusse attraverso un tratto del bosco fino a quando non giunsero a una capanna di legno. Il tizio vestito di grigio vi entrò per primo e lui lo seguì. Forse per necessità più che per reale fiducia, ma finalmente riuscì a rilassarsi per la prima volta dal giorno precedente. Sentì i muscoli delle spalle sciogliersi e un’improvvisa fitta di mal di testa si arrampicò su per la nuca. Probabile che fosse la tensione che scemava.
L’atmosfera dentro l’abitazione, satura di odori simili all’incenso, gli fece provare una fitta di nostalgia per la canonica, la chiesa e le sue abitudini quotidiane. Provò un intenso desiderio d’essere nel coro della Chiesa dei Santi Angeli Custodi a Verulengo, dove si trovava ogni giorno a quell’ora, intento nelle sue preghiere. Veniva spesso interrotto da qualche ragazzo che voleva parlargli o da qualche pia donna nel bisogno della confessione. Cercò con le dita la croce che aveva al collo e la guardò. La baciò, grato che si stesse prospettando finalmente una soluzione a quella assurda situazione.
«Le ho preparato qualcosa da bere…» gli disse l’uomo, che gli porse una tazza con un liquido fumante. Sembrava tè. Il Visitatore inalò il buon profumo di una bevanda conosciuta e se ne inebriò totalmente. Bevve e osservò con curiosità quanto stava facendo il suo ospite.
Quello, intento ad accendere un fuoco, gli domandò: «Ha detto che viene da Verulengo? »
«Sì. Conosce il posto?»
«L’ho già sentito nominare, prima di oggi.»
«Non speravo più di riuscire a tornare. Non so ancora se questo sia un incubo, o cosa…»
L’uomo non gli rispose. Stava facendo sviluppare bene le fiamme, mentre lui sorbiva lentamente la sua bevanda. Infine ne trasse delle braci che posò su un piatto di rame. Poi si girò verso di lui.
«Venga con me, andiamo a pregare assieme.»
Il prete si sentì rinfrancato dalla proposta. Per carità, probabilmente aveva di fronte un qualche sacerdote di una setta new age, vestito a quel modo, ma in fretta giunse alla conclusione di non aver remore a pregare con chi rappresentava il maggior ritorno alla normalità a distanza di ventiquattr’ore dall’inizio dell’incubo. Lo aveva trattenuto al di qua della pazzia e questo bastava per chiudere un occhio.
Si avviò dietro di lui percependo una certa rilassatezza. Le barriere della sua mente si stavano allentando una dopo l’altra. Gli orrori vissuti il giorno prima si fecero sempre più lontani e si trasformarono fino ad assumere l’aspetto di sogni, di incubi. Gli incubi si fanno di notte e presto il sacerdote si convinse che tutto quello non era mai successo e che era stato il risultato di una notte agitata.
Uscirono dalla capanna e si sedettero sull’erba in uno spiazzo illuminato dal sole. Il piatto con le braci posto in mezzo a loro, l’uomo dalla veste grigia cominciò a pregare con occhi e mani rivolti verso il cielo. Smise di parlare in italiano. Dalla sua bocca uscirono solo parole in quella lingua sconosciuta che il prete ormai aveva associato agli assassini.
Era un assassino anche questa persona che si era mostrata con volto amico?
Nella sua mente scorse solo un accenno di spavento, che si dileguò presto, sospinto via dal forte desiderio di distendersi per trovare una posizione più comoda. Nonostante un allarme risuonasse nuovamente nella sua mente, lontano e debole, star seduto cominciava a riuscirgli difficile. Le palpebre pesanti divennero l’ostacolo maggiore a cui far fronte in quel momento e preferì mettersi supino sull’erba fresca e morbida.
L’odore dell’incenso gettato sulle braci lo avvolse completamente. Le sue spire si fecero intense e penetrarono in lui. Il giorno si fece sempre più scuro e il sole cedette il posto alle stelle. Un vento fresco soppiantò la calura dominante e il Visitatore cominciò a tremare per brividi di cui non si rendeva nemmeno più conto.
Si risvegliò che la notte aveva preso il sopravvento. Era una notte senza luna, buia, disorientante. Il prete si guardò attorno ancora sperso come lo era stato il giorno prima.
Tutto d’un colpo gli tornò la paura intensa che lo aveva pervaso in precedenza. Tentò di muoversi, non ci riuscì, o forse non voleva. Cosa stava succedendo?
Sentì un lontano rullio di tamburi, tentò di rimanere sveglio senza riuscire a mantenere un minimo di vigilanza. Una sonnolenza violenta lo costrinse a chiudere ancora gli occhi e la mente precipitò in un pozzo profondo e nero, dal quale si sentì cadere in cima a una collina.
Dall’alto di un promontorio sassoso poteva vedere la grande distesa del mare, scintillante nell’immensità. C’era molta luce ma non poteva individuare il sole, in alcun angolo del cielo. Era un cielo senza astri, un cielo alieno. Le onde si infrangevano sulla costa a tratti sabbiosa, a tratti costellata di rovi.
L’acqua scintillava gettandosi contro la battigia e il prete fissò con desiderio la superficie del mare. C’erano delle ombre, si muovevano sotto la sua superficie. Ombre distorte dall’andirivieni delle onde. Si avvicinarono alla spiaggia, facendosi sempre più definite fino a quando uscirono dai flutti. Erano decine, forse centinaia, come un esercito numeroso. Non erano uomini. La loro pelle era di uno strano colorito, pallida e con riflessi madreperlacei. Giungevano a ondate, quasi trasportati dalle ondate, e prendevano possesso della terra.
Il Visitatore, spettatore immobile di quel momento, fu sopraffatto da un grande timore. Quelli non erano esseri umani. Non erano esseri umani!
«Non sono esseri umani, non sono esseri umani».
Il Visitatore era disteso su un lettino di frasche bagnate, posto accanto a un gruppo di rocce. Pundra-nash gli accarezzò il volto mentre la schiuma cominciava a riempirgli la bocca, traboccando sulle guance.
«Cosa dice?» domandò il sacerdote al suo accolito. Quello aveva una veste grigia e lunga. Al contrario di Pundra-nash, conosceva la sua lingua ed era riuscito a ingannarlo. Ascoltò ancora nuove parole che il prete disse nell’estasi.
«Dice che dal mare usciranno migliaia di Blashiri… Ci sarà un’invasione.»
«Quest’uomo che hai evocato è potente, molto più di tutti gli altri. Da quale tempo viene?»
L’accolito scosse la testa.
«Non so. Credo che provenga dallo stesso luogo dell’altro… Verulengo. Non so quando sia.»
Pundra-nash gli tastò il collo e infilò la mano sotto la veste nera. Sfilò fuori una catenina alla quale stava appeso un oggetto che aveva già visto altre volte. Due rami d’oro incrociati.
«Hai tu il sacco?»
«Eccolo.»
L’accolito gli aprì dinnanzi un sacco di cuoio nel quale c’erano decine di oggetti sacri. Croci, amuleti, mani di Fatima. Gettò dentro anche quella croce e si diresse verso chi stava attendendo al Fuoco Primordiale.
«L’infuso di Shakot ha già dato il suo risultato. Quest’uomo ha avuto la visione. Un giorno gli abitanti del mare torneranno numerosi e invaderanno la nostra terra. Che le fiamme crepitino e che Ythogtha lo accolga benevolmente: gli stiamo inviando il Visitatore dotato dell’occhio più potente.»
I sacerdoti cominciarono il rito e tre uomini, dalla pelle dipinta di rosso, si caricarono sulle spalle il prete per compiere la danza sacra attorno al fuoco. Da lì, dopo aver urlato e ringraziato il figlio di Cthulhu, lo avrebbero gettato nel cuore della pira.
1 Pianta arborea dai piccoli fiori bianchi raggruppati in infiorescenze. Ha effetti allucinogeni.
2 La Foresta di Pietra, a sud di Mu.
3 A Zun-nash felicità eterna! In lingua Mu.
4 A Yaddith-gho, a Yaddith-gho.
5 Lo dobbiamo dar via. In lingua Mu.
6 Sai come finiscono queste cose.
7 Che bruci nel fuoco!
16/08/2009, Fabrizio Valenza