Il sole – ampio e opprimente – iniziava già a farsi molto caldo sul primo pomeriggio. La giungla lussureggiante, composta da alberi tortuosi dalle larghe foglie segmentate e da un soffocante sottobosco di aracee tipiche di quel clima, diveniva particolarmente fitta in quel punto. Erhderl aveva perso le tracce della preda che stava inseguendo da una buona mezz’ora e oramai dentro di sé disperava di riuscire nel suo intento.
Fissando un declivio scosceso – tutto irto di rocce taglienti e arbusti verdeggianti – che si dipartiva poco più avanti, rallentò il passo. Avrebbe dovuto prendere quella via, per quanto infida e scivolosa fosse, non c’era altra soluzione. Il percorso che aveva seguito fino a quel momento si era rivelato del tutto infruttuoso e snervante. Ampi rivoli di sudore gli segnavano il viso, provocandogli un forte prurito sulle guance arrossate.
Erhderl ripensò a come era giunto fin lì, una settimana addietro. I primi giorni su quel mondo alieno erano stati assai difficili. La temperatura estremamente elevata, quell’incredibile proliferazione di piante e le problematiche condizioni del terreno avevano reso – se possibile – ancora più arduo il suo compito.
Fin dal principio si era dato un preciso piano d’azione. Aveva studiato fino a saperli a memoria i diari personali e i rapporti di chi lo aveva preceduto in quei luoghi sperduti, concentrandosi sulle caratteristiche della preda, sulle sue abitudini alimentari e sui dati comportamentali di cui disponeva, sforzandosi di comprenderne in qualche modo la psicologia totalmente estranea alla propria. Quindi aveva cominciato le ricerche sul campo, dotato della migliore attrezzatura e di tutte le più sofisticate apparecchiature che la tecnologia di quei tempi potesse fornirgli. Si era ripromesso di annotare ogni più piccolo indizio, ogni elemento sospetto, qualunque cosa potesse assomigliare a una traccia, classificandoli in base alle dimensioni, la frequenza e il percorso seguito apparentemente dalla creatura nelle ultime settimane, in modo da ricostruire gli ultimi spostamenti che avesse potuto catalogare con ragionevole certezza.
La tuta sovracutanea S-109 che indossava lo proteggeva adeguatamente dalle abrasioni, dalle sostanze vegetali irritanti e da quell’umidità persistente e insopportabile che albergava nel folto degli alberi. Tuttavia in alcuni momenti quella giungla sconfinata non gli pareva altro che un rimescolio brulicante di creature strane e feroci che attendevano solamente di avventarsi su un “pasto” sostanzioso che fosse stato sufficientemente imprudente da addentrarsi nel loro territorio. Era proprio in quei momenti che il fucile di precisione a eccimeri che portava in spalla riusciva a confortarlo facendolo – quasi – sentire sicuro di sé. Era un’arma intelligente, dotata di un modernissimo sistema di puntamento a impulsi elettromagnetici e munita di due caricatori laterali capaci di erogare fino a cinquanta scariche energetiche ciascuno, oltre a un rilevatore di calore computerizzato in grado di avvertirlo di qualunque presenza potenzialmente minacciosa in avvicinamento. Avrebbe potuto compiere una vera e propria strage fra quella torma di creature aliene – in gran parte neppure classificate – prima ancora che giungessero a meno di 50 passi da lui. Ma si trattava di una sensazione di superiorità che durava generalmente molto poco, subito scacciata da qualche misterioso urlo improvviso – appartenente a chissà quale essere feroce – che si imponeva con forza su tutto il resto, squarciando il continuo tramestio provocato tutt’attorno dalle miriadi di insetti e di predatori nascosti.
Le sue indagini erano durate cinque lunghi giorni – e un giorno su questo mondo durava 30 interminabili ore – e gli esiti delle ricerche effettuate erano parsi subito promettenti e incoraggianti, ma in definitiva poveri di risultati concreti.
No, quella creatura peculiare non si era ancora estinta. Fortunatamente! Troppo evidenti e fresche le tracce rinvenute per poter sostenere una simile teoria, tuttavia mancava ancora la vera prova provata. Quando stava già disperando di riuscire in quella difficile impresa, chiedendosi se mai fosse davvero riuscito a posare gli occhi sulla sua ambita preda, il miracolo era alfine avvenuto. Era stato un mattino, due giorni fa, quando una terribile calura premeva sulla conca naturale in cui aveva posto l’accampamento, avvolgendo oppressivamente la tenda protettiva in cui se ne stava ancora rinchiuso. Era uscito all’aperto e – quasi per caso - l’aveva avvistata. Che emozione!
La creatura si trovava a poche decine di metri da sé, seminascosta dal tronco di un albero ricurvo che ne celava gli arti inferiori. Erhderl poté osservarne appena i lineamenti segnati da una folta peluria, la postura vistosamente inclinata delle spalle, lo sguardo animalesco e selvaggio. Ma fu solo un breve attimo. Forse la sua uscita improvvisa l’aveva spaventata o probabilmente un altro rumore inconsueto proveniente dal vicino sottobosco l’aveva indotta ad allontanarsi precipitosamente per prudenza, fatto sta che nel breve volgere di pochi secondi scomparve in quella stessa giungla da cui era misteriosamente provenuta.
Sgusciato precipitosamente fuori dalla tenda, Erhderl si gettò al suo inseguimento. Aveva con sé solo la sua arma, la borsa delle apparecchiature e ciò che era riuscito frettolosamente a trovare a portata di mano. Non aveva avuto tempo di cercare il comunicatore né le razioni alimentari d’emergenza, come si accorse poco dopo, ripensando alle poche cose che recava con sé. L’inseguimento durò due ore buone, durante le quali perse più volte le tracce della preda, si disperò, le ritrovò in altrettante occasioni e infine si addentrò ansimando su un alto pendio dove rischiò di inciampare rovinosamente verso il basso. Quell’essere pareva davvero una creatura dell’oltretomba che si divertiva a comparire e scomparire qua e là, lasciando dietro di sé solo labili indizi del suo passaggio.
Giunto alla sommità della formazione naturale Erhderl lasciò vagare lo sguardo tutt’attorno, cercando di decidere dove dirigersi. Non era una scelta facile, dannazione! Mentre esaminava il da farsi, il suo fucile si accorse di un movimento potenzialmente pericoloso prima ancora che lo captasse il suo stesso udito. Automaticamente si girò verso destra, imbracciando l’arma saldamente. Un attimo dopo uno strano animale uscì da dietro una schiera di alti arbusti, mostrando degli occhietti attenti e crudeli ed emettendo un caratteristico suono gutturale. Aveva una grossa bocca contornata da denti affilati, che rivelava la sua natura carnivora, e zampe poderose che terminavano con artigli lunghi e scuri. La strumentazione computerizzata dell’arma produceva un segnale intermittente che sottolineava l’aggressività dell’animale.
Un avanzamento di soli pochi centimetri da parte del predatore verso di sé e il sistema di puntamento proruppe in un suono continuo. La raffica di colpi partì prima che lui potesse quasi rendersene conto, squarciando la calma irreale che si era protratta fino a quel momento. La creatura venne raggiunta da violente scariche energetiche alla testa e agli arti, crollando repentinamente fra le foglie in tre tronconi sanguinanti distinti. Erhderl si riebbe dopo pochi secondi, scoprendosi a ripensare all’accaduto come se non l’avesse vissuto veramente in prima persona. Questa volta c’era andato molto vicino. Non c’era dubbio che quell’essere avrebbe potuto ucciderlo al primo attacco se solo ne avesse avuto la possibilità. Poi la sua mente tornò agli pari. Non ci voleva! Quel trambusto aveva certamente spaventato l’oggetto della sua ricerca. Tutto diventava più complicato.
Vagò il resto della giornata in cerca di altri segni rivelatori, senza però molta fortuna. Quando era ormai pomeriggio inoltrato si sedette sfinito con la schiena appoggiata a un tronco d’albero e rimase sconsolatamente a pensare in silenzio. Fu quasi per caso che il suo sguardo si posò su una macchia appena visibile su un ramo spezzato. Si trattava di sangue fresco, non c’era dubbio! Ma di quale creatura? Tirò fuori immediatamente l’analizzatore e vi versò dentro una goccia di quel liquido raccolto con religiosa cura. La macchina ronzando confermò le sue supposizioni. Al suo interno vi era presenza di ferro e fosfati nella giusta proporzione e, soprattutto, di N-16. Quel dato da solo era risolutivo. Doveva per forza essere passato di là, e da non più di pochi minuti. Bisognava riprendere la caccia immediatamente!
La sua avanzata fra le piante si era fatta concitata, le foglie si piegavano al suo passaggio, spezzandosi, mentre le gambe procedevano traballanti sul terreno irregolare e seminascosto che talvolta si abbassava improvvisamente di parecchie decine di centimetri. Per due volte l’arma aveva lanciato segnali di avvertimento, senza seguito. Infine Erhderl era sbucato in uno spiazzo lasciato parzialmente libero dalla vegetazione. Sul lato opposto poteva vedere una parete rocciosa scoperta. Il suo sguardo aveva scorto un movimento poco distante…
Era là! In fondo a un angolo pietroso circondato da sparuti arboscelli che lo facevano apparire simile a un antro protettivo, giaceva la sua preda ormai stremata. Nella fuga defatigante che l’aveva tenuta impegnata per tutta la giornata, quello era il posto che la creatura aveva individuato come ultimo rifugio, il posto scelto per il passaggio conclusivo della sua esistenza. Erhderl rimase a fissare quegli occhi spauriti e febbricitanti, i brividi che le attraversavano il corpo mentre se ne stava accoccolata accanto alla parete scura: sembrava quasi inerme di fronte a sé, implorante un gesto di aiuto. Si era slacciato la borsa che portava dietro la schiena, estraendone lentamente un contenitore di metallo. Apertolo delicatamente, ne aveva tirato fuori il Puntatore, aveva armeggiato un attimo con i suoi comandi e ora lo teneva indirizzato verso il viso della creatura. Un barlume di pietà gli aveva attraversato gli occhi arancioni mentre osservava quell’essere riverso al suolo ormai quasi senza più difese. Che spettacolo desolante.
Eppure non era stato sempre così. Un tempo esso era appartenuto a una specie evoluta che aveva dominato l’intero pianeta, riducendo in proprio potere tutti gli altri animali presenti sulla sua superficie e negli oceani, fino a piegare alla propria volontà la stessa natura. Ma questo era stato molti millenni fa. Poi qualcosa era successo, sicuramente un evento catastrofico di portata inimmaginabile. I filosofi l’avrebbero chiamata una vendetta degli elementi su chi aveva cercato di controllarli pervicacemente con la forza. Qualunque ne fosse stata la causa, era provato che il clima del pianeta era cambiato rapidamente e le temperature erano precipitate verso livelli insostenibili per gran parte della vita esistente. Era intervenuta una sorta di glaciazione di portata considerevole, se ne potevano vedere ancora i segni evidenti ai poli e lungo il vasto continente meridionale. Tutto questo era durato circa 70.000 anni. Poi, gradualmente, il clima era migliorato e le temperature medie avevano ricominciato pian piano a salire verso livelli più compatibili con la vista. Però il mutamento non si era fermato, era proseguito lungo un corso del tutto imprevedibile che aveva finito per trasformare man mano il pianeta in un territorio inabitabile e desertico, soprattutto al nord, mentre era rimasto decisamente lussureggiante e più denso di vita nella parte mediana.
La prima spedizione di Rijdl che era stata su quel mondo risultava composta da solo tre scienziati e due archeologi. Proprio questi ultimi avevano ben presto individuato le tracce dell’antica civiltà che era stata presente un tempo sul pianeta e avevano cominciato a studiarne i discendenti. Si trattava di poche migliaia di creature – sopravvissute in qualche modo alla lunga glaciazione – che vivevano in gruppi sparuti, i quali spesso si combattevano ferocemente fra loro per il possesso del cibo o del territorio. Come era prevedibile, essi a una prima analisi erano apparsi molto diversi dai loro progenitori di cui restavano numerosissimi resti fossili ovunque. Il loro aspetto era mutato notevolmente, si erano trasformati esteriormente e folti e robusti peli avevano preso a ricoprirne il corpo. Anche la loro capacità intellettiva pareva notevolmente inferiore a quella del passato, dato il tipo di vita decisamente primitiva che conducevano, sembrava proprio che si potesse parlare a tutti gli effetti di un’involuzione.
Alcuni degli scienziati appartenenti alla spedizione ipotizzarono che in seguito tuttavia quella specie avrebbe ripreso a ripopolare il pianeta, seppure con lenta gradualità, e probabilmente nel corso di qualche centinaio di generazioni avrebbe occupato nuovamente un ruolo decisivo su di esso. E il punto iniziale di rinnovato sviluppo di quelle creature sarebbero state proprio quelle giungle dense di alberi, dotate del clima adatto per le necessità quotidiane dei suoi abitanti e senza dubbio perfette per ottenere cibo, riparo e materiali da costruzione.
Fu proprio durante quella missione che avvenne però la tragedia. Un membro della spedizione scientifica di Rijdl graffiò con un’unghia inavvertitamente il braccio di uno di quegli esseri che era stato catturato per meglio compiere degli studi accurati. La reale portata di quell’evento venne compresa soltanto alcune settimane dopo.
I Rijdl, senza volere, avevano infettato quella sfortunata creatura con un germe del tutto innocuo per loro e tuttavia assai più pericoloso per quella specie primitiva. Nel volgere di pochi giorni la malattia si era sparsa velocemente presso il gruppo originario di quella creatura e aveva iniziato a fare i primi morti. Nessuno degli sforzi fatti per eliminare l’infezione aveva dato risultati. Pareva che essa si diffondesse troppo velocemente fra i membri di quel gruppo e, a contatto con il loro sangue, mutava assai rapidamente, impedendo che si potesse trovare una cura soddisfacente. Quella che era stata una normale convivenza con germi patogeni insiti da sempre nel sistema circolatorio dei Rijdl, si stava rivelando invece un male inarrestabile per questa specie aliena. Nonostante fosse stata presa la grave decisione di eliminare fisicamente tutti i membri del gruppo originario della creatura catturata, allo scopo di evitare il propagarsi dell’infezione, in breve si erano rilevati dei casi anche presso le comunità vicine. Presto divenne chiaro che la situazione era sfuggita totalmente di mano. Era stato commesso un errore gravissimo e non si poteva più rimediare. Se solo si fosse trattato di un pianeta non così lontano dai sistemi della galassia già visitati in precedenza dai Rijdl o se quella spedizione fosse stata composta da scienziati dotati di una strumentazione più moderna, forse qualcosa si sarebbe potuto fare per tempo. Purtroppo però essi erano soli, e non riuscirono a trovare una soluzione efficace. Nel volgere di 10 mesi la maggior parte della popolazione locale morì, mettendo in serio pericolo la stessa sopravvivenza di quell’intera specie pe il futuro. Quando fu ormai chiaro che era troppo tardi per invertire il processo, venne avvertito il Ministero della Salute della Confederazione Rijdl. Si decise di inviare un esperto che avrebbe dovuto recarsi sul posto a compiere ciò che andava fatto. Fu così che Erhderl dovette partire per quella triste missione.
All’inizio era stato colpito negativamente da quel mondo, sopraffatto dai nugoli di insetti che dominavano la maggior parte degli ambienti naturali e costretto a difendersi continuamente dai predatori feroci che dimoravano nelle sue giungle sconfinate. Poi si era dato un preciso piano operativo e aveva cominciato a cercare qualche superstite. Il computer aveva detto che dovevano essercene ancora tre sull’intero mondo – solo tre! Trovarli sarebbe stata un’impresa disperata. Come se non bastasse, nella settimana che era stato lì, due dei tre soggetti individuati erano morti prima che lui potesse raggiungerli. Ne aveva trovati i cadaveri distesi su una piana erbosa in fondo a un dirupo. Non restava che un solo individuo, e bisognava trovarlo prima che fosse troppo tardi!
Erhdrel fissò la punta di metallo del Puntatore. Era lucido e freddo e guardava proprio in direzione del povero essere che giaceva praticamente inerme poco distante. Si avvicinò cautamente e lo spinse contro la fronte dell’individuo tremante. La creatura non oppose resistenza e lo guardò con occhi persi, inconsapevole forse della sua stessa presenza. La febbre era ormai molto alta e la fine prossima. Doveva sbrigarsi!
Tenendo l’estremità del Puntatore appoggiato contro di esso, inserì uno dei suoi due spinotti nella presa che recava impressa sul collo, collegandone l’altro direttamente al macchinario che portava nella borsa. Quindi attese il segnale convenuto e attivò la connessione.
Un leggero tremito si impadronì dei suoi arti, facendolo sussultare. Nella sua mente cominciarono ad affluire a velocità straordinaria migliaia di immagini, emozioni e sensazioni. In quel momento un’intera esistenza fatta di memorie, esperienze e apprendimenti venivano riversate altrove. Era quello l’unico modo per preservare il ricordo di quella specie aliena anche per il futuro, rendendolo accessibile a tutti gli altri studiosi che fossero venuti dopo di loro. Il tutto durò pochi, intensissimi minuti, lunghi come una vita.
Quando ebbe finito, il Rijdl allontanò il Puntatore dalla testa della creatura e staccò il collegamento. Tutto era concluso. L’essere lanciò un lungo sguardo verso di lui, quindi gonfiò le guance in modo innaturale, ansimando debolmente, e chiuse gli occhi per l’ultima volta.
Erhdrel ripose i suoi marchingegni nel contenitore di metallo e raccolse le sue cose. Prima di andarsene si voltò ancora una volta per osservare a creatura che giaceva vicino. Era uno spettacolo straziante. Però era soddisfatto di quanto era stato ottenuto.
Dentro di sé e – grazie ai miracoli della tecnologia – all’interno del suo sofisticatissimo database informatico sarebbe rimasta per sempre la memoria dell’intera vita dell’ultimo appartenente a quella sfortunata specie. E in conseguenza di quel processo lui stesso avrebbe recato vividamente impresse dentro di sé tutte le esperienze dell’ultimo Terrestre vissuto su quel mondo lontano.