Un taxi nero si aggira per le strade di Londra. A guidarlo non è il tassista, ma un uomo dagli occhi crudeli e profondi come il male. Come il male, ha labbra piene. Come quelle del diavolo, esse son chiuse in una smorfia di scherno.
Guida piano e ogni tanto muove il volto lungo, scavato, aspirando l’aria come farebbe un animale.
Il naso è grosso, forte, dritto: nasce dalla fronte come una spada per dividere le sopracciglia.
Ora la macchina rallenta, sino a fermarsi.
L’uomo scende e lascia lo sportello aperto, poi distrattamente, ammira il Big Ben e segue i raggi del tramonto dipingere le rovine di Westminster.
Londra è incendiata dal sole come lo è stata dalle bombe. L’uomo non se ne cura troppo; fa qualche passo e si china a terra. Sorride e gli occhi neri, cattivi, incontrano quelli sciolti di un cadavere, un uomo i cui vestiti sono fusi sulla pelle. Rimane il tronco: le gambe saranno cenere al vento da tempo.
Si alza in piedi l’altro e tira fuori una sigaretta dal taschino. Gliene rimangono poche e fa una smorfia.
Due scintille. La carta prende fuoco, iniziando a crepitare; quindi è la volta del tabacco.
L’uomo si siede sul cofano del taxi e fuma tranquillo, contemplando la fine del mondo.
Il Tamigi è asciutto e pieno di macerie. Il ponte di Londra è stato ingoiato dal nulla e più in là, oltre Saint Paul, si vede il Tower Bridge.
L’uomo fa un tiro e pensa che il ponte assomigli ad una porta da rugby. Con le dita mima un calcio. Le sue orecchie cercano l’urlo della folla.
Ma c’è silenzio.
Fa un ultimo tiro e con riluttanza stacca il mozzicone dalla bocca. Scuote la testa, poi vede un uomo.
Sbuca da una piega di Westminster e avanza solo, solo nell’apocalisse. Con passo sicuro viene verso il primo uomo.
Ora è all’ombra del Big Ben.
Calmo, Jason Finch, l’assassino, mette via il mozzicone nella tasca della giacca.
L’uomo che arriva è un tipo lungo e pallido. Ha i capelli bianchi, da albino, ma un viso giovane e veste in smoking e tuba. Sul naso forte, adunco, ballano occhiali a cerchio colorati di viola e sul mento, un pizzetto candido ondeggia al soffio degli alisei.
Sorride e da’ uno sguardo a Londra.
Jason Finch incrocia le gambe, appoggiando la schiena al parabrezza del taxi.
-Neanche i nazisti con le loro V2 ci hanno potuto, eh?- sembra azzardare l’uomo.
Finch sorride: -Noi inglesi sappiamo fare di meglio.
Entrambi guardano i raggi del sole morire bruciando d’arancio Saint Paul.
Lo straniero ha un bastone elaborato dal pomello lucido e d’ottone. Si diverte a farlo girare in modo pigro.
-Non dite a me- replica, dopo alcuni minuti: -Non sono inglese.
L’altro alza un sopracciglio ed è quasi tentato di farsi la seconda sigaretta: -Da dove vieni?
-Oh- macchie vermiglie s’accendono sul viso cadaverico: -Sono tanti i posti…
Finch annuisce distratto e gira un po’ la testa: -Immagino.
-E voi?
-East End- l’uomo non resiste e tira fuori un’altra sigaretta.
-Quella roba finirà per uccidervi- scherza lo straniero con un sorriso amichevole. Forse sono parole magiche e mettono fine all’incantesimo. Jason Finch guarda l’uomo pallido, accende la sigaretta e dice: -Uno di noi due deve morire.
L’altro sorride e fa fare un giro al bastone, poi guarda a lungo il letto del fiume: -Non necessariamente- risponde a Finch, quindi lo guarda dagli occhialini viola: -Desideriamo due cose diverse.
L’assassino annuisce: -Può darsi.
-Sono un vampiro- spiega l’altro: -E mi nutro di sangue, quanto a voi- gli punta al petto il bastone, senza peraltro avvicinarsi di un palmo: -Siete l’ultimo uomo sulla terra.
Finch inala il tabacco. L’ultimo uomo, l’ultimo di sei miliardi?
-Vuoi il mio sangue?- chiede con noncuranza. L’altro annuisce.
-Non dovresti farmi fumare- ribatte Finch. Ciò trasforma il viso del vampiro in una smorfia allegra.
Jason Finch prende il suo tempo e assapora il tabacco, poi mentre il vento spazza Londra, scende dal cofano.
-Non mi avete chiesto come mai posso camminare di giorno- domanda il vampiro.
-Non me ne frega un cazzo- ribatte Finch. L’altro sembra farsi più grande e leva il bastone: -Ho scannato uomini per molto meno- dice.
Labbra tirate, volto perso in una nuvola di fumo: -Anch’io- s’alza l’eco di Finch: -Ma non è questo il punto.
-E qual è?- domanda il vampiro.
Finch ride: -Il punto è che ho fame. Il punto è che se non mi trovi da mangiare io deperisco e muoio e tu rimani senza cena. Il punto è che sei un povero, fottuto immortale e dovrai trovarti un passatempo eterno in questa merda- Finch indica il cadavere di Londra con la sigaretta: -mentre io o muoio adesso o campo un po’ di più, magari guadagnando qualche chilo. In ogni caso tu rimani qui- Finch ride: -e dall’inferno ti vedrò parlare come un matto alle statue di Saint Paul.
Un guizzo ed il vampiro tira indietro il bastone: -Avete combinato proprio un bel disastro voi inglesi- dice.
-Non darci tutta la colpa e ricordati che siamo uomini.
-Lo so…ero uomo anch’io.
Finch assapora un’altra boccata: -Cazzo se mi fai pena- dice: -E bada che non ho mai provato pena per nessuno.
-Neanch’io- replica il vampiro.
-Abbiamo molto in comune allora- Finch scrolla le spalle e tende la mano destra: -Jason- dice, solamente.
Il vampiro gli stringe la mano ed è quasi lui a trasalire per quel tocco freddo; corrugando le sopracciglia in una V: -Siamo sicuri che avete sangue?- domanda.
-Tranquillo- Finch sorride: -Fammi mangiare e al sangue penso io…
Il vampiro annuisce, poco convinto.
Finch alza un sopracciglio: -Com’è che ti chiami poi?
-Vlad voivoda figlio di Vlad voivoda- risponde l’altro.
-I tuoi problemi non si limitano al sangue, eh?
-Ti riferisci al nome? Mi chiamavano Dracula, il “Figlio del Drago”.
Finch scuote la testa: -Mai sentito- gli porge una delle ultima due sigarette.
-Perché?- fa Vlad.
-Fuma. È un’occasione speciale.
-Già, abbiamo guadagnato tutti e due qualcosa.
Finch accende la sua sigaretta, poi fa lo stesso con quella del vampiro: -Se lo dici tu…
Sono lì da qualche minuto (ma chi conta ancora il tempo quando coloro che lo hanno inventato sono morti?) e Vlad comincia a raccontare: -Quante ne ho viste…quante guerre, battaglie- si gira verso Finch e questi gli risponde: -Ti credo amico, ti credo.
Siedono tutti e due alla fine del tempo… ed il sole spegne Londra.
03/09/2009, Marcello Nicolini