II TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: IV CLASSIFICATO

 
 
 
 
 
HELLGATE – LE PORTE DELL’INFERNO
di PAOLA PROVENZANO
 
Aprì gli occhi, dilatando le narici. L’odore ferroso del sangue inebriava la sua mente come il richiamo di un dolce nettare. La creatura iniziò a soffiare aria dalla froge, guardandola affamata batté ripetutamente i denti.
La giovane leccò il taglio sul braccio e roteò il gladio per sciogliere il polso.
La belva dal famelico sorriso emise le sue grida acute e si lanciò con un balzo verso di lei.
Un istante dopo altro sangue rigò il viso della fanciulla, mentre la mancina teneva serrata la testa del mostro, appena recisa.
Era la quarta arpia nel giro di poche ore, il sangue iniziava ad attirarle come miele.
Trascinava ogni testa per qualche centinaia di metri per poi abbandonarla come esca per altre creature.
Era riuscita a trovare uno spadino tra i resti putrefatti che le fecero da cuscino dopo "la caduta", e con quello si era già fatta strada per ore, forse per giornate intere. Non esisteva alcuna sorta di luce, né sole né luna, solo buio e desolazione e ovunque posasse lo sguardo, la morte e il silenzio regnavano.
Ed infine lo vide. Un palazzo nero di ossidiana, avvolto dalla nube di sabbia che i venti trasportavano dal deserto confinante. Lasciò cadere l’ennesima testa che ruzzolò giù per la duna lasciando dietro di sé una scia vermiglia.
Non v’erano cancelli né recinzioni a protezione della dimora, solo statue e resti di ossa certamente non umane. Ormai quasi priva di forze si poggiò con tutto il peso sul portone cigolante, aprendolo. L’ingresso era vuoto, ma sentiva una musica provenire dai piani alti. Quel che trovò salendo le scale la lasciò a bocca aperta.
Ogni donna nella sala era priva di vesti, e chi supina, chi in piedi, chi per terra con sinuosi movimenti del corpo si concedeva a demoni e diavoli in un banchetto di carne e passioni sfrenate. Le cadde la spada di mano e il fracasso che generò fece cessare ogni cosa. Le donne si scostarono e alzatesi scapparono dalla camera. I diavoli e i demoni guardarono la giovane restituendole lo stesso sguardo incredulo e interrogativo.
Aveva visto uno specchio e qualcosa nel suo riflesso l’aveva impressionata a tal punto da pietrificarla.
Le iridi dei suoi occhi, un tempo nere e penetranti, erano diventate color cremisi; due grandi corna arricciate sbucavano tra i capelli corvini come a figurare una strana corona. I denti, un tempo umani, erano diventati aguzzi e sporgenti e la lingua rosea oramai nera e viscida. Era incredula, non voleva accettare che quella immagine corrispondesse al suo reale aspetto. Aveva timore perfino a toccarsi per verificare da sé.
Una mano artigliata emerse dall’ombra arrivando a carezzare la punta delle corna della giovane. Fece passare rumorosamente gli artigli per ogni anello della cavicchia. La ragazza sentì ogni singolo sfregamento, e d’un tratto agitò la testa per scostare quella mano.
«Sei molto bella,» Disse l’ombra «E devi essere nuova da queste parti».
La ragazza non rispose.
«Suvvia, non avrai percorso tutto il deserto per guardarti in uno specchio! Hai almeno un nome, straniera?»
«Esiste un nome per definire un mostro?» Chiese infine, amareggiata.
«Ogni mostro ha molti nomi, perché rispecchia le paure di chi lo teme.» Pose le mani sulle spalle della ragazza, e la fece voltare affinché lo vedesse in viso: «Il mio nome è Mirion».
Penetranti occhi ambrati la fissavano mentre le braccia robuste si posavano sulle esili spalle della giovane. Le mani erano grandi e artigliate, così come i piedi e voluminose ali nere raccolte lo ingobbivano per il peso. Pettorali scolpiti e neri come il buio restavano scoperti e solo una tonaca avvolgeva malamente le sue pudenda.
Era alto il doppio della fanciulla, ed era il più grande demone in tutta la stanza. Ad un tratto schioccò le dita e fece in modo che gli anfitrioni continuassero i festeggiamenti negli alloggi privati delle succubi, in modo da lasciarlo solo con la nuova arrivata.
«Mi chiamavo Emma» disse infine, quando gli ospiti abbandonarono il grande atrio «Prima che iniziasse il conflitto tra gli angeli e… i dannati».
Mirion sedette sul trono a lui riservato, restando taciturno in ascolto.
«Il mio ultimo discendente fu ucciso per una crudele vendetta divina ed un vampiro lo accolse nel suo abbraccio per strapparlo alla morte eterna… Arrivai troppo tardi, quando iniziò la guerra. Egli già combatteva contro i celestiali per la supremazia sulla terra e stava per essere ucciso… per la seconda volta».
Fece una pausa più lunga, dando il tempo a Mirion di precederla nel proferire i fatti: «E così per salvarlo hai ucciso un angelo».
«Sì.» Rispose secca.
«È buffo, sai» Cominciò col dire, «quando muore Uno dei Nostri nessuno viene punito, né glorificato. Quando sono Loro a crepare, ecco che ci mandano altra gente a soffrire in eterno».
«Voi siete demoni!» Lo rimbeccò la giovane.
«Demoni?» Rise mesto «Non esistono i demoni. Solo angeli più furbi di altri. A te stabilire chi più furbo di chi.» Le diede un’altra sbirciata di sottecchi «Anche tu ormai sei dei nostri».
«Solo per metà» Precisò lei.
«Vedremo quale metà ti verrà comoda quando giungerà l’Apocalisse!»
«La metà vincitrice, indubbiamente.»
«E cosa ti fa pensare che ci saranno dei vincitori? Alla fine vince sempre e soltanto uno…» Indicò con l’indice il soffitto. La mezzo-demone sorrise all’allusione.
Quanto tempo passò esattamente dopo l’accaduto, Emma non fu mai in grado di stabilirlo. C’era solo quella impercettibile sensazione che da un momento all’altro qualcosa di inaspettato poteva accadere e sconvolgere nuovamente l’equilibrio naturale dei mondi. Era a questo che Mirion la stava preparando:
«Lo vedi quell’albero?» Le chiese, facendola sporgere dalla cima della gola in cui si trovavano.
«Si, lo vedo» C’era una macchia verde e luminosa, oltre il buio del crepaccio. Dappertutto carcasse e rovi dominavano il paesaggio, rendendola ben visibile anche a distanze elevate.
«È laggiù che siamo diretti» La informò.
«E come pensi di arrivarci? Non vedo alcuna via per raggiungerlo.»
«Ognuno è in grado di figurare il proprio cammino anche quando non è stato ancora tracciato. Basta avere in mente la destinazione e un punto da dove iniziare.»
«Non ho le ali.» Gli fece notare.
«Non ne avrai bisogno. Non sempre potrai avere ciò che serve, ma perché arrendersi?» Prese la giovane per la vita, facendole aprire le braccia.
Le sfiorò il viso con le corna, carezzandogli l’orecchio con le labbra ispide: «Ti fidi di me?» le sussurrò.
Emma annuì senza indugi, lasciando che le labbra del demone incontrassero le sue in un bacio passionale. Fu allora che Mirion la spinse di sotto, accompagnandola con lo sguardo mentre precipitava dal burrone.
Ad ogni istante i battiti del suo cuore aumentavano e risalivano in gola lasciandola a fiato mozzo. Sentiva lo spettro della Paura che iniziava ad invaderle il corpo per impossessarsene e dimenava furiosamente le braccia in cerca di appigli mentre il terreno si faceva sempre più vicino.
Doveva vincere quel duello. Non era ancora giunta l’ora della morte, aveva già visto troppe volte l’angelo senza ali affilare la sua falce per strapparle l’anima, ogni volta se n’era andato a mani vuote. Perché arrendersi proprio adesso?
Trovò in sé la forza per vincere la Paura.
Dapprima fu come avvertire un formicolio, poi le spalle iniziarono a schioccare e le scapole si ruppero, la pelle si lacerò formando due tagli longilinei e piccole ossa premettero per uscire. Come germogli milioni di piccole e fragili piume nere crebbero sulle ali fino a quando non fu in grado di aprirle e di planare per non schiantarsi.
Quando risalì verso l’alto vide cadere la Paura, un serpente a tre teste che si contorse fino a raggomitolarsi. Sibilando per la sconfitta iniziò a decomporsi durante la caduta, fino ad impattare al suolo in una nuvola di polvere purpurea.
sbatté le ali ancora per qualche istante, prima di toccare terra. Stava respirando affannosamente e si teneva aggrappata alle rocce per non cadere sfinita. Guardò verso la zona verde, dove ad attenderla c’era il suo tutore.
«Non avresti dovuto fidarti» Proferì, quando la vide arrivare.
Stava seduto ai piedi di un melo in fiore, rischiarato dalla stessa erba luminescente che cresceva intorno alla pianta. Fiori bianchi bellissimi sbocciavano nel bel mezzo delle terre infernali, privi di luce e di acqua mantenevano il loro colore vivo e intenso.
La giovane sedette in mezzo alle sue gambe, raccogliendo le ginocchia e la lunga veste nera. Poggiò di prepotenza le ali appena spuntate contro il petto del demone, socchiudendo gli occhi e restando a contemplare il profumo di quei fiori: «Se tu non avessi riposto alcuna fiducia in me, non saresti rimasto ad attendermi!»
«E cosa ti fa credere che fossi qui ad aspettarti?» Le domandò sornione.
«Sento che provi qualcosa per me, in fondo…» Sospirò, sicura del fatto che non avrebbe ottenuto alcuna risposta.
«Povera sciocca che sei» La scostò bruscamente e fece per alzarsi.
Lei rimase appollaiata guardandosi intorno: «L’albero non appartiene a questo regno».
«No, infatti.» Mirion poggiò una mano sul tronco, cercando con gli artigli di incidere la corteccia ma senza riuscirci «Quando cadde il Primo, cercò di afferrare qualsiasi cosa e nel tentativo strappò via una parte del giardino dell’eden».
«Vieni qui spesso?» Domandò notando nel suo sguardo una strana luce.
«Tutti i demoni vengono qui, quando hanno bisogno di tranquillità. L’aura benefica di questo luogo non può essere contaminata, ed è la sua luce ad assorbire le nostre pene».
«E cos’è che ti angoscia tanto?» Finora non aveva mai avuto il coraggio di porgergli quella domanda.
«Le Porte dell’Inferno stanno per cedere, Emma. I diavoli rossi vorrebbero che facessimo saltare anche l’ultima protezione per poter invadere la terra.»
«E cosa c’è di male in questo? Non è forse il sogno di ogni dannato quello di vedere la luce del sole?»
«Non il mio.» La faccia del demone già deformata si incupì e  la ragazza poté percepire l’odio e la forza della creatura sprigionarsi ed avvolgerlo come un’armatura invisibile: «Se i demoni e i diavoli rossi dovessero valicare il confine, gli angeli non esiterebbero a scendere in campo per iniziare un conflitto. Abbiamo vissuto per millenni senza necessitare della luce, che importanza avrebbe adesso? E a che prezzo, poi…»
«Possiamo impedire che accada tutto questo»
«Ci sto provando» Sbottò, serrando i pugni per la rabbia.
«Ma adesso ci sono io, insieme potremo farcela» Cercò di rassicurarlo.
«Cosa può fare una mezzo-demone che uno completo non possa fare?»
«Avere il coraggio di compiere la scelta più giusta e di sacrificarsi per quest’ultima» Amorevolmente pose la mano su quella di Mirion e con la mancina carezzò il suo volto spaventoso. Stava per baciarlo quando una saetta passò rapida dividendoli di colpo e graffiando il viso della giovane.
Si voltarono entrambi verso la creatura, che li osservò ringhiando da una rupe. Aveva il manto nero e i tratti di un felino di dimensioni inaudite. Gli occhi di ghiaccio si puntarono su quelli di Emma e per istanti interminabili rimasero a scrutarsi.
«Ombranera. È giunto poco dopo il tuo arrivo nel regno.» Disse Mirion «Nessuno dei miei uomini è riuscito ad avvicinarcisi, né sembra avere voglia di comunicare». Strinse la mano alla mezzo demone e la tirò verso di sé per farle distogliere lo sguardo dalla fiera.
«Mi ricordava una persona cara persa tanto tempo fa» Chiarì la ragazza.
«Andiamo, abbiamo cose ben più importanti di cui preoccuparci».
Molte miglia lontano dalla sua reggia, Mirion occupava ore interminabili a combattere per difendere la Porta Infernale, mentre Emma trascorreva le sue giornate a palazzo, aspettando il ritorno del demone.
«Ancora qui?» Quella voce la fece voltare quasi istantaneamente: non aveva mai provato tanto ribrezzo per una persona viscida come quella.
Hego, il braccio destro di Mirion, aspettò che la mezzo-demone iniziasse a dileggiarlo come era ormai solita fare: «Non ora, Hego. Non sono dell’umore adatto».
L’infernale fece finta di non recepire il messaggio e avvicinandosi iniziò ad odorarle i capelli e a strusciare la coda contro il petto della fanciulla: «È stato l’angelo nero a tentarti con la bellezza eterna? Cosa gli hai offerto in cambio, l’anima o il corpo?» Le sussurrò, iniziando a far scivolare le mani sul ventre di lei.
«E se fossi stata io a tentarlo?» Scostò le mani del mostro, allontanandosi sulla balconata del palazzo.
«Ora che sei un demone, ci sono tre cose che devi ricordare» Riprese a parlare dall’interno, passeggiando nel salone. Lasciò cadere lo spadone a terra, abbandonandosi sul trono d’ossa di Mirion.
«Per prima cosa non puoi tornare indietro, perciò non sperare di riacquistare la completa umanità, perché non accadrà» Spalancò le fauci quasi a prendersi tutta l’aria della stanza mentre gonfiava i polmoni rosso fuoco in un vistoso sbadiglio: «Secondo, le leggi che governano la coscienza di un demone sono tre e risponderai solo a queste».
«Quali leggi?» Domandò svogliata.
Hego non era del tutto sicuro che la ragazza lo stesse ascoltando, attratta dal volo dei corvi infernali nei giardini del palazzo neanche lo guardava, ma l’interruzione lo rassicurò: «Orgoglio. Dovere. Sangue. La terza legge varia di stirpe in stirpe, ma il significato è universale. Hai appena acquisito un’inclinazione particolare a riconoscere un avversario più potente di te, te ne renderai conto subito, lo avvertirai nel Sangue…»
Hego strinse i pugni mentre si concentrò per aumentare la sua aura, ed Emma cominciò a capire. Erano così rapidi quei brividi lungo la schiena che le venne quasi istintivo avvolgersi nelle ali, come per proteggersi.
«Ciò che ci differenzia dalla tua razza, Eih’Lyith, è che non siamo così sciocchi da affrontare qualcuno più forte e riconoscere i nostri limiti è una saggia mossa per elaborare strategie migliori. Certo, rimani pur sempre una mezza… Controllare la tua stupidità umana sarà una sfida alquanto ardua» Un ghigno sadico gli colorò l’espressione gelida e arcigna, mentre la fissava estasiato. Una creatura angelica caduta per aver corrotto il suo spirito, una tentazione così forte per chi è venuto al mondo senza aver mai espiato alcun peccato che l’avrebbe resa sua molte volte, se non fosse stato per quella stessa legge del Sangue, che gli ricordava che sopra di lei c’era la mano di Mirion.
«Comprendo.» Guardò altrove, incapace di reggere lo sguardo malizioso del demone rosso.
 Si chiedeva quando avrebbe approfittato di lei, date le lunghe assenze di Mirion, che la vedevano costretta a passare intere giornate con Hego, incaricato di proteggere il palazzo in sua assenza.
Era l’unica donna ad aver il privilegio di indossare abiti, dove il resto delle concubine e delle schiave giacevano nude e distese sulle ottomane nell’attesa degli infernali di ritorno dai campi di guerra del deserto.
«…E il terzo punto?»
«Il terzo punto…» Disse Hego, alzandosi dal seggio reale «È personale, Eih’Lyith, riguarda te!» Abbassandosi le pose una mano artigliata sotto il mento, alzandole il viso per mirarle gli occhi cremisi: «I demoni amano concedersi ad ogni tentazione, dovrai stare attenta perché molte volte dovrai cedere al richiamo del tuo corpo e l’istinto prenderà il sopravvento sulle tue decisioni. Non potrai rifiutarti…» Il cuore le batteva forte mentre agitata cercava di scrutarne le intenzioni negli occhi ambrati. Sapeva che il demone avrebbe ottenuto ciò che voleva, era solo questione di tempo. Ogni volta l’unica cosa che faceva era stringere tra le mani il cuore d’argento che indossava e pregare per il ritorno di…
Mirion spalancò la porta facendo sbattere le ante ai muri, lo faceva sempre quando tornava per attirare l’attenzione dei suoi ospiti e farsi accogliere come un signore.
«Mirion!» Emma raccolse i lembi della gonna e s’avvicinò all’amato demone.
Hego cercò di svignarsela per i giardini ma l’oscuro lo richiamò subito: «Hego, sono appena tornato dai campi e neanche saluti tuo fratello?» Prese Emma per la vita ed insieme raggiunsero il sottoposto.
«No mio signore, stavo solo.. Beh, non ha importanza adesso» Osservò di sottecchi la mezzo-demone, che compiaciuta sorrideva. «La vostra dama fa progressi di giorno in giorno» Cercò di adularla, nella speranza di riceverla in custodia il tempo necessario per poterla concupire.
«Non ne dubito, ma non sarà più necessario istruirla, ora che son tornato ci penserò io stesso» Si caricò Emma sulle spalle, lasciandola strillare ed imprecare e con noncuranza la condusse nelle sue camere.
La mezzo-demone si rivestì di tutta fretta, lasciando Mirion addormentato. Scese nel salone, trovando Hego intento ad affilare la sua lama: «L’ora della verità sta per giungere, mia cara» Volteggiò ripetutamente lo spadone fendendo l’aria, controllando che fosse perfettamente tagliente: «È arrivato il momento di mettere in chiaro chi sarà il nuovo padrone, d’ora in avanti!»
«Non ti seguo, Hego»
«Presto i diavoli rossi invaderanno i confini meridionali e si dirigeranno al palazzo per spodestare il tuo amato Mirion, e finalmente apriremo quella dannata Porta!»
«E credi davvero che Mirion vi lascerà passare così facilmente? Perché provarci adesso, se sono millenni che la Porta è sempre rimasta sigillata?»
«Perché adesso ha un punto debole!» Rise di gusto «Millenni passati a congegnare piani quando finalmente adesso avremo la possibilità di riscattarci!»
«E dov’è finito il tuo senso del dovere? Che fine hanno fatto le leggi di cui mi parlasti?»
«Ho il dovere di riscattare la razza dei demoni e di risalire in superficie per poter sfidare gli angeli! Non mi nasconderò in eterno come Mirion, preferisco venir trafitto piuttosto che fuggire!»
«Togliermi la vita renderà Mirion solo più forte. Non sprecherà tempo per salvarmi!» Lo schernì.
«La tua vita vale molto di più di quel che credi, Eih’Lyith…» Sprigionò nelle mani una sfera d’energia ed un istante dopo due dragoni di fumo nero circondarono Emma fino ad inghiottirla nelle loro ombre.
Quando Mirion si destò dal sonno era già troppo tardi. Intuì subito ciò che stava accadendo ed uscito dal balcone spiccò il volo diretto nel cuore di Dite. Dopo l’ultimo conflitto della gloriosa città restavano solo le mura sbriciolate. Fu tra quelle rovine che vide Emma priva di sensi e ferita gravemente. Gli spettri le avevano spezzato le ali, ed impalata sull’obelisco al centro della piazza. La raccolse come un uccellino e scostandole i capelli dalla fronte cercò di svegliarla. Non era ancora morta, ma non avrebbe potuto aiutarla. Di lì a poco sarebbe stato circondato da flotte di demoni e diavoli pronti a sfondare anche l’ultimo portale.
Un’ombra impercettibile comparve alle spalle del principe infernale: Mirion riconobbe la creatura ed alzandosi prese in braccio la mezzo-demone.
«È giunto il momento di ricondurla al suo mondo.» Posò la giovane tra le braccia della belva felina, carezzandole il viso un’ultima volta. Strattonò la catena al suo collo per sfilarle il cuore d’argento, e al suo posto vi mise un artiglio nero: «Va’ adesso. Il crepaccio alla foce dello Stige è abbastanza grande da permettervi di passare». Si voltò subito dopo, stringendo nella mano demoniaca l’unico ricordo di lei mentre la lasciava andare nelle mani di Ombranera.
I primi a giungere furono i segugi infernali. Alzando cavalloni di polvere latrarono inferociti pronti a scaraventarsi sul demone. Le orde di non morti furono le seconde ad arrivare, seguite dagli spettri e dalle erinni che oscurarono il cielo insieme alle arpie e agli incubi alati. Le schiere di diavoli rossi si disposero su ogni lato della città, aspettando il segnale di Hego per iniziare l’attacco. Il demone rosso a cavallo di un dragone osservò compiaciuto il suo inerme avversario, ormai sicuro di essere prossimo alla vittoria.
Mirion ricambiò lo sguardo, scrutando i cieli neri sovrastanti: una lenta pioggia di cenere presagì l’inizio del combattimento.
Il messo infernale portò una mano alla sua lama, Caos, carezzandone l’elsa:
«Eviscerare. Mutilare. Sgozzare.» Le sussurrò.
Quando il terreno iniziò a sussultare Mirion aprì le ali e si diresse in aria contro le creature volanti. Trapassò senza fatica ogni corpo, privandolo della vita. La cenere si mescolò al sangue e creò una pozza densa che ricoprì le strade, impantanando i segugi e gli scheletri che perirono sotto i colpi di spada dell’oscuro guardiano. Hego non esitò a chiamare in battaglia l’intero esercito: per Mirion era giunta l’ora di sbarazzarsi una volta per tutte di quella feccia.
Posò la spada e chinò il capo in meditazione, iniziando a pregare con fervore. Quando il primo diavolo della fila era a poche spanne dalla sua mano, aprì gli occhi e sprigionò tutta la sua potenza in un rombo assordante che spazzò via ogni forma di vita nel giro di due miglia, generando una conca che distrusse ciò che restava della città di Dite.
L’unico rimasto ancora in vita era Hego, che rideva istericamente osservando Mirion, oramai privo di forze. Aveva donato la sua vita per proteggere la Porta Infernale, ed ora usava la sua stessa anima per sigillarla.
Hego era nelle sue stesse condizioni, incapace di muovere alcunché ed imprigionato dall’anima di suo fratello, incapace di aprire la porta e impossibilitato ad ucciderlo.
«Non tornerà più, Mirion. Sei stato uno sciocco a credere che l’Eih’Lyith sia l’angelo della profezia! Non tornerà più la mezzo-demone!»
Mirion non aveva le forze per rispondergli, sentiva che tutto il suo corpo stava per cadere in un sonno profondo. Riuscì solo a formulare un’ultima preghiera rivolta alla sua amata: "Perdonami angelo bellissimo, se non ti ho amata come avrei dovuto, ma so che tornerai. So che un giorno tornerai da me, e la profezia si compierà. Torna amore mio, torna per uccidermi…"

Dedicato ad Alessandro, un amore lontano ed impossibile.

10/09/2009,