GIOVANNI AGNOLONI

Vi segnaliamo l‘uscita di “Sentieri di notte” (230 pagine; 12 euro) di Giovanni Agnoloni, pubblicato da Galaad Edizioni nella collana “Larix” diretta da Davide Sapienza.

2025. Notte. Sull’Europa si affaccia l’ombra di una nuova dittatura con cervello a Berlino, guidata dalla Macros, multinazionale che ha fuso tutte le reti europee per poi gettare il continente nel buio di un lungo blocco energetico. In questa cornice, in cui anche Internet collassa, sulle sponde del Lago di Lucerna si sveglia un androide, Luther, l’ultima creatura di un geniale scienziato morto misteriosamente, Joseph Hermann. Presto inizierà un viaggio dalla Svizzera a Cracovia insieme a un programmatore cieco, Christoph Krueger, mentre l’antica capitale polacca viene inghiottita da un’enigmatica nube bianca che avanza dalle periferie. Qui uno studioso irlandese di teologia, Desmond O’Rourke, colpito da amnesia dopo un lontano incidente e rimasto da poco vedovo, tenta disperatamente di ritrovare il suo passato, attraversando il Bianco col solo aiuto dell’ultima invenzione della sua amata Leyla. Tutto questo mentre a Berlino un funzionario ribelle della Macros, Piotr Woźniak, cerca di dar vita a un barlume di resistenza, e da Stoccolma la sua compagna, la scrittrice Kristine Klemens, tenta di raggiungerlo, ispirata da suggestioni e visioni che sembrano prender corpo dai suoi romanzi. Una storia a più voci, un patchwork di luoghi, paesi e culture in cui la tecnologia è pretesto e sfondo di una vicenda corale che ha per obiettivo il ritorno alla Fonte, a una fusione con la radice dell’Essere. Il Chakra del Castello di Cracovia,  oscure minacce provenienti dagli ambienti clericali e l’emergere di una vocazione intima imperniata sul Desiderio, consonante con il testo originale di un’antica preghiera capace di scardinare le resistenze della mente.

Un romanzo figlio della poetica del movimento connettivista, ma anche di una lunga e seria ricerca spirituale condotta dall’autore. Una fusione di suggestioni filosofiche e psicologiche, intessute in una trama dalle tinte fantascientifiche ma radicata nel mondo reale e nella recente storia d’Europa, viscerale e perturbante.

Abbiamo avvicinato Giovanni Agnoloni per una breve intervista.

DA SAGGISTA TOLKENIANO AD AUTORE DI ROMANZI. COSA TI APPASSIONA DI PIÙ?

In effetti è una continuità di lavoro, perché scrivendo i miei saggi su Tolkien e gli autori classici (“Letteratura del fantastico”, Spazio Tre, 2004) e del Novecento (“Nuova letteratura fantasy”, Eumeswil, 2010), nonché sul rapporto tra le valenze emotive della letteratura tolkienana e quelle dei rimedi floreali del Dr. Edward Bach (“Tolkien e Bach”, 2011) – e peraltro anche scrivendo i miei articoli per varie riviste  (tra cui “Yacht Capital” e “Minas Tirih”) e per i blog http://lapoesiaelospirito.wordpress.com, http://www.postpopuli.it/ e http://giovanniag.wordpress.com –, ho finito per sviluppare una poetica personale, eppur spontaneamente coerente con le linee generali del movimento connettivista. Poi, a un certo punto, ho sentito vibrare in me la lezione di Tolkien, secondo cui uno scrittore deve fondamentalmente raccontare delle storie. E mi sono accorto che, dopo anni di studio, avevo trovato la mia voce artistica. Perciò adesso mi riconosco appieno come narratore, ed è questa è la mia grande passione.

PRIMA DI “SENTIERI DI NOTTE” AVEVI MAI SCRITTO NARRATIVA?

Oltre ad aver scritto dei romanzi e dei memoir di viaggio narrativi, che sono in attesa di pubblicazione, avevo partecipato a varie antologie connettiviste e di carattere fantastico, in particolare “Noir No War” (ed. Giulio Perrone, 2006),  “Diversa sintonia – Fantastic-Zen Stories & Histories” e “AFO – Avanguardie Futuro Oscuro” (2009), queste ultime due edite dalle Edizioni Diversa Sintonia (“AFO” è in seguito nuovamente uscita con Kipple Officina Libraria), e avevo pubblicato vari racconti in rete, anche in lingua straniera, su riviste americane e spagnole.

PERCHE’ IL FANTASY? UNA MODA DEL MOMENTO O UNA PASSIONE?

Beh, in realtà “Sentieri di notte” è un romanzo che si può far rientrare nel “fantastico” solo in senso molto generale. Di fantasy, se c’è qualcosa, c’è l’eco remota del senso tolkieniano della quest, della ricerca eroica e avventurosa, e insieme la dimensione onirica (penso al viaggio di Desmond nel Bianco cracoviano) e il tentativo di dar vita a un’esperienza radicalmente subcreativa, cioè che faccia sentir lì il lettore, innescando in lui percorsi spontanei di autoconsapevolezza. Se dovessi definire in qualche modo il mio romanzo, lo definirei un noir (o un trhiller) dalle tinte fantascientifiche, fortemente impregnato di atmosfere connettiviste di derivazione cyberpunk e crepuscolare, e un romanzo di viaggio. Lungi dall’essere un ibrido, però, è un romanzo tour court, con una pluralità di livelli di lettura ma, insieme, un alto livello di leggibilità. La mia adesione al Connettivismo e la rispondenza della trama di Sentieri di notte alle mie ricerche spirituali e di psicologia junghiana sono fatti profondi, viscerali. Lirismo e visceralità sono le parole-chiave della mia poetica, che cerca, a livello di romanzo, di far affacciare per la prima volta il movimento connettivista sullo scenario della letteratura mainstream (ovvero “non di genere”), pur restando fedele alle suggestioni di fondo del suo Manifesto.

MI DICI QUALCOSA DEL TUO LAVORO DI SAGGISTA?

Beh, in parte ho già risposto a questa domanda, ma posso dire che i miei precedenti lavori da saggista – tra i quali devo anche inserire la raccolta “Tolkien. La Luce e l’Ombra” (Senzapatria, 2011), di cui sono curatore, traduttore e co-autore, con contributi di alcuni dei massimi studiosi di Tolkien al mondo – sono un tentativo di dimostrare come si possa fare opera di letteratura comparata basandosi non tanto su derivazioni e assonanze di natura tecnico-filologica o storica tra autori di paesi ed epoche differenti, ma muovendosi su un terreno emotivo ed estetico. In tutti i miei lavori, fin da “Letteratura del fantastico” e “Nuova letteratura fantasy”, dove mi occupavo dei classici e dei contemporanei accostandoli a Tolkien, ma anche in “Tolkien e Bach”, dove mi spostavo sul filone della psicologia del profondo e della medicina olistica, il tema di fondo era sempre la vibrazione emotiva, l’archetipo evocato da un certo personaggio, un certo paesaggio o un certo oggetto della Terra di Mezzo. Conoscere le vibrazioni emotive è la base per poter tornare, da un’esperienza in un “altro mondo” (l’Evasione di cui parla Tolkien nel suo saggio “Sulle fiabe”), in questa realtà con occhi rinnovati e capaci di coglierne nuovamente la bellezza e l’entusiasmo intimo (ecco il Recupero di cui parla sempre il creatore di Bilbo e Frodo). Io trovo che questo effetto possa essere riscontrato anche in vari autori che nei loro libri hanno parlato del mondo reale, e che la loro lettura consapevole (così come l’assunzione degli appropriati rimedi floreali del Dr. Edward Bach) sia un modo per risintonizzarsi su queste frequenze armoniche.

E LE TRADUZIONI?

Sono l’altra mia grande passione (e il mio lavoro). In realtà c’è una perfetta continuità tra la mia opera di scrittore e quella di traduttore. Tradurre (soprattutto narrativa, ma anche saggistica, e pure le stesse guide turistiche) è un’eccellente scuola di scrittura, perché permette di acquisire maggior consapevolezza proprio delle summenzionate vibrazioni emotive legate a ogni parola. Insomma, rende letterariamente più consapevoli, e inoltre alimenta la curiosità per il mondo (infatti sono un appassionato viaggiatore). In questo senso, e anche per ragioni di amicizia personale, sono fiero e felice di essere il traduttore italiano del grande scrittore cubano Amir Valle di cui ho tradotto per le Edizioni Anordest il bellissimo romanzo “Non lasciar mai che ti vedano piangere”  e del quale tradurrò anche degli avvincenti noir ambientati a Cuba. Altra grande soddisfazione, perché è un libro che sposa appieno il mio approccio alle tematiche tolkieniane, è stato tradurre il saggio “La saggezza della Contea” dell’autore americano Noble Smith: un libro edito da Sperling & Kupfer  che ci fa concretamente vedere come l’approccio alla vita tipico degli Hobbit possa renderci molto più lieta l’esistenza terrena.

Gordiano Lupi