Torna Marco Davide con l’ultimo appuntamento della trilogia di Lothar Basler: il terzo capitolo, appena uscito come sempre per Armando Curcio Editore, si intitola “Figli di Tenebra” (766 pagine; 18,90 euro).
Lothar e la sua compagnia penetrano terre malate, regolate da leggi insondabili e popolate dai figli di un atto di violenza sulla natura stessa: esseri né vivi né defunti in eterna putrescenza, dominati da un’intera casta di vampiri, che li corroderanno nell’anima e nel corpo. Lì, nella Gehenna, dove la sofferenza diventa disperazione, l’odio e l’amore daranno a Lothar la forza, il Potere gli metterà in mano gli strumenti, i ricordi e le perdite saranno la ragione per lottare ancora.
In questo terzo volume, l’autore stende le ultime, consistenti pennellate del complesso quadro che raffigura un mondo a più dimensioni.
La superficie è una civiltà medievale articolata in regni e principati che convivono non sempre pacificamente, affrontando epidemie e carestie, producendo e commerciando, pregando dèi diversi e risolvendo problemi simili, un mondo descritto con realismo e gusto del dettaglio, un mondo solido e credibile, popolato, oltre che dagli esseri umani, da orchi, nani, demoni e creature ibride. Un mondo spesso spietato, in cui la violenza e la prepotenza sono strumenti di vita.
Oltre la superficie ci sono le forze costitutive primigenie, il Potere e l’Entropia, che i più ignorano del tutto e solo pochi sanno maneggiare: un gruppo di iniziati che si impegnano per proteggere il mondo dalla forza disgregatrice (l’Entropia) che secoli prima l’ha quasi distrutto, e la setta guidata da Kurt Darheim, che quella forza vuole conquistarla per dare vita a un regno nuovo, di disordine e degenerazione.
Di ciò che sta sotto la superficie Lothar resta all’oscuro fino alla notte in cui Darheim gli svela la sua natura di Figlio del Potere e, per generare in lui il sentimento violento che, solo, può risvegliare la sua forza, tortura e uccide Helena, sua giovanissima moglie, davanti ai suoi occhi. Quello è il punto zero, l’inizio di un cammino fatto di dolore e scoperte, sul mondo, sugli uomini, su se stesso.
Ne “La Lama del Dolore”, Lothar recupera l’arcana spada che gli è stata donata anni prima – uno dei dodici, antichissimi manufatti dotati di un’anima di Potere, ma il solo di cui si abbia notizia – e parte per un viaggio che ha un unico obiettivo: uccidere Kurt per vendicare Helena. Durante il cammino incontra alcuni uomini, un nano e un mezz’orchetto che si uniscono a lui, si scontra con oppositori umani e demoniaci e comincia ad avvicinarsi alla verità.
Solo ne “Il Sangue della Terra”, però, dopo aver attraversato l’oceano ed essere entrato, con la sua compagnia, in una terra devastata dalla guerra e dalla peste, conosce Mighal e i suoi confratelli, giungendo a capire il suo ruolo e quello di Kurt nel Destino del mondo.
Con “Figli di Tenebra” il cerchio si chiude. La sofferenza diventa quasi insopportabile, l’esito della lotta del tutto imprevedibile e gli ostacoli tanto disumani da portare i protagonisti sull’orlo della follia. Nello stesso tempo, mesi di cammino accanto a Mutio, Rugni, Thorval e Moonz portano a galla la verità di sentimenti senza tempo: amicizia, speranza, paura, coraggio, odio, amore.
L’obiettivo di Lothar è ancora Kurt Darheim, quasi all’apice della potenza e ormai padrone dell’Entropia. Deve raggiungerlo in fretta: al Destino non si può sfuggire, è necessario assecondarlo e costruirlo.
Così, mentre nel mondo l’estate muore, Lothar e la sua compagnia penetrano terre malate, regolate da leggi insondabili e popolate dai figli di un atto di violenza sulla natura stessa: esseri né vivi né defunti in eterna putrescenza, dominati da un’intera casta di vampiri, che li corroderanno nell’anima e nel corpo. Lì, nella Gehenna, dove la sofferenza diventa disperazione, l’odio e l’amore daranno a Lothar la forza, il Potere gli metterà in mano gli strumenti, i ricordi e le perdite saranno la ragione per lottare ancora.
Esperto di tecnologia e profondo conoscitore della letteratura e del mondo fantasy, Marco Davide ha esordito come scrittore nel 2007 proprio con il primo capitolo della saga di Lothar ed è oggi tra gli autori di punta della letteratura fantastica italiana.
Ma vediamo ora di fare quattro chiacchiere con lui.
QUAL È L’ATTUALITÀ DELLA VICENDA NARRATA NELLATRILOGIA DI LOTHAR BASLER?
Amore e odio, gioia e lacrime, riscatto e dannazione. Racconto sentimenti universali, spesso tragicamente contrapposti, ovvero temi che prescindono dal genere letterario e dalle vicende scelte per trasmetterli. Il contesto può essere fantastico, immaginifico, ma la storia parla la stessa lingua di chi la legge.
NEL TERZO CAPITOLO LOTHAR SEMBRA CAMBIATO, APPARE MENO INQUIETO, PIÙ SENSIBILE, IN UN CERTO SENSO PIÙ UMANO. SI È EFFETTIVAMENTE VERIFICATA UN’EVOLUZIONE DEL PERSONAGGIO?
Nel primo volume della saga, Lothar è un uomo prostrato dalle vicissitudini, prigioniero della diffidenza e del disincanto. Lungo la via che lo conduce all’epilogo, è ancora tormentato dai propri fantasmi ma ha compreso di non essere più solo. Proprio mentre affonda nel cuore dell’inferno, Lothar beneficia della luce recata dai suoi compagni di viaggio, alimentata dalla loro devozione e dalla loro amicizia. Una luce che gli ricorda innanzitutto d’essere lui stesso umano, di avere un cuore che batte ancora a dispetto delle cicatrici. Scopre che non solo dal pozzo nero dell’odio, bensì anche dall’amore per i propri ricordi deve attingere se vuole sperare di portare a termine il cammino.
SEMBRA MAGGIORE, INOLTRE, LO SPAZIO DEDICATO A UNO DEI COPROTAGONISTI, MUTIO: SPESSO È ATTRAVERSO I SUOI OCCHI CHE VEDIAMO IL MONDO NARRATO. È UNA SCELTA CONSAPEVOLE?
Mutio rappresenta lo sguardo della maggior parte di noi sulla storia. È il più umano, sia nella forza che impiega sia nelle debolezze che tradisce. Completa Lothar, rischiara i suoi lati d’ombra. Spesso lo sostituisce come guida occulta del gruppo. È un ruolo che gli ho ritagliato deliberatamente: i suoi limiti e le sue paure appartengono a chiunque di fronte all’orrore decida di non arrendersi né assuefarsi, di provare a combattere malgrado le proprie facoltà tutt’altro che sovrannaturali.
CHE TIPO DI LAVORO FAI SULLO STILE?
Tengo molto a come scrivo le mie storie. Può sembrare una constatazione ovvia, sulle labbra di uno scrittore. D’altro canto un romanzo è un mosaico di aspetti differenti, ed è normale che ogni autore profonda più energie sull’uno o sull’altro. Lo stile, per me, è in cima alla lista, assieme alla caratterizzazione dei personaggi. Prediligo il ricorso a un vocabolario il più ampio possibile e soprattutto appropriato a quanto raccontato. Inoltre, amo le descrizioni e al contempo sono ben cosciente di come il loro utilizzo vada calibrato per non compromettere la scorrevolezza del testo. In generale, dedico molto tempo (talvolta fin troppo) ai cicli di revisione, lavorando di cesello finché non sono soddisfatto della forma ottenuta. Finché non la riconosco davvero mia, elemento familiare nonché base imprescindibile su cui lavorare per continuare a migliorare.
A questo punto, non ci resta altro che augurarvi buona lettura!
25/10/2009, Davide Longoni