C’era un grande salone vagamente liberty con lampade a muro in ferro e figure geometriche alle pareti.
Sul fondo del salone cominciavano i gradini di una scala massiccia corroborata da una balaustra di girali d’acanto in ferro battuto.
- Io dico di qua, – disse Solange, prendendo a sinistra.
Gli altri la seguirono.
Sbucarono in un salone più piccolo ingombrato da una lunga tavola imbandita con ogni ben di Dio: primi, secondi, dolci, frutta, bottiglie di vino, liquori, champagne in abbondanza.
I sei spalancarono gli occhi stupefatti.
Poi notarono un movimento in uno degli angoli del salone.
Accanto ad una delle pareti azzurrine, una ragazza stava prendendo delle tartine da un carrellino.
La ragazza indossava una mantellina corta di lana, gins e un cappellino a tesa larga.
Nel vederli, smise di ammucchiare i salatini ed ebbe un attacco di ridarella, infine si levò il cappello e liberò i lunghi capelli castani.
Era molto bella, con gli occhi grandi da cerbiatta e le labbra morbide, lievemente increspate e il volto acqua e sapone.
La ragazza regalò un sorriso radioso e la sala sembrò illuminarsi ancora di più.
- Meno male che siete arrivati. Da sola cominciavo ad aver paura.
Solange si avvicinò al carrello e prese un paio di salatini.
- Abiti qui?
- Io? No, no, – rispose la sconosciuta.
- Scommetto che anche tu sei un insegnante.
Gli occhi grandi da cerbiatta si spalancarono.
- Come fai a…
- Lascia. Senti il seguito: hai ricevuto una chiamata da un certo Tentori.
- Si, per delle ripetizioni…
- Pure noi, – intervenne Andrea.
- Non capisco, – fece la ragazza.
Andrea le spiegò tutta la storia e la ragazza ascoltò in silenzio, poi ebbe un altro attacco di ridarella e basta.
- Scusate, mi capita quando sono nervosa. E’ una storia strana.
- Come ti chiami?
- Nina. Nina Miranda.
- Piacere Nina. Io sono Andrea.
- Patrizio.
- Ciao, Romano.
- Evelyn.
- Seh, Jennifer.
- E io Solange, – fece Solange mangiando le sue tartine.
- Hai visto nessuno qui?
Nina scosse il capo.
- No. Sono entrata e ho trovato questo, – indicò la tavola imbandita.
Solange socchiuse impercettibilmente le palpebre; mentre rifletteva i suoi occhi mutarono espressione, accendendosi di piccoli riflessi porpora.
- Io direi di approfittarne, – concluse.
- E se fosse avvelenato? – osservò Evelyn, riprendendo a tormentarsi i capelli.
Nina trasse un sospiro e sorrise.
- Spero proprio di no! A me i salatini sono sembrati buonissimi.
- Lo sono, – confermò Solange.
Romano si avvicinò alla tavola, prese un piatto e cominciò a servirsi: pasta fredda, arrosti, patate, un’infinità di roba.
- Ecco un uomo coraggioso, – Solange imitò il ragazzo.
Anche gli altri fecero lo stesso.
Solo Jennifer evitò di mescolarsi col gruppo.
Se ne rimase impalata sulla soglia e continuò nella sua imitazione di una lastra di pietra.
Giusto arricciò le labbra e storse la bocca.
- Non sono venuta fin qui per mangiare.
- Non dirmi… – la canzonò Solange.
Jennifer non mosse un muscolo.
- Ti conosco da pochi minuti e già non mi piaci.
- Reciproco.
- Ragazze, non c’è bisogno di litigare, – intervenne Patrizio.
Jennifer si grattò appena il naso a becco.
- Non credevo che le negre si credessero tanto in gamba.
Tutti si girarono verso Solange.
La ragazza tirò fuori la moneta dalla tasca dei gins e prese a farla rotolare tra le nocche.
Patrizio si accorse che non era una moneta, ma un vecchio gettone del telefono.
Solange fece qualche passo verso Jennifer e Romano si mise in mezzo.
- Lasciala perdere. Fai finta che non ci sia.
La ragazza di colore ebbe un attimo di incertezza, poi si strinse nelle spalle e annuì.
- Lo sai che quando ti arrabbi sei ancora più carina? – le confidò Romano.
Solange sorrise di colpo e gli passò una mano sul braccio muscoloso.
Il ragazzo percepì il tocco fresco di quelle dita lunghe e sottili ed ebbe una mezza erezione, dopo distolse gli occhi imbarazzato.
Poi ci fu un rumore gracchiante e una voce metallica e monocorde uscì da alcuni altoparlanti sistemati nei quattro angoli del soffitto.
- Principe di Navarra, degno fratello,
principe di Condé, Grande ammiraglio:
che alleanza e lega religiosa
stretta da queste mani ora sposate
possa durare finché morte ci sciolga,
e che il fuoco nativo di regio amore
che prima accese questo affetto in noi,
possa non spegnersi nei nostri figli…
Tutti alzarono gli occhi al soffitto.
La voce continuò inflessibile.
- Le molte grazie, Maestà, da voi concesse
di volta in volta, ma questa in special modo,
ripagherò con l’eterna ubbidienza…
- Cosa diavolo, – fece Romano.
- Cazzo! – fece Solange.
- ? – fece Patrizio.
- Grazie figlio. Vedete che vi amiamo,
se vi diamo per moglie nostra figlia…
- Perché non ti fai vedere? – gridò Andrea.
Evelyn si strinse nella sua giacchetta di montone rovesciato e cercò la mano dell’amica.
Solange se la portò al seno e, con la mano libera, carezzò il collo di Evelyn.
A Romano non sfuggirono questi gesti e le sue sfrenate fantasie erotiche ripresero a girare a pieno regime.
Patrizio, Andrea e Nina lasciarono perdere la tavola col cibo e si avvicinarono a Jennifer.
- Sembrerebbe una voce registrata.
Nina fece uno dei suoi risolini e si slacciò la mantellina grigia.
- Ne ho piene le scatole, me ne vado, annunciò Jennifer, girando sui tacchi.
Patrizio fece per andarle dietro, poi si fermò indeciso.
- Vaffanculo stronza! – gridò Solange mostrando il medio.
Patrizio scosse la testa.
- Ho una strana sensazione.
- Che vuoi dire?
- Era meglio rimanere tutti qui finché…
- Finché…
- Perché se n’è andata? – chiese Evelyn.
Solange scrollò le spalle.
- Si vede che da piccola deve aver sentito dire che il tempo è denaro e non deve esserselo dimenticato.
- Beh, qui non credo che ci caveremo del denaro, ma almeno possiamo mangiare a sbafo, – propose Romano.
- Va bene, abbuffiamoci!
- E questa voce registrata? – tornò a domandare Andrea.
- Adesso l’ho riconosciuto.
- Chi è?
- No, il testo. E’ “La strage di Parigi” di Marlowe. Un dramma teatrale, – spiegò Patrizio.
Nessuno fece commenti.
Dopo aver riempito i piattini di cibo, mentre la voce continuava a uscire dalle casse, ognuno di loro iniziò a gironzolare per la casa: Patrizio tornò verso il salone d’ingresso per vedere se Jennifer se ne fosse davvero andata, Andrea e Romano salirono la scalinata in ferro battuto, Solange ed Evelyn rimasero nella sala da pranzo.
Nina prese il corridoio a destra del salone d’ingresso…
Intanto Jennifer si era lasciata alle spalle il portone della casa ed era già fuori nella notte.
L’espressione del suo volto e l’andatura meccanica lasciavano trasparire tutto il suo disappunto per quella serata: non solo aveva fatto la strada per niente, ma aveva incontrato quella negra supponente.
Ancora non sapeva come, ma giurò che gliela avrebbe fatta pagare: il mese prima, quando tutti quelli di seconda e terza fascia s’erano trovati in Provveditorato per l’assegnazione delle cattedre disponibili, Jennifer l’aveva già notata: la negretta aveva passato tutto il tempo a fare l’oca con tutti i manici arrapati presenti!
Jennifer scosse la testa, cercando di trattenere la rabbia.
Si sarebbe sfogata la mattina successiva in classe, magari con un bel compito a sorpresa per quella masnada di analfabeti delle professionali che le erano capitati.
Con quei propositi bellicosi nella mente, Jennifer Tellini superò il boschetto stilizzato e tornò sul selciato.
Grazie a uno spicchio di luna, la donna riuscì a individuare facilmente la sua Porche nera e la aprì col telecomando.
Le lucine intermittenti lampeggiarono due volte, albeggiando una porzione di notte.
Fu sufficiente perché notasse una sagoma scura ferma accanto alla sua Porche.
- Chi c’è?
Jennifer avanzò cauta verso la sagoma immobile.
Quando la riconobbe, il respiro le morì nella gola.
La figura tirò fuori una boccetta di vetro.
Jennifer riuscì a scuotersi e si girò per tornare indietro, tornare verso la casa.
Provò a correre, ma inciampò in qualche sporgenza e cadde in avanti sulle ginocchia.
Subito tentò di rialzarsi, ma l’ombra fu più veloce e la raggiunse.
L’assassino svitò il tappo della boccetta e le versò il contenuto sul viso.
La carne prese a sfrigolare come uova al tegame e bolle di sangue scoppiarono sulle guance, snudando i muscoli.
Jennifer si contorse a terra, mentre un fumo denso prese ad avvolgerle la testa.
Il vetriolo continuò a scavarle il viso, deformandolo orribilmente.
La donna gridò disperata e si grattò con le unghie le ferite in suppurazione: il risultato fu che altri pezzetti di pelle si staccarono dal viso, cadendo mollemente sul selciato.
Jennifer scivolò a terra quasi priva di sensi; ora un dolore inimmaginabile le impediva persino di gridare.
Vide ancora una faccia sfuocata che si chinava su di lei.
Le mani guantate dell’ombra aprirono un rasoio di madreperla.
La lama scivolò dolce sulla gola…
Solange stava su una sedia di broccato che sembrava essere appartenuta a Luigi XVI.
Sfacciatamente, teneva i suoi boots di montone sulla tavola imbandita.
(Per quelli che hanno bisogno di una breve descrizione per meglio figurarsela – e io non sono tra quelli – diremo che l’abbigliamento della neretta rifletteva il suo caratterino: giacca di pelle, gins con zampa di elefante e i boots di montone appunto.)
Solange aveva finito di spilucchiate i vari cibi e fumava una marlboro light grattandosi la selva di ricci.
Al suo fianco, Evelyn con la solita aria infantile e sperduta.
Anche Evelyn fumava e si lisciava il caschetto.
- Perché irritate, signore, i vostri pari,
che non vi negherebbero rispetto e amore,
non fosse quell’oscuro malnato Gaveston?
- Ancora questa voce, – rabbrividì Evelyn.
Solange espirò il fumo di una lunga boccata, poi si chinò a baciare il capo dell’amica.
- Non hai mangiato quasi nulla.
- Non mi va, – Evelyn imbronciata.
- E se ti imboccassi?
- Potrebbe essere una idea.
Solange tacque per un momento, assorbendo quelle parole, dopo lanciò un’occhiata carica di promesse.
Stava quasi per posare un bacio sulle labbra umide dell’altra, quando tornò Andrea.
Un attimo dopo Romano.
Solange si raddrizzò contrariata.
- Ah, siete qui, – fece Andrea, – avete sentito?
- Si, il tizio ha ripreso a recitare la commedia.
Arrivò anche Patrizio.
- Nessuno ha sentito niente? – chiese.
Solange trasse un sospiro.
- Si, la commedia, – e indicò le casse al soffitto.
- No, intendevo se avete sentito un urlo.
- Un urlo?
- Mi è parso. Veniva da fuori.
- Oh beh, allora sarà quella stronza. Com’è che si chiamava?
- Jennifer, – disse Nina entrando nella sala da pranzo.
- Sorry, per i nomi sono negata, – fece Solange prendendo un’altra marlboro dal pacchetto.
Romano le porse un accendino.
- Ti sei dimenticata anche il mio?
- Non temere.
Patrizio guardò Andrea.
- Di sopra visto niente?
Andrea scosse la testa.
- Solo delle stanze vuote.
Patrizio chiese a Nina.
La ragazza si lasciò andare a un rapido sorriso e sbatté un paio di volte le ciglia degli occhi.
- Non ho visto nessuno. Però ho trovato un cinema.
L’attenzione dei presenti si concentrò su di lei.
- Un cinema?
- Si, è di là. C’è una saletta con delle poltroncine e uno schermo in funzione.
- In funzione?
- Voglio dire che stanno proiettando un film.
- E chi è che lo proietta?
Nina scosse la testa.
Decisero di andare a controllare.
Tornarono verso il salone d’ingresso (nessuno si accorse che il pesante portone non era più accostato, ma chiuso…) e presero un corridoio sulla destra.
Percorsero un breve corridoio coi soffitti a volta e scostarono un panneggio rosso: finirono in una saletta privata di proiezione.
Nella penombra distinguevano le file ordinate delle sedie, mentre il fascio di luce del proiettore raggiungeva uno schermo sul fondo della sala.
Sul rettangolo luminoso scorrevano le immagini di un film.
Il sonoro rimbombava.
Il gruppo si distribuì nella sala, attirato da quei bagliori argentei.
Nina rimase in una delle ultime file, appena sotto la luce del proiettore che usciva da una feritoia nel muro.
Patrizio e Andrea presero posto circa a metà
Solange ed Evelyn scivolarono verso le prime file.
Vi sembrerà strano, e forse lo è, ma, implicitamente, ognuno di loro scelse di stare al gioco dell’ospite misterioso.
Patrizio e Andrea guardavano le immagini del film e si chiedevano l’un l’altro quale fosse il senso di tutta quella messa in scena, poi smisero di parlare.
Patrizio pensò a sua moglie e a sua figlia: a quell’ora dovevano essere già a letto.
Andrea rimuginava sulla litigata avuta con la sua ragazza.
Romano, invece, non si poneva troppe domande: era andato a sedersi acconto alle due ragazze nelle prime file.
Solange voleva riprendere il discorso con Evelyn, ma la presenza del ragazzo la disturbava.
Non che non le garbasse, ma s’era fatta altri piani: una delle cose che l’aveva convinta a venire fin lì per delle ripetizioni era stata la presenza di Evelyn; da quando l’aveva conosciuta – il mese prima alle nomine del Provveditorato – le era sembrato che ci fosse gioco, e poi era da tanto che non riusciva ad avere un rapporto con una donna…
Le mancavano le carezze che solo una ragazza poteva darle…
La sensazione che si prova quando due vite diventano indivisibili…
Quando si passava dal niente al tutto in un battito di ciglia…
Quando non si riusciva a fare a meno dell’altra nemmeno per un istante…
Le mancava il pulsare del cuore di un’altra anima…
Da troppo tempo non si lasciava andare…
Avrebbe dato tutto per baciarla…
Avrebbe dato tutto per ritrovare quella passione…
Romano si sfilò la giacchetta del piumino e rimase in maglietta a mezze maniche.
Le braccia erano muscolose e piene di tatuaggi allegorici.
Il ragazzo allargò le gambe e si girò a contemplare la neretta.
Lei notò che Evelyn era rapita dal film, allora si concentrò sul ragazzo, ne assorbì i lineamenti lombrosiani, non belli, ma carismatici.
- Vedi niente che ti piaccia? – lo provocò lei.
Romano rifletté per un attimo.
- Serata curiosa.
- Pensavo lo stesso.
- Vediamo se pensiamo lo stesso anche adesso.
- Prova. Magari vinci qualcosa.
- Che ne dici se quando finisce questa storia ce ne andiamo a bere qualcosa?
- Immagino tu voglia dire noi due soli.
- Se vuoi puoi dirlo alla tua amica: ho visto che avete un certo feeling.
- In confidenza: la conosco da poco.
- Allora sei brava a ingranare.
Solange rise di gusto.
- Si, me la cavo. Col padre che ho avuto non poteva essere altrimenti. Diciamo che me la so cavare.
Romano si perse nelle curve dei seni di Solange e sospirò.
- Non è solo quello. Anche la natura ti ha dato una bella mano.
Intanto sullo schermo si vedeva una donna con una mantellina bianca e un cestino di vimini.
La donna si aggirava furtiva in una specie di atelier pieno di manichini.
Dei rumori la facevano voltare, ma, a parte i fantocci, non sembrava esserci nessuno.
Poi uno dei manichini precipitava addosso alla donna.
Lei faceva appena in tempo a schivarlo e riprendeva a camminare con la cesta…
Andrea trasse un respiro profondo e respirò lentamente.
-Sai, – fece, – quando ho ricevuto quella telefonata ci ho creduto subito. Nessuna puzza di bruciato, solo voglia di intascarmi dei soldini extra.
Patrizio si strinse nelle spalle.
- Siamo dei precari. Per 100 euro in più faremmo gli equilibristi in un circo.
- Sei sposato? – Andrea indicò la fede al dito dell’altro.
- Si. Ho una bambina piccola. E mia moglie è la mia sicurezza: posto fisso, bello stipendio. E’ grazie a lei se non sono ancora finito in mezzo ad una strada.
- Ci finiremo tutti.
- Da quanto insegni?
- Tre anni. Tu?
- Ormai 8.
- Sai, a volte penso che farei bene a scappare e andarmene in Madagascar.
Patrizio sollevò un sopracciglio.
- Perché fin là?
- Ho mio padre.
- Fortunato! Cos’è un imprenditore?
Andrea fece una smorfia e sorrise.
- Si, ma della figa. Appena andato in pensione ha fatto la valigia e via. Se lo vedi adesso sembra tornato un ventenne.
- Un tipo curioso.
- Gia, – Andrea fece una pausa, poi riprese, – non trovi strano che ce ne stiamo qui buoni buoni a parlare di noi in una casa che non conosciamo, seduti in una specie di cinema in attesa che accada qualcosa?
Patrizio si grattò il naso con l’indice.
- Direi che hai appena riassunto le nostre vite.
Sullo schermo adesso c’erano due uomini.
Uno era un commissario di polizia.
L’altro un musicista vestito di nero.
Il musicista era cieco e spazientito.
- Ispettore, si sarà fatto qualche idea!
- No, per il momento faccio solo delle domande e aspetto delle risposte.
- Che cosa vuole sapere?
- Per esempio se Paula era la sua amante?
Il cieco ebbe uno scatto d’ira.
- Amante è una parola antiquata che poteva andare bene nell’Ottocento.
L’ispettore fece una faccia laconica.
- Purtroppo non conosco altre parole che esprimano altrettanto bene lo stesso concetto.
Il cieco era sempre più nervoso.
- D’accordo, d’accodo…
Intanto Romano si agitava irrequieto sulla poltroncina.
- Che c’è – gli chiese Solange.
- Devo andare a pisciare.
- Là, – indicò Evelyn.
Romano scorse una porticina laterale e sembrava essere la porticina di un bagno.
- Torno subito, – il giovane schioccò un’occhiata ambigua alla neretta e si alzò.
Sul fondo della saletta, Nina vide la sagoma di Romano che si alzava e spariva oltre la porticina, poi sorrise tra sé.
Oltre la porticina c’era proprio un bagno.
Piccolo, ma pulito, con un lavandino, uno specchio e una porticina di legno che si spalancava su una turca.
Romano si chiuse dentro e si abbassò i pantaloni di felpa.
Socchiuse gli occhi e urinò compiaciuto.
Poi diede una bella scrollatine, si pulì con un cleenex e aprì la porticina.
Fece solo in tempo a scorgere la sagoma di qualcuno e una roncola calò con violenza sulla sua faccia, penetrando in profondità nel cranio.
Romano barcollò all’indietro e finì disteso sulla turca.
Sbatacchiò le gambe come una falena infilzata dall’ago di un entomologo, poi si immobilizzò in una quiete innaturale.
Il suo sguardo divenne vacuo e fiotti di sangue proruppero dalla squarcio del volto, allagando il pavimento.
La figura richiuse la porticina di legno e uscì dal bagno…
Nella sala il film continuava.
Anche Andrea aveva notato qualcuno infilarsi nel bagno.
Subito una seconda ombra aveva seguito la prima, dopo aveva visto uscire solo una figura.
Passarono altri minuti e la seconda non usciva.
Andrea afferrò il braccio di Patrizio.
- Ti spiace seguirmi?
- Che succede?
I due si alzarono e avanzarono a tentoni nel buio.
Arrivarono alla porta laterale del bagno ed entrarono.
Dentro, le luci al neon, il lavandino, lo specchio.
- Cosa c’è? – chiese Patrizio.
- Prima, non hai notato due persone entrare qui dentro?
- No.
- Magari è il nostro fantomatico ospite.
- Prova lì dentro, – Patrizio indicò la porticina di legno della turca e la spinse.
La porticina però non si spalancava.
Qualcosa la ostacolava da dietro.
Entrambi spinsero finché non riuscirono ad aprirla.
Quel che li aspettava era ben oltre ogni loro immaginazione.
Imbambolati, fissarono il corpo maciullato di Romano, con la roncola ancora conficcata in verticale sulla faccia.
Una faccia ricoperta di sangue.
- Romano, – esclamò Andrea.
Patrizio rimase inchiodato senza riuscire a muovere un muscolo.
Passarono altri secondi, poi qualcuno si materializzò alle loro spalle.
I due si girarono e incontrarono il viso color mogano scuro di Solange.
La ragazza sorrideva sarcastica.
- Che ci fate qui dentro, eh? Ditelo sporcaccioni!
Infine anche lei si accorse di quel che c’era sopra la turca, allora il viso s’indurì di colpo.
- Cazzo!
Andrea indietreggiò verso lo specchio e cercò di trattenere i tremori delle mani.
Patrizio scosse la testa.
- L’abbiamo trovato così.
Poi, riflettendoci sopra.
- Andrea dice di aver visto due persone entrare qui dentro.
Solange cercò il pacchetto delle sigarette e ne accese una.
Espirò il fumo di una lunga boccata.
Dopo guardò Andrea.
- Tu cosa hai visto?
Andrea non ascoltò nemmeno.
- E’ morto, è morto…, – iniziò a bisbigliare sotto shock.
Solange non perse altro tempo.
Gli rifilò due sganassoni sul viso e il ragazzo si riprese di colpo.
- Scusa, – disse.
- Scusa tu, ma abbiamo bisogno di te su questo pianeta, precisamente in questo cesso. Allora, ricominciamo: cosa hai visto esattamente?
Andrea cercò di ricordare.
- Erano due ombre. La prima mi sembrava quella di Romano. La seconda non saprei. Dopo ne è uscita solo una. Ho avuto come un presentimento e siamo venuti a vedere.
Solange guardò Patrizio come per avere una conferma.
- E’ andata così.
- Che facciamo adesso? – gracchiò Andrea.
Gli occhi di Solange si strinsero leggermente.
- Troviamo il malato che ha fatto questo…
(3.continua)