L’ASSASSINO HA RISERVATO 7 POLTRONE – PARTE 4

Alcuni minuti prima…

Solange aveva intravisto le sagome di Patrizio e Andrea mentre si infilavano nel bagno.

Incuriosita s’era chinata verso Evelyn e le aveva detto che sarebbe tornata subito.

Evelyn aveva annuito, poi era tornata ad immergersi nel film.

Solange era sparita.

Sullo schermo c’era una bella mora appartata in un campo di pannocchie con uno sconosciuto.

La ragazza si levava il reggiseno e mostrava due seni gonfi e maturi, poi invitava l’altro a spogliarsi, ma lo sconosciuto la colpiva con un bastone e le fracassava la testa.

Evelyn bevevo le immagini, trasportata lontano dalla forza di quelle scene.

Era così presa che nemmeno si accorse dell’ombra che era scivolata nelle poltroncine dietro di lei.

Il suo ultimo pensiero fu per Solange.

Si chiese se avrebbe avuto il coraggio di andare fino in fondo con lei, poi un laccio le avvolse la gola e strinse fortissimo.

Con la bocca spalancata in un urlo silenzioso, con le braccia tese in avanti a cercare un appiglio, Evelyn perdeva progressivamente conoscenza.

La vista si annebbiava e nessuno poteva soccorrerla.

Nel film era arrivata la polizia che scattava delle foto alla ragazza nel campo di pannocchie.

Il commissario Bismara e il suo vice.

- Marcella come? – chiedeva Bismara.

- Ancora non lo sappiamo. La chiamavano “la toscana”, – rispose il vice.

- Mmm. Va beh…

Nella platea il laccio stringeva, lacerava la gola.

Evelyn era paonazza, gli occhi sporgevano dal cranio.

Evelyn non vedeva quasi più nulla, non vedeva che…

Nello schermo il commissario Bismara si chinava sul corpo della “toscana” e raccoglieva una mezza luna d’argento…

Nella platea Evelyn si afflosciava come un burattino a cui avevano tagliato i fili.

Dietro di lei qualcuno tornava nel buio…

Nello schermo Bismara ci guardava.

- Fammi sapere perché la chiamavano la “toscana”.

- Si dottor Bismara.

Nella platea, un’ombra scivolava lungo il corridoio e spingeva la porticina del bagno…

 

- Troviamo il bastardo che ha fatto questo.

La porta si aprì.

Un altro viso, occhi grandi da cerbiatta, labbra morbide, lievemente increspate, un viso acqua e sapone, bello perché autentico, senza bisogno di trucchi, il viso di Nina.

La ragazza osservò i tre davanti a lei e le sopracciglia si alzarono un poco.

Si alzò sulle punte dei piedi e vide cosa c’era dietro di loro.

Incassò benissimo, senza strilli o tremori, solo strinse le labbra e si accigliò intristita.

Solange prevenne qualunque domanda e indicò il cadavere.

- Vedi, la mente umana non è molto cambiata da quando i primi uomini brandivano lance con punta di pietra per uccidere la selvaggina. Siamo ancora lì, – Solange sospirò amareggiata, – lo ripeto: voglio il bastardo che ha fatto questo.

Patrizio guardò Nina.

- Hai visto uscire qualcuno da qui?

- No.

- E in sala?

- Nessuno. Solo quell’altra ragazza…

Solange li spinse a lato e si lanciò fuori dal bagno.

Allarmati, la seguirono tutti.

Raggiunsero la poltroncina di Evelyn e scoprirono quel che c’era da scoprire.

- E’ morta, cazzo! E’ morta! – ruggì Solange.

Patrizio e Andrea lanciarono delle occhiate nella sala, ma oltre a loro non c’era nessuno.

Solange strinse gli occhi e puntò un dito contro Nina.

- E’ stata lei! Non può essere altrimenti!

Nina scosse la testa intimorita e sbatté le palpebre.

- Ehi aspetta, io non…

- Non mi incanti bambolina. Eri rimasta solo tu con lei. Hai ammazzato Romano in bagno, poi sei tornata qui per continuare il lavoro. Da dove eri seduta, là sul fondo, non ti vedeva nessuno. Ok bijou, te la sei cercata: hai fatto fuori due persone che mi piacevano in un colpo solo. Adesso ti saldo il conto!

Solange avanzò verso Nina e schiuse le labbra.

La sua dentatura scintillante non lasciava presagire nulla di evangelico.

Patrizio si mise tra le due e afferrò un braccio della nera.

Lei lo fulminò con una occhiata.

- Non ho niente contro di te, prof. Mettiti da parte e goditi lo spettacolo.

- Non fare sciocchezze. Nina non centra niente. Nessuno di noi centra qualcosa.

- E tu che ne sai? Lei era qui mentre noi tre eravamo in bagno con quel che rimaneva di Romano. Io so di non essere stata. Evelyn era seduta al mio fianco. Tu ed Andrea eravate assieme quando Romano è morto. Se non siete stati voi due, non rimane che lei. E’ logica, solo fottuta logica!

- Dimentichi qualcuno.

- Chi?

- Colui che ci ha chiamati qui con una scusa.

Solange scosse la testa.

- E’ stata questa bambolina. Non fatevi incantare. Lasciate che la ammazzi.

- Non ammazzerai nessuno.

- Non mi conosci. Mollami il braccio.

- Non fino a che non ti sarai data una calmata.

Solange contrasse ogni muscolo del suo viso in una smorfia terribile, poi respirò a fondo.

Guardò Nina, la mano di Patrizio, ancora Nina.

Dopo annuì.

- Cosa proponi?

- L’unica cosa sensata: andiamocene e chiamiamo la polizia.

- Guardate! – urlò Andrea.

I quattro si girarono verso il fondo della sala.

Una testa con un grande cappello a piume e una maschera da teschio sbucava dai panneggi rossi.

- Prendiamolo.

Tutti insieme si lanciarono all’inseguimento della figura.

Oltrepassarono le tende color porpora e corsero lungo il corridoio.

Arrivati nel salone d’ingresso, la figura era sparita.

- Dove?…

- Non importa, andiamocene…

Si avvicinarono al pesante portone e si accorsero che era chiuso.

Provarono ad aprirlo, ma non c’era verso.

Allora tornarono nella sala da pranzo e scostarono i tendaggi alle finestre: ogni apertura aveva delle inferriate di ferro.

Per buttarle giù ci sarebbe voluto dell’esplosivo!

Patrizio si rivolse ad Andrea

- Di sopra ci sono altre finestre?

- Si, ma hanno tutte le sbarre.

Mentre l’agitazione cresceva, i quattro provarono a chiedere aiuto coi cellulari, ma nessun apparecchio prendeva.

Dopo quei tentativi, Solange prese una bottiglia di Champagne dalla tavola, la aprì, bevve un lungo sorso, si pulì la bocca col dorso della mano e bevve un altro sorso.

Alla fine aveva gli occhi torbidi e cattivi di chi si stava ubriacando.

Dagli altoparlanti, intanto, la voce monocorde proseguiva nella lettura.

- Dove va così di fretta sua maestà?

- A vivere di pianto nella foresta,

gentile Mortimer, e di rabbia mortale;

perché il re mio marito mi respinge,

e invece sembra pazzo per quel Gaveston…

- Sempre il tuo Marlowe? – ruttò Solange.

- Si, adesso però è l’Edoardo II.

Solange brandì il collo della bottiglia e la puntò verso Patrizio.

- Lo sai, non ho ancora capito se mi piaci o meno.

- Abbiamo problemi più importanti.

- Per me è importante. Vedi, quando lo avrò capito, saprò se spaccarti o meno questa sulla testa.

Patrizio sorrise.

Quella ragazza aveva un carattere duro e all’apparenza ostile, ma gli ricordava sua moglie, Francesca.

Anche lei era una ragazza decisa.

La sua Francesca.

E la sua Alessia.

Nel pensarle, Patrizio provò un lungo brivido: avrebbe fatto il possibile per uscire vivo da quella maledetta casa.

Non voleva che la sua bambina lo rivedesse steso in una bara.

Avrebbe fatto il possibile.

- Siamo finiti in una trappola, – Andrea si passò la lingua sulle labbra asciutte.

Nina, ancora intimorita dalle minacce di Solange, se ne rimase in silenzio.

Patrizio annuì.

- Sentite, non ci capisco niente: questa casa, la voce dagli altoparlanti che recita Marlowe, quei film nell’altra sala. Ho l’impressione che si tratti di un bluff, un modo per distrarci. Il vero motivo per cui siamo qui deve essere semplicissimo e sotto i nostri occhi.

- Ragionare non serve a molto, prof! – replicò acida Solange.

- Anche ubriacarsi.

- Un punto a te.

- Cosa suggerisci, – domandò Andrea.

- Dicevo… Qualcuno deve aver preparato tutto questo per bene. Deve averci impiegato del tempo, ma perché?

Solange tirò fuori il suo gettone e cominciò a giocarci nervosa.

- Cosa abbiamo in comune? – continuò Patrizio.

- Siamo tutti insegnanti, – fece Andrea.

- Appunto, insegnanti di Italiano, giusto?

- Italiano, Storia e Geografia, – precisò Andrea.

Anche Nina annuì interessata.

- Bene. Ognuno di noi è stato meno di un mese fa in Provveditorato per le nomine delle nuove cattedre di quest’anno. Prima di questa sera non vi conoscevo, ma credo di ricordarmi di ognuno di voi.

- Di me vi ricordate di sicuro: sono una gran figa! – ammiccò Solange.

- Credi che centri qualcosa il fatto che siamo insegnanti? – domandò Nina.

- Si, credo di si.

Andrea scosse la testa.

- E’ assurdo, siamo solo dei supplenti. Potevo capire un altro. Magari un vecchio insegnante, qualcuno che, in anni di carriera, s’era fatto dei nemici, capite cosa intendo? Alunni incazzati, genitori, robe così!

- E ci sarebbe della gente che rischierebbe l’ergastolo per un brutto voto in pagella? – ironizzò Solange.

Patrizio la guardò, poi scosse la testa.

- La chiave siamo noi.

- Già, ma adesso ci serve una chiave per uscire da qui.

- Va bene. Cerchiamo un’uscita.

- D’accordo, ma sarà bene armarsi.

Patrizio, Andrea e Nina presero alcuni coltelli dalla tavola imbandita.

Solange non prese nulla.

- A me bastano le mani, – spiegò.

- Ascolta: quel tizio che abbiamo visto di là non mi sembra una barzelletta.

- Nemmeno io: non ho fatto dieci anni di boxe solo perché i posti dalle orsoline erano esauriti.

- C’è un pazzo che ha ammazzato due persone!

Solange sospirò.

- Evelyn e Romano avrebbero comunque fatto quella fine. La morte è una malattia che ci portiamo dentro, prima o poi vince sempre. L’assassino non ha fatto altro che accelerare i tempi e io voglio accelerare i suoi!

Decisero di dividersi in due gruppi: Andrea e Nina avrebbero perlustrato i piani bassi, Patrizio e la terribile ragazza di colore i piani alti.

Timorosi, i primi due lasciarono la sala da pranzo.

Solange stappò un’altra bottiglia di Champagne.

Stava per bere, ma Patrizio la afferrò per un braccio.

Lei fece un ringhio malato.

- E’ la seconda volta che mi tocchi senza autorizzazione.

- Ascoltami: ubriaca servi poco. Sei una ragazza in gamba e ho bisogno di te per uscire da qui. Ho una moglie e una bimba di tre anni che adoro e voglio rivedere. L’idea che per il resto della sua vita mi porti dei fiori al cimitero mi pare insopportabile.

Rimasero in silenzio a studiarsi.

Poi.

La nera si sciolse in un sorriso.

- Ti ci vedo a fare il papà. Sei un tipo a posto.

- Che vuoi dire?

- Scommetto che non sei uno curioso.

Patrizio ci rifletté sopra, poi sporse le labbra.

- Questo cosa centra?

- Centra. Rispondi alla domanda: sei un tipo curioso?

- Una volta ero molto curioso e volevo sapere tutto di tutti. Poi ho scoperto che a ogni domanda corrispondeva una risposta e a ogni risposta una delusione, così ho capito che era meglio piantarla di fare tante domande.

- Concordo, ma prova a fare uno strappo.

- Riguardo a cosa?

- Ti incuriosisco?

- Abbastanza.

- E cosa ti incuriosisce?

Patrizio sollevò le spalle.

- Il tuo appetito. Da quando siamo qui hai cercato di ammaliare persino la tappezzeria e non hai perso un’occasione per far capire quanto sei una dura.

- E cosa ne concludi?

Patrizio sollevò le spalle.

- Che in un modo o nell’altro, la maggior parte delle persone soffrono per mancanza di amore.

Il sorriso sul viso della ragazza si incrinò per un attimo e un barlume di incertezza le aggredì lo sguardo impenetrabile.

- Ok, Mr Freund, ci siamo capiti.

- Sei con me?

Solange lasciò andare la bottiglia.

- Sono con te, prof.

- Basta colpi di testa, d’accordo?

- D’accordo, d’accordo, – annuì docile lei.

Si strinsero la mano.

E lasciarono la sala da pranzo.

 

Andrea e Nina erano tornati verso la saletta di proiezione e imboccarono un altro corridoio lievemente in discesa.

Il corridoio era decorato con dei motivi floreali e terminava in una porticina di legno dipinto di azzurro.

Nina era praticamente appiccicata alla schiena di Andrea e questo fatto dava al ragazzo una dose supplementare di coraggio: prima di aprire la porticina, Andrea riuscì persino a pensare che, una volta portata a casa la pelle, sarebbe stato il caso di invitare Nina ad uscire con lui; il pensiero della litigata con Maddalena gli bruciava ancora e poi Nina aveva un corpicino piccolo ma perfetto, quasi una ballerina di flamenco in miniatura…

Andrea aprì con cautela la porticina.

Poi, entrambi, brandendo i loro coltellacci, avanzarono nell’oscurità in agguato dietro l’apertura.

Tenendo le braccia in avanti, avvertirono dei gradini sotto i loro piedi e presero a scenderli molto, molto lentamente.

Dopo la prima rampa erano già circondati da un tanfo persistente di muffa.

Fecero una seconda rampa e una debole luce piovve dall’alto.

Erano finiti in una specie di cantina sotterraneo, i muri umidicci e spettrali.

Ai loro piedi dei rigagnoli scorrevano sul pavimento di pietra formando lorde pozze.

Scossa da brividi, Nina afferrò la mano di Andrea.

Lui valutò se baciarla e perdersi in quegli occhioni nocciola, ma esitò, perdendo l’ispirazione, così finì per guardarsi attorno.

Un corollario di muffa e tanfo abbelliva le giravolte e gli angoli di quel posto.

S’aprivano cunicoli stretti che correvano tutto sotto il perimetro della casa e si perdevano in ramificazioni e putredine.

- Forza, troviamo un’uscita, – provò Andrea.

Nina annuì poco convinta…

 

Da qualche parte sopra di loro, Patrizio e Solange avevano quasi finito di ispezionare i piani alti della casa e, per caso, trovarono la cabina di proiezione, una stanzetta munita di apparecchiature ronzanti e il proiettore acceso; da uno spioncino nel muro si vedeva la saletta dove erano morti Evelyn e Romano.

Vicino alle apparecchiature c’era un grosso registratore collegato all’impianto audio.

Le bobine e i nastri giravano, continuando a trasmettere le voci registrate che avevano sentito nella sala da pranzo.

- Ecco da dove veniva quella voce, – Patrizio spense il registratore.

Quando si girò, Solange era sparita…

 

Giù nelle malebolge della casa, Andrea e Nina continuavano a tenersi per mano e avanzare con la paura di girare in tondo senza trovare alcuna uscita.

I camminamenti si facevano sempre più stretti e le gore inzuppavano i loro piedi.

Di colpo, un’ombra informe e affilata riempì il fondo del corridoio: fecero appena in tempo ad intravedere il mantello sanguigno dell’assassino che spariva dietro una svolta.

- E’ lui! – gridò impulsivamente Andrea.

Il ragazzo lasciò la mano di Nina e inseguì l’ombra agitando il coltello.

Lei provò a rincorrerlo, ma arrivata alla svolta vide che il sentiero si biforcava in due cunicoli tenebrosi e si arrestò indecisa.

Attorno, l’aria s’era fatta più umida.

Una decina di metri avanti, Andrea correva alla cieca, tastando con le mani la putredine fredda che lo stringeva.

Ogni tanto si fermava per cercare fiato e sentire i passi di corsa della figura mascherata.

Poi sbucò in un cunicolo dal cui soffitto pioveva un barlume di chiarore.

Provò a farsi luce con l’accendino.

Vide che su una delle pareti c’erano dei pioli rudimentali che formavano una specie di scaletta.

Con gli occhi seguì i pioli verso l’alto e notò un tombino quadrangolare, dai cui bordi proveniva la debole luminescenza della notte.

Finalmente aveva trovato una uscita da quell’inferno!

Il ragazzo si schiarì la gola, poi cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva.

Chiamava Nina.

Chiamava Patrizio.

Solange.

Aveva trovato l’uscita!

Presto sarebbero stati in salvo!

Avrebbero raggiunto le macchine.

Allertato la polizia.

Qualcuno avrebbe pagato per la morte di Romano…

Andrea urlò per un paio di minuti, poi avvertì dei passi che si avvicinavano e si fermò.

Doveva essere Nina.

Fece per andarle incontro.

Qualcosa baluginò nel buio e la punta in ferro di una lancia gli trapassò l’addome.

Andrea cappe carponi e un arco di sangue gli eruttò dalla bocca.

La lancia si ritrasse, lacerando con brutalità i tessuti interni.

Il secondo colpo gli entrò in bocca, fracassando lingua e denti e uscendo dalla nuca.

Il sangue sfavillò dalle ferite, smaltando le pareti…

 

Patrizio attraversò il labirinto sotterraneo aiutato dai richiami di Andrea, poi la voce del ragazzo morì e cominciarono delle urla diverse, urla di terrore, ed erano quelle di Nina.

Quando arrivò nel cunicolo vide una scena spaventosa: il ragazzo era rotto dal mento al ventre e galleggiava nei propri liquidi.

In piedi, come paralizzata, c’era Nina, che, non appena lo vide, lo abbracciò con forza.

Patrizio stava per chiederle cos’era successo, quando notò i pioli della scala che portava all’esterno.

- Calmati. Credo ci sia una via d’uscita.

Nina si calmò.

Poi entrambi sobbalzarono spaventati.

Solange era comparsa nel cunicolo e li studiava con un certo disappunto.

- Dov’eri finita? – chiese Patrizio.

- E tu?

- Quando mi sono girato eri sparita.

- Cercavo un’uscita. Come tutti, – indicò il cadavere di Andrea, – credi ancora che sia stato quel tipo mascherato?

- E chi altri?

Solange si strinse nelle spalle, poi indicò col mento Nina.

- Non mi ha convinto la piccolina. Pensaci Patrizio, Andrea era con lei.

Nina indietreggiò verso i pioli e scosse la testa.

Nelle mani stringeva il coltello.

- Non sono stata io. A un tratto ci siamo separati. Andrea ha visto un’ombra e…

Solange scosse la testa.

- Risparmia il fiato bijou.

Patrizio stava per mettersi in mezzo, ma notò qualcosa che luccicava accanto al corpo di Andrea.

Intanto Solange torreggiava su Nina.

Patrizio si chinò a raccogliere l’oggetto.

Solange si voltò verso di lui.

Patrizio aggrottò la fronte, poi si rialzò.

- Che cos’è?

L’uomo aprì il pugno e mostrò quello che aveva raccolto.

Nel palmo della mano comparve un gettone telefonico.

Tutti e 3 rimasero impietriti a fissare il gettone.

La prima a riprendersi dallo stupore fu Solange.

Guardò Patrizio e fece di no con la testa.

Emise una risatina breve e nervosa.

- L’avevo dimenticato nella sala da pranzo. Potrebbe avermelo preso chiunque.

Nina non aprì bocca.

Sbatteva gli occhi nocciola e se ne stava appiattita contro il muro.

Lo sguardo truce di Solange evaporò.

Adesso la ragazza pareva sinceramente confusa.

- Patrizio, non sono stata io…

- Le apparenze sono contro di te.

- Non avrei ucciso Evelyn…

- Credo sarà bene uscire di qui e chiamare la polizia.

- Si, usciamo.

- No Solange, è meglio che tu resti qui.

- Non puoi obbligarmi.

Patrizio la studiò con tristezza.

- Posso sempre provarci.

- Non te lo consiglio.

- Potrei finire come lui? – Patrizio indicò il corpo lacerato di Andrea.

La ragazza di colore strinse le labbra e sorrise, gelida.

- La mancanza di fiducia è il cancro delle relazioni.

Fu un attimo.

Solange schizzò all’indietro e colpì Nina alla tempia.

La ragazza si piegò in avanti e perse il coltello.

Patrizio cercò di afferrare Solange, ma la nera lo colpì con un calcio, scaraventandolo a terra.

Picchiò la testa contro il muro e, per alcuni secondi, la vista gli si annebbiò.

Quando si riebbe, Solange era in piedi sopra di lui e digrignava i denti.

Poi ci fu una specie di tonfo e la pantera crollò di lato.

Dietro di lei c’era Nina con una grossa pietra in mano.

- Spero di non averla uccisa.

- Quella ragazza è una furia scatenata.

Nonostante il freddo, Nina aveva il viso madido di sudore.

Si passò una mano sulla fronte.

- Ti avrebbe ucciso.

- Presto. Dobbiamo legarla. Ma con cosa?

Nina strizzò l’occhio.

- Ti spiace voltarti?

- Come?

La vide slacciarsi i gins e capì.

Alcuni minuti dopo avevano finito di legare i mani e i piedi della nera con delle calze di seta!

Poi si avvicinarono ai pioli del muro.

L’uscita era a pochi metri sopra le loro teste.

In breve, guidati dal rumore d’un ruscello, risalirono dalla tomba e passarono per un pertugio, quindi artigliarono lo smalto del suolo e uscirono fuori a rivedere lo sfavillare delle stelle.

Erano sbucati appena oltre al boschetto morto e al ruscello che scorreva attorno alla casa.

Nina respirò a pieni polmoni l’aria fredda delle notte e scoppiò a ridere.

Anche Patrizio non riuscì a trattenere le grida di gioia per avercela fatta.

Cercò di localizzare le auto e una figura apparve dal nulla.

Aveva la cappa rossa del mantello, il cappello di piume e la testa di un teschio.

La figura ondeggiò verso di loro, poi si arrestò e levò il cappello e la maschera.

Sotto apparve un giovane dalla faccia equina e dei riccioli disordinati.

La faccia del ragazzo era gioviale ed eccitata.

Indicò Patrizio e si contorse in una gran risata.

- Che faccia amico! Che faccia! Dovresti vedertela!

Quando riuscì a trattenersi, il giovane strizzò l’occhio e continuò.

- Allora, è venuto bene? Ci sono cascati tutti? Per me è stato un vero sballo! Cazzo! Meglio che pippare!

Patrizio era ancora confuso per la botta alla testa e non riusciva a raccapezzarsi.

Con lo sguardo cercò Nina e lei gli regalò un mezzo sorriso, poi i suoi occhi da cerbiatta divennero grandi come gettoni da poker.

La vide tirar fuori una pistola non più grande di un palmo di mano e sparare tre colpi.

Il giovane riccioluto si accasciò senza un fiato.

L’eco dei colpi finì inghiottito dalla notte.

Nina puntò la canna verso la pancia di Patrizio e parlò con una voce sottile e controllata che quasi non la si udiva.

- Sorpresa!

- Nina, cosa?…

- Ti capisco. Può sembrare tutto così contorto, invece è semplicissimo, sai?

- Chi sei?

- Nina, non ricordi?

Patrizio allargò le braccia a indicare tutto quello che li circondava.

- Volevo dire: cosa significa tutto questo?

Lei sollevò le spalle divertita.

- Una messa in scena.

- E il tipo mascherato?

- Oh, lui si chiamava Bobo Corona. E’ uno dei tanti fighetti snob di Vercelli. Sai quei tipi ricchissimi figli di qualche notaio ricchissimo. Caste, ecco. Pensa che questa casa gliel’hanno comprata solo per lui, e quel fesso ci veniva solo per spinellarsi o scopare.

- E’ stato lui ad uccidere gli altri?

- Non l’hai ancora capito?

- Voglio sentirlo da te.

- Bobo non sapeva nulla. Gli ho fatto credere che volevo farvi uno scherzo e lui s’è prestato. Quel cretino mi faceva il filo da un pezzo. E’ bastato fargliela annusare per averlo al mio servizio. Ma il lavoro duro l’ho fatto io, tutto io.

- E’ stato lui a telefonarci, vero?

- Si.

- Quindi Antonio Tentori non è mai esistito.

- Gli ho detto di usare quel nome. E’ un noto critico cinematografico. Sai, ha pure sceneggiato l’ultimo film di Francesco Argento… Mi sembrava a tema con la serata.

- Perché ci hai fatto questo? Non ti conosco neppure…

- Infatti, non è una questione personale. Pensa che quella negra ci aveva visto giusto e tu l’hai neutralizzata.

- Che ne farai di lei?

- Il solito, credo. La ucciderò.

L’indice di Nina scivolò sul grilletto.

Patrizio si guardò attorno terrorizzato.

Non c’era nessuno.

Le sagome delle auto erano troppo lontane per sperare di raggiungerle e non c’erano altri posti dove ripararsi.

Solo la notte e la campagna gelata.

Per lui era la fine.

Non avrebbe più rivisto Francesca e Alessia.

Non le avrebbe più riabbracciate.

Non avrebbe più sentito il colore delle loro voci.

Improvvisamente si sentì svuotato, senza forze.

Capì che lottare era inutile.

Rispetto a Romano, Evelyn ed Andrea, aveva solo prolungato la sua agonia.

Le fece un’altra domanda, ma non cercava più di prendere tempo.

Solamente le parole gli uscivano dalla bocca senza che potesse farci nulla.

- E di Jennifer?

- Quella stronza è morta per prima. E credimi è stato un piacere sfigurarla col vetriolo. Con te invece mi dispiace un pochino. Sei un tipo a posto, per questo ci tengo che tu sappia come è andata. Vedi, un mese fa, alle nomine del Provveditorato c’ero anch’io, come tutti voi. Sono anni che cerco di sopravvivere con l’insegnamento. Ma ho sempre fatto poche supplenze, solo qualche settimana all’anno, al massimo un mese, roba così. L’ultima volta invece speravo di farcela. Avevo un buon punteggio e miravo a qualcosa di più sostanzioso. Invece niente. E per un soffio. Quasi una beffa atroce. Hanno esaurito le cattedre proprio quando toccava a me. Ci crederesti? Voi sette siete stati gli ultimi ad essere chiamati. Così ho cominciato a pensarci sopra…

Un barlume di luce rischiarò il cervello di Patrizio.

- Se vi avessi eliminato sarei stata richiamata. Jennifer era la più fortunata tra voi: aveva 20 ore annuali. Ma eliminare lei non bastava, o uno di voi avrebbe preso il suo posto. Dovevo fare piazza pulita di voi sette, poi sarebbe toccato a me!

- Non ti servirà a niente. La polizia ricostruirà tutto e finirai i tuoi giorni in una cella imbottita.

- Bella prospettiva, ma ti sbagli. – Nina indicò il corpo di Bobo Corona, – Svegliati, la polizia non è quella dei telefilm: le sue impronte risulteranno su tutte le armi che ha usato. E poi la casa è sua. Diranno che era fatto, e io ne uscirò come l’unica superstite. Magari mi faranno scrivere un libro sull’esperienza e diventerò così famosa che non avrò più bisogno di elemosinare un posto da insegnante. Mica male!

Mentre la fanatica sproloquiava, Patrizio sentiva la rabbia montare dentro e travolgerlo: il pensiero di lasciare sua figlia orfana lo faceva impazzire.

Senza badare all’arma puntata contro, Patrizio fece un passo in avanti.

Nina non si fece trovare impreparata: smise di tergiversare e prese la mira.

- Senza rancore, – sussurro prima di premere il grilletto.

Un altro colpo secco turbò la campagna.

Patrizio aspettò di sentire l’impatto della pallottola nelle sue carni, invece rimase illeso.

E Nina non ebbe il tempo di riprendere la mira.

Solange le aveva alzato il braccio all’ultimo istante, poi l’aveva colpita al fianco, facendole perdere l’arma.

Subito la nera l’aveva investita con una serie di pugni.

In una estrema difesa, Nina s’era chinata in avanti col capo e aveva spinto Solange verso l’argine del ruscello.

Patrizio le vide precipitare avvinghiate come due furie e sparire nelle acque che parevano convertirsi in vetro per il freddo.

Patrizio raccolse l’arma e si affacciò sul bordo, ma non vide emergere nessuno.

Passarono alcuni secondi e una mano cercò di artigliare  l’erba fangosa.

Oltre la mano comparve un polso, poi un braccio e una testa: il viso contratto dall’odio di Nina.

La ragazza stava per tirarsi fuori dal canale, quando piombò nuovamente all’indietro e sparì.

Altri secondi di attesa, infine la sagoma di un’altra donna si issò fuori e risalì il pendio del canale.

- Fortuna che non sei bravo a fare i nodi, – Solange era scossa da capo a piedi dai brividi ed era inzuppata d’acqua, ma a parte quello sembrava a posto.

Patrizio fece per levarsi il suo giaccone, ma lei lo fermò.

- Grazie, ma non vorrei metterti nei guai con tua moglie. Potrebbe chiederti dove lo hai messo.

- Potrei dirle la verità.

- Quale? Quella che ho sentito mentre uscivo da là sotto? Credimi, ci chiuderebbero in una cella senza pensarci due volte.

- Cosa suggerisci?

Dalla casa venne uno scoppio e le finestre si frantumarono, lasciando uscire lingue aggrovigliate di fuoco.

Da dove si trovava, Patrizio riuscì a vedere solo il chiarore delle fiamme e la colonna di fumo che si alzava sopra le punte scure degli alberi.

- E’ opera tua?

Solange si strinse nelle spalle e fece una faccia buffa.

- Mi è caduto un mozzicone.

Patrizio ci rifletté sopra un istante, poi annuì.

Dopotutto la ragazza aveva ragione: nessuno avrebbe creduto a quella storia e poi non sarebbe servito a niente; Romano, Evelyn, Andrea e quella stronza di Jennifer erano morti e l’unico favore che avevano potuto fare per loro era stato buttare in fondo a un ruscello quella maniaca di Nina.

Il resto sarebbe fluito via col sangue e la notte.

E poi c’era quella faccenda delle nomine.

Se Nina aveva fatto bene i calcoli, Jennifer era quella col punteggio più alto fra loro: ora la sua supplenza di vento ore sarebbe stata riassegnata, e Patrizio era subito dopo di lei.

Se nessuno lo avesse collegato con quei fatti, lo avrebbero richiamato per assegnargli il nuovo incarico e, con uno stipendio pieno, avrebbe potuto provvedere maggiormente alle esigenze della sua famiglia.

Poi un dubbio atroce si insinuò nel sua mente, una mente provata da quel susseguirsi di eventi letali…

E se Solange avesse avuto un punteggio superiore al suo?

Avrebbe dunque beneficiato lei delle 20 ore di Jennifer?

E cosa sarebbe rimasto a lui di quella notte orribile, se non il trauma di aver creduto di morire come un cane mille e mille volte?

Senza riuscire ad arrestare quei ragionamenti pericolosi, Patrizio pensò a quanto avesse bisogno di quella supplenza piena…

Cercò di vedere la cosa da un’altra angolatura, ma non ci riuscì: le esperienze estreme lo avevano portato a valutare nuovi scenari, nuove esperienze, nuove resistenze…

Prima di quella sera non si sarebbe mai creduto capace di sopportare stress emotivi così duri, ora…

Si era trovato continuamente faccia a faccia con la morte ed era stanco…

Stanco di pensare alla morte…

 

Le idee si sottrassero al suo controllo razionale e lo portarono via, attraverso sentieri ignoti…

Come padre voleva mettere Alessia al riparo dall’avvenire, un avvenire che si preannunciava duro con un solo genitore capace di provvedere pienamente alle esigenze di un figlio…

Se era riuscito a scamparla doveva esserci stato un motivo: aveva combattuto, aveva lottato allo stremo e per cosa?…

Per tornare alla sua ordinaria precarietà?

Era scampato a un’orgia di notte e sangue per tornare alle sue 8 ore settimanali?…

Un’altra voce iniziò a rimbombare nel suo cervello…

…Svegliati, la polizia non è quella dei telefilm: le sue impronte risulteranno su tutte le armi che ha usato. E poi la casa è sua…

Una voce che non riusciva a dimenticare…

…Diranno che era fatto, e io ne uscirò come l’unica superstite…

Una voce subdola.

Una voce che aveva ragione…

…Magari mi faranno scrivere un libro sull’esperienza e diventerò così famosa che non avrò più bisogno di elemosinare un posto da insegnante…

In fondo anche Solange gli aveva detto che la morte era solo un affare come un altro…

Si sforzò di immaginare, sperare, che lassù, da qualche parte nelle galassie, ci fossero delle strade dorate e carrozze d’oro, magari un grande cancello e un libro che  guardiani avrebbero sfogliato prima di far entrare la gente…

Tutti loro, prima o poi, si sarebbero perduti in quell’anticamera dorata e avrebbero detto: è bello essere qui…

Nina, Andrea, Romano, Evelyn, Jennifer erano già arrivati…

Per loro il domani era…

Senza più pensieri, senza più patemi, senza ansie…

…Svegliati!… non avrò più bisogno di elemosinare un posto…

Patrizio smise di pensare, chiuse i brandelli rimasti di umanità dentro uno strato infinitesimale di sé e alzò lo sguardo verso Solange.

Poi annuì.

- Credo che non reggerei una notte in una stazione di polizia a spiegare quel che è successo, – disse con una voce da automa.

- Ok, sarà come se non ci fossimo mai visti, – fece lei senza accorgersi di niente.

- Mi spiace non averti creduto, – sussurrò lui.

Lei abbozzò con la mano.

- Dai un bacio alla tua piccina.

- Lo farò.

Senza dire altro, Solange girò sui tacchi.

Patrizio rimase ancora a guardare le punte delle fàcule che si levavano alte verso il cielo.

Dopo si chinò (lentamente) a raccogliere la pistola di Nina e la puntò alla schiena della nera.

Lontano, sentì il rauco e distinto abbaiare dei primi cani.

 

Mentre guidava, ripesò a tutto quello che era capitato nelle ultime ore e si chiese se sarebbe davvero riuscito a far finta di niente.

Forse si possono seppellire i morti, ma non c’è modo sicuro di seppellire i ricordi, e i ricordi sgradevoli trovano sempre il modo di tornare a galla.

Arrivato a casa, si spogliò, scivolò nella cameretta di Alessia, rimase a fissarla come imbambolato per lunghi minuti, poi andò nella sua camera e si infilò nel letto cercando, con il corpo di sua moglie che aderiva al suo, di ripulire i suoi pensieri dagli orrori della notte.

(4.fine)

Vercelli, 25 Dicembre 2011/ Gennaio 2012

Davide Rosso