“Uno, due, tre Freddy arriva e cerca te…”
(“A Nightmare on Elm Street” di Wes Craven)
Uomini neri al servizio delle tenebre, creature che provengono dal fondo dei nostri incubi, dal mondo dei morti e che entrano come furie nel nostro quotidiano, nei nostri sogni per appropriarsi delle nostre vite. Il sonno denso di incubi che doveva terminare nella nascita dell’incubo peggiore durò per tre anni. Tanto tempo ci volle al padre di Freddy, Wes Craven, per poter avere i soldi necessari per portarlo sullo schermo. E nemmeno fu facile perché il Presidente della New Line Cinema, Robert Shaye, riuscì a trovare la somma sufficiente, di solo due milioni di dollari, con parecchie difficoltà anche se il danaro necessario per realizzare il film era inferiore a quello della maggior parte delle produzioni americane.
Come spesso succede in questi casi nessuno pensava che il film sarebbe stato un successo tale che ne sarebbero poi nate altre sei pellicole, un remake (ndr), una serie televisiva e un’infinita varietà di gadget.
Il primo film incassò la bellezza di trenta milioni di dollari solo sul mercato americano e fece in pratica il giro di tutti i paesi del mondo: Freddy Krueger e il suo fenomeno erano nati.
Figlio di una suora che era stata stuprata in un manicomio, di indole malvagia e violenta, Freddy Krueger fu ucciso da genitori ai quali a sua volta egli aveva ammazzato i figli. Il suo spirito vaga nel limbo dei sogni e da lì attende le sue vittime per ucciderle sadicamente con ferocia, gioia e un macabro senso dell’humour.
La figura di questo essere inquietante, vestito con un vecchio maglione a righe orizzontali verdi e rosse, un cappellaccio, un guanto al quale ha applicato delle affilate lame, il volto devastato dal fuoco che bruciò il suo corpo in vita, è stata resa con perfetta maestria da David D. Miller il quale creò diversi modelli prima che il regista Wes Craven ne approvasse quello definitivo scegliendo poi, molto saggiamente, la tecnica di tenere il suo mostro sempre parzialmente nascosto o in penombra sfruttando un metodo tipico della vecchia cinematografia la quale insegna che è molto più inquietante intravedere che mostrare con evidenza. In questo modo ogni eventuale pecca della truccatura era perfettamente nascosta. L’ormai famoso guanto di Freddy fu opera di Jim Doyle che s’ispirò a quello usato dagli operai nelle caldaie. Greg Fonseca, il direttore artistico, ebbe la brillante e vincente idea di munirlo di lame simili a quelle usate dai macellai. Questo fu uno dei gadget che ebbe maggior successo, assieme naturalmente alla maschera e al maglione. Ne furono creati e prodotti a migliaia in ogni parte del mondo.
Una delle cose più importanti era naturalmente quella di poter scegliere l’interprete adatto per una parte di questo tipo e dopo che si ebbe pensato inizialmente a Dave Warren la decisione cadde su Robert Englund che si presentò al colloquio con Wes Craven vestito da punk e con la barba lunga di quattro giorni. A Craven piacque il suo sguardo allucinato, i tratti del viso così particolari. Prima di allora la parte più importante di Englund era stata quella di Willy, l’alieno buono nella serie televisiva di fantascienza “VISITORS“. Ma il primo film portò fortuna anche a un giovane attore come Johnny Depp il quale ebbe il ruolo di un giovane “inghiottito” dal letto di casa. Tutto l’interno della magione fu realizzato in studio, questo per fare in modo che tutti gli effetti meccanici potessero essere realizzati più comodamente. Come sempre succede dopo un successo commerciale ecco spuntare non solo l’idea ma la necessità di ricavarne un seguito e a questo pensò subito Robert Shaye che aveva fiutato l’affare fin da prima che il film fosse finito. E’ per questo che fece modificare il finale con quello della Freddy-Machine che ingoia gli studenti e la madre che scompare dentro la casa mentre in origine Nancy, la protagonista, sfumava nella nebbia.
A Wes Craven non interessò girare il sequel che fu affidato a un altro regista con un budget di due milioni e mezzo di dollari incassandone poi quindici volte tanto. E così di film in film Freddy diventò un mito, un’icona, un personaggio da incubo ma, stranamente, anche il miglior amico dei ragazzi e dei loro “incubi peggiori”. Dai sogni arriva Freddy Krueger: dormire è pericoloso, significa morire, annullarsi. Il che accosta il genere alla storia di Jack Finney “Gli Invasati” che ha generato ben tre film: “L’Invasione degli Ultracorpi“, “Terrore dallo Spazio Profondo” e “Ultracorpi: L’Invasione Continua“.
Lontano da ogni forma di ironia, silenzioso come un ombra mortale, agghiacciante nella sua spietatezza è il Jason Voorhees dei “VENERDI’ 13“. Il suo personaggio nasce da un luttuoso evento accaduto alcuni anni prima in un campeggio sulle rive del Crystal Lake, nel New Jersey.
Dei ragazzi decidono di riaprire il campeggio che era stato chiuso per dei misteriosi omicidi rimasti impuniti. Come i giovani arrivano al camping gli efferati assassini ricominciano…
Questa creatura proveniente dalle tenebre con sul volto una maschera da Hockey agisce, si muove e risorge come un novello Frankenstein uccidendo nei modi più svariati ed efferati, così come fa in modo altrettanto inquietante ma non così indiscriminante, il suo collega Michael Myers. L’origine di questo personaggio proviene da Irvin Yablans, direttore della Turtle Releasing, che sottopose a John Carpenter un abbozzo di idea quando i due s’incontrarono al London Film Festival. L’idea di Yablans s’ispirava fattivamente a “Black Christmas – Un Natale rosso sangue”, il quale rappresentava validamente l’opera nefanda di un serial killer che insidiava delle donne impotenti a combattere le atrocità dell’assassino. Yablans desiderava riferirsi a opere di pura tensione emotiva così validamente rappresentate da film come “Gli Occhi della Notte” dove una donna, se pur cieca, riusciva a tenere testa a un assassino. Inizialmente il film doveva chiamarsi “The Baby Sitter Murders” e non aveva in realtà molto di originale ma anzi si riferiva a parecchi altri soggetti già in circolazione. Fu Carpenter assieme a Debra Hill, che nel film presterà le sue mani per girare in soggettiva la scena dove il piccolo Michael uccide la sorella, a modificare la storia dandole quei connotati orrorifici che la renderà famosa e attribuendo a Michael Myers non solo il ruolo di omicida ma pura incarnazione del male che non può essere mai definitivamente sconfitto. Da qui nasce “HALLOWEEN” con il ridicolo budget di trecentocinquantamila dollari, ragion per cui Carpenter lavorerà gratis usando i soldi per pagare comparse e attori. Le riprese durano solo due settimane con orari stressanti per non superare i costi. Per merito dell’operatore Raymond Stella una Steadycam è applicata al Panavision e con questa nuova tecnica chiamata “Panaglide” sono realizzate sequenze assolutamente intriganti come il piano-sequenza iniziale dell’omicidio. La storia è ambientata in un paese di nome Haddonfield che è la città da dove proviene Debra Hill e la musica composta dalla misteriosa “Bowling Green Philarmonic” è in realtà dello stesso Carpenter e il nome fa riferimento al suo paese natio. Contrariamente a Jason le intenzioni di Myers sono quelle di uccidere tutti i suoi coetanei diventati ora dei giovani adolescenti ma, come Jason, pur più volte apparentemente ucciso eccolo ritornare più violento di prima.
Di Jason sappiamo che la sua provenienza è il mondo dei morti viventi, l’inferno. Sappiamo che è ritornato tra noi per vendicarsi; Myers, al contrario, diventa sempre di più l’essenza del male mano a mano che i suoi film procedono e, anche se alcuni di loro, come “HALLOWEEN III: IL SIGNORE DELLA NOTTE”, si discostano completamente dal personaggio, diventa sempre di più, come dice il suo medico curante il dottor Sam Loomis (Donald Pleasence), la rappresentazione del male puro.
Pur essendo arrivati più volte a quello che sembrava essere il loro ultimo capitolo, ogni tanto, quando le esigenze di cassetta lo richiedono, ritornano sugli schermi per la delizia dei suoi appassionati i quali non possono contare, come nel caso di Freddy, su un serial televisivo.
Ed è per questo che abbiamo potuto assistere sugli schermi cinematografici al ritorno in grande stile di Michael Myers in “HALLOWEEN: 20 ANNI DOPO” (Halloween H20 Twenty) di Steve Miner del 1998, dove torna a terrorizzare l’unica superstite di quella strage della prima volta, sua sorella (Jamie Lee Curtis) e suo figlio: forse è finita davvero. Fu fortemente voluto da Kevin Williams, peraltro sceneggiatore di “Scream”, questa riesumazione ed è interessante che alla regia ci sia quel Steve Miner, regista di “L’assassino ti siede accanto”, un Jason d’annata.
Anzi, nel caso di Jason, da molto tempo si parla di un suo incontro con la creatura di Wes Craven, un poco come fece la vecchia “Universal” riunendo in un unico film tutti i suoi più famosi mostri.
Giovanni Mongini
Ps. Giusto per dovere di cronaca, l’articolo di Giovanni è stato scritto qualche anno prima che uscissero “Freddy vs. Jason”, i remake di “Venerdì 13″, “Halloween – La resurrezione” e i due reboot di Rob Zombie. E con questo siamo al passo con i tempi.