Autore del recente romanzo “L’isola del terrore”, Fulvio Zorzer si è distinto in quest’ultimo periodo soprattutto per una serie di articoli e racconti fantastici pubblicati sulle testate della Delos Books, oltre che per alcuni racconti fantasy sparsi qua e là… e allora anche noi, in ordine sparso, andiamo a conoscerlo meglio, perché il “ragazzo”, a nostro modesto parere, ha la stoffa giusta per diventare qualcuno e siamo certi che sentiremo ancora parlare di lui.
COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È FULVIO ZORZER?
Un bambino quarantenne con un cognome bizzarro, di origini friulane. Vive a Roma ed è uno dei pochi italiani fortunati che ha una casa, un lavoro e una famiglia felice. Purtroppo però è un pazzo che ha scelto per passione la scrittura… in un paese dove si legge pochissimo. Mi piace citare una frase di Ursula K. LeGuin: “The creative adult is the child who survived”, ovvero “l’adulto creativo è il bambino che è sopravvissuto”. Io mi sento esattamente così. Ho un demone dentro che mi spinge a scrivere, a creare qualcosa; un mostro che non mi lascia in pace finché non lo accontento. Questo non mi permette di guardarela TVe di segnarmi in palestra come fanno i quarantenni normali.
COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?
Per gioco. Premetto che leggo moltissimo. Secondo i dati ISTAT nel 2012 il 46% degli italiani ha letto un massimo di tre libri. Io non li conto, ma in un anno ne leggerò forse una trentina. Questo antefatto perché secondo me a un certo punto, se leggi davvero tanto, ti viene spontaneo cominciare a immaginare le tue storie, ad aver voglia di passare dall’altra parte della pagina. Almeno per me funziona così. Detto questo, nel 2001 in edicola uscì una rivista, “Enchanted Lands”, dedicata al fantasy. Proponeva ai lettori una storia cosiddetta “collettiva”. Nel primo numero la redazione presentava il prologo. In ognuno dei successivi sarebbe stato ospitato un capitolo scritto dai lettori. Mandai il mio scrivendolo per puro piacere e senza crederci, invece fui selezionato. Ancora oggi non so se quel che mandai fosse stato scelto perché valido o perché l’unico passabile tra i pochi testi ricevuti. In ogni caso fu la mia prima pubblicazione; fu emozionante vedere il mio nome come autore su una vera rivista. In edicola, disponibile a tutti!
VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI?
Oddio, “produzioni precedenti” mi sembra un parolone; diciamo le mie passate scribacchiate degne di pubblicazione, mi suona meglio! Qualche racconto sulla “Writers Magazine Italia”, altri microracconti nelle raccolte “365”della Delos Books, un racconto sci-fi nell’antologia “Il Magazzino dei Mondi”, un altro su un numero di “Macworld” di qualche anno fa. A parte la narrativa ho scritto un bel po’ di articoli per “Fantasy Magazine” (www.fantasymagazine.it): d’accordo con la redazione ideai anche la rubrica “Leggende italiane”. Non si tratta di narrativa, ma è su “Fantasy Magazine” che ho imparato a scrivere bene (in senso editoriale, saper narrare è un discorso del tutto diverso).
RECENTEMENTE HAI PUBBLICATO IL ROMANZO “L’ISOLA DEL TERRORE”. CE NE VUOI PARLARE?
Si tratta di una storia fantasy con elementi horror, che si svolge in un regno inventato. I protagonisti sono un eterogeneo gruppo di avventurieri, detto la “Compagnia Arcana”. Sono individui alquanto singolari, ciascuno con le sue capacità, alcune anche soprannaturali. Hanno caratteri molto diversi tra loro, una sorta di “X-Men” versione fantasy. È quindi una storia corale, dove protagonista è più il gruppo che un singolo. Lungo la storia i personaggi si trovano a fronteggiare cadaveri viventi e mostri che ricordano più Lovecraft, piuttosto che i classici orchi o draghi. È un romanzo breve. Lo scrissi anni fa, quando Delos Books lanciò la collana “Storie di draghi, maghi e guerrieri”. Purtroppo poi la serie chiuse. Ma il romanzo mi tornava sempre in mente, ci ero affezionato. Era il mio primo scritto ad avere una lunghezza maggiore del racconto, insomma a un certo punto lo rilessi e pensai che non era male, dovevo solo aggiustarlo e rivederlo un po’. Ora, credo di potermi considerare abbastanza folle a proporre un fantasy “classico”, nel momento in cui l’unico fantasy di cui si sente parlare è quello con scritto “urban” davanti. Ma mi sono lanciato come autore indipendente anche per non dover sottostare ai trend del momento degli editori. E poi credo che là fuori ci sia qualcuno che ha voglia di leggere qualcosa di diverso, non solo quello che va di moda in libreria. In ogni caso “Lo Hobbit” è uscito da poco, spero che faccia tornare un po’ di attenzione sul fantasy tradizionale.
QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?
Mah, in realtà mi è venuto tutto molto spontaneo. Sì, chiaramente all’inizio ho dovuto pensarci un po’ su e spremermi le meningi. Mi chiedevo come creare una storia interessante, che però non uscisse troppo dai canoni del fantasy classico (la collana si chiamava “Storie di draghi, maghi e guerrieri”, piuttosto stringente!). Come potevo differenziarla? La risposta è venuta dal mio subconscio, ormai permanentemente intriso di tutto ciò che è fantastico. Sono partito dalla classica situazione di un gruppo di avventurieri con una “quest” da svolgere. Poi però li ho trasformati in individui molto particolari, come dicevo sopra, in quanto in possesso di poteri magici o sovrannaturali. Ho lavorato poi sulla personalità di ciascuno, caratterizzandoli fortemente. In questo modo ho cercato di creare situazioni interessanti, e a volte ironiche, durante la storia. Man mano che i personaggi interagiscono il lettore impara a conoscerli e (spero) ad affezionarcisi. Per l’ambientazione devo dire che sono rimasto molto sul tradizionale, anche se ogni tanto ho deviato un po’ dal fantasy per entrare nel campo dell’horror. Un’epoca simil-medievale, dove però esistono magia e strane creature. La stregoneria, le capacità sovrannaturali, sono potenti, ma poco diffuse, tanto è vero che la “Compagnia Arcana” è un gruppo eccezionale, più unico che raro. Niente negozi con spade +2 e anelli dell’invisibilità, insomma!
COME E’ NATA L’IDEA DI QUESTO LIBRO E COME MAI HAI DECISO DI CIMENTARTI NELLA LETTERATURA FANTASY PER RAGAZZI?
Come dicevo prima l’ho scritto stimolato dalla collana lanciata dalla Delos Books. Ma è più corretto dire che quella serie mi ha spinto a concretizzare un’idea che avevo già da tantissimo tempo. Fin da giovanissimo mi sono appassionato al fantasy. Frequentavo gruppi di giochi di ruolo, leggevo Tolkien. Da quando ho iniziato a scrivere ho sempre desiderato creare una storia fantasy. La serie della Delos è stata il “pretesto” per metterla finalmente per iscritto. La collana era diretta a un pubblico adolescenziale (ma le persone serie direbbero Young Adult), quindi di conseguenza ho scritto un romanzo per ragazzi. Ma a parte questo l’idea del fantasy per ragazzi mi ha attirato per diversi motivi. Uno riguarda i ricordi personali. Come ho già detto ero giovanissimo quando fui folgorato da Tolkien, ma anche dai giochi di ruolo, diciamolo. Magari giocavo a “Dungeons & Dragons” con gli amici il pomeriggio e poi la sera leggevo Tolkien, prima di addormentarmi. Questo accadeva all’incirca nel periodo in cui frequentavo le medie. Trovavo tutto questo fantastico. Mi faceva viaggiare con la mente, sognare e vivere avventure incredibili, piene di creature leggendarie, grandi cavalieri, principesse e maghi. Dimenticavo le noiosità della scuola. E qui veniamo al secondo motivo. Cioè secondo me è un genere di cui i ragazzi hanno bisogno. Li aiuta a sognare, a staccarsi dai compiti quotidiani. Voglio dire a scuola studi roba pallosissima. Scoprire questo genere mi ha avvicinato moltissimo alla lettura. Da quel momento non ho più smesso. Secondo me il ragazzo che da giovane legge cose che gli piacciono, diventerà un lettore “forte” da adulto; probabilmente onnivoro, perché nel frattempo avrà frequentato anche altri generi. So che qualcuno storcerà la bocca leggendo quel che ho scritto. Griderà che incito all’evasione, al distacco della realtà. Chi fa questi commenti non ha capito nulla della psicologia dei giovani. I giovani sanno benissimo cos’è la realtà e cos’è la fantasia. Perdersi in mondi immaginari e vivere avventure in altri mondi non vuol dire che poi non sono in grado di far fronte ai loro compiti a scuola. Anzi l’evasione è necessaria affinché dopo ci si senta più carichi per tornare agli impegni normali. Adesso dirò qualcosa che per qualcuno è una bestemmia, ma secondo me alle scuole dovrebbero insegnare più la narrativa fantastica che le solite rotture di scatole tipo “I promessi sposi”. O almeno anche il fantastico. Ai ragazzi non importa nulla delle elucubrazioni del Manzoni o del Leopardi. I ragazzi vogliono avventure, emozioni, pirati, maghi, magia, mostri! Le cose che ricordo di aver letto con più piacere alle scuole sono l’Odissea, la Divina Commedia, l’Orlando furioso. Certo si trattava di poemi, quindi non immediatamente fruibili, ma una volta “tradotti” in un linguaggio più semplice… che meraviglia! Parliamo di opere ricche di fantastico, e quelle sì che scatenavano la mia fantasia; non certo Verga o Carducci, cose che a scuola ti fanno leggere per forza e sulle quali, al 90%, non tornerai mai per tutta la vita. Non sto dicendo che i classici vadano eliminati, per carità. Ma vogliamo far vedere a questi ragazzi che esiste anche qualcosa di diverso? Il problema è che in Italia viene inculcato questo concetto “aulico” di letteratura e i ragazzi non si affezionano alla lettura. Un’altra cosa che mi attirava della formula proposta dalla Delos era la brevità. Troppo spesso l’idea del fantasy viene accostata a mallopponi di mille pagine e a saghe infinite. Vediamo invece che esce fuori con un romanzo di massimo cento pagine. Sembrava un esperimento interessante.
OLTRE CHE SCRITTORE SEI ANCHE GIORNALISTA. VUOI PARLARCI DI QUESTA SECONDA FACCIA DELLA MEDAGLIA DELLA TUA ATTIVITA’?
Non scrivo più articoli, quindi è un’attività che al momento non pratico. Sono comunque iscritto all’ordine e non escludo di poter tornare un domani a frequentare il giornalismo, anche occasionalmente. Posso dire però che oggi, guardando certi obbrobri pubblicati da cosiddetti “giornalisti” sui quotidiani, mi metto le mani nei capelli. Scrivono delle cose davvero imbarazzanti. Per averne degli esempi concreti seguite il blog di Paolo Attivissimo (http://attivissimo.blogspot.it) che, in quanto “cacciatore di bufale”, trova anche delle “perle” di giornalismo incredibili. Non parlo solo di errori grammaticali (già quelli sono gravissimi), ma proprio dello stupro delle regole base del giornalismo. Vengono scritti articoli senza un minimo di documentazione preventiva. Basterebbe una ricerca su Google di tre millisecondi per verificare i fatti, prima di sparare castronerie. Invece questi “giornalisti” fanno copia incolla dal web (tra l’altro senza citare la fonte) e pubblicano delle idiozie. Solo per fare “audience”, per far aumentare i clic sul sito. La cosa triste è che non mi riferisco a blog amatoriali, ma a importanti portali di informazione come Repubblica, il Corriere,la Stampa… Su “Fantasy Magazine” mi hanno insegnato a scrivere molto più professionalmente di questa gente qua, che magari è pure pagata per fare il giornalista. È deprimente. Mi hanno insegnato come documentarmi, come scrivere correttamente secondo le regole grammaticali ed editoriali. Le basi del giornalismo, le cinque “W”: Who, When, What, Where, Why. Mi hanno insegnato come sintetizzare i concetti e renderli fruibili per il lettore (una lezione tra l’altro che mi è tornata utile anche in narrativa). Insomma io spendevo diverso tempo in rete per assicurarmi che non scrivessi imbecillagini, ed erano articoli su film, libri. E questi qui scrivono di politica o di eventi mondiali e non si informano un minimo? Ridicolo. Mi è stato insegnato a rileggere quel che ho scritto mille volte prima di pubblicare. Questi qui è evidente che a volte non rileggono neanche una volta! Questo non è giornalismo, per me.
COME SI CONCILIA UN MODO DI NARRARE ISTINTIVO E PIU’ LEGATO AL CUORE, COME QUELLO DELLA NARRATIVA, CON UNA MANIERA DI SCRIVERE PIU’ RAGIONATA E PIU’ LEGATA ALLA MENTE, COME QUELLA DEL GIORNALISMO?
La prima stesura è tutta istinto, di “pancia” ed è guidata appunto dal cuore, come dici tu, dall’emozione. La parte giornalistica, almeno nel mio caso, mi è utile dopo, quando si tratta di rivedere con mente più fredda. Correggere gli errori, togliere il superfluo e pensare anche al lettore, che non è dentro la tua testa; quindi un pezzo che magari per te era ben scritto e comunicativo, in realtà una terza persona non ci capirebbe nulla! Torno su quel che dicevo prima sul fatto di sintetizzare, tagliare, eliminare aggettivi. È importantissimo, e vale nel giornalismo come nella narrativa. Se lasciamo “raffreddare” un po’ lo scritto per un certo tempo, quando lo rileggiamo ci accorgiamo che avevamo sicuramente scritto troppo, per paura che il lettore non capisse. Lì bisogna semplificare e rendere tutto più fluido.
TI SEI SPESSO OCCUPATO DI GENERE FANTASTICO: QUAL E’ IL TUO RAPPORTO CON IL “SENSE OF WONDER” E CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?
Importantissimo. A me una storia attira (sia leggerla che scriverla) quando c’è l’elemento fuori dal comune, soprannaturale, diverso. Facciamo un distinzione, forse un po’ pomposa, tra narrativa “mimetica” e “non mimetica”. La prima, per definizione, mima e riproduce la realtà. Io invece sono un fan della seconda. Perché è l’unica secondo me che può scatenare davvero il “sense of wonder”. Adoro tutto ciò che esula dal normale, non solo il fantasy. Il mio primo romanzo è un fantasy per ragazzi, ma ho altre cose in cantiere. Mi piace esplorare l’horror, la fantascienza, il weird… senza disdegnare le commistioni tra i generi. Insomma, in una parola, il fantastico. Voglio aggiungere anche una cosa, però. Secondo me si ottiene il risultato migliore quando il fantastico irrompe nel quotidiano, stravolgendolo. Perché così la narrazione diventa più realistica. Leggi una qualsiasi storia di Stephen King, per esempio. Il lettore trova ambienti familiari, si affeziona ai protagonisti perché sono persone comuni, come lui. Quindi poi, quando il soprannaturale arriva, fa molto più effetto.
VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?
Da moltissime cose, da quello che vivo tutti i giorni. Gente che incontro, episodi sul lavoro o per strada; da articoli che leggo magari su un sito, da un filmato su YouTube, da un film. Ovviamente anche da quel che leggo… o da un quadro, un’immagine. Le fonti sono infinite. Poi magari mi immagino un “What if”, ovvero un “cosa succederebbe se”. A volte parto da un una situazione reale, inserisco un elemento fantastico e vedo come si sviluppa la vicenda. Fondamentale è l’immaginazione. Bisogna osservare il mondo circostante con mente attenta e curiosa, e poi fantasticare sugli eventi, o i personaggi, che ci hanno colpito.
HAI SCRITTO SIA RACCONTI CHE UN ROMANZO: IN QUALE FORMA DI ESPRESSIONE TI TROVI PIU’ A TUO AGIO?
Il racconto mi piace perché è come una scarica di adrenalina. Una cosa rapida (anche se non per questo facile da scrivere) che dà soddisfazione, se riesci a chiudere nel modo che volevi e se suscita emozione. Il romanzo ha un respiro molto più ampio, ti permette di raccontare storie molto più ricche, ambientazioni più complesse. Chiaramente per scriverlo è necessario un impegno maggiore. Mi piacciono tutte e due le forme quindi, per motivi diversi.
QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?
Comincerei citando mostri sacri come Tolkien e Lovecraft. È leggendo loro che sono rimasto “intrappolato” dalla letteratura fantastica per tutta la vita. Adoro Stephen King e considero ogni sua opera una scuola di scrittura. Meglio leggersi i suoi libri che partecipare a un corso. Anche il figlio Joe Hill è molto bravo. Un po’ diverso dal padre, lo considero più weird. Dan Simmons è un altro maestro incredibile. Passa dalla fantascienza al fantasy all’horror riuscendo a eccellere in tutti i campi. William Gibson. Un profeta, che ha inventato un genere. Adoro il cyberpunk, anche se adesso pare che sia fuori moda. Altro grandissimo è Philip K. Dick, che non ha bisogno di commenti, la fantascienza non sarebbe la stessa senza di lui. Parlando di italiani, mi piace moltissimo Ammaniti. Certo, in libreria lo trovate in mezzo al cosiddetto mainstream. Ma in realtà scrive delle storie grottesche, assurde, che sconfinano a volte nell’horror. Bravissimo. Non dimentichiamoci di Valerio Evangelisti. Il suo inquisitore Eymerich è forse il più bel personaggio letterario dell’ultimo ventennio, e le ambientazioni non sono da meno. Mi piacciono anche Luca Masali, Massimo Mongai e Lanfranco Fabriani.
E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?
Ok, preparatevi a un lungo elenco… La trilogia del “Signore degli Anelli”, “Matrix” (solo il primo), “Highlander”, “Guerre Stellari” (ma i giovani direbbero “Star Wars”), “Blade Runner”, “Ladyhawke” (unico neo, trovo la colonna sonora un po’ fuori luogo), “Excalibur”, “Lo Squalo”, “La Casa”, “Shining”, “Inception”, “Moon” (finalmente uno sci-fi che non si affida solo a effetti speciali), “Cloverfield”. Basta non finisco più… tutti i vecchi fantasy con gli effetti di Harry Harryhausen (“Gli Argonauti” in primis)… I primi due “Alien”, “Tron” (l’originale, ovviamente), “Jurassic Park”, “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, “1997 – Fuga da New York”, “Essi vivono”, “La cosa”, “The fog” (quasi tutto John Carpenter, in effetti), “Terminator 1 e 2”, “Zombi” (tutti quelli di Romero, ma in particolare il secondo, quello ambientato al centro commerciale), “Willow”, “L’uomo che visse nel futuro”, “Il pianeta proibito”, “L’invasione degli ultracorpi” (anche il suo remake anni ’70, “Terrore dallo spazio profondo”), “Titanic”, “King Kong” (quello anni ’30), “The Mist”, “V per vendetta”. E per finire ho un fascino in generale per tutta la sci-fi in bianco e nero del passato… Ve l’ho detto che era un elenco lungo!
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?
Per il futuro ovviamente spero di affermarmi come autore indipendente. Voglio approfittare della libertà che mi sono autoconcesso… non dover rendere conto a nessuno di ciò che scrivo, potere sperimentare qualsiasi cosa. Fondamentalmente spero di riuscire nel compito più difficile per uno scrittore: suscitare emozioni. Spero di trovare un mio pubblico, che si affezioni al mio stile, alle mie storie… ah, magari anche al mio sito! (fulviozorzer.wordpress.com). Sogno nel cassetto? Se dobbiamo sognare facciamolo alla grande. Spero un giorno di poter vivere della mia scrittura. Lo so in Italia si dice che è impossibile. Ma l’impossibile per un bambino che ama sognare non esiste, e io, come dicevo molte parole fa, sono un bambino quarantenne.
DI QUEI BAMBINI CHE PIACCIONO TANTO A NOI DELLA ZONA MORTA: BENVENUTO NEL CLUB, ALLORA!