“Anche l’uomo che ha puro il suo cuore
e ogni giorno si raccoglie in preghiera
può diventar lupo se fiorisce l’Aconito
e la Luna piena splende la sera..”
(“L’Uomo Lupo” di George Waggner)
La storia filmografica della nascita dell’Uomo Lupo è forse la più incerta di tutte. Infatti, se vogliamo effettivamente trovare un personaggio che risponda alle caratteristiche che noi oggi conosciamo del Licantropo, bisogna risalire al 1935 con il film “Werewolf Of London” che circolò in Italia principalmente con il titolo “IL FIORE DEL TIBET” o anche come “IL SEGRETO DEL TIBET”.
E’ la storia di un misterioso e in realtà inesistente fiore tibetano, fonte di vita per i Licantropi. L’Uomo Lupo del film, l’attore Henry Hull è forse il primo sul quale è stata applicata la tecnica delle “sovrapposizioni successive”, una sequenza cioè di vari fotogrammi sovrapposti l’uno all’altro, modificando la pesantezza del trucco. Le caratteristiche essenziali di un buon Licantropo che si rispetti sono note a tutti: nelle notti di luna piena l’individuo che è stato morso a sua volta da un Lupo Mannaro si trasforma in una creatura dalla forza e dall’agilità sovrumana. Con il sorgere del sole egli riacquista il suo aspetto normale ma è dimentico, una volta riacquistate le sembianze umane, di ciò che ha fatto. Tutte queste caratteristiche sono presenti nel più classico Uomo Lupo della cinematografia: Larry Talbot e cioè l’attore Lon Chaney Jr.
Il suo vero nome era Creighton Chaney ed era nato ad Oklahoma City nel 1915: figlio del più celebre Lon Chaney, attore famosissimo del cinema muto, egli assunse il nome del padre per ragioni pubblicitarie e anche per tentare di seguire le orme del genitore nella carriera artistica. Questo rimase principalmente un desiderio solo in parte appagato. Lon Chaney Jr. fu, infatti, solo un discreto attore e la sua fama gli arrivò soprattutto grazie alle sue tormentate interpretazioni di Larry Talbot, l’Uomo Lupo, per la dimensione disperatamente umana che diede al suo sfortunato personaggio. L’attore dichiarò sempre di disprezzare i ruoli della Mummia o di Frankenstein che sostenne in alcune pellicole e che invece amava moltissimo il ruolo dell’Uomo Lupo, tanto che parlando del personaggio che lo aveva reso famoso lo definiva amorevolmente come “Il mio bambino”.
Morì nel 1973 per lo stesso male che aveva colpito il padre: un tumore alla gola.
Nel 1941, ancora praticamente sconosciuto, Lon Chaney Jr. girò il suo primo film nel ruolo che lo rese famoso: “L’UOMO LUPO” (“The Wolf Man”), per la regia di George Waggner. La trama era sostanzialmente semplice: morso da un altro Licantropo da lui ucciso, Larry Talbot si trasforma a sua volta nella mostruosa creatura notturna. Il padre di Larry (interpretato sullo schermo dallo scomparso Claude Rains, attore famoso per le sue interpretazioni de “L’UOMO INVISIBILE” e di “NOTORIUS”, “IL PIANETA DEGLI UOMINI SPENTI” e “MONDO PERDUTO”, solo per citarne alcuni) scopre il segreto del figlio solo alla fine ed è quindi costretto a uccidere con un pesante bastone da passeggio col manico d’argento, unico elemento fatale ai Licantropi, il mostro che lo aveva assalito.
Abbiamo accennato prima al sistema delle “sovrapposizioni successive”, lasciamo che sia lo stesso Chaney a spiegarcene il meccanismo: “Per la sequenza della trasformazione arrivavo sulla scena alle due del mattino. Quando avevo raggiunto la posizione stabilita, prendevano alcuni aghi e li infilavano nella pelle meno sensibile dei polpastrelli di tutte e due le mani così da non farmi muovere. Mentre ero in quella posizione prendevano un calco di gesso della mia testa da dietro. Poi, sempre da dietro, mi toglievano i vestiti e li inamidavano, questo perché le pieghe della stoffa non cambiassero posizione. Mentre li stavano asciugando, provvedevano a bloccare la cinepresa, appesantendola con un peso da una tonnellata così da non farla tremare quando la gente camminava nello studio. Questa cinepresa aveva sopra due mirini per i miei occhi in modo che restassero sempre fissi in uno stesso punto. Poi, mentre ero ancora in posizione, impressionavano cinque o dieci fotogrammi di pellicola e li mandavano in laboratorio. Mentre li stavano sviluppando arrivava il truccatore e mi struccava completamente e poi mi ritruccava da capo, solo con una truccatura più leggera (Siamo nel momento inverso: Chaney si sta trasformando da Lupo in uomo). Io ero sempre immobile. Quando il film arrivava dal laboratorio, lo rimettevano nella cinepresa e mi controllavano sovrapponendo l’immagine alla mia per terra. Magari mi avvertivano: “Hai mosso gli occhi, guarda un poco più a destra, ora hai alzato la testa…” eccetera … Poi riprendevano tutto da capo e impressionavano altri dieci fotogrammi. In conclusione facemmo ventun cambi di truccatura e ci vollero ventidue ore”.
Osservando la scena della trasformazione a velocità normale sembrava veramente che Chaney perdesse le fattezze di Lupo, o viceversa, con un effetto veramente pregevole.
Il trucco era effettuato in sei ore da Jack Pierce che appiccicava sul volto di Chaney peli di Yak, una specie di bue indiano, e alghe marine disseccate. Sul naso veniva applicata una falsa appendice a forma di T, ai denti venivano aggiunte false zanne e peli alle mani. Nei film successivi si usarono dei guanti appositi e ai piedi venivano calzati stivaletti prefabbricati a forma di zampa di lupo.
Il trucco veniva rimosso con frizioni di acetone. Le scene della trasformazione erano realizzate, oltre che dal truccatore Pierce, dall’esperto di effetti speciali John P. Fulton e dal fotografo Joseph Valentine. La tecnica di Pierce, come si è potuto capire, richiedeva tempo e pazienza. E’ a lui che si devono le perfette truccature di Boris Karloff nei suoi tre celebri Frankenstein, della Mummia e anche quello di Elsa Lanchester nel film “LA MOGLIE DI FRANKENSTEIN”.
Lon Chaney riprese i panni di Larry Talbot nel film “FRANKENSTEIN CONTRO L’UOMO LUPO” (“Frankenstein meet the Wolf Man”) del 1943, per la regia di Roy William Neill e approfondì maggiormente il suo personaggio, la sua disperata ricerca di un mezzo per morire definitivamente e abbandonare così un’orribile vita eterna ed è forse questa la parte migliore del film a parte le sequenze sulle trasformazioni. Poi appare ancora in “AL DI LA’ DEL MISTERO” (“House of Frankenstein” – 1944) di Erle C. Kenton e “LA CASA DEGLI ORRORI” (“House of Dracula” – 1945) ancora di Kenton, forse meglio conosciuto come “DRACULA NELLA CASA DEGLI ORRORI”.
In quest’ultimo film Larry Talbot guarisce dalla sua maledizione e riprende la sua vita normale ma tornerà un’ultima volta a vestire i panni del “suo bambino” in “(GIANNI E PINOTTO E) IL CERVELLO DI FRANKENSTEIN” (“Abbott e Costello meet Frankenstein” – 1948) di Charles T. Barton.
Sulla figura dell’Uomo Lupo piomba il buio e ben poco viene fatto dopo, se si eccettua “IL MOSTRO DELLA CALIFORNIA” (“The Were Wolf” – 1956) di Fred F.Sears, l’italiano “LYCANTROPHUS” di Richard Benson (Paolo Heusch – 1961) e “L’IMPLACABILE CONDANNA” (“The Curse of the Werewolf” – 1961), una produzione Hammer con Oliver Reed e diretta da Terence Fisher, che fu comunque una delle migliori storie sull’Uomo Lupo mai presentata. Poi, nel 1981, ecco “UN LUPO MANNARO AMERICANO A LONDRA” (“An American Werewolf in London”) di John Landis dove l’effettista Rick Baker si esibisce in una tecnica rivoluzionaria, girando solo alcune scene in stop – motion e mostrando una trasformazione in diretta usando dei pupazzi meccanici e delle pompette nascoste sotto una truccatura detta meglio protesi la quale, gonfiandosi e sgonfiandosi, dava un’idea perfetta delle modificazioni che il volto stava subendo. La stessa tecnica ritorna, ancora più sofisticata e complessa con “L’ULULATO” (“The Howling” – 1981) di Joe Dante per poi terminare, almeno per ora, e tecnicamente parlando completata esaltata e magnificata dall’avvento del computer, con “UN LUPO MANNARO AMERICANO A PARIGI” (“An American Werewolf in Paris” – 1996) di Anthony Walker, del 1997. Ma per dovere di cronaca non dimentichiamo nemmeno la performance di Jack Nicholson in “WOLF LA BELVA E’ FUORI” (“Wolf”) di Mike Nichols (1994) che unisce il thriller all’orrore in maniera allettante (e anche il recente “WOLFMAN” – “The Wolfman”, 2012 – di Joe Johnston con Benicio Del Toro nel ruolo del Licantropo, ndr). Ma nessuno degli attori sottoposti a lunghe ore di truccature infinitamente meno dolorose e brigose di quelle cui si sottopose Chaney, ricorderà il personaggio interpretato con lo stesso amore con cui il vecchio e scomparso attore ricordava il suo bambino.