“Vai, vivi! Nostra Signora è la morte!”
(“La Moglie di Frankenstein” di James Whale)
Nel 1972 lo scrittore inglese Brian W. Aldiss pubblicò “The Billion Years Spree”, una storia sulla fantascienza. In essa lo scrittore dichiarava senza mezzi termini che la fantascienza moderna ha inizio con il romanzo di Mary Shelley “Frankenstein, il Moderno Prometeo”.
Nel campo cinematografico, invece, si è sempre voluto classificare il mostro di Frankenstein come appartenente al cinema dell’orrore ma ciò non è giusto perché la Creatura è il risultato di un esperimento “scientifico”, incredibile finché si vuole, almeno per ora, ma che ha delle fantasiose basi scientifiche e per il problema che pone: quello della liceità di certi esperimenti che violano le leggi di Dio.
Dobbiamo prima di tutto precisare una cosa che molti probabilmente già sapranno. Frankenstein è il nome dello scienziato che ha creato il mostro, il quale non ha un nome ed è definito più esplicitamente come “Creatura”.
Con il passare del tempo… e dei film, l’essere si è appropriato del nome facendolo praticamente suo.
La pellicola più famosa sulla tormentata creatura di Mary Wollstonecraft Shelley è certamente quella del 1931 dovuta alla regia di James Whale: “FRANKENSTEIN” (“Frankenstein”). Inizialmente il mostro fu interpretato da Bela Lugosi e ne furono girate anche due bobine di prova, purtroppo irrimediabilmente scomparse, però l’attore non volle ulteriormente sottoporsi a una truccatura pesante, ma in tempi diversi, e durante il suo lungo declino, Bela Lugosi accettò in seguito d’interpretare la creatura.
Toccò quindi a quella che allora era poco più che una comparsa il compito di portare sullo schermo il mostro: Boris Karloff.
La complessa truccatura fu opera, manco a dirlo, del solito Jack Pierce, il quale studiò per tre settimane manuali di medicina per poter rendere visivamente e verosimilmente la sua Creatura. Il risultato di questi studi fu, per esempio, la testa piatta del mostro perché in questo modo sarebbe risultata tagliando un cranio con la tecnica più semplice che la chirurgia dell’epoca sapeva usare. Poi usò delle normali prese di corrente per simulare le due barrette sul collo da dove l’essere riceveva nuova energia. Il trucco sul viso era di colore verde e grigio e i pori sulla pelle si ottennero con crema di formaggio assieme a degli strati di cerone. Due mezzelune di gomma diedero alla Creatura un aspetto non molto sveglio. L’abito era volutamente più corto per far sembrare l’attore più alto e due paia di calzoni servivano a rendere più massicce le sue gambe. Delle protesi d’acciaio tenevano le sue gambe rigide e leggermente arcuate e gli stivali erano quelli usati dagli asfaltatori appesantiti con del piombo. Dei fili e degli ami nascosti sotto il trucco tenevano piegati gli angoli della bocca e il capo fu allungato con strati di cotone tenuti assieme da del collante liquido, lo stesso usato per fissare i due finti elettrodi. La truccatura necessitava di più di tre ore di lavoro e anche la struccatura, se pur richiedeva solo un’ora, era estremamente complicata per via degli acidi e dei solventi che venivano usati e che provocava nell’attore una specie di ubriacatura. Una volta truccato, Karloff non poteva farsi vedere da nessuno e non poteva neppure fumare perché tutto il rivestimento era estremamente infiammabile.
Come al solito, e dato che il film fu un successo, nel 1935 James Whale girò un seguito della storia intitolato “LA MOGLIE DI FRANKENSTEIN” (“The Bride of Frankenstein”) che è considerato perfino migliore del primo, una cosa che accade ben raramente nel cinema. Di nuovo Karloff rivestì i panni della creatura: in questo film parla e chiede al suo creatore una donna. Lo scienziato è costretto ad accontentarlo e abbiamo così il modo di assistere a un’altra creazione di Pierce che trucca Elsa Lanchester, la quale all’inizio della pellicola interpretava il ruolo di Mary Shelley, in modo da farla sembrare la moglie adatta al mostro. Rifiutato anche da lei, la Creatura decide di distruggere il laboratorio salvando però lo scienziato.
Karloff riveste per l’ultima volta i panni del mostro nel film “IL FIGLIO DI FRANKENSTEIN” (“Son of Frankenstein”) di Rowland V. Lee (1939) e poi passa il testimone a Glenn Strange il quale lo sostituirà abbastanza degnamente alternandosi però con Lon Chaney Jr. e Bela Lugosi.
Di nuovo la Hammer invade il territorio dei mostri della Universal con la pellicola a colori di Terence Fisher “LA VENDETTA DI FRANKENSTEIN” (“The Revenge of Frankenstein” – 1958) con ovviamente Christopher Lee nella parte del mostro e Peter Cushing nel ruolo di Victor Frankenstein, lo scienziato. La pellicola fu stroncata dalla critica che dimostrò una volta di più la sua acuta lungimiranza, ma fu un successo sensazionale che permise alla Hammer di crescere e d’invadere il mercato d’oltreoceano con le sue successive produzioni. La Universal annunciò alla stampa che avrebbe ceduto alla Hammer i diritti per i remake della sua produzione horror. Anche se la ex piccola casa inglese cercò con produzioni diversificate e successive di essere presente sul mercato, la sua gloria e la sua fama, ancora oggi, restano legate al cinema dell’orrore.
Non possiamo poi non dire due parole su una delle migliori parodie che il cinema abbia mai prodotto, quel “FRANKENSTEIN JUNIOR” (“Young Frankenstein” - 1975) di Mel Brooks, girato, per di più usando le stesse vetuste ma ben conservate apparecchiature del laboratorio di Frankenstein dei primi due film di Whale.
Nel 1991 Robert De Niro, truccato però in modo da farsi riconoscere, interpreta il ruolo del mostro in “FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY” (“Mary Shelley’s Frankenstein”) di Kenneth Branagh, il che conferma una volta di più di come il genere ora non conosca confini di registi o limitazioni d’attori, ma ancora oggi, di qualunque personaggio si parli, ciò che è consegnato alla storia è la produzione artigianalistica passata non quella mastodontica, perfezionistica e spettacolare del presente. Il futuro risponderà.