Scrittore, sceneggiatore, musicista, illustratore, giornalista… Paolo Di Orazio è questo e molto altro, ma soprattutto è stato il “padre” dello splatter italiano: tanto tempo fa curava le riviste a fumetti “Splatter” e “Mostri” che segnarono un’epoca e lanciarono un genere che allora nel nostro paese era semisconosciuto… tanto tempo fa dava alle stampe un’antologia che fece molto discutere e che fu un vero bestseller nazionale, Primi Delitti… tanto tempo fa lo abbiamo incontrato, quando ancora eravamo solo una piccola ma agguerrita fanzine fotocopiata e internet era ben lontana dall’arrivare. Da allora è passata davvero molta acqua sotto i ponti, eppure rieccoci di nuovo qua: noi… e Paolo Di Orazio.
VISTO CHE GIA’ SEI STATO NOSTRO OSPITE TANTI ANNI FA, NEL LONTANO 1990, QUANDO ANCORA ERAVAMO UNA FANZINE CARTACEA, CI VIENE SPONTANEO CHIEDERTI: CHI È ORA PAOLO DI ORAZIO E COSA E COME SEI CAMBIATO IN TUTTO QUESTO TEMPO?
Ritrovarvi è sicuramente sbalorditivo innanzitutto e vi ringrazio… La domanda non è affatto banale e non saprei da dove cominciare. Credo di essere la stessa persona di 23 anni fa, ma con una visione più omogenea e controllata (nel senso zen del termine) dell’arte del terrore. Punto primo: amo sempre l’horror, ma lo amo così tanto che ho dovuto smettere da tempo di leggere i miei autori preferiti perché ne sentivo troppo l’influenza; ho preferito invece spingermi nella ricerca radicale della mia anima e tirare fuori quanto di più puro potessi mettere su pagina. Ho cercato altrove le proteine per i miei orrori. Proprio in occasione della ripubblicazione di Madre Mostro/L’Incubatrice (Mezzotints) e precedentemente la stampa del romanzo Chiruphènia (Universitalia, 2012, scritto tra il 1995 e il ’96), mi sono accorto di quanto i miei testi fossero privi di ironia e calore umano. Una gelidità – se così si può dire – che oggi non riesco a ripercorrere perché ho imparato a giocare coi paradossi anziché scalare il barocchismo di perifrasi e parafrasi. Credo che 24 anni fa, fino appunto a Chiruphènia, tutto quel che ho prodotto agli inizi l’ho affrontato troppo sul serio. Di diverso, credo di non avere più la rabbia urgente di raccontare e dire la mia, ma di lasciar raccontare i personaggi stessi, per mettere in scena la mia disinibizione, ovvero, quello che nella realtà farei (mentre prima potevo trascrivere solo quello che non avrei mai fatto). Nel romanzo Vloody Mary (Coniglio Editore, 2011), ho voluto spingere i personaggi verso lidi estremi che nessun cinema avrà mai il coraggio di filmare, come pure nel racconto aggiunto che apre la raccolta L’Incubatrice: qui accadono cose che non avrei mai dipinto prima. Credo oggi di avere un maggior controllo degli elementi, e un rilascio più libero di visioni da incubo anche passando per la semplicità.
COSA RICORDI DEI TUOI ESORDI DI SCRITTORE?
Ricordo che fremevo per affermarmi, che avevo un impulso feroce di vomitare parole. Scrivevo la notte, posseduto dal vortice incontrollabile del narcisismo produttivo. Ora aspetto che la storia giusta arrivi e che mi parli. Non significa affatto che non mi interessa pubblicare, anzi. Sono sempre più vittima del protagonismo e del confronto diretto coi lettori. Sto ancora aspettando di diventare un autore di grido e spero di riuscirci presto con una storia che piaccia a tutti. Mi sento un po’ come un John Carpenter: le major non mi vogliono, nonostante le mie storie piacciano a tutti. In fondo, l’horror è semplicemente l’evoluzione della fiaba. Niente di più, niente di meno. Ma non si può essere un juke-box, credo di avere il sano coraggio di tacere quando non ho nulla da dire. Ma l’impulso di portare a tutti il fascino del terrore cresce con l’avanzare dell’età.
VUOI PARLARCI DELLE PRODUZIONI PRECEDENTI CUI SEI PIU’ LEGATO?
Vloody Mary è il romanzo a cui tengo di più in assoluto. Gestito un anno intero nella testa, l’ho rovesciato su carta in una settimana. Erano anni che prevedevo l’avvento zombi e volevo essere in sincronia coi tempi. Vloody è la storia di una deejay metamorta, uno zombi al contrario (il cervello che tiene insieme un corpo morto) al centro delle indagini su un caso di omicidi bizzarri e violentissimi. In realtà non è un romanzo vero e proprio ma un’iliade sulla musica, che fonde finalmente la mia esperienza di palco e una storia pseudo gialla con un commissario e un’orda di cadaveri che tornano in vita, cannibalismo, necrofilia, rock, esoterismo e putrefazione, violenza estrema. Ah, e c’è posto anche per un prete porfiriaco e il suo golem. Adoro le contaminazioni, e in questa storia ho fatto l’en plein collocando i miei personaggi nei luoghi di Roma, gli stessi dove ho suonato per decine di migliaia di persone in tanti anni di attività da batterista. Ho voluto creare il personaggio Vloody Mary proprio per descrivere questi momenti di palco e musica, nell’orgia collettiva del ritmo. Non poteva mancare un sipario a fumetti, in onore alla tecnica-flash di Tarantino usata su Kill Bill: rompere il racconto passando dalla scrittura al fumetto. Una sorpresa che pare abbia fatto il suo porco effetto.
RECENTEMENTE HAI PUBBLICATO IN DIGITALE “L’INCUBATRICE”, VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA DI UN TUO CAVALLO DI BATTAGLIA. CE NE VUOI PARLARE?
Madre Mostro è stata la mia seconda raccolta di racconti dopo il bestseller (vero) Primi Delitti. L’idea di ripubblicarla è stata dell’intraprendente Alessandro Manzetti, vero esperto e amatore della letteratura horror mondiale. Per la prima volta in vita mia, un libro è stato letto, amato e analizzato in uno scrupolosissimo lavoro di editing che ha portato a un risultato splendido, a mio avviso. Per chi avesse perso l’edizione dell’epoca (1991), questa è l’occasione giusta (in formato e-book) per trovare i miei primissimi vagiti nell’horror (Primi Delitti è un libro di racconti noir) che ho sempre amato. La metamorfosi, l’incubo kafkiano, i sottomondi. I racconti senz’altro risentono della mia iperdieta di letture tra il 1970 e metà ’80 (tutto l’horror Marvel e DC, King, Barker, testi di tanatologia e medicina), con i classici colpi di scena alla «Creepy». Ho voluto aggiungere un’inedito (Il contratto, racconto di apertura) per agganciare la vecchia raccolta al mio presente modo di scrivere. Raffinando il tutto con un minuzioso editing, c’è stato un livellamento di pulizia adeguato al valore globale della raccolta. Questo è un libro per chi non ha paura di leggere storie di mostri, crimini feroci, oggetti assassini, ma anche storie di sovrannaturale inteso come non scientificamente dimostrabile, senza sentire l’imbarazzo della mia firma da italiano. Come per Primi delitti, non mi sono posto il problema della commerciabilità delle idee raccontate, ma semplicemente quello di dare in pasto ai cultori di «Splatter» e Primi delitti un testo che parlasse della parte ragionata di me, il meglio di me. Con l’operazione e-book di Mezzotints (L’Incubatrice è uno dei racconti preferiti sia da me che dai lettori), ho voluto approfittare per dare un nuovo titolo alla raccolta: quello originale non mi piaceva più. Rimettersi in discussione e saper riconoscere i limiti del tempo. Forse questo è evolvere.
QUAL È STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NEL RIPRENDERE IN MANO L’ANTOLOGIA?
Per l’appunto, resistere alla tentazione di riscrivere tutto. Eliminare quelli che ritenevo preziosismi e che invece oggi mi suonano ingombranti barocchismi è stato fatto, anche con l’aiuto di due bravissimi editor. Personalmente avrei modificato la stesura, ma mi sono lasciato aiutare da chi mi ha dimostrato pienamente di sapere il fatto suo.
COME E QUANTO SONO CAMBIATI I TEMPI RISPETTO ALLA VERSIONE ORIGINALE DEL 1991… SE SONO CAMBIATI?
Io non credo sia cambiato granché, da allora. È solo e sempre questione di far arrivare al pubblico i prodotti. Proprio in questi giorni sto portando alla resurrezione la mia rivista «Splatter», da dove è iniziato il mio cammino pubblico nell’horror. L’affetto e l’imprinting lasciato dai racconti dimostrano oggi che il segnale allora è stato molto forte, rispetto a quanto mi fossi immaginato. Ricordo un momento preciso, mentre scrivevo il racconto Federica, Virginia e la metempsicosi, era notte fonda, e mi spaventai per un preciso passaggio che avevo appena trascritto. Mi dovetti fermare… ero alle mie prime esperienze di transfer, quel delicatissimo passaggio dalla concentrazione all’esaltazione della scrittura in cui assisti a quello che la storia ti sta raccontando. In quel momento, ho capito che scrivere non è mettere insieme belle e numerose parole, ma davvero captare correnti invisibili (dentro o fuori di noi, chissà) che portano fatti e personaggi con la loro storia, quella storia e nessun’altra che quella. L’horror è sempre lo stesso di un tempo, e credo che Videodrome di Cronenberg (praticamente l’incubatrice stessa della mia narrativa, dopo la fecondazione coi fumetti e il cinema dei ‘70) sia un calibro totalizzante per stabilire dove finisce il classico e inizia il moderno (anche se un racconto come Aria Fredda di HPL, che chiamo continuamente in causa, anche per quanto riguarda i topoi grammaticali del fumetto, è sempre moderno). Quello che cambia, forse, tra la stesura di allora e quella di oggi, in poche parole, è un mio maturato senso di sintesi, ovvero la tendenza a non sporcare con parole inutili le immagini che voglio raccontare per arrivare al cuore del lettore. Oggi più di allora, il bisogno taumaturgico dell’orrore è molto intenso, a livello collettivo, e ritengo che per me, assumermi la responsabilità come editore (assieme a Paolo Altibrandi nella Elm Street House Edizioni), il rilancio di «Splatter» sia un evento cabalistico. Esternamente, da allora è cambiato il significato della parola horror. Oggi film come Seven o Saw sono classificati horror, come anche sento dire di Profondo rosso. Lovecraft e Hitchcock si rivoltano nella tomba ogni volta che sento o leggo questa eresia.
OLTRE CHE SCRITTORE SEI ANCHE MUSICISTA, DISEGNATORE E SCENEGGIATORE. VUOI PARLARCI DI QUESTA SECONDA FACCIA DELLA MEDAGLIA DELLA TUA ATTIVITA’?
La musica ha fatto parte della mia vita per un intero decennio a livello professionale, ma mi appartiene da sempre, dall’infanzia, di pari passo con la febbre dei comics e dell’orrore. I disegni, invece, appesi nel mio sito paolodiorazioart.com, ritraggono gli spettri dell’anima che ho catturato dai libri di favole della mia infanzia, passati poi nel tritatutto della nuova carne barkeriana e cronenberghiana, omaggiando coi miei limiti il mio amore per Dalì, Rousseau, Magritte, Goya, Picasso e Bruegel. La musica è parte integrante della mia schizofrenia e l’ho fatta diventare una realtà lavorativa spingendo un paio di amici d’epoca a fondare la band cult “Latte & i suoi derivati” (nome parafulmine di energie nefaste), così per gioco e passatempo nel 1991. La parabola di questo progetto, che univa prepotentemente la musica all’immaginario dei fumetti e dei cartoon, ha portato in breve un trio di fumettisti (tra cui me) dalla Acme (allora casa editrice di «Lupo Alberto», «Cattivik», «Splatter») ai palchi e alle emittenti radio e tv di tutta Italia. 1500 concerti dal vivo e esibizioni televisive nei programmi più importanti fino all’anno 2000 (poi ho smesso di contarli). Ho suonato per qualche milione di persone, viaggiato per centinaia di migliaia di km e bevuto cisterne di birra, fino all’aborto voluto dai miei ex soci nel 1998, al momento di scegliere se diventare davvero famosi o no di fronte al contratto discografico che qualunque musicista di ogni angolo del pianeta sogna appena decide di fare musica. A parte questo epocale errore imperdonabile e irreparabile (al secondo posto dopo la bomba atomica), ho comunque potuto imparare cosa significhi vivere on the road, confrontarmi coi musicisti di ogni estrazione, comunicare col pubblico – anche quello che non ha voglia di ascoltarti; capire cosa fanno di te un palco e la televisione, e quanto possono essere viscide certe donne e plagiabili molti uomini nel bagno dell’ipocrisia nello showbiz, in un mare di merda post-moderna che merita prima o poi un libro; e soprattutto ho imparato che non bisogna contare mai sugli altri, ma solo ed esclusivamente sulla propria persona e personalità, senza pietà e senza sconti. Adoro le biografie rock al veleno! Il disegno, quindi resta per ora l’elemento più complesso da sviluppare, visto che la scrittura mi chiama da più parti. Ma non ho rimpianti: sono sempre convinto che se della mia parte grafica resta una traccia ancora tutta da sviluppare, forse presto, forse mai, è sempre e comunque un elemento in cui mi riconosco nel tempo.
COME SI CONCILIANO TUTTE QUESTE SFACCETTATURE IN UNA SOLA PERSONA?
Molti mi accusano di non concentrarmi su una cosa sola, il resto ammira le mie diverse capacità. Non ho mai voluto decidere cosa volessi fare o essere, darmi un binario. Le occasioni lavorative totalizzanti hanno sempre scelto per me. Un errore? Troppo tardi per pentirsene.
IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO E PER L’HORROR IN PARTICOLARE. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?
Per me significa ancora, e – credo – per tutti gli autori di buona volontà che affrontano la stessa ricerca, la grande parodia umana e l’antidoto all’idiozia e l’insensibilità. Il mito di Dracula e della possessione demoniaca è l’esaltazione più alta del cristianesimo, gli zombi rappresentano la paura della spersonalizzazione, e forse dell’orrore dello sterminio nazista e di quello che potrebbe ancora succedere in tal senso. L’horror è inoltre per me l’evoluzione della favola e la necessità di dragare racconti che ci spaventino per ritrovare quel calore domestico, primordiale che serviva alle antiche famiglie per fare nucleo; assieme alla spinta aggregativa e lo scopo sociale del racconto agreste attorno al fuoco. È un po’ lo scopo di una rock band: unirsi per fare forza, un metamessaggio tra chi suona e chi ascolta. Il risultato è sempre quello: evocare visioni e provare all’unisono una forte emozione, nel misticismo della vita. Da una parte si fa parlando o scrivendo per una platea, dall’altra, attaccando a un amplificatore il cavo jack di una chitarra – sempre per una platea. In fondo, quando ascolti una canzone straordinaria o leggi un racconto esaltante hai la medesima reazione: pelle d’oca, trasporto in un mondo che non c’è se non per te.
VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?
Dalla realtà. Poi avviene il processo della mia lente deformante.
HAI SCRITTO SIA RACCONTI CHE ROMANZI: IN QUALE FORMA DI ESPRESSIONE TI TROVI PIU’ A TUO AGIO?
Il romanzo è un’opera, anzi un’impresa magnifica ma dolorosa. Il racconto breve, paradossalmente deve dire in fretta tutto e oltre. Due esperienze completamente diverse. Nel racconto breve trovo il piacere personale di un concepimento più veloce e spendibile per antologie, omaggi e offrire lavori in una continuità di presenza nel mercato. Il romanzo, invece, ha una sua vita di difficoltà, è una scommessa immensa a cui però non puoi sottrarti per continuare a divenire scrittore.
QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?
Leopardi, Verga, Foscolo, Pirandello. Lovecraft, Poe, Maupassant e Barker, Bierce. Oliver Sachs.
E PER QUANTO RIGUARDA I FILM CHE PIU’ TI PIACCIONO, CHE CI DICI?
La mia schiera eterna: Alien, Halloween, La Cosa, Shining, Psycho, Profondo rosso e Suspiria, Non aprite quella porta (incluso il remake), Hellraiser, El dia de la bestia, The Ring, Nameless, Rosemary’s Baby, L’inquilino del terzo piano, L’esorcista. Non sopporto a livello di tensione i torture porn, mi turbano eccessivamente. Ma adoro anche i cartoon della Pixar, le commedie americane e inglesi, i film di spionaggio (La conversazione, Il maratoneta), noir (Vivere e morire a Los Angeles, L’amore infedele) o tritapalle come L’odio, Gran Torino, Magnolia, 21 grammi, Amoresperros. Amo Woody Allen, su tutto, ma anche David Lynch e i fratelli Coen.
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?
Allora approfitto subito per ribadire che con la Elm Street House, io e Paolo Altibrandi come editori indipendenti vogliamo portare l’horror a livello popolare (e mondiale grazie anche a un lavoro multilingua per il web) sia grazie al ritorno di «Splatter» (con storie inedite e autori del calibro di Di Virgilio, Bilotta, Barone, Siniscalchi, Morini, Catacchio, Gabos e tantissimi altri) che con altre iniziative tra libri, fumetti e altro; intenzione suffragata dalla operazione Lizard con un libro antologico sulle migliori storie del vecchio «Splatter», il tutto per Lucca 2013.
Dopo lo start up della nostra ESH, l’obiettivo è rendere l’horror made in Italy (scusate la volgarità) un trend ben identificato, di stile. All’Italia è sempre mancato il senso Pop (art) dell’horror e (di conseguenza) del fumetto, ed è questo che dobbiamo imporre, sia coi fumetti che con un divertente merchandising e una scelta di pubblicazioni a tema.
Per quanto riguarda me personalmente, oltre alla scommessa da editore, mi resta di aprire un varco nel cinema. Ma come, quando e dove, impossibile ancora dirlo.
NON PREOCCUPARTI, NOI SAREMO ANCORA QUI AD ASPETTARE TUTTE LE SCOMMESSE E I VARCHI CHE DECIDERAI DI AFFRONTARE… E STAVOLTA NON FAREMO PASSARE TROPPO TEMPO PRIMA DI RISENTIRCI!