OVVERO, COME FENDAR MANGIO’ GRATIS ALLA LOCANDA DI RASTADAN
In un tempo leggendario, quando i Cercatori vagavano di gran passo per le quattro terre e i draghi giovani dalle scaglie multicolori assecondavano ad ali distese i capricci dei venti e le creature più bizzarre si rincorrevano tra gli abeti profumati delle foreste montane, in quel tempo, al calare della sera, tutti si ritrovavano alla locanda di Rastadan.
Benché anche lì, come in ogni locanda che si rispetti, ci fossero grandi tavoli di rovere stagionato e panche di solido ciliegio e servi dalle gambe veloci per servire i clienti, non lo si poteva certo considerare un “posto come tanti”.
Non somigliava alle piccole, fumose taverne di Baal, il porto commerciale più famoso del sud, né c’erano paragoni con le raffinate enoteche di Rafgaver, e nemmeno si poteva dire che fosse uguale agli sconci alberghetti di Lasure, la città del vizio; no, la locanda di Rastadan era unica nel suo genere, visto che occupava un’intera vallata, lassù, tra i monti del nord.
La Locanda degli Dei, era altrimenti chiamata, e credetemi, non le fu mai dato appellativo migliore: i monti invalidati erano le sue pareti, l’erba morbida e umida del fondo della valle il suo pavimento, il cielo stellato le faceva da soffitto e numerose grotte naturali, illuminate da decine di torce, ne costituivano la immensa dispensa.
Vi si entrava e vi si usciva da sud, seguendo il corso del fiume Loteh che a quell’altitudine era solo un ruscello, e tutti potevano sedersi, poiché c’erano tavoli e panche adatti ad ogni peso e dimensione, sicché non era raro vedere un gruppo di Cercatori dissetarsi a pochi metri da un drago rosso, oppure un nano solitario fumare la pipa vicino ad una compagnia di feroci troll.
Nonostante la varietà di creature che la frequentavano, comunque, la Locanda degli dei era un posto tranquillo e se qualcuno alzava il gomito più del dovuto e si metteva a bestemmiare contro una faccia che non gli andava a genio, ci pensavano i servi di Rastadan a quietarlo, che erano più di mille e tutti dalle spalle larghe.
Il padrone, dal canto suo, se ne stava seduto su un ampio balcone di roccia addossato alla montagna, lontano dal frastuono, controllando che i grandi bracieri che illuminavano la locanda ardessero come si doveva e che i servi fossero sempre dove la caraffa era vuota.
C’era persino la musica ad addolcire la fredda notte, e l’orchestra, bene assortita, suonava da una posizione tale che le note rimbalzavano da un masso all’altro diffondendosi in modo uniforme per tutta la vallata.
Quella sera, quando Beltradan il boscaiolo si sedette al suo tavolo preferito, c’era nell’aria la Canzone del Vecchio Marinaio e tutti parlavano sottovoce perché era una ballata severa e commovente, di quelle che si rispettano.
I servi conoscevano bene Beltradan che tagliava i pini della vicina foresta ed era quindi un cliente fisso, così gli portarono i suoi soliti biscotti di noci col miele ed un boccale di birra calda, come da sempre ordinava, ma lui non degnò i biscotti nemmeno di un’annusata e se avesse seguitato a sorseggiare la birra con quel ritmo ci avrebbe messo un mese prima di terminarla. Allora Salmo, che era un bravo servo, di quelli che sanno trattare con i clienti, si avvicinò a lui e così gli disse: “Che hai stasera Beltradan, che non azzanni i biscotti e non vuoti in un solo sorso quel piccolo boccale di birra?”.
Il boscaiolo, con lo sguardo sul tavolo, rispose: “E’ stata una tremenda giornata per me, Salmo, perché ho saputo da un viandante che mio figlio è stato massacrato da Iansavor, il drago solitario del monte Dantav”.
“E’ sì una tremenda notizia, disse Salmo, ma cos’era andato a farci tuo figlio sul monte Dantav, dove non si avventura nemmeno il più coraggioso dei Cercatori?”.
Beltradan allora alzò gli occhi verso il servo, e in essi c’era gratitudine perché si era interessato a lui e al suo dolore, quindi gli spiegò come erano andate le cose.
“Certo tu sai, gli disse, quanto faticoso possa essere servire i clienti per un’intera nottata, m pensa, se può consolarti, che tagliare alberi tutto il giorno può essere dieci volte più duro, sicché mio figlio si era messo in testa di arricchirsi in fretta per non essere costretto a fare il lavoro del padre per tutta la vita… e non posso biasimarlo per questo. Ecco che una mattina lo vedo partire con il sacco sulla spalla e l’ascia nella mano, come un soldato che va alla guerra”.
Finalmente il boscaiolo si rincuorò con una bella sorsata di birra e, dopo essersi asciugato i folti baffi grigi con il dorso della mano, riprese a parlare: “Figlio avventato, gli grido, cosa credi di trovare oltre questa valle che tu possa avere senza un duro lavoro, vuoi forse metterti a fare il ladro? Sì, mi rispose lui, ma mi accontenterò solo delle ricchezze di un vecchio drago che abbia i denti fragili ed i riflessi di una tartaruga… Andrò a rubare il tesoro di Iansavor, che esiste da sempre, e sicuramente farà al caso mio. E detto ciò si girò e partì”.
Salmo gli appoggiò una mano sulla spalla e fece cenno ad un altro servo di portare ancora un boccale di birra, ma Beltradan scattò in piedi in preda alla disperazione e cominciò a gridare: “Maledetti draghi, esseri immondi, che possiate crepare tutti e marcire nelle profondità dell’inferno!”.
A quelle grida sembrò che un mago avesse lanciato un incantesimo del silenzio su tutta la valle: la musica cessò, i servitori si bloccarono dov’erano e Rastadan si alzò dalla sua poltrona imbottita per vedere cosa stava accadendo.
Nessuno però osservava Beltradan, che ora, dispiaciuto per aver alzato la voce, si era messo a sedere con la testa tra le mani… no, gli occhi cercavano di insinuarsi fra i tronchi di un vicino boschetto.
Dopo qualche istante di ansiosa attesa, ecco che gli alberi cominciarono a muoversi, ad oscillare fin dalla base, finché la testa cornuta di un gigantesco drago verde si affacciò con fare curioso.
Una certa agitazione prese allora tutti i presenti, poiché si sapeva che i draghi erano già in cattivi rapporti con gli esseri umani e non avrebbero perdonato certo un umile boscaiolo, anche se in preda allo sconforto.
Infatti quello che si era affacciato si diresse pesantemente verso Beltradan e, dopo essersi schiarito la voce con un ruggito, così gli parlò: “Chi sei tu, piccolo uomo, da poterti permettere di maledire la razza dei draghi, la più nobile tra le razze esistenti?”.
Ma Salmo rispose per il boscaiolo che sembrava essersi rimpicciolito fino all’altezza del più piccolo dei nani: “Perdonalo, potente Fendar, ma il figlio è stato ucciso da Iansavor e…”.
Ma il drago lo interruppe con una tremenda occhiata e disse: “Conosco la storia. Iansavor in persona me l’ha raccontata, ed è solo una tra le tante sorti che toccano ai ladri!”.
Così dicendo divorò Beltradan in un boccone, e nessuno osò portargli il conto.
Originariamente pubblicato sul numero 5 de LA ZONA MORTA, gennaio 1991
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, maggio 2007
16/06/2007, Stefano Vietti