Titolo originale: La sindrome di Stendhal
Anno: 1996
Regia: Dario Argento
Soggetto: Dario Argento e Franco Ferrini, ispirato al libro omonimo di Graziella Magherini
Sceneggiatura: Dario Argento e Franco Ferrini
Direttore della fotografia: Giuseppe Rotunno
Montaggio: Angelo Nicolini
Musica: Ennio Morricone
Effetti speciali: Sergio Stivaletti e Giovanni Corridori
Produzione: Dario Argento e Giuseppe Colombo
Origine: Italia
Durata: 1h e 55’
CAST
Asia Argento, Thomas Kretschmann, Marco Leonardi, Luigi Diberti, Paolo Bonacelli, Julien Lambroschini, John Quentin, Franco Diogene, Lucia Stara, Sonia Topazio, Lorenzo Crespi, Vera Gemma, Veronica Lazar, John Predeferri, Mario Diano, Eleonora Vizzini, Maximilian Nisi, Leonardo Ferrantini, Sandro Giordano, Cinzia Monreale, Michele Kaplan, Ileene Iasseft, Laura Piattella, Vincenzo Uccellini, Elena Bermani, Antonio Marziantonio, Luca Camilletti, Graziano Giusti, Monica Fiorentini, Giancarlo Teodori, Antonello Murru, Marna Del Monaco, Maria Grazia Nazzari
TRAMA
La poliziotta Anna Manni è in trasferta a Firenze per dare la caccia a un killer seviziatore, sviene davanti a un quadro del Brunelleschi agli Uffizi, viene soccorsa dal mostro in persona che pare ossessionato dalla ragazza. Il killer la rapisce e la sevizia per ben due volte, ma il secondo stupro gli sarà fatale, perché la vittima diventa carnefice e diventerà una nuova minaccia psicopatica.
NOTE
La sindrome di Stendhal (1996) è un thriller psicologico intriso di elementi horror che rappresentano la cifra stilistica di Dario Argento. Protagonista principale è ancora una volta Asia Argento, dopo la buona in Trauma (1993), che tornerà sotto la guida del padre ne Il fantasma dell’opera (1998), La terza madre (2007) e Dracula 3D (2012). Asia Argento era già stata protagonista in due produzioni argentiane come Dèmoni 2 (1986) di Lamberto Bava e La chiesa (1989) di Michele Soavi. Il personaggio di Anna Manni, giovane poliziotto romano in trasferta a Firenze per dare la caccia a un maniaco stupratore, permette di vincere ad Asia Argento il “Ciak D’Oro” come miglior attrice protagonista.
La sindrome di Stendhal che dà il titolo al film è quella patologia che provoca malessere e stordimento in certe persone che si trovano di fronte a capolavori. Spiega tutto molto bene (in maniera un po’ didascalica) Paolo Bonacelli nei panni di uno psicologo che cura la poliziotta, facendo riferimento allo scrittore francese, autore de La certosa di Parma e Il rosso e il nero. Bonacelli mentre parla tiene in mano il libro di Graziella Magherini, psichiatra fiorentina, sulla sindrome di Stendhal, che serve come spunto per la pellicola.
Asia Argento è la poliziotta Anna Manni, allucinata dai deliri prodotti dalla patologia, che Sergio Stivaletti e Dario Argento rendono visivamente grazie a interessanti momenti fantastici e onirici. La sindrome di Stendhal è un thriller sconcertante, perché l’assassino – violentatore muore a metà del film e lascia la protagonista alle prese con un delirio ancora più grande. Il film che interessa a Dario Argento comincia nella seconda parte, tutto è molto forte ed eccessivo, con numerosi deliri splatter e sequenze gore degne del miglior Fulci. Argento anticipa la moda del torture porn, che secondo la critica più accorta nasce con Hostel (2005) di Eli Roth e Saw – L’enigmista (2004) di James Wan, ma soprattutto realizza un film crudo e claustrofobico. Molti elementi pittorici, sia nelle sequenze girate nel Museo degli Uffizi, che nelle parti oniriche, quando la protagonista entra dentro le opere d’arte e si confonde nei colori. Straordinaria la sequenza che trasforma Asia Argento in una tavolozza piena di colori sgargianti. Una musica intensa di Ennio Morricone (torna a lavorare con Argento dopo L’uccello dalle piume di cristallo, 1969 e Quattro mosche di velluto grigio, 1971) ricorda il coro della tragedia greca e amplifica il crescendo di follia. La partitura di Morricone è basata sulla passacaglia, una danza del Seicento di origine spagnola, ma il maestro riesce a fondere sonorità classiche e contemporanee in un mix straordinario. Dario Argento sceglie determinate opere d’arte che Freud definiva perturbanti, dopo essersi consultato con alcuni psicanalisti. Citiamone alcuni: la Crocifissione di Grünewald, il Cristo morto del Mantegna, La ronda di notte di Rembrandt, La caduta di Icaro… (Fabio Maiello, Dario Argento, Alacran).
La sindrome di Stendhal è un film che indaga la mente umana, sviscera il legame tra torturato e torturatore, studia la follia e le pieghe più recondite dell’animo umano. Argento compie un preciso percorso attraverso l’analisi di un progressivo turbamento emotivo che parte con una violenza sessuale, che – come un virus – infetta la protagonista. Sono molte le sequenze riuscite a livello di suspense e tensione, soprattutto la parte in cui Anna Manni si libera del suo aguzzino e lo uccide, ma anche nel rocambolesco finale quando non si capisce chi sia il nuovo serial killer. I problemi di Argento sono come sempre nella recitazione degli attori, ma ormai è quasi un pregio, anche se Asia è straordinaria in una parte che sembra scritta proprio per lei. Apprezzabili le parti oniriche condite da intensi flashback sull’infanzia della protagonista, molti elementi da opera pittorica, esteticamente pregevole. Tra gli attori è bravo anche Thomas Kretschmann, delirante killer stupratore ossessionato dall’ispettrice Anna Manni, che si prodiga in diverse sequenze di erotismo torbido con la complicità di una credibile Asia Argento. Quando muore il killer, Anna cambia aspetto, indossa una parrucca bionda, che dovrebbe ricordare Marlene Dietrich, e comincia un delirante processo di identificazione con il suo carnefice. Argento indaga lo sdoppiamento della personalità e mostra la follia dell’ispettrice di polizia che dialoga con il se stesso negativo, con il killer che si è impadronito di lei. Straordinario il finale, in un crescendo splatter, tra delitti efferati e un pianto liberatore della ragazza che pare scacciare le nubi dalla sua mente distrutta. Argento afferma che ha concepito tutto il film come un’opera d’arte e che il finale vuole citare una deposizione. Gli effetti speciali di Sergio Stivaletti sono notevoli, per la prima volta in un film di Argento ci sono effetti computerizzati. Le scenografie di Antonello Geleng ben si amalgamano con le sequenze oniriche e le parti pittoriche.
La sindrome di Stendhal è l’ultimo film interessante di Dario Argento prima della caduta verticale degli anni Duemila, ambientato in Italia, tra Firenze, Roma e Viterbo. Condivido certa critica quando afferma che “La sindrome di Stendhal si concentra di più sugli aspetti psicologici della violenza che sulla violenza stessa”. Il personaggio di Anna Manni tornerà – modificato in Anna Mari – ne Il cartaio (2004), interpretato da Stefania Rocca, ma naufragherà nel grigiore di uno dei peggiori lavori di Argento.
Dario Argento doveva realizzare La sindrome di Stendhal negli Stati Uniti, come il precedente Trauma, il Metropolitan Museum avrebbe dovuto prendere il posto degli Uffizi, ma il cambiamento di programma – dovuto a motivi economici – conferisce maggior fascino alla pellicola. Argento sostiene che la scelta è stata tutta sua, per motivi estetici, anzi che ha dovuto pagare una penale per non girare negli Stati Uniti, visto che tutto era predisposto. Bridget Fonda era stata scelta per interpretare la protagonista, ma secondo Argento era “troppo pupattola, troppo perfettina” e lui aveva bisogno di “un’attrice libera, spontanea, nervosa, moderna, poco impostata”. Il cambiamento di protagonista ha posto fine all’amicizia tra Argento e la Fonda. “Non è stato facile girare le scene in cui Asia subisce violenze sessuali. Sono stati momenti tesi e sofferti. Cercavo di non mostrare nulla, preferivo soffermarmi sui primi piani”. Pure girare nel Museo degli Uffizi è un problema, perché si possono fare riprese soltanto il lunedì, giorno di chiusura. Per guadagnare tempo, Argento gira anche di notte.
Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Da pretenzioso thriller surrealista, il film di Argento si trasforma in uno Psyco a Trastevere: sempre sopra le righe e sprezzante della verosimiglianza, ma senza invenzioni visive che compensino (come ai bei tempi). Non bastano più di quattro effetti digitali (la poliziotta che entra in un quadro, la soggettiva di una pillola nell’esofago) per tenere in piedi un intreccio imbarazzante sia per la confusione che per i tratti patologici e misogini che ne emergono. E la sindrome del titolo – quella che proverebbero i turisti stressati da troppe opere d’arte – è solo un pretesto lasciato subito cadere”. Troppo duro. Morando Morandini (due stelle e mezzo per la critica, tre stelle per il pubblico) è più condivisibile: “Sequenza d’apertura folgorante, una parte centrale dove struttura narrativa, disegno dei personaggi e versante tecnico – espressivo sono più equilibrati del solito, una protagonista alle prese con un doppio sdoppiamento di personalità, una squadra di collaboratori di prim’ordine tra cui spiccano gli effetti speciali di Sergio Stivaletti”. Pino Farinotti (due stelle): “Argento ha rimaneggiato un libro di Graziella Magherini per un risultato lontano dai bei tempi. Eccesso di cuore di padre da parte del regista, che ha attribuito alla figlia, discreta presenza, due ore insipide di cinepresa. Troppe”. Antonio Bruschini e Antonio Tentori (Giallo e Thrilling made in Italy): “Il film vuol essere soprattutto l’analisi di un’ossessione che conduce all’omicidio, un thriller psicologico piuttosto che un giallo classico. Un’opera concepita per sconvolgere le regole del thriller e destabilizzare continuamente le certezze dello spettatore. Un’opera che risponde in tutto e per tutto agli schemi argentiani e si colloca perfettamente come un altro tassello in quel mosaico di paure e angosce personali che costituisce il cinema di Dario Argento”. In definitiva un film da rivedere senza troppi pregiudizi, consapevoli che non stiamo assistendo a un semplice thriller ma che il regista realizza un’opera esteticamente pregevole per indagare il lato oscuro dell’animo umano.