Mi è stato chiesto di scrivere la storia dei miei due libri con la Profondo Rosso, e io la espongo volentieri: anni fa, nel 2008, trovai un piccolo editore, ormai chiuso, di nome Morpheo che cercava autori di saggi cinematografici e aveva già pubblicato tre libri. Visto che io amavo il cinema giallo all’italiana, mi proposi per un libro sul film di Fulci Sette note in nero e lui accettò. Il libro piacque a molti e ne inviai una copia a Luigi Cozzi chiedendogli se potevo avere l’onore di scrivere su di un giallo argentiano nientemeno che per la casa editrice ufficiale di Dario Argento. E lui con mio grande orgoglio accettò! Il libro doveva ripercorrere la storia dell’intera Trilogia degli Animali e così lo scrissi. Se non che Cozzi, quando vide il mio manoscritto di 800 pagine, rispose: “Mi piace, ma è lungo come l’elenco telefonico di New York: per non togliere niente, lo dividerei in tre volumi, uno per ogni film”. Io chiaramente ero più che d’accordo. E fu così che io diventai quello delle monografie su singoli film della tradizione gialla italiana, e ne vado fierissimo perché credo che questo genere sia ancora oggi poco popolare rispetto a qualsiasi altro filone nostrano come l’horror, il western o il poliziesco. I primi due libri, su L’Uccello e Il gatto, sono già usciti, poi sarà la volta di quello su 4 Mosche e ora sono al lavoro per quello su Profondo Rosso. La mia passione per questi film nacque tanti anni fa quando su Retequattro vidi una versione tagliata di Profondo Rosso. Entusiasmo a fior di pelle, immaginavo che mi sarebbe piaciuto ma non fino a quel punto! Andai a recuperare tutti i film di Dario in versione integrale e trovai, come trovo tuttora, che i suoi gialli siano tra i diamanti più luccicanti del cinema internazionale. Poi morì Fulci, e sempre sulla stessa rete diedero una versione tagliata di Non si sevizia un paperino: un altro capolavoro assoluto che mi fece capire che QUELLO era il mio genere. Un mio collega che mi capiva mi prestò il primo manuale completo del genere, “Profonde tenebre” di Tentori e Bruschini, un libro che mi fece scoprire quanti di quei film fossero stati girati negli anni in cui io nascevo o al massimo andavo all’asilo. Film dei quali, con l’eccezione di quelli di Dario, non avevo mai sentito parlare da nessuno (cosa che me li fece amare ancora di più). Gli americani cominciarono a stamparli su DVD e io iniziai a comprarli, mentre quelli che ancora non erano disponibili li noleggiavo in VHS non più in commercio. Fu come una febbre, decisi che dovevo averli tutti e che dovevo farli conoscere ai miei amici. Con loro andò bene a metà, ma era già abbastanza considerati gli anni che erano passati. Poi il buon Tarantino sdoganò del tutto questo cinema, e chi tra i miei amici rideva quando citavo certi titoli, cominciò a rispettare questo filone del mistero che abitava nel mistero. È una vera e propria sottocultura, ma io lo dico non in senso dispregiativo, anzi elogiativo. Qualcosa di artigianale, piccolo, ma estremamente grande. C’era quasi sempre la confortante risoluzione del caso, ma erano pervasi da una malinconia e da un fatalismo che dava dei punti persino al noir francese. Contenevano psicologie malate, morbosità, sesso, violenza, ma niente ti veniva sbattuto in faccia come invece sarebbe successo in molti horror degli anni ’80. Per citare un titolo di Cozzi, il giallo italiano era un “tunnel sotto il mondo”. Col tempo scoprii che non eravamo così pochi ad amare questi thriller, e in questo Facebook mi è venuto molto incontro. Più in generale, senza internet il giallo nostrano sarebbe rimasto ignorato come successe per tutti gli anni ’90 e metà 2000, e non solo in Italia. Ecco, una cosa vorrei dire: questi film venivano fatti soprattutto per l’estero, dato che in Italia incassavano cifre medio-basse. Erano ad uso e consumo di stranieri che identificavano con l’Italia con un cinema per cui, se ne avessero parlato quando venivano in vacanza da noi, quasi tutti saremmo caduti dal pero.
Quanto ai libri, Luigi Cozzi mi ha dato libertà di spaziare. Non si lascia spaventare dal numero di pagine molto alto, se il prodotto gli sembra buono. Però io ho un modo di scrivere torrenziale, praticamente porto avanti un discorso unico e poi lo suddivido. Così feci con Sette note in nero. La suddivisione lui me la cambia, ma credo sia giusto così: il lettore deve sentirsi libero di cominciare da qualsiasi pagina, facilita la lettura. E poi mi ha dato degli ottimi consigli che mi hanno stimolato a tirare fuori il mio lato più analitico. I libri sono confezionati benissimo, che altro potrei dire? Ah, potrei anticipare qualcosa sul lavoro per il libro su Profondo Rosso. Si tratta di un film-monstrum, non si può sgarrare, e poi ho saputo che Argento stesso ci tiene molto. Devo dare il meglio di me, fare ricerche su tutto ciò che c’è ancora da dire o che già è stato detto, e non è facile. Ma posso dire che sta venendo bene. Si avvarrà anche di un paio di contributi a sorpresa. Non mancheranno le critiche fatte all’epoca dell’uscita del film, che già nei primi due libri hanno rivelato la cecità assoluta della maggior parte dei critici del tempo. Certo ci vorrà ancora molto tempo per poterlo dire finito, ma un film capolavoro merita un libro capolavoro, quindi non bisogna fare le cose troppo in fretta. E stavolta rispetterò fin dall’inizio il criterio di suddivisione che mi ha chiesto Cozzi, che è quello che vedete nei primi due libri e che è stato apprezzato da tutti, e quindi: intro; sinossi; scheda con cast e caratteristiche delle varie edizioni 35mm, VHS, DVD e BD; ispirazioni cinematografiche e letterarie di Argento per questo film; soggetto e sceneggiatura; genesi produttiva e distributiva; gli attori; locations; la fotografia; il montaggio; la musica; le critiche del ‘75; considerazioni critiche di oggi di oggi; film o autori che si sono maggiormente ispirati a questo film; nuove interviste. Ognuno di questi capitoli però sarà molto ramificato per toccare tutti gli aspetti del film, come nei casi precedenti.
Parlando di difficoltà, non ne ho avute molte, devo dire la verità. Ciò non vuol dire che non siano lavori molto impegnativi, ma difficoltà vere non ne ho avute. C’è stata la scocciatura di dovere andare, dietro mia stessa iniziativa, in un’emeroteca lontana ogni giorno per un paio di settimane al fine di reperire il materiale critico dell’epoca; la scocciatura consisteva nel fatto che non mi permettevano di consultare più di tre blocchi di giornali al giorno, così per poter trascrivere i vari articoli ci ho messo un secolo. Quanto alla fase della stesura, l’unico, eterno, mio vero problema è quello di vivere in un contesto che poco si presta alla concentrazione e quindi sono costretto a scrivere quasi sempre di notte.
Poi… Avrei voluto intervistare qualche attore protagonista in più ma quelli sono una razza a parte, come Catherine Spaak che inizialmente mi aveva detto sì e poi si è fatta d’aria. Sono riuscito a intervistare invece con grande facilità Mimsy Farmer (pregevole eccezione), attori secondari e tecnici, che sono generalmente delle persone squisite che hanno moltissimo da raccontare. Poi qualche sceneggiatore e anche il regista Dario, che come sempre è molto disponibile.
Visto che si parla della casa editrice Profondo Rosso, ci tengo a sottolineare un mio intervento con intervista a Sergio Donati inclusa nel libro di Gordiano Lupi “Tinto Brass – Il Poeta dell’Erotismo”, in cui mi soffermo sul cinema thriller di Brass (Col Cuore in Gola e Snack Bar Budapest), che trovo molto significativo.