In Italia il cinema di genere è stato sempre sottovalutato, ma se esiste un regista aborrito dalla critica e ingiustamente emarginato questi è proprio Mario Bava. Luigi Cozzi è stato uno dei primi a pubblicare un libro – omaggio sul maestro del thriller fantastico e del noir duro all’italiana, mentre Alberto Pezzotta gli ha dedicato una colta biografia edita da Il Castoro. Se conosciamo bene Mario Bava, avrebbe preferito il primo, perché il regista di Cani arrabbiati era uomo semplice e schivo, uno che dei suoi film amava dire: “Sono soltanto stronzate”. Magari non lo pensava, ma le parole erano quelle, come dice Joe Dante: “Mario Bava faceva insalata di pollo usando la merda”. Ma quant’era buona la merda di Bava, se confrontata ai veri escrementi odierni esaltati dalla critica e presentati al Festival di Cannes! I mezzi erano scarsi, i tempi inadatti a fare cinema di genere, Bava era noto per far risparmiare un sacco di soldi ai produttori, al punto che realizzò l’opera pop Diabolik (il mitico John Philip Law – che ho fatto in tempo a conoscere! – e l’affascinante Marisa Mell) con modellini e pupazzi, facendo la cresta sul budget. Mario Bava era il regista che girava i film a Pietro Francisci, ché dopo la fine del sodalizio il re del peplum non ha più fatto niente di buono, ma è anche l’autore di un capolavoro del gotico come La maschera del demonio (1960), interpretato da una sconosciuta Barbara Steele. Ercole al centro della terra, Gli invasori, La ragazza che sapeva troppo, I tre volti della paura, La frustra e il corpo, Sei donne per l’assassino, sono i suoi lavori fino al 1964, che spaziano dallo storico – mitologico al giallo classico, passando per horror sadico, gotico e thriller violento. La strada per Fort Alamo (1964) è uno dei pochi western che anticipa uno straordinario fanta-horror come Terrore nello spazio (1965), realizzato con budget ridicolo, ma anticipatore di Alien. Operazione paura (1966) è di nuovo gotico, nello stesso anno de I coltelli del vendicatore, ma Bava trova il tempo per girare anche un divertente Franco & Ciccio movie come Le spie vengono dal semifreddo, interpretato da Vincent Price. Diabolik (1968) è un’opera pop indimenticabile, colorata come un fumetto, fallimentare quanto sublime e mai troppo rivalutata dai contemporanei. Il rosso segno della follia (1970), Quante volte… quella notte (1972) e 5 bambole per la luna d’agosto (1970) sono film minori, ma contengono alcune sequenze indimenticabili, soprattutto il primo, un horror psicologico inquietante. Roy Colt e Winchester Jack (1970) è forse il solo film trascurabile di Mario Bava, mentre sono piccoli capolavori Reazione a catena (1971) – grazie anche a Dardano Sacchetti che inventa lo slasher movie! – e Gli orrori del castello di Norimberga (1972), per non parlare di Lisa e il diavolo (1972), massacrato da una riedizione come La casa dell’esorcismo (1975) per seguire una moda, e il fantastico Cani arrabbiati (uscito postumo, ma va vista l’edizione 2002, curata dal figlio Lamberto). Bava si conferma grande regista anche negli ultimi film: Shock (1977), sul tema della casa stregata, interpretato da Daria Nicolodi e John Steiner, La Venere d’Ile (1978), girato per la Tv con il figlio Lamberto. Non dimentichiamo il Polifemo televisivo de L’Odissea di Franco Rossi, costruito da Carlo Rambaldi, ma fatto vivere in maniera perfetta da un maestro degli effetti speciali e della fotografia.
Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni rendono omaggio al genio di Mario Bava con un eccellente documentario come Mario Bava – Operazione paura, realizzato per Sky in apertura a un ciclo di pellicole dedicate al maestro. Per fortuna abbiamo la televisione commerciale! Infatti, la RAI non si sogna più di fare cicli su autori del passato, ma delega il compito a La7 (La valigia dei sogni) e a SKY Classic (questa estate, per esempio, è andato in onda un prezioso ciclo dedicato a Totò). Per la RAI va bene L’isola dei famosi, invece, a tempo perso un reality con Simona Ventura oppure le ricette di una presentatrice di cui non ricordo il nome e non ho voglia di andare a cercarlo. Al termine del montaggio, Acerbo e Pisoni si trovano così tanto materiale in mano che ne ricavano un libro, edito con cura maniacale da Unmondoaparte, corredato da fotografie, schede biografiche e filmografie. Si intitola “Kill Baby Kill – Il cinema di Mario Bava” e presenta una introduzione di Joe Dante (310 pagine; euro 25). Un grande lavoro, indubbiamente, ricco di testimonianze, da Joe Dante a Tarantino, passando per Luigi Cozzi, Lamberto Bava, Stefano Della Casa, Manlio Gomarasca, fino a Tim Burton, Fulvio Lucisano, Alberto Bevilacqua e chi più ne ha più ne metta. Una sola nota stonata. La testimonianza arrogante e supponente di Umberto Lenzi, che non conosce Mario Bava e (s)parla. Venticinque euro spesi bene, date retta.