Fu durante i lavori di scavo del sito destinato ad ospitare lo stadio di Galway, in Irlanda, che vennero ritrovati nel terreno quei due scheletri metallici, alti come un giovinetto, le cui fattezze rappresentavano i tratti di un essere umano. Le operazioni di rimozione del suolo si interruppero improvvisamente e giunsero sul posto gli amministratori locali, assieme ai responsabili della ditta incaricata ed il gruppo archeologico della Soprintendenza Nazionale.
Dalle prime indagini, i reperti risultarono appartenere al 1350: i rimasugli di altri oggetti individuati sul posto –risalenti allo stesso periodo medievale– ed altri particolari che sarebbero parsi di poco conto ai profani provavano indiscutibilmente la datazione proposta dagli studiosi.
Oltre a questi elementi certi, tutto il resto rimaneva tuttavia inspiegabile. Chi aveva costruito quegli scheletri? Perché? Con quale tecnologia erano stati ottenuti? Sembrano decisamente troppo futuristici per il periodo a cui risalivano…
Non si riuscì a dare una risposta a quelle domande. Tutto ciò gli esperti trovarono nei documenti ufficiali riguardo a quel sito furono degli accenni alle fantasiose superstizioni della popolazione locale del tempo circa la presenza di fate in quei dintorni. Ovviamente, neanche uno spunto venne preso da tutto ciò per giungere a formulare una teoria realistica. Ed il ritrovamento rimase inspiegabile, una delle molte stranezze catalogate in quella terra ricca di tradizioni e leggende, dopo tutto.
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Selna percorse l’ultimo tratto del sentiero che la conduceva fuori dalla foresta, verso le colline verdeggianti. Quindi vide davanti a sè l’antica pietra.
Con lo sguardo pieno di commozione, la giovane donna volse gli occhi verso il fagottino che portava saldamente fra le braccia: la figlioletta di solo pochi mesi.
Sapeva che non vi era altro da fare, la mortale malattia che si stava espandendo nella regione non lasciava scampo, già poteva vedere su quel corpicino indifeso i sintomi del male di cui cominciava ad essere preda oramai…
Selna posò la figlioletta sul terreno, accanto alle incisioni della grossa pietra. Si diceva che quel posto fosse caro alle Fate delle leggende locali e si raccontava esse che prendessero con sé coloro che ritenevano degni di essere salvati…
Suggestioni popolari o semplici leggende, chi poteva saperlo? Tuttavia non c’era altro che lei potesse fare. Purtroppo, tutti i medicamenti del guaritore locale non sarebbero serviti stavolta…
Anche se la donna sapeva che non l’avrebbe rivista mai più, era certa però che la bambina sarebbe sopravvissuta, almeno. Dopo un ultimo sguardo si allontanò da quel luogo, inoltrandosi lungo la via del ritorno con il cuore gonfio di dolore. E di speranza.
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Da questo lato della barriera, il Mondo delle Fate sembrava sereno. La ragazzina riccioluta dai capelli castani ci pensò su, i suoi scuri occhi vivaci avvinti dallo stupore: cinque anni di età, nata umana e tuttavia cresciuta dalle Fate, la sua situazione era molto particolare. Il nome Dilwen, che le era stato attribuito dalle creature di questo magico reame, voleva dire ‘molto benedetta’, ed era stato scelto a ragione. Mentre continuava a camminare in avanti, la giovane giunse infine al centro della collinetta su cui si trovava la pietra: superato quel punto, il fluttuante paesaggio del bellissimo entroterra Irlandese si stendeva apparentemente senza confini. In un certo qual modo, era come guardare il mondo degli esseri umani attraverso un denso vetro costituito da una strana sostanza del tutto impalpabile. Lei era venuta alcuni anni prima proprio da quel luogo situato al di là della Pietra della Scomparsa, che sorvegliava il passaggio, esattamente come era avvenuto per tutti gli altri che si trovavano in questo mondo fatato oggi.
Talvolta, alcuni bambini venivano lasciati dalle famiglie bisognose in prossimità di quella pietra a causa della mancanza dei mezzi di sussistenza. Tali fatti si verificavano frequentemente, soprattutto in quei tempi oscuri, tuttavia le Fate si erano sempre prese cura di loro, ogniqualvolta fosse possibile. Se riuscivano ad arrivare in tempo, ovviamente, prima che la natura facesse il suo corso…
“Ehi, tu!” una voce giunse dalla cima di un albero vicino: si trattava di Anarawd. Della stessa età di Dilwen, lasciata dalla sua famiglia solo un mese prima di lei, la sua amica mostrava un carattere molto più vivace del suo. Non riusciva mai a starsene ferma, non a caso le Fate avevano deciso di chiamarla in quel modo che significava ‘senza alcuna vergogna’. Senza dubbio, Anarawd era molto diversa da lei…
Due occhi azzurri chiari, il suo corpicino sempre in movimento sembrava non poter resistere alla tentazione di salire su una roccia o in cima a dei tronchi, proprio come adesso, lasciando le sue gambotte penzoloni verso il terreno sottostante. “Guarda come sto in bilico! Prova anche tu…” Anarawd la stava apertamente sfidando, d’altra parte lo faceva sempre.
“Stai attenta, sei salita troppo in alto stavolta…” la ragazzina le replicò, piuttosto preoccupata. Anarawd era già caduta in precedenza, ma ogni volta le Fate si erano trovate nelle vicinanze, per fortuna, curando le sue ferite magicamente. Adesso, però, le loro usuali ‘guardiane’, Glaw, Heulog e Gladys erano lontane.
Le tre erano state sempre state presenti per i giovani come loro allorquando si erano trovati in difficoltà. Glaw, il cui nome poteva essere tradotto come ‘pioggia’, era la più incostante di tutte, ogni volta che si muoveva delle gocce d’acqua sembravano circondare il suo corpo leggiadro, mentre Heulog (‘solare’) sembrava più gioiosa: una distesa erbosa cresceva ai suoi piedi mentre camminava al suolo. Ad ogni modo, indiscutibilmente, la brunetta Gladys era la leader del gruppo.
Ormai tutti loro non erano più dei comuni bambini umani e, dopotutto, considerate le loro straordinarie guardiane, come avrebbe potuto essere diversamente?
“Guardami!” Anarawd urlò, e tuttavia, così facendo, si sporse troppo in fuori, perdendo la presa che aveva sul legno a cui era aggrappata. Il suo corpo minuto scivolò giù, finendo a terra; immediatamente dopo una flebile vocina dolorante cominciò a farsi sentire ripetutamente.
Dilwen sapeva che sarebbe avvenuto prima o poi! La ragazzina prese a correre verso il punto in cui la sua amica era precipitata e notò che aveva entrambe le braccia rotte, senza ombra di dubbio.
“Cosa hai fatto!” le disse, sconfortata “E non c’è nessuna delle guardiane qui attorno…”
La faccia di Anarawd pareva prossima al pianto, e la frase che le uscì dalle labbra fu straziante “Aiutami, Dilwen! So che puoi farlo, anche se non c’è nessuna Fata qui con noi!”
‘Lo sapeva?’ pensò Dilwen. Come l’aveva scoperto? La ragazzina era consapevole che le era stato dato il nome di ‘molto benedetta’ per una ragione: in effetti lei era fornita di un grande dono, la magia, fatto molto raro fra gli esseri umani. Selwyn e Owena, gli altri due ragazzini che vivevano in quel reame con loro non possedevano tale abilità. E neanche Anarawd.
“Per favore! Ti prego…” l’amica chiese nuovamente.
E così Dilwen si concentrò ed avvertì il potere che cresceva dentro di sé. Non appena toccò le braccia di Anarawd, la ragazzina ferita cominciò già a sentirsi meglio ed in breve si ristabilì.
“Possiedi davvero un grandissimo dono, Dilwen…” Anarawd sorrise compiaciuta “Adesso posso riprendere ad arrampicarmi sugli alberi come prima…”
“Aspetta!” disse Dilwen “E se cadessi un’altra volta?”
Anarawd si immobilizzò un attimo, riflettendoci su “Dal momento che tu puoi utilizzare la magia, che ne diresti di rendere più forti tutte le ossa e gli arti del mio corpo? In tal modo potrei continuare ad arrampicarmi senza dovermi preoccupare di ferirmi…”
‘Trasformare le ossa in qualcosa di più resistente?’ Dilwen aveva già provato a fare una cosa del genere in precedenza, allorquando aveva convertito una foglia in una roccia, e tuttavia era restia a tentare.
“Forza, datti da fare! Sto per riprendere a salire fra poco…”
“Aspetta, ci proverò…ma soltanto perché non c’è nessun’altra guardiana nei dintorni ad aiutarci, non vorrei che ti facessi male ancora”
Dilwen toccò la testa della sua amica. In breve, la magia cominciò a pervadere il suo corpo e le ossa della giovane Anarawd presero a trasformarsi in strutture metalliche assai resistenti, più dure e forti che mai, in realtà.
Tuttavia, non appena il processo fu completato, Anarawd parve stranamente priva di conoscenza, come se fosse incapace di parlare o di muoversi.
Dilwen non poteva saperlo allora, però non era possibile trasformare le comuni ossa in qualcosa di metallico senza conseguenze: le vene all’interno, il midollo e tutte le cellule viventi che si trovavano nel corpo, semplicemente, non potevano sopravvivere in quelle condizioni innaturali…In realtà, la ragazzina era già morta quando le Fate ritornarono nel pomeriggio.
Gladys guardò la bambina defunta, alta poco meno di novanta centimetri, quindi posò entrambi gli occhi con aria greve sulla giovane Dilwen “Tu pensi di essere come noi, ma non lo sei…”
La giovane prese a piangere, un’altra volta. Aveva smesso da poco, dopo essersi disperata per tutto il tempo da quando si era resa conto che Anarawd era priva di vita oramai.
“Lo sai bene: la Prima Regola dice che devi seguire i nostri dettami…Poi vi è la Seconda Regola, che ti impone di non interferire con gli affari degli esseri umani oltre la barriera magica, solo a noi è permesso…A seguire, in base alla Terza Regola ti è vietato di far del male agli altri…” Gladys fece una breve pausa “Ed infine vi è la Quarta Regola, ovvero…”
Dilwen la guardò con il terrore in viso, quindi la enunciò “Non fare agli altri ciò che non vuoi gli altri facciano a te…”
“Dunque, preparati…” e così facendo la Gladys si avvicinò alla giovane, allungando le dita verso di lei. Non appena la toccò, le membra di Dilwen si irrigidirono, mentre le sue ossa venivano trasformate in fredde strutture di metallo all’interno del corpo e la vita fluiva via da lei molto velocemente. Per sempre.