Per rimuovere il pensiero della morte i cittadini nascondono i cadaveri quaggiù,
alla bell’e meglio. Ma poi, rimuovi che rimuovi, ci ripensano,
e tornano a controllare se sono seppelliti abbastanza,
se i morti essendo morti sono proprio qualcosa di diverso dai vivi,
perché altrimenti i vivi non sarebbero più tanto sicuri d’essere vivi, dico bene?
(Italo Calvino, Storia del regno dei vampiri, Il castello dei destini incrociati)
Argomento appassionante la cosiddetta “peste vampirica” scatenatasi nel ‘700 e riguardante il vampiro folklorico, lontanissimo dai parametri aristocratici del conte Dracula e dei suoi interpreti hollywoodiani.
Nel secolo dei Lumi il vampiro fa il suo ingresso nell’immaginario collettivo, costringendo funzionari, soldati e filosofi a occuparsi di lui. Le apparizioni riguardano quasi sempre quel confine difficile tra la Turchia (l’Oriente) e l’Austria (l’Occidente).
Con la pace di Passarowitz (1718), Serbia e Valacchia finiscono (insieme all’Ungheria e alla Transilvania) sotto il controllo austriaco. Sono due mondi contrapposti che si devono capire. Due mondi: il passato ancestrale e pre-letterato against l’ideologia (castrante) illuminista, contraria a qualsivoglia svolazzo della fantasia.
Nel Settecento fioccano i libri sui vampiri. Tomi latineggianti, scritti da eruditi che oscillano tra l’incredulità più acida e la sospensione (a volte) del giudizio. C’è Philip Rohr con la Dissertatio Historico-Philosofica De Masticaione Mortuorum del 1679. Il Lessico Universale, opera mastodontica di J. H. Zedler è dell’inizio del XVIII secolo e alla voce “Vampiri” riassume quanto conosciuto e documentato sull’argomento. Nel 1706 Charles Ferdinand de Schertz propone la stampa de Magia postuma, trattando numerosi episodi accaduti in Oriente. Osservatore implacabile e attento è il botanico di Luigi XIV, De Tournefort, sbarcato sull’isola fru fru di Mykonos nel 1700. Del 1728 il De masticazione mortuorum in tumulis liber di Michael Ranft. Il libro più famoso però è quello dell’abate Calmet, pubblicato a Parigi nel 1746, le Dissertations.
Su questo mondo barbarico, rigurgito gotico di un passato maldigerito, in aperto contrasto coi progressi della scienza, della medicina e della filosofia, si confrontano una serie di testi contemporanei che esaminano il fenomeno sociale e folklorico della “peste vampirica” nel ‘700. Di estrema efficace sintesi quello di Monica Petronio, Dai vampiri al conte Dracula, edito da Sellerio nella collana Nuovo Prima curata da Antonino Buttitta. La Petronio nota con acutezza che dallo scontro tra la superstizione e la weltanschauung della Ragione nasce il moderno romanzo gotico, sublime impasto di anticaglie contro il moderno, di crudezza contro eleganza, di sogni, baroni, carrozze, maledizioni e passato contro un mondo scintillante e cosmopolita, europeo e ordinato. Le pesti vampiriche ammorbano già il ‘500 e il ‘600, tuttavia esplodono con evidenza nel corso del ‘700. Dal 1762, anno del Castello di Otranto, il romanzo gotico vendica le antiche superstizioni (debellate a colpi di rescritti e di bolle papali, oltre che dalle enciclopedie dei filosofi) riportando il meraviglioso/meraviglioso nelle menti, nel gusto e nella sensibilità dei lettori.
Ann Radcliffe, Lewis, fino ai prototipi di successo ottocenteschi, mettono in campo un catalogo di invenzioni linguistiche e stilistiche che fanno a pugni coi bisogni del romanzo realista, impermeabile al lato soprannaturale. Un modo per riportare il passato (del gotico) nel presente, attualizzando l’eterna paura della morte (rappresentata dalle figure retoriche del genere, ossia rovine, macerie, ruderi, oggetti inutili, invecchiati, scaduti, per gran parte prodotti dalla macchina capitalistica, ossimoro di se stessa).
Ritroviamo la “peste” nel fondamentale saggio di Paul Barber Vampiri sepoltura e morte edito da Pratiche Editrice nel 1994. Barber elenca i casi più eclatanti (quelli di Peter Plogojowitz del 1725 accaduto in Serbia; quello del calzolaio della Slesia, 1591; il celebre Visum et Repertum stilato dal chirurgo militare Johann Fluckinger nel 1732). In buona sostanza questi casi ci raccontano di una isteria collettiva che colpisce la Serbia, la Moravia, l’Ungheria, la Boemia, la Slesia e il basso ceto, quello dei popolani incolti e ignoranti, a cui i passaggi di regno e di religioni non tolgono l’insopprimibile bisogno di rapportarsi con la morte e i fenomeni (sconosciuti all’epoca) della dissoluzione di un corpo. I vampiri, qui, sono degli straccioni, povere donne, uomini anonimi, non certo dei conti, degli aristocratici. I ritornanti appaiono nei loro paesini sperduti ai confini del regno, spaventano, appestano, conducono a morte altri miserabili a volte semplicemente con una occhiata, altre giacendo di notte sopra le vittime. Il pope locale, il consiglio locale, la chiesa locale, tutti superstiziosi, ordinano di scoperchiare le tombe, di staccare la testa dei cadaveri, di bruciare i corpi infetti. Barber si perita di verificare con l’occhio della medicina moderna gli errori nella lettura dei “segni” linguistici del vampirismo: la mancata putrefazione dei corpi, la mancanza di cattivo odore, i rumori provenienti dal corpo del cadavere, la presenza di sangue fresco sulla bocca eccetera.
Il prezioso volume a cura di Piero Violante edito dalla Flaccovio di Palermo e intitolato Vampyrismus è esemplare quanto lo studio di Barber. Il libro compendia una introduzione/dedica del traduttore Vannetti seguita dallo scritto di Gerhard Van Swieten (le Remarques) archiatro di sua Maestà Maria Teresa d’Austria, sovrana illuminata (assolutista) e riformatrice che porterà a compimento la modernità dell’Austria. Le voci dei roghi immorali avevano preoccupato l’imperatrice, la quale aveva incaricato due medici di andare nei luoghi e verificare. I medici avevano condotto attenti esami sui corpi ed erano tornati a riferire a Swieten che scrisse le Remarques per l’imperatrice. Il testo altri non è che una confutazione durissima del vampirismo, causato dalla superstizione dei sudditi e tollerato dalla leggerezza delle istituzioni locali. Al testo dell’archiatra la sovrana farà seguire di suo pugno una serie di decreti che proibiranno le esumazioni forzate di cadaveri. Il lungo saggio di Violante, I vampiri di Maria Teresa, contenuto nel volume, raggiunge la perfezione nel tratteggiare il fenomeno letterario e folklorico della “peste”.
Segnalo l’altrettanto esemplare contributo di Gianfranco Manfredi contenuto nella extended version del suo Ultimi Vampiri, edito dalla Gargoyle. Nelle appendici del volume è possibile leggere l’articolo sulla pesta vampirica, quello su Voltaire e i vampiri e una personale conclusione tematica nella quale l’autore (anche finissimo saggista) argomenta bene sullo iato prodotto dalla ragione e dall’esercizio dell’immaginazione.
Perché debellata una superstizione subito ne sorge un’altra? Quale ruolo ricoprono le culture folkloriche, le sopravvivenze simboliche legate a un mondo arcaico, pre-industriale, pre-religioso? Che la peste vampirica sia qualcosa di più di un caso clinico nel Settecento riformatore? Che sia una spia simbolica di ben altro, un segno (Mark of the vampire; Browning appunto… tra l’altro anche lì si trattava di segni linguistici costruiti ad arte, artefatti, trucchi…), un sintomo?
Leggendo questi testi non si può non pensare a una similitudine tra il corpo fantoccio del vampiro (corpo indolente che controbatte poco coi suoi carnefici, corpo che non si difende e si lascia infilzare, decapitare, bruciare) e quello del Carnevale esposto nello studio eminentissimo di Paolo Toschi. Vampiri folklorici e fantoccio di Carnevale, entrambi simulacri carbonizzati dalla pazzia contagiosa dei popolani, arsi all’interno di un ciclo che intende eliminare “il vecchio e il male, tutto ciò che è rimasto senza forza produttrice o si è caricato di malanni e colpe; vuole cioè, togliere di mezzo, distruggere quanto possa impedire il libero e pieno sviluppo delle nuove forze della vegetazione e delle nuove attività collettive”.
BIBLIOGRAFIA
Calvino Italo, Il castello dei destini incrociati, Torino, Einaudi 1973.
Barber Paul, Vampiri sepoltura e morte, Parma, Pratiche Editrice 1994.
Toschi Paolo, Le origini del teatro italiano, Torino, Bollati & Boringhieri 1976.
Petronio Monica, Dai vampiri al conte Dracula, Palermo, Sellerio 1999.
Violante Piero (a cura di), Vampyrismus, Flaccovio, Palermo 1988.
Manfredi Gianfranco, Ultimi vampiri, Gargoyle, Roma 2009.