Itaco Nardulli
Anthony Quinn
Ernest Borgnine
David Warbeck
Philippe Leroy
Klaus Lowitsh
Andy Luotto
Origine: Italia, Rai TV
Ideazione: Antonio Margheriti dal romanzo omonimo di Robert Louis Stevenson
Durata: 1 stagione in 5 puntate da 100 minuti l’una
TRAMA
Siamo nell’anno 2300. Un bambino di nome Jimmi, figlio della proprietaria di una locanda semi-abbandonata vicino alle rovine dello “Spazioporto dei Templi” nella piana di Siracusa, incontra uno strano cosmonauta, Billy Bones che decide di nascondersi al resto del mondo nella loro locanda. L’uomo è malato e morente, a causa di una droga in uso tra gli astronauti: il Drek. Prima di morire dona a Jimmi una mappa per ritrovare il leggendario tesoro sepolto su un’altro pianeta dal Pirata spaziale “Flint”. Sfuggendo ad altri pirati che, nel frattempo avevano rintracciato Billy Bones, Jimmi parte per il pianeta del tesoro a bordo dell’astronave Hispaniola, insieme a una ciurma messa a punto per l’occasione dal Conte Ravano, finanziatore della spedizione. Insieme a loro viaggiano il Capitano Smollett, il dottor Livesey e Long John Silver, che poi si rivelerà a capo dei pirati e ingaggerà battaglia con gli altri per impadronirsi del tesoro.
Il progetto, prodotto nel 1987, era molto ambizioso: ventisette anni dopo “L’isola del tesoro” di Anton Giulio Majano, la Rai tornava al romanzo di Stevenson con un grande impegno finanziario (la serie costò infatti più di 25 miliardi di vecchie lire, oltre a tutte le strutture e attrezzature di proprietà della RAI messe a disposizione gratuitamente), riscrivendo e rivedendo in chiave futuristica lo scritto originale. Si trattava infatti del primo kolossal interamente prodotto dalla Rai, senza appalti a produttori privati, girato negli stabilimenti Dear della Rai, allo Studio Uno degli Studi Empire (ex De Laurentiis) sulla via Pontina, e in esterni a Roma, Napoli, alla piana dei templi a Selinunte in Sicilia e in Marocco, nei deserti sassosi di Ouarzazate dove ambientarono il pianeta “Ibisco”. Le riprese durarono quasi otto mesi e alla fine ci vollero altri due mesi per completare le sequenze di effetti speciali e le scene con le astronavi nello spazio.
Conosciuto negli Usa con il nome di “Treasure Island – Space Island”, il serial vide alla regia Antonio Margheriti (noto anche come Anthony M. Dawson, regista tra i più affermati del genere fantastico italiano tra gli anni Sessanta e Ottanta), mentre gli effetti speciali furono curati dallo stesso regista insieme al figlio Edoardo, al quale venne affidata anche la regia della seconda unità. Edoardo Margheriti, oltre a supervisionare tutti gli effetti speciali della serie, si occupò personalmente della costruzione di alcune delle astronavi e del treno monorotaia che passava su piazza Navona. In merito ricorda Edoardo sul sito web dedicato al padre: “La preparazione fu molto lunga e meticolosa, i mezzi a disposizione erano colossali. Con le costruzioni scenografiche dell’astronave e dello spazioporto occupammo per intero due stabilimenti e cinque o sei teatri di posa: l’ex Dear Film, acquistata dalla RAI, e la De Laurentiis sulla via Pontina”, quest’ultimo possedeva uno dei più grandi teatri d’Europa, dove venne costruita la struttura esterna dell’Hispaniola a grandezza naturale.
Le scenografie vennero affidate a Francesco Bronzi (già con Antonio Margheriti in “Killer Fish, l’agguato sul fondo”), il montaggio a Tullio Cordanti e le musiche a Gianfranco Plenizio (che ha collaborato anche con Dario Argento per “Trauma” e “Opera”).
Margheriti non cambiò nulla della sceneggiatura scritta da Renato Castellani e addirittura affermava di non averne la “paternità”: “Io l’ho solo realizzato per conto terzi, facendo esattamente quelle che sarebbero state le volontà di Renato Castellani”, ebbe modo di dire in merito il regista, eppure la mano di Margheriti si sente. Non gli era ancora capitato di poter dirigere un film con tanti soldi a disposizione e con tempi così dilatati (oltre cinquanta settimane previste per le riprese, ma ne utilizzò poco più di trenta, compresi i trucchi), ma era un film che non aveva mai sentito come suo e considerava “un grande lavoro sprecato”, poco convinto da una sceneggiatura scritta molti decenni prima e rimasta alla fantascienza anni Sessanta. Il progetto nasceva infatti dalla fervida fantasia del regista Renato Castellani, che aveva già proposto a Margheriti nel 1964 di curare gli effetti speciali per questa trasposizione fantascientifica del famoso romanzo di Robert Louis Stevenson. Il film doveva essere prodotto dall’Istituto Luce, ma dopo vari tentativi naufragò e ci vollero trent’anni prima che Castellani riuscisse a convincere la RAI a farne una miniserie televisiva.
Sta di fatto che, non essendoci stato un rimaneggiamento più attuale dello script, durante la lavorazione in molte scelte Antonio era addirittura in disaccordo con i produttori: non voleva accettare, ad esempio, la forma circolare a “ciambellone” dell’Hispaniola, idea originaria di Castellani e che comunque rimase. Del resto, questa produzione era in qualche modo un film maledetto: Castellani scomparve nel dicembre del 1985 prima di poter cominciare a girare, un direttore di produzione morì durante le riprese, lo stesso Margheriti si sentì male durante la preparazione e venne operato d’urgenza al pancreas salvandosi solo grazie alla sua forte tempra, mentre il giovane protagonista Itaco Nardulli morì tragicamente poco tempo dopo l’uscita del film.
Nel progetto di Castellani c’era in ogni caso un’importante idea di fondo: dimostrare che i sentimenti dei personaggi del romanzo di Stevenson (e quindi quelli dell’uomo stesso) non cambieranno con il passare dei secoli. E così lo sceneggiato mischia passato e futuro. Vediamo i resti di uno spazioporto abbandonato accanto alle rovine greche dei templi di Selinunte, assistiamo a una surreale festa di San Gennaro del futuro… Per dipingere questo futuro in cui i pirati viaggiano su astronavi, Margheriti si avvalse di alcune trovate suggestive, come le riprese all’Arco della Pace o in una piazza Navona dell’anno 2300, sovrastata da altissimi grattacieli e attraversata da un treno monorotaia, fino a un Fiumicino diventato ormai spazioporto intergalattico.
Per quanto riguarda gli interpreti, Antonio Margheriti riuscì a ingaggiare attori di grosso calibro per rendere lo sceneggiato di sicuro impatto sul mercato internazionale, soprattutto su quello americano. Per il ruolo di Long John Silver venne scelto Anthony Quinn, con cui si instaurò un rapporto di stima e amicizia. Poi molte vecchie conoscenze del regista: Ernest Borgnine (visto in “Arcobaleno Selvaggio”), il suo attore preferito David Warbeck (protagonista di almeno cinque film di Antonio), Giovanni Lombardo Radice (che aveva recitato in “Apocalisse Domani”), Bobby Rodhes (tra i protagonisti di “L’ultimo Cacciatore”), Philippe Leroy (che non necessita certo di presentazioni) e Klaus Lowitsh. Per il ruolo del giovane Jimmi vennero fatti molti provini e dopo una lunga ricerca fu trovato il piccolo Itaco Nardulli (che l’anno successivo prese parte anche a “Il segreto del Sahara”).
Diviso in cinque puntate da un’ora e quaranta ciascuna, “L’isola del tesoro” andò in onda nel novembre 1987 su Rai Due, in prima serata. Le reazioni della critica furono in genere molto severe, ma nonostante le stroncature la Sacis distribuì lo sceneggiato di Margheriti in quasi tutto il mondo e arrivò negli Usa con una versione condensata di due ore e dieci. Il mastodontico lavoro però si prese anche una rivincita nei confronti della critica quando nel 1990 venne trasmesso ai Cento Giorni del Cinema Italiano a Mosca, nel mitico Cinema Forum e il pubblico gli decretò un grande successo.