Quaranta scrittori professionisti di fantascienza, fra i quali figuravano Gregory Benford, Joe Haldeman, Larry Niven e Jerry Pournelle, vennero convocati nel maggio 1985 alla Wright-Patterson Air Force Base, nell’Ohio: il tema dell’incontro convergeva su uno studio particolareggiato del soldato del futuro. I risultati dell’incontro sono in parte ancora oggi top-secret, ma sappiamo che fin dagli anni Sessanta gli Stati Uniti stanno studiando il sistema di creare un nuovo tipo di militare: il cosiddetto Supersoldato (come non pensare al fumettistico Capitan America della Marvel?). Fu il caso del progetto Hardiman, commissionato alla General Electric in quegli anni di “guerra fredda”, ma in seguito annullato. Si trattava dell’idea di rinchiudere i soldati in armature robot capaci di moltiplicare la loro forza, rendendoli praticamente invulnerabili (e qua gli esempi si sprecherebbero: “Tekkaman”, “Gordian” e il più recente “Patlabor” nei cartoni animati giapponesi, per non parlare degli esoscheletri utilizzati nella saga cinematografica di “Alien”).
Intorno agli anni Novanta i Los Alamos National Laboratories avviarono un progetto simile, denominato Pirman e diretto da Jeffrey A. Moore. La corazza ideata da Moore avrebbe dovuto avvolgere il proprio occupante in strati di grafite, teflon e ceramica allo scopo di proteggerlo da qualsiasi cosa: dai proiettili alle armi batteriologiche (oggi bandite in ogni stato da trattati internazionali… ma sarà poi così?). In base al progetto il movimento degli arti avrebbe dovuto essere controllato da piccoli motori elettrici, guidati dal soldato mediante onde cerebrali.
Frank Barnaby, ex-direttore del Sipri di Stoccolma, era convinto, a quei tempi, che in un futuro non troppo lontano si sarebbe arrivati ad eliminare gli uomini dai campi di battaglia, sostituendoli con dei robot. Beh, quel futuro è ancora lontano, anche perché nel frattempo sembra che l’industria bellica abbia spostato il proprio obiettivo sulla creazione delle cosiddette “armi intelligenti”, per quanto possa essere intelligente l’uso delle armi.
In questa direzione sono andati infatti gli studi della Darpa (la maggior agenzia di ricerca del Pentagono), che ha lavorato al problema realizzando l’Autonomous Land Vehicle. In sostanza, si tratta di un carro armato, capace di muoversi da solo su qualunque terreno, superando vari ostacoli. La sua migliore applicazione però non è avvenuta in campo bellico, bensì, in tempi molto recenti, per le sonde inviate su Marte. In ogni caso, pare che in futuro questo veicolo potrà essere anche in grado di affrontare il nemico da solo, visti anche i grandi successi ottenuti nell’esplorazione spaziale.
Sempre secondo Barnaby, l’uso generalizzato di questo tipo di macchine potrebbe cambiare il concetto stesso di vittoria, che automaticamente spetterebbe all’esercito in grado di schierarne di più. In questo caso le perdite umane potrebbero (e il condizionale è d’obbligo in casi come questi) essere minimizzate, in quanto la presenza dell’uomo sarebbe necessaria solo nell’occupazione fisica dei territori conquistati.
La sostituzione dei soldati umani con dei robot potrebbe divenire una realtà inevitabile a causa del calo delle nascite nei paesi industrializzati, Stati Uniti in testa, oltre ai fattori consequenziali della diminuzione della disoccupazione e della diffusione dell’obiezione di coscienza, che rendono sempre più difficile trovare giovani per gli eserciti.
Soldati e carri armati robotizzati sarebbero solo il primo passo verso il futuro nel campo della guerra (anche se noi tifiamo per la pace), che potrebbe anche essere popolato un domani di astronavi da guerra, alla stregua di tanti romanzi e film di fantascienza. Ma allora, sarebbe già scienza!
Originariamente pubblicato sul numero 2 de LA ZONA MORTA, aprile 1990
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, novembre 2006
26/02/2007, Davide Longoni