LA RECENSIONE

Max fiaccato dall’infruttuosa ricerca girò sbuffando l’ennesima pagina della pila di quotidiani nazionali. La sua attenzione andò all’immagine, in primo piano, di un lungo articolo che occupava un’intera pagina. Una strana creatura era acquattata sulla cuspide dell’imponente torre campanaria a pianta quadrata di una cattedrale. Max pensò che il duomo ricordava quello della sua città. La creatura, che osservava ostile di sotto era una bestia indecifrabile: fronte ampia e schiacciata, occhi spietati e un muso uncinato da rapace. Le orecchie erano larghe alla base e appuntite alle estremità. Le zampe scarne e irsute munite di artigli acuminati. Quel simbolo di malvagità sembrava in attesa di un’ignara preda.

Erano le 18 e 55 e la biblioteca tra cinque minuti avrebbe chiuso. Erano andati via tutti. Anche gli operai edili che realizzavano la manutenzione interna avevano smontato. Ma c’era ancora qualche minuto per leggere l’articolo.

Max da sempre provava repulsione ma al contempo un’inspiegabile attrazione per il mondo dell’arcano e dell’orrido. Per questo, concluso il liceo -e poiché portato verso la scrittura- aveva intrapreso il mestiere di cronista, con predilezione verso la nera.

Lo sguardo cadde sul titolo a caratteri cubitali: A Greg Paura il “The best writer of horror”. L’occhiello riportava: Lo scrittore italoamericano, di origini lucane, con il romanzo “Una mezz’ora d’inferno” si aggiudica il prestigioso Premio statunitense.

La cosa lo fece rimanere perplesso. Era un fan sfegatato di Greg Paura. Peraltro lo aveva intervistato, agli inizi della carriera giornalistica, nel corso di una visita dello scrittore in Basilicata. Perciò, gli sembrò oltremodo strano che gli fosse sfuggita l’esistenza di quel libro e dell’importante riconoscimento attribuitogli.

In quel febbraio- attaccava il pezzo citando un passo del libro- da giorni la pioggia cadeva a dirotto e i tuoni rombavano potenti. Per non parlare delle raffiche di vento che fischiavano forti, tra i vicoli attorcigliati come budelli della città vecchia, facendo gemere le imposte come imperituri piagnucolii di mille bambini.

Max pensò che l’incipit della recensione fosse di quelli che appassionano e ti fanno addentrare senza indugi in un’ambientazione di una classica vicenda horror. Di quelle che da ragazzino, dopo i film della nota serie tv “Passeggiando nell’angoscia”, non lo facevano dormire. Gli facevano fare brutti sogni quei film. E ogni volta si riprometteva di non guardarli mai più. Tranne poi ricadere nella trappola della curiosità e insistere nell’errore di trovarsi incollato alla tv a vedere l’ennesima pellicola del terrore.

Il grande Greg Paura, mai cognome fu più appropriato alla professione svolta -scriveva il critico- esplora ancora una volta i territori dell’ignoto nei quali domina la sospensione del tempo. Con mano sicura e scrittura incalzante egli rapisce il lettore trascinandolo in una spirale di delirio che lo stringe in un fatale abbraccio.

In Max oramai era scattata la molla della curiosità. Si mise comodo.

L’articolo lo avvinceva.

Si guardò attorno, in sala lettura regnava sovrano il silenzio.

Non vide la guardia giurata e pensò che avrebbe continuato a leggere sino a che non si fosse fatta viva. D’altronde era febbraio e fuori c’era un tempo da lupi. Magari avrebbe atteso al coperto nella speranza che smettesse di diluviare.

La macabra storia si svolge in trenta minuti esatti – continuava il recensore. E’ costruita attorno a ciò che avviene, nella mezz’ora, in un severo Palazzo sul ciglio di una remota città. Si può svelare che la vittima sarà rinvenuta con la punta a scalpello di un martello da muratore conficcata nel cranio.

Era appunto l’antefatto alla morte che lo affascinava.

Cosa accadeva mentre il Male preordinava tutte le mosse per colpire l’inconsapevole vittima? Max, cui non mancava la fantasia, si sforzò di immaginare l’edificio dove avveniva l’uccisione e cosa accadeva all’interno prima che la Signora dalla gigantesca falce facesse la sua apparizione.

Poi, mentre la pioggia batteva tamburellando pesantemente sui vetri, riprese a leggere. Questa volta, visto che da un po’ erano passate le 19, saltando oltre metà della pagina.

La biblioteca provinciale era nella centralissima Piazza Vittorio Veneto. Ubicata in un ex monastero Settecentesco, tra immensi saloni con volte a crociera, lunghi corridoi e ripide scalinate. Dai finestroni si apriva la veduta sulla millenaria Città di tufo su cui dominava la Cattedrale in stile romanico – pugliese. 

“CHEE?? PIAZZA VITTORIO VENETO? EX MONASTERO? MILLENARIA CITTA’ DI TUFO? BIBLIOTECA?”

Per la miseria!” esclamò Max aggrottando le sopracciglia sbalordito.

Rilesse. Era scritto proprio così.

“Ma come Greg Paura ha ambientato a Matera il suo romanzo, e proprio qui dentro?” si chiese.

In quel momento un fulmine, come un colossale verme di terra, sfolgorò nel cielo buio provocando un tremendo boato; un’esplosione che divelse un finestrone.

Le imposte urtarono con violenza contro il muro.

Rumoreggiando paurosamente vento e pioggia fitta entrarono nella sala lettura schizzando ovunque. Spiegazzando riviste e giornali.

E come se ciò non bastasse la polvere dovuta ai lavori interni di manutenzione si sollevò in una miriade di mulinelli.

In men che non si dica fu un inferno.

Max si precipitò per tentare di serrare le imposte mentre i fulmini provocavano un andirivieni dell’elettricità alternando la luce all’oscurità.

Scarmigliato e grondante d’acqua Max lottò con tutte le forze per sistemare il finestrone alla meglio, mentre il vento lo spingeva all’indietro e la pioggia lo inzuppava.

Di fronte, spazzati dalla bufera, gli antichi Rioni Sassi con il Duomo che solitario nel buio cupo li sovrastava apparivano spettrali.

Le raffiche divennero un mugghio che gli gelò il cuore. Fu come un flusso ghiacciato che si materializzò in una figura grottesca. Se la vide diafana davanti agli occhi: la strana creatura acquattata sulla cuspide presente sull’immagine nell’articolo era lì.

Come un maleficio che s’impossessava di lui gli penetrò dentro. Il flusso si dipanò come una scossa verso il cervello, gli attraversò la cassa toracica per espandersi nello stomaco, provocandogli quindi un sussulto nelle gambe.

Ebbe un senso acuto di rigurgito e vomitò una, due, tre volte, sbattendo forte la testa al vetro del finestrone che andò in frantumi.

Avvertì una fitta, una ferita profonda sulla fronte sanguinava copiosamente.

Si palpò con la mano il capo ed estrasse un grosso pezzo di vetro. Allora il sangue uscì a fontanelle. Possibile che nessuno si facesse vedere o sentire?

Dov’erano finiti gli impiegati?  E il guardiano?

“Ohh!!”, urlò Max dolorante, “Ohh, ma non c’è un cavolo di nessuno in questo posto. Ohhh???”, nessuno rispondeva.

Dal finestrone rotto l’acqua andava formando una pozza che si allargava sempre più provocando una poltiglia scivolosa di carte e fanghiglia sul pavimento.

Max, zigzagante come un avvinazzato tentò di guadagnare l’uscita della sala lettura.  Inciampò in alcuni attrezzi lasciati sul pavimento dai muratori e cadde nella pozza. Era oramai bagnato e impastato di sangue, carte e poltiglia di polvere, mentre aumentavano le convulsioni a gambe e braccia.

Un foglio di giornale portato dal vento gli finì sulla faccia: era la pagina strappata con la recensione.

Gli sembrò fatto apposta come fosse obbligato a continuare a leggere, anche se pareva assurdo in quel frangente. Ma gli sembrava di non governare più le sue azioni.

Mentre il liquido vermiglio gli colava caldo nella bocca, lesse gorgogliando:

Ghh… il cronista di nera sgomento…zuppo d’acqua e imbrattato di sangue…si trascinava nella biblioteca deserta. Sentiva che la vita stava per sfuggirgli…il Male…giocava sadicamente con lui. Ma noi non possiamo scendere in altri dettagli – riprendeva il critico.

Max oramai ne era certo: stava leggendo la sua morte in diretta!

Era lui la vittima ignara. Segnato, chissà per quale caso, dal Maligno il quale non sarebbe andato via senza l’anima della sua preda.

Sfatto e disperato Max attendeva solo il colpo di grazia.

Stava perdendo i sensi, aveva lo sguardo annebbiato, le forze lo avevano quasi abbandonato.

“Che succede. Come sta!!”.

Udì una voce. Un uomo! Era allarmato.

Max strisciava biascicando parole senza senso ed era prono per terra.

Qualcuno lo girò.

Di fronte si trovò una faccia pingue, in divisa.

Nello stordimento la voce dell’uomo si perdeva nel vuoto come un’eco lontana. Poi la faccia dell’uomo si distorceva.

Adesso era la testa della bestia. Risaltavano gli occhi di brace, le orecchie pelose appuntite, il muso adunco. L’immagine della malvagità era su di lui come un avvoltoio sul suo pasto.

L’avvinghiava.

Max ebbe un sussulto, allungò il braccio destro.

Toccò qualcosa. Pareva un manico. Lo impugnò

“COLPISCI! COLPISCI!”, si disse.

Fu un colpo solo, ben assestato.

La punta del martello si piantò nel capo della creatura orrenda.

La faccia della bestia in una dissolvenza diveniva umana.

Gli occhi erano strabuzzati.  Il volto era quello di un uomo pingue.

Ci fu  un rantolo lungo.

Poi l’uomo pingue in divisa da vigilante si accasciò.

L’istante dopo, come risucchiato, un turbine uscì dal finestrone rotto. Quasi che il flusso maligno, ottenuta la sua preda, si ritirasse appagato.

Max recuperava le forze. Si sentì liberato dagli spasmi e dai dolori.

Fuori la bufera si era placata e dalla ferita sulla fronte la fuoriuscita di sangue pareva essersi arrestata.

La luce nella sala tornò regolare.

Scostò con fatica il grosso cadavere che gli era addosso.

Era affannato e sfatto e gettò le braccia ai lati.

Poi riprese fiato. La pagina di giornale era di fianco a lui.

Spiegazzata, macchiata di sangue, ma si leggevano le ultime parole.

Senza raccontarvi il finale, com’é ovvio- imbeccava in chiusura la recensione- vi diciamo solo che non sempre è il Maligno a scegliersi la vittima da immolare, e questo Max oramai lo sapeva.

Tirò un lungo sospiro di sollievo.

Il pendolo adagiato al muro segnava le 19 e 25 esatte.

Filippo Radogna

 

Il presente racconto è giunto finalista al Premio nazionale “Io racconto ’13” di Pesaro, sezione giallo-horror-polizieschi. Ha, inoltre, ricevuto la menzione d’onore al Premio letterario nazionale “Le Pieridi” di Policoro, edizione 2013.

 

L’illustrazione è dell’artista MIMMO TACCARDI (http://www.taccardi.4000.it/)