Ho fatto quel che potevo per impedire che accadesse. Non ci sono riuscito. Le montagne della Vallagarina, inerpicate tra nevi eterne e boschi di faggi, sono state silenziose spettatrici d’un triste massacro. Cos’altro avrei potuto fare? Ero soltanto un povero avvocato e contro di me c’era il potere della Chiesa, della Santa Inquisizione, persino del principe Massimiliano Londron che non ha voluto capire. Però il rimorso di non aver avuto la forza di osare l’impossibile mi tormenta ancora. E non sono più entrato in una chiesa in vita mia, in quel posto che dicono di Dio ma che invece è la sede del demonio, di un Satana oscuro e terribile che si accanisce su corpi innocenti di giovani donne. Le nebbie lugubri della Vallagarina e il freddo rigido d’un inverno coperto di neve sono niente in confronto al gelo del mio cuore quando penso a loro. Lucia era appena una ragazzina ed è morta. E tutte le altre, per Dio. Tutte le altre. Non ho avuto la forza di fare di più. Perdonatemi. Sono un uomo di stato, un avvocato. E a quel tempo avevo ancora voglia di vivere, ero giovane e pieno di speranze. Adesso forse mi sarei comportato diversamente. Però lo ricordo come fosse ora quel triste periodo e non sono mai riuscito a dimenticare il vostro dolore.
Domenica Chemella era soltanto una povera donna. Viveva d’espedienti ed era rimasta sola con la figlia Lucia dopo che il marito era morto di lebbra. Erano due semplici popolane e spesso si recavano alla corte dei Londron per vendere gamberi di fiume pescati nell’Adige. Campavano di espedienti e rubavano al mercato, quando non avevano niente da mangiare, protette dalla folla che si accalcava davanti alle bancarelle. La sola colpa di Domenica fu quella di essere una ladra, se colpa si può chiamare quando non si sa come tirare avanti, e in quel triste giorno di maggio del 1646 derubò Mercuria Norfini sulla piazza di Nogaredo. C’era tanta gente al mercato e lei pose le mani sulla borsa rigonfia di denari che pendeva dalle vesti di Mercuria. Lucia era in disparte e si limitava a osservare.
Questo è quel che ho detto alla corte degli inquisitori. Ma non è bastato. È stato tutto inutile. Loro cercavano soltanto delle streghe da bruciare. Non chiedevano altro.
In un certo senso la causa di tutto fu Mercuria.
“Ladra! Cosa stai facendo? Posa il mio denaro” gridò.
Poteva fermarsi qui. Aveva detto abbastanza da far accorrere i gendarmi. Poteva. Ma non lo fece.
“Ladra e strega” aggiunse “lo sanno tutti che fai l’amore con il diavolo!”.
Perché pronunciò quella triste accusa? Perché? Questa è la domanda che ancora oggi mi pongo nelle notti insonni, quando il ricordo delle grida delle donne sotto tortura mi fa svegliare di soprassalto. Cosa le aveva mai fatto Domenica per darle della strega? Era la cosa più turpe che si poteva imputare a una donna. Aveva tentato di rubarle i denari, è vero. Bastava denunciarla per punirla e farla vivere ancora. Un po’ di prigione, qualche frustata, tutto sarebbe tornato come prima. Invece no. Mercuria rigirò a lungo il coltello di un’accusa infamante in quella ferita aperta. Il popolo fece il resto, come sempre.
“Strega… sei una sporca strega…” gridava la donna.
Il capannello di curiosi attratti dagli schiamazzi cominciò a crescere. Popolani sfaccendati, mercanti girovaghi, donne che rientravano dal mercato. I commenti passavano di bocca in bocca e facevano da cassa di risonanza per le accuse.
“Streghe…”
“Sono due streghe…”
“Anche sua figlia è una strega… è così bella…”
“Io l’ho sempre saputo”.
Non solo Domenica era una strega, adesso. La voce del popolo aveva già condannato anche la figlia Lucia. D’altra parte le due donne erano troppo belle per non essere invidiate. Ecco, forse la loro colpa maggiore era proprio quella. Domenica nonostante non fosse più una ragazzina era ancora piacente e il portamento elegante non faceva intuire le umili origini. La figlia Lucia aveva diciotto anni e quando passava faceva voltare la testa a tutti gli uomini del paese. Aveva occhi neri penetranti che scrutavano l’anima e un sorriso aperto e sincero che le illuminava il volto. E poi erano due donne oneste, nonostante tutto. Non si sarebbero mai concesse per denaro, preferivano rubare, campare vendendo gamberi e facendo commerci. Questa era un’altra colpa da far espiare agli occhi degli uomini del paese che avrebbero pagato qualsiasi prezzo per una notte d’amore con Lucia, ma anche con la madre e persino con entrambe…
La piccola folla gridava e lanciava accuse.
“Arrestatele!” urlavano.
“Liberateci dalle streghe!”
Le voci del popolo convinsero i gendarmi a catturare sia Mercuria che Domenica. Non arrestarono Lucia perché era appena una ragazzina e furono mossi a compassione. Il popolo avrebbe preteso le catene anche per lei, però. Lo schiamazzo era stato creato da Mercuria e Domenica e i soldati si limitarono a prendere loro e a condurle al castello dei Londron. Le accuse erano gravi. Stregoneria… la sola parola terrorizzava i soldati. Il principe avrebbe deciso la loro sorte.
Massimiliano Londron amministrava la giustizia e promulgava leggi dalla quiete silenziosa del suo roccioso maniero affacciato sulla Vallagarina. Lui non si curava troppo degli affari del popolo, i poveri erano soltanto un fastidioso problema, c’era sempre qualcosa che non andava, qualcuno che moriva di lebbra, oppure si accapigliavano tra di loro. Massimiliano non amava quella folla di gente vestita di stracci che ogni giorno si presentava al suo castello per chiedere un tozzo di pane. Riceveva mercanti e questuanti ma li trattava con sufficienza e disprezzo. Lui era un principe, non poteva avere rapporti con gente di bassa lega. Di solito faceva trattare gli affari con i commercianti dai suoi sottoposti, la sola idea di un contatto fisico con un popolano lo inorridiva. E poi tutte quelle sciocche superstizioni! Era troppo tempo che si era stancato di ascoltare storie di streghe e di diavoli…
“Rinchiudetele nelle segrete e affidatele agli inquisitori” disse.
Otto Obermaier e Franz Voler erano due monaci cattolici austriaci al servizio di Massimiliano Londron. Erano divenuti famosi per aver smascherato numerosi complotti di streghe nella vallata. Almeno così diceva le gente. Per certo era accaduto che molte donne erano state mandate a morte, se poi fossero streghe era difficile dirlo. Otto e Franz usavano metodi terribili e le sventurate che cadevano nelle loro mani confessavano sempre. Confessavano o morivano sotto tortura. Non avevano scelta. Io ero stato spettatore di molti spettacoli raccapriccianti durante la mia carriera. Era il mio ufficio, purtroppo.
Per Mercuria e Domenica si preparava un trattamento simile.
Per prima cosa gli inquisitori ordinarono che i capelli delle due donne fossero rasati a zero. Non le stettero neppure a sentire. Mercuria gridava che era Domenica la strega e che lei non c’entrava niente. Domenica invece piangeva d’un pianto silenzioso e le lacrime scendevano sul volto come a scavare piccoli solchi di tristezza. Credo pensasse a sua figlia che era rimasta sola. Otto e Franz quando avevano tra le mani delle donne partivano sempre dall’idea che fossero streghe. Il contrario andava provato. E non era facile. Dopo aver rasato a zero il cranio di Mercuria e Domenica ordinarono ai loro sottoposti di legarle per le dita delle mani a una trave di legno che pendeva dal soffitto. Le estremità dovevano essere tirate sino a far scricchiolare le ossa e spezzare i tendini. Le due vittime divennero corpi in bilico tra la vita e la morte nel buio delle segrete del castello e i loro volti si modificarono in una maschera di terrore. Gridavano. Piangevano. Il sangue colava dalle mani e scendeva sulle braccia marcando di rivoli rossi il resto del corpo. Otto e Franz non si contentarono di questo. Ordinarono che tra le dita delle mani di quelle sventurate venissero inseriti dei piccoli cunei di legno appuntiti. Vidi i volti di Mercuria e Domenica farsi sempre più tesi, udii i loro gemiti e le suppliche. Non riuscivano a sopportare il dolore. Le ossa delle dita schiantavano come castagne sul fuoco. I tendini volavano via, sfilacciati. Fu così che confessarono. Tra lacrime, sangue e grida di terrore. Confessarono, come spesso accadeva, accusandosi a vicenda.
“È lei la strega” disse Domenica.
“Mi hanno insegnato tutto Domenica e sua figlia” ribatté Mercuria.
Fu così che i due perfidi inquisitori fecero arrestare anche quella povera ragazza di Lucia che in un primo tempo era stata risparmiata. Era così giovane, povera Lucia. Aveva soltanto diciotto anni e un sorriso di ingenua dolcezza dipinto sul volto. Vederla soffrire mi ha fatto star così male che ancora adesso la notte sogno il suo sguardo implorante che mi supplica di aiutarla. Non voglio più fare questo sporco mestiere. Non voglio. Non sino a quando la gente di queste valli continuerà a credere a queste assurde storie.
“Dopo la comunione trattengono l’ostia consacrata sotto la lingua, poi la usano per il sabba e per le messe sataniche” continuò Mercuria.
Otto e Franz ordinarono che la donna venisse staccata dalla trave. Mercuria ebbe la piacevole sensazione di riavere le mani libere. Frantumate. Inservibili. Però libere, finalmente. Continuò a confessare e le parole scorrevano impetuose sulle sue labbra, come la corrente di un fiume in piena.
“Sono stata anch’io una strega” disse “ho partecipato al sabba e ho guarito persone con unguenti satanici e polvere di ossa di morto”.
“Perché lo hai fatto?” chiese Otto.
“Perché hai peccato?” incalzò Franz.
“Loro mi hanno costretta”.
Parlava di Domenica e Lucia, naturalmente.
La rilasciarono. Mercuria giurò che non avrebbe mai più praticato la stregoneria. Fece altri nomi in cambio della libertà. Lei era una ricca borghese, suo marito aveva amici influenti alla corte dei Londron. Se la cavò con poco. Le mani ridotte a poltiglia erano niente in confronto al normale destino di una strega rea confessa.
Otto e Franz allora cominciarono ad accanirsi sulle tenere carni di Lucia, così giovane e inesperta, così bella in quelle smorfie di malinconia che supplicavano aiuto. Le frantumarono le dita una alla volta. Lucia piangeva e implorava che smettessero. Il mio cuore si spezzava a quel triste spettacolo. Avrei voluto abbracciarla, baciarla, consolarla, portala via da quel castello maledetto. Avrei voluto scappare con lei attraversando le foreste di abeti che valicano le Alpi e conducono in Austria, avrei voluto liberarla dalle mani di quei due folli assassini. La loro religione, il loro Dio erano due cose così tristi e assurde che mi vergognavo di far parte dello stesso tribunale. Ma non ne ho fatto di niente e me ne vergogno. Sono soltanto un vigliacco, colpevole come gli altri, forse più degli altri perché reggo il sacco a dei delinquenti e non credo alla loro lucida follia. Assistetti impassibile alla confessione della ragazza. Cos’altro avrebbe potuto fare?
“È vero che sei una strega?” incalzava Otto.
“Sì” diceva lei tra le lacrime mentre si sentiva spezzare le dita.
“È vero che la notte ti trasformi in gatto e vaghi per le case cospargendo l’unguento del diavolo?” ribadiva Franz.
“Sì” mormorava lei.
“Hai mai fatto l’amore con Satana?” chiese ancora Franz.
“Sì, come uomo e sotto forma di capra” rispose in lacrime.
Avrebbe confessato qualsiasi assurdità, povera Lucia. Tutte le superstizioni che aveva sempre udito per le strade del paese le venivano alla mente e ripeterle forse le sembrava l’unica via di fuga da quell’assurda tortura.
Gli inquisitori però non si contentarono che accusasse se stessa. Chiesero conferma pure sulle cose dette da Mercuria.
“”Zenevra Baraller, Caterina De Pisis e Benvenuta Pistozzi sono streghe?” chiese Otto.
“Sì, anche loro hanno fatto l’amore con Satana e partecipano al sabba” rispose Lucia stremata dalla fatica e distrutta dal dolore.
Non ce la faceva più, povera Lucia. I suoi aguzzini chiedevano e lei annuiva. Voleva soltanto che quel tormento dei cunei tra le dita e delle corde tese a spezzare la mani avesse fine.
Io finalmente comprendevo il motivo della fama di quei due bastardi che avevano torturato e condannato tante donne nella vallata. I loro metodi non avevano margini di fallimento, il loro odio verso le donne era così forte che si accaniva sulle vittime distruggendone ogni difesa. Finiva che confessavano. Confessavano sempre.
Otto e Franz ordinarono che venissero incarcerate altre donne.
Il terrore si sparse a macchia d’olio per il borgo di Nogaredo. Le altre presunte streghe sotto tortura confessarono particolari sul sabba, sulle pozioni magiche, sui riti. Annuivano a ogni domanda di quei folli inquisitori. Io assistevo in silenzio. Ero soltanto un avvocato d’ufficio e in quella fase del processo non potevo fare niente. Conoscevo le regole. Prima dovevano confessare. Quando arrivò il momento fu Franz Voler a darmi facoltà di parlare.
“Avvocato Marco Antonio Bertelli, cosa può dire in discolpa di queste donne?” chiese con fare arrogante.
Cosa potevo dire? Qualsiasi cosa avessi detto non mi avrebbero ascoltato. Avevano già deciso tutto. Otto e Franz erano soltanto due monaci folli che niente avevano a che vedere con il Dio misericordioso che un tempo anch’io avevo pregato. Un tempo. Adesso mi fa schifo soltanto l’idea. Era in nome di quel maledetto Dio che uccidevano donne innocenti. Se avessi detto tutto quello che sentivo avrei fatto la fine di quelle sventurate, sarei finito sul rogo. Non sono mai stato un eroe, lo ammetto. Volevo vivere. Mi limitai a stare al gioco di sempre, quello dell’avvocato d’ufficio che finge di aiutare le streghe. Solo che io avrei voluto salvarle davvero quelle povere donne. Pronunciai poche parole, però lo feci con decisione.
“Chiedo che le accusate vengano sottoposte a perizia medica per verificare la possessione diabolica”.
Non potevano rifiutare, anche se la cosa non andava molto a genio a quei due assassini. Volevano soltanto fare giustizia sommaria, soddisfare la loro brama di sangue. Non altro. Il processo era una farsa. Loro avevano già deciso.
“Sia fatta la perizia” disse Franz stizzito.
Il lavoro dei medici fu rapido ed esauriente.
Nessuna delle donne mostrò segni di possessione diabolica sul corpo. Si scoprì addirittura che una delle giovani accusate era ancora vergine.
“Cosa vi dicevo? Non ci troviamo di fronte a streghe ma a donne ingenue, troppo stupide per essere pericolose” conclusi.
Ma i due pazzi inquisitori erano troppo assetati di sangue, volevano impalare le loro vittime al rogo, niente li avrebbe fermati, neppure l’evidenza. Non sarebbe stata una perizia a convincerli. Secondo loro il diavolo poteva cancellare le tracce del suo passaggio sui corpi umani. Era un’argomentazione che in passato avevano già utilizzato per condannare e io lo sapevo.
“Abbiamo le loro confessioni, avvocato Bertelli” ribatté Otto Obermaier visibilmente spazientito.
“Il potere di Satana è immenso e nessuno di noi lo conosce a fondo. Satana gioca con la mente e con il corpo umano. Una perizia medica non dimostra niente” incalzò Franz Voler.
“Vi ripeto che sono soltanto delle povere ignoranti suggestionate dalla vostra intelligenza. Lasciatele libere” conclusi.
Era l’ultima carta da giocare per tentare di salvarle. Utilizzare l’odio degli inquisitori, la loro superbia, la misoginia e al tempo stesso adulare la loro intelligenza. Far capire che quelle donne erano soltanto delle povere sciocche, delle ingenue senza cervello e che dovevano essere magnanimi di fronte a tanta ignoranza. Erano troppo superiori per accanirsi sulla stupidità.
La giuria si riunì. Discussero a lungo. Ci fu un momento che pensai davvero di averla spuntata. Ma durò poco.
Fu Massimiliano Londron a gettare sulla bilancia il peso del suo potere. In un certo senso la sua arroganza fu più colpevole della ottusa perfidia dei due sadici monaci.
“Sono stanco di queste donne che sconvolgono la pace di Nogaredo. Occorre una punizione esemplare” disse.
Correva l’anno del Signore 1647 quando Domenica, Lucia, Zenevra, Caterina e Benvenuta vennero decapitate al tramonto d’un giorno d’estate. Il boia Ludovico Oberdofer di Merano preparò un rogo e bruciò i poveri resti di quelle sventurate. Il suo sorriso beffardo è la cosa peggiore che rammento di quell’infausto giorno. La folla gridava vendetta e chiedeva a gran voce la testa delle streghe. Io cerco ancora di dimenticare quella brutta storia e spero di riuscirci davvero un giorno o l’altro. Vorrei tanto non ricordare lo sguardo supplichevole di Domenica mentre agita le dita frantumate e incrostate di sangue. Vorrei soprattutto scordare le sue parole.
“Non per me… per mia figlia…”.
Non sono stato capace di aiutarvi e vi chiedo perdono.
Voi sarete per sempre le streghe di Nogaredo.
(FINE)
Questo racconto, scritto per la rivista “Mystero” tanti anni fa ma mai pubblicato, è una rielaborazione in forma narrativa di un episodio realmente accaduto a Nogaredo nel 1646, uno dei tanti processi alle streghe che interessarono la Vallagarina nel corso del 1600. Quasi tutti i personaggi sono esistiti e l’autore si è limitato a modificare in alcuni casi solo il cognome. Gli inquisitori Otto Obermaier e Franz Voler sono gli unici personaggi di fantasia. Sotto questi due nomi si vuol rappresentare gli scellerati aguzzini che disposero le torture sulle cinque donne prima di condannarle a morte per stregoneria.