E’ nel 1953 che escono negli Stati Uniti per poi giungere qui da noi, tre importanti film destinati anche loro a fare la storia del cinema di fantascienza (Destinazione…Terra, La guerra dei mondi e Il risveglio del dinosauro).
Mostri di tutti i generi si apprestano ad affollare il mercato italiano, le invasioni si faranno più spietate e, purtroppo, anche più ridicole; nello stesso tempo alcuni film diventano più sofisticati, densi di significati nascosti, o di interpretazioni personalizzate. Impera ancora la paura della bomba, la “guerra fredda” è nel pieno del suo svolgimento. E’ il periodo d’oro dei kolossal di Hollywood: tutto ciò che è statunitense è ben fatto e ben visto, fa “moda” (oggi si direbbe che era trendy) e si cerca di imitarlo. Mancano ancora cinque anni al primo sputnik sovietico.
La letteratura di fantascienza intanto muove i suoi primi, incerti passi anche nel nostro Paese: nascono e muoiono, in breve lasso di tempo, riviste anche di dignitoso valore, ma edite purtroppo da piccole case che non riescono a emergere e a tenere il passo con produzioni allora di maggior interesse commerciale. Sola fra tutte, edita da un grande editore, Urania rivista, pur conoscendo una vita breve, apre il passo all’ancora vivente collana de I Romanzi di Urania (oggi solo Urania) che, al di là dei suoi alti e bassi, può vantarsi, se non di essere stata la prima, di risultare oggi di fatto la più anziana e venerabile pubblicazione italiana di science fiction.
La narrativa di fantascienza sin da allora mostrò di essere più evoluta e profonda di quella cinematografica. Non si accontentava di ricorrere a mostri e ad “astronavi alla conquista”, ma spaziava per tutti i vasti campi d’interesse offerti dal genere. In pieno sviluppo tecnologico, di fronte alle continue scoperte scientifiche che alimentavano i sogni dell’uomo, i testi letterari offrivano stimoli e prospettive ben più ampi di quelli cui si limitava il medium cinematografico: erano gli anni che in America vedevano la nascita di riviste come Galaxy e Fantasy and Science Fiction, che cercavano di superare il binomio “mostri & missili” su cui puntava la fantascienza per il grande schermo.
Questo non era dovuto soltanto all’immaturità dello spettatore, non ancora pronto ad affrontare problematiche psicologiche o sociali, ma, ed è più reale, alla volontà dei produttori di sfruttare al massimo le psicosi allora ricorrenti: l’ignoto dello spazio e i suoi misteri, l’enigma degli UFO, la paura dell’atomica e delle sue conseguenze.
Si apre anche un elementare discorso politico. Il messaggio di disarmo, di pace e di fratellanza, tipico delle pellicole americane del periodo mostra poliedriche sfaccettature.
“La guerra atomica è una gran brutta cosa”, dicevano in sintesi questi film, “ma non siamo noi a volerla, sono loro… “. Loro, per il cinema americano, altri non erano che i sovietici: gli unici, veri responsabili di un eventuale conflitto atomico dalle disastrose conseguenze. Una Terra desolata, irta di crateri fumanti, abitata da creature mostruose, uniche eredi del patrimonio umano, era il futuro del nostro mondo se affidato in mano ad un popolo che non possedeva scrupoli o remore di sorta. Tutto ciò che era americano, viceversa era buono, sano e giusto; mentre quanti si opponevano all’american dream erano gli alieni, i mostri, risvegliati da un millenario letargo o scesi sulla Terra per conquistarla.
E’ questo un giudizio che, peraltro, non vale universalmente, un metro interpretativo che non spiega sempre tutto: sì, alcune pellicole possono prestarsi, fra le pieghe, ad un discorso del genere e altre addirittura sono state prodotte con chiaro intento propagandistico, ma, nella maggioranza dei casi, i soggetti erano affidati alle mani di produttori i quali non si sognavano minimamente di pensare in termini politici, sia perché non ne avevano le cognizioni necessarie, sia perché esulava dai preminenti interessi commerciali. Il film sui mostri e sui razzi rendeva quattrini: quindi, perché non farli? Questo è ciò che il produttore medio principalmente pensava, e null’altro. Se la letteratura italiana e, a maggior ragione quella straniera, proseguiva la sua strada, il cinema aveva ormai imboccato la propria.
Come abbiamo detto dobbiamo attendere il 1953 per avere tre film che segnarono la storia e che apparvero proprio in quell’anno e che giunsero anche in Italia.
Destinazione… Terra fu probabilmente il più suggestivo dei tre anche perché portava la firma come sceneggiatore, dello scrittore Ray Bradbury e la regia era di Jack Arnold alla sua prima prova fantascientifica e che diventerà uno dei registi più acclamati del periodo.
Uno dei metodi più subdoli usati dagli alieni per infiltrarsi in mezzo ai terrestri è quello di assumere il loro aspetto e cercare di comportarsi da terrestri, questo almeno entro certi limiti perché deve sempre esserci il modo per poterli riconoscere, vuoi perché fissano il Sole senza battere le palpebre, vuoi perché hanno il dito mignolo che viaggia per conto suo (è noto che gli alieni, anche se umanoidi, hanno quattro dita per cui il mignolo è un optional), vuoi perché indossano un “Edgar-abito” come se fosse un vestito che sta loro un po’ largo, o stretto a seconda delle dimensioni dell’infame extraterrestre che lo indossa.
Non esiste un metodo sicuro per riconoscere gli alieni che si sono infiltrati tra noi, ma c’è chi dice, per esempio, che i dottori e gli avvocati che aiutano i loro pazienti o clienti senza chiedere nulla in cambio ma solo per il desiderio di fare del bene, non possono essere che degli alieni e che quindi la serie televisiva di Perry Mason o E.R Medici in prima linea sono, per la ragione citata prima, dei serial di pura fantascienza ma queste sono illazioni che, se pur valide, non possiamo, e ce ne dispiace, farle rientrare nei generi che stiamo trattando.
Ma non sempre gli alieni che arrivano sul nostro pianeta ed assumono le forme terrestri sono qui per invaderci. Possono cadere sul nostro strano e barbarico mondo per errore o per un guasto ed il loro primo desiderio è di ripartire al più presto evitando ogni contatto con noi. E’ il caso, dicevamo, di una delle più ispirate pellicole del cinema di fantascienza Destinazione…Terra (It Came from Outer Space) cui sono seguiti film considerati tra i maggiori del genere in quel periodo e che sono stati fonti d’ispirazione per registi come Steven Spielberg, Joe Dante, John Carpenter, James Cameron e molti altri.
Le successive pellicole di Arnold (Il mostro della Laguna Nera, 1954; Tarantola, 1955; La vendetta del Mostro, 1955; Radiazioni B.X.: distruzione uomo, 1957; Ricerche diaboliche, 1957; I figli dello spazio, 1958; Il ruggito del topo,1958; L’incredibile casa in fondo al mare, 1969) sono da tempo cult del cinema di fantascienza, così come il suo intervento non accreditato in tutto il secondo tempo di Cittadino dello Spazio (1955) e la sceneggiatura de La meteora infernale e Terrore sul mondo (1957) realizzati poi dal suo allievo John Sherwood.
Attraverso un dialogo poderoso, mai inutile, anzi suggestivo ed umano, il film ci porta a considerare questi alieni sì come dei diversi (dato che la loro vera forma è tanto orribile per la nostra limitata visione delle forme di vita essi sono costretti a prendere un aspetto umano per nascondersi e per potersi aggirare fra i terrestri), ma dotati comunque di una comprensione ed una lungimiranza tali che li porta ad incontrare esseri di altri mondi. Eppure anche questi ambasciatori spaziali dimostrano tra loro un carattere diverso per cui c’è chi passa subito alle armi come la “Helen aliena” che sarà uccisa dal protagonista John.
Girando il suo Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), Steven Spielberg avrebbe voluto avere accanto a sé il regista e Richard Carlson per congiungere così in un unico filo fantastico i due film di cui la pellicola di Spielberg è un ideale seguito perché ora il momento è giunto ed essi sono tornati…
In fondo la storia è abbastanza semplice: Sand Rock, Arizona. Una gigantesca meteora cade presso una vecchia miniera abbandonata. Le indagini compiute da un giornalista, John Puttman (Richard Carlson) portano alla scoperta che il bolide è in realtà un’astronave proveniente da altri mondi, scesa per un guasto sul nostro pianeta. Gli esseri che sono a bordo sono tanto orribili a vedersi, almeno secondo il nostro metro di misura, ma hanno la facoltà di prendere l’aspetto di terrestri per poter circolare liberamente in città allo scopo di procurarsi i materiali che servono per riparare la loro nave spaziale. John Puttman si convince delle loro buone intenzioni e li aiuta nella loro missione: fa saltare l’ingresso della miniera, l’unico che dà accesso alla nave spaziale e gli extraterrestri liberano gli ostaggi umani di cui erano in possesso e ripartono. Torneranno quando l’uomo sarò pronto per riceverli.
Il secondo film può essere definito tranquillamente un kolossal d’epoca. Era liberamente tratto da un romanzo di Herbert George Wells e prodotto da un altro nome famoso, George Pal: si tratta de La guerra dei mondi (The War of the Worlds) diretto da Byron Haskin.
A parte l’ambientazione portata ai tempi nostri il film segue abbastanza da vicino il romanzo di Wells sfrondandolo ed aggiornandolo là dove era necessario, cosa che farà anche il mediocre remake del 2005, e soltanto un film, ovviamente inedito in Italia, dello stesso anno, H.G.Wells’ the War of the Worlds di Timothy Hines, realizzerà una versione quasi perfettamente consona al romanzo da cui è tratta la vicenda, ma con effetti speciali assolutamente inferiori.
E anche qui parliamo di storia nota ma abbiamo comunque il dovere di riportarla: una gigantesca meteora cade sulla Terra e da essa escono delle navi marziane dotate di raggi disintegranti che seminano la morte e la distruzione. E’ l’inizio di un’invasione in piena regola. I colpi dei cannoni e dei proiettili s’infrangono contro l’ombrello elettronico di protezione delle navi marziane. Si cerca allora di distruggere gli alieni con il lancio di una bomba atomica, ma è tutto inutile; un’ èquipe di scienziati cerca di trovare un altro sistema per debellare le creature, ma la folla inferocita e spaventata distrugge tutta la strumentazione che essi stavano per portar via durante l’evacuazione della città . Ora non ci sono più speranze. Mentre i marziani stanno radendo al suolo Los Angeles avviene il miracolo: i germi della nostra atmosfera sono fatali per i marziani che muoiono a bordo delle loro spaventose macchine.
Il film costò circa un miliardo di lire italiane, prezzo estremamente alto a quell’epoca e la sua realizzazione fu molto sofferta e laboriosa; occorsero, infatti, più di sei mesi solamente per elaborare gli effetti speciali, più altri due per le sovrapposizioni e i trucchi visivi. La lavorazione effettiva con gli attori, svoltasi parte a Hollywood e parte in Arizona, fu la più breve: quaranta giorni.
Terzo e l’ultimo film per quanto riguarda il 1953 mentre, per il momento, in Italia tutto tace, è Il risveglio del dinosauro (Beast from 20.000 Fathoms) di Eugene Louriè. Diciamocelo chiaramente: non è all’altezza degli altri due ma è comunque un film importante e ha meritato un posto preciso nella storia dei film di mostri e di science fiction, perché ha dato ufficialmente il via a tutto un genere particolare.
Artefice degli effetti speciali di questo film era un altro nome famoso nel campo del fantastico e della fantascienza: Ray Harryhausen che aveva appreso la tecnica detta Stop Motion da Willis O’Brien e fu poi da lui velocizzata, con grandi vantaggi economici per il cinema dove il tempo è denaro, e chiamata Dynamation. Nel 1953, l’anno in cui venne realizzato Il risveglio del dinosauro, Harryhausen non aveva ancora mai lavorato da solo: così esitò a lungo prima di accettare, anche perché i produttori non gli lasciavano molto tempo per svolgere il suo lavoro. Come già O’Brien, Harryhausen realizzò il suo fantastico “Rhedosauro” (un nome fasullo per un animale altrettanto mitico) con il lattice e l’ossatura di ferro, lo provò davanti agli scenari precostruiti in piccole dimensioni e lo mosse, fotogramma per fotogramma, di poche frazioni di millimetro alla volta. Se si tiene conto che una pellicola normale ha uno scorrimento di 24 fotogrammi al secondo, ecco che ci vogliono 24 movimenti impercettibili per fare un secondo di movimento percettibile.
Più complessa diventa la tecnica quando si deve far vedere l’animale a contatto, o quasi, con gli esseri umani: in tal caso, su uno schermo viene fatta scorrere, sempre fotogramma per fotogramma, l’immagine di persone che per esempio guardano di fianco; il muso del Rhedosauro viene inserito davanti allo schermo e mosso anch’esso fotogramma per fotogramma in perfetto sincronismo con l’immagine proiettata. Girata la pellicola, risulterà l’immagine voluta, questo perché nel cinema non esiste la profondità di campo, salvo adoperare la tecnica del “3D”. Al massimo, se il lavoro non è perfetto, risulterà qualche slabbratura o sfocatura, specie nella parte degli esseri umani e questo perché trattandosi di una scena ripresa due volte la nitidezza, almeno all’epoca, andava qualche volta perduta. Quando, qualche mese dopo l’uscita della pellicola, i produttori si accorsero che con una spesa minima avevano realizzato qualcosa che stava rendendo fiumi di dollari, pensarono di sfruttare convenientemente il filone, girando molteplici film su ogni sorta di animali e insetti che impazzavano, debitamente ingigantiti o risvegliati da millenari letarghi, sulla nostra povera Terra.
La storia di un mostro preistorico che si risveglia dal suo sonno millenario è oggi giustamente diventata un classico, infatti quando un’esplosione atomica tra i ghiacci del Polo scioglie un lastrone di ghiaccio dentro al quale dormiva in uno stato letargico un Rhedosauro, l’animale si ritrova vivo e libero di percorrere la banchisa e di raggiungere New York affondando navi e sgranocchiando batiscafi. Una volta raggiunta la città inizia la sua opera di devastazione. Le forze militari attaccano il mostro ferendolo e così si viene a scoprire che il suo sangue è portatore di una malattia sconosciuta per cui si rende necessario uccidere la creatura con una granata radioattiva sparata dentro la ferita già esistente. Il piano viene approvato ed eseguito mentre il mostro sta pasteggiando con un otto volante a Coney Island. Il colpo è perfetto e l’animale muore.
(2.continua)