E così, tra un risparmio e l’altro, da un disinteresse e l’altro, l’Italia entra negli anni Sessanta e mentre noi assistiamo al successo anche commerciale dell’ottimo film di George Pal L’uomo che visse nel futuro (The Time Machine, 1960), i produttori, schiavi dei distributori e quasi sempre totalmente digiuni di cinema, non hanno il coraggio di rischiare e preferiscono percorrere strade già battute e strabattute cercando di sfruttare un filone sino all’osso spendendo il meno possibile.
Il film, per essere realizzato, deve essere già stato venduto a scatola chiusa. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che i distributori devono averlo già comprato per le case cinematografiche e perché questo accada, il produttore deve presentare il suo progetto in modo credibile. Nel rutilante cartellone che gli viene presentato deve esserci un attore di successo, che attiri il pubblico, o un regista di talento. Qualcosa, insomma, che giustifichi la spesa per acquistare la pellicola e distribuirla e se vi sembra un modo arido e poco artistico di fare le cose dovete capire che questi signori, e soprattutto i distributori, sono ignoranti come capre sul cinema. Per costoro sarebbe la stessa cosa vendere mortadella al supermercato, con la differenza che essi non vendono mortadella, vendono spettacolo, vendono cinema, e non ne capiscono quasi nulla. Il cinema non è arte, ma industria e come tale deve funzionare. Tutto quanto detto fino a ora vale per qualunque genere di film, ma è valido ancora di più per la fantascienza, genere poco redditizio e maledettamente costoso per quei tempi.
Diverso era il discorso per il cinema dell’orrore perché, anche se poteva andare incontro agli stessi problemi, tutti noi sappiamo che un paio di canini finti costano molto meno di un’astronave, vecchi castelli più o meno diroccati ce ne sono a iosa dalle nostre parti, belle fanciulle che si lasciano mordere il collo per “recitare” magari seminude te le tirano dietro, per cui cominciarono ad apparire dei film anche di valore sotto rigoroso pseudonimo: Lo spettro (1963) di Robert Hampton (Riccardo Freda) e prima ancora I vampiri (1957), dello stesso regista, il bellissimo I tre volti della paura (1963) di Mario Bava che si avvaleva addirittura della interpretazione di Boris Karloff. Intanto Lo spettro in particolare e il cinema italiano in generale consacravano definitivamente nuova regina dell’horror Barbara Steele, regno iniziato con il geniale La maschera del demonio (1960) dello stesso Bava.
Anthony Dawson, invece, meglio conosciuto in Italia come Antonio Margheriti, porta sullo schermo quello che doveva essere o sembrare un film spettacolare e costoso: si tratta di Space-Men, sempre del 1960, giusto quando tra noi sta per giungere lo stupendo Il villaggio dei dannati (Village of damned) di Wolf Rilla. In ogni caso l’opera di Margheriti, pur non priva d’ingenuità, come quella di credere che nello spazio non si vedessero i colori quindi tutto era virato in verde scuro, ha la sua regione di esistere anche se non la troveremo certo nella recitazione degli attori. La storia è questa: una nave spaziale genera un pericoloso campo d’energia che distruggerà la Terra se non si riuscirà a penetrare al suo interno e spegnerne il motore. Dopo vari tentativi sarà un giornalista a riuscirvi.
L’anno successivo ancora Margheriti realizza Il pianeta degli uomini spenti, una storia bellissima con un eccezionale interprete, ma entrambi al servizio di effetti speciali purtroppo tirati via: un misterioso pianeta entra nel Sistema Solare e da esso si alzano dei dischi volanti che attaccano la Terra. Grazie ai calcoli di uno scienziato, il professor Benson (un Claude Rains perfetto e credibile nel ruolo dello scienziato eccentrico), i terrestri riescono ad atterrare sul pianeta e scoprono che gli abitanti sono morti da molto tempo ma il pianeta, in realtà un’immensa astronave, sta continuando il piano d’invasione così come era stato programmato. Lo scienziato ha trovato anche il modo di controllare il pianeta, ma è troppo tardi, i terrestri non lo ascoltano e lo fanno saltare in aria assieme a Benson che era penetrato all’interno fino al cuore del pianeta.
Antonio Margheriti proseguirà la sua carriera con altri film, come disse lui stesso a una conferenza a Trieste, realizzati per pagare il conto del droghiere. Ed ecco che di questi suoi film “alimentari” sempre parole sue, ricordiamo I Diafanoidi vengono da Marte (1965), per la precisione i Diafanoidi sono creature fumogene provenienti da un distrutto e moribondo pianeta rosso e che hanno, ovviamente, lo scopo di invadere i terrestri e il loro bellissimo pianeta, ma nulla da fare… Il pianeta errante, sempre del 1965, si sta avventando contro la Terra. Per poterlo fermare, dato che si tratta in pratica di un’unica mostruosità vivente, degli astronauti dovranno scendervi, penetrare al suo interno e distruggerne il cervello. Sempre nello stesso anno, ma gradino più sopra, I criminali della galassia dove il solito scienziato pazzo (Massimo Serato) vuole produrre su vasta scala una nuova razza che sia la combinazione dell’uomo e della donna e che porti in sé tutte le caratteristiche positive dei due sessi. E’ necessario fermarlo prima che diventi un connubio tra lui e Lisa Gastoni… e, per finire, nel 1966, ecco La morte viene dal pianeta Aytin dove, in questo caso, gli alieni sono gli Yeti che distruggono un’importante stazione meteorologica e vogliono invadere la Terra portandola al periodo glaciale. Andranno puniti come meritano.
Quasi tutte queste pellicole erano state finanziate dal mercato americano e Margheriti passava da un set all’altro girando contemporaneamente le varie storie per risparmiare tempo e di conseguenza soldi.
(4.continua)