ULTIMATUM ALLA TERRA (The Day, The Earth Stood Still – 1951)
«Io sto per partire. Mi perdonerete se vi parlo senza preamboli. L’universo diventa ogni giorno più piccolo e il pericolo di aggressione, da parte di chiunque e dovunque, non può essere tollerato. E’ necessario che ci sia sicurezza per tutti gli esseri viventi. Ciò non vuol dire rinunciare a qualche libertà se non a quella di agire da irresponsabili. I nostri antenati hanno pensato così quando hanno fatto le leggi per autogovernarsi, ma anche una polizia per imporle. Anche noi che abitiamo gli altri pianeti abbiamo accettato questo principio e abbiamo creato un’organizzazione per la mutua protezione di tutti i pianeti e per la totale eliminazione di ogni aggressione. La forza di questa autorità superiore è una polizia che lo faccia rispettare e a questo scopo abbiamo fatto un esercito di automi. Il loro compito è pattugliare i pianeti con aerei astrali come questo e mantenere la pace. In materia di aggressioni abbiamo loro conferita assoluta autorità su di noi, autorità che non può essere revocata. Al primo segno di violenza agiscono automaticamente contro l’aggressione. Gli effetti che la loro azione può causare scoraggiano ogni iniziativa. Il risultato è che viviamo in pace, senza armi né armati, tranquilli perché sappiamo di essere liberi dal pericolo della guerra e liberi di dedicarci ad attività più proficue. Non ci illudiamo di aver raggiunto la perfezione, ma abbiamo creato un sistema che funziona. Io sono venuto qui per dirvi questo: a noi non importa quello che fate su vostro pianeta, ma se tentaste di estendere le vostre violenze, questa vostra Terra verrebbe ridotta a un mucchio di cenere. Potete scegliere: unirvi a noi e vivere in pace o seguitare sulla strada in cui siete e venire annullati. Aspetteremo una risposta. La decisione spetta a voi.»
E’ questa la sequenza finale ed esplicativa di uno dei migliori e più famosi film di fantascienza mai apparsi in Italia e non solo da noi.
La pellicola diretta da Robert Wise è ispirata al racconto “Farewell to the Master” di Harry Bates apparso per la prima volta in Italia sull’ormai storico Scienza Fantastica nel numero 4 della rivista mentre correva l’anno 1952. Il titolo originale era stato cambiato in “Uomo di carne, uomo d’acciaio” poi, nel 1974 fu ritradotto e riportato come semplicemente “Klaatu” dalla De Carlo di Milano.
Il film narra la storia di un disco volante che scende sulla Terra; da esso emergono uno spaziale, in tutto e per tutto simile agli uomini e un robot. Per errore l’uomo viene ferito, mentre porge un regalo per il presidente degli Stati Uniti, da un militare della truppa che aveva nel frattempo circondato il disco.
Portato in ospedale egli comunica di aver un messaggio per il mondo intero, molto importante, ma ragioni politiche terrestri impediscono gli incontri tra i vari capi di Stato. Klaatu, lo spaziale, fugge e, inseguito, viene ucciso, il che scatena l’ira del robot che probabilmente distruggerebbe la Terra se una donna, che ha capito le buone intenzioni di Klaatu, non lo fermasse.
Gort, il robot, (Lock Martin) recupera il corpo di Klaatu (Michael Rennie) e lo fa rivivere in tempo per dare il suo messaggio a un congresso di scienziati assiepato davanti al disco, che poi riparte verso le stelle.
Il film possiede molti momenti felici e risponde al suo obiettivo, che è quello di condannare la stupida bellicosità degli uomini.
Lo spaziale, lo si comprende subito, è amichevole. Appena uscito dal disco, con la mano destra alzata nel segno universale della pace, inguainato nella tuta spaziale, dichiara: «Io vengo da voi come amico. Non abbiate paura.», mostra uno strano oggetto a un militare e questi, per un riflesso nervoso, spara e lo colpisce a un braccio; mentre tutti gli corrono attorno, appare la grande sagoma dell’automa Gort che, con un raggio bianco scaturito da un portello all’altezza degli occhi, disintegra le armi, i carri, le jeep che sono vicini al disco, ma a un ordine di Klaatu, Gort si ferma.
Klaatu si lascia trasportare in ospedale, dove riceve la visita di un funzionario, Harley, (Frank Conroy) della Casa Bianca.
Seguiamo il dialogo, molto significativo, che si svolge tra i due.
Klaatu ha appena dichiarato che non vuole rivelare lo scopo della sua visita: «Non adesso né a lei solo», dice.
Harley: «Desidera parlare personalmente al Presidente?»
Klaatu: «Non è una questione personale, signor Harley. Riguarda tutti gli abitanti della Terra.»
Harley: «Io… non credo di aver capito bene.»
Klaatu: «Parlerò ai rappresentanti di tutti i popoli della Terra.»
Harley: «Beh, temo che questo sia un po’ difficile… Eh, sì, sarebbe un caso senza precedenti e poi ci sono delle difficoltà: il tempo necessario… le… le enormi distanze…»
Klaatu: «Io ho fatto quattrocento milioni di chilometri.»
Harley: «Me ne rendo conto, ma… Sarò franco con lei signor… voglio dire… Klaatu… il mondo, sul momento. è in stato di tensione… è inquieto… Ora… data la situazione internazionale, un tale congresso non sarebbe possibile…»
Klaatu: «E a cosa serve l’O.N.U. allora?»
Harley: «Come?! Lei sa anche dell’O.N.U.?»
Klaatu: «Sono molti anni che intercettiamo le vostre trasmissioni, perciò sappiamo le vostre lingue.»
Harley: «E allora avrete certo notato, da queste trasmissioni, che forze oscure insidiano la pace nel nostro mondo e sono certo…»
Klaatu (interrompendolo): «A noi non interessano affatto gli affari interni del vostro pianeta. La mia missione non è di risolvere le vostre liti, ma riguarda l’esistenza di tutti gli abitanti della Terra.»
Harley: «Ecco… se forse si spiegasse un po’ meglio…»
Klaatu: «E’ quello che farò, ma a tutte le nazioni, insieme. Come facciamo, signor Harley?»
Chiaramente, Harley non sa che pesci pigliare con questo strano signore che viene dallo spazio a proferire velate minacce.
Il funzionario sa quanto siano testardi e meschini gli uomini politici, anzi rivela ancora più apertamente il suo pensiero quando, allorché lo spaziale gli propone di parlare al Presidente degli Stati Uniti affinché convochi tutti i rappresentanti delle nazioni esistenti, egli si dichiara molto scettico sul risultato.
Con finto candore Klaatu gli risponde:
«Lei è più pessimista di me sugli abitanti del vostro pianeta.»
Harley: «Eh, io mi occupo di politica terrestre da più tempo di lei.»
Un altro particolare curioso, tanto caro alla fantascienza, viene chiaramente sottolineato in questo film: qualcuno ci ascolta nella spazio, intercetta le nostre trasmissioni, ci segue e ci giudica.
Da dove viene Klaatu? Nel film non viene mai spiegato chiaramente; egli stesso dichiara di aver percorso «quattrocento milioni di chilometri», ma da una base avanzata alla volta della Terra o dal suo pianeta? Un altro particolare interessante è la rinuncia a presentare «mostri»: Klaatu è esattamente uguale a noi, come testimonia questo dialogo, fra i medici dell’ospedale.
1° Medico (osservando una lastra): «La struttura dello scheletro è perfettamente normale, anche gli organi sono uguali ai nostri: il cuore, i reni, la milza, il pancreas…»
2° Medico: «Anche i polmoni sono identici ai nostri. Vive certo in un’atmosfera simile alla nostra e alla stessa pressione»
Ma ecco che, subito dopo, appaiono le prime caratteristiche che distinguono Klaatu da un comune essere umano.
2° Medico: «Quanti anni ha, secondo lei?»
1° Medico: «Beh, io direi… 35 o 38…»
2° Medico: «Mentre lo visitavo me lo ha detto: ne ha 80!»
1° Medico: «Non ci posso credere»
2° Medico: «Dice che vivono fino a 140»
1° Medico: «E questo come si spiega?»
2° Medico: «Eh, dice che da loro la medicina è più avanti. Certo che mi ha fatto fare la figura dello stregone di una tribù di Ottentotti…»
3° Medico (Entrando nella stanza): «Ma io gli ho tolto una pallottola dal braccio ieri sera»
1° Medico: «Beh, cosa c’è?»
3° Medico: «Ho visto adesso la ferita ed è già rimarginata!»
1° Medico: «E per quale miracolo?»
3° Medico: «Ha detto che ci ha applicato questo farmaco che aveva con sé»
2° Medico: «Che cosa ne fai?»
3° Medico: «Lo porto giù e lo faccio analizzare. Non so se devo prendermi una sbornia o smettere di fare il medico…»
Harley ritorna da Klaatu e il regista, durante questo secondo colloquio, mette ancora più in evidenza l’ottusità umana.
Klaatu: «Ci sono novità?»
Harley: «Eh, non molto buone, disgraziatamente. Il Presidente ha accettato la sua proposta e ha trasmesso l’invito per il congresso. Adesso le leggo qualche risposta: «Il Governo Russo informa il Presidente degli Stati Uniti che il capo dello Stato non potrà prendere parte al convegno a meno che non abbia luogo a Mosca.» «La vostra proposta riguardante la possibilità di un incontro a Mosca non può essere accettata dal Governo Inglese; esso manderebbe un rappresentante solo se il convegno fosse a Washington.» Vede? Può leggerle. Ora che ha capito qual è la situazione, con chiarezza, acconsente a parlare col Presidente?»
Klaatu: «Parlerò solo ai rappresentanti riuniti di tutte le nazioni. Non intendo contribuire anch’io ad attizzare le vostre beghe infantili.»
Harley: «Sono problemi molto gravi, Klaatu, non ci giudichi troppo severamente»
Klaatu: «Il giudico da quello che vedo»
Harley: «La sua impazienza è incomprensibile!»
Klaatu: «Io non ammetto la stupidità! Noi l’abbiamo eliminata da un pezzo!»
Come Klaatu fugga dall’ospedale non ci viene rivelato e, in verità, non ha alcuna importanza. Si rifugia in una pensioncina sotto il finto nome di Carpenter e stringe amicizia con una giovane vedova, Helen Benson (Patricia Neal) e il suo bambino, Bobby (Billy Gray) e con lui Klaatu va a trovare uno degli scienziati più famosi, il professor Jacob Barnhardt (Sam Jaffe).
Lo scienziato è assente e lo spaziale corregge dei simboli sulla lavagna, dicendo alla domestica scandalizzata che così «il professore risolverà il suo problema» e le dà il proprio indirizzo. Barnhardt lo fa chiamare e qui, se confrontiamo il discorso che segue con quello tra Klaatu e Harley, ci accorgiamo subito come il regista, Robert Wise, tenga molto più in considerazione la scienza che la politica.
Barnhardt (Indicando la lavagna): «Lei ha scritto questo?»
Klaatu: «Forse non è stato il modo migliore di presentarmi, ma non ne avevo altri a mia disposizione. Come, non è ancora arrivato alla soluzione?»
Barnhardt: «Non ancora e per questo ho voluto parlarle.»
Klaatu: «Ora non le resta altro da fare che sostituire questa espressione all’incognita»
Barnhardt: «Si… così, naturalmente, otterrei il primo termine, ma che effetto avrà sull’altro termine?»
Klaatu: «Oh, è trascurabile. Variando i parametri quello è il risultato esatto.»
Barnhardt: «Come fa a esserne sicuro? Lei ha controllato questa teoria?»
Klaatu: «E’ stata sufficiente a farmi andare da un pianeta all’altro… Io sono Klaatu, sono stato per due giorni nel vostro ospedale, stanza 309; il dottore che mi curava si chiamava White… se la cosa non la interessa o vuole consegnarmi alla polizia è inutile perdere altro tempo».
Ma al professor Barnhardt la cosa interessa moltissimo e lo specifica chiaramente a Klaatu, dopo aver licenziato i due uomini che hanno accompagnato lo spaziale e che attendevano fuori dalla porta dell’ufficio dello scienziato.
Klaatu: «Lei ha avuto fiducia in me, professore.»
Barnhardt: «Non è con la fiducia che la scienza fa strada, ma con la curiosità. Si accomodi, prego. Ci sono parecchie migliaia di domande che vorrei rivolgerle.»
Klaatu: «Prima vorrei spiegarle lo scopo della mia missione.»
Barnhardt: «Era questa la prima domanda»
Klaatu: «Le nostre osservazioni ci hanno permesso di stabilire che voi avete scoperto una forza rudimentale di energia atomica e sappiamo che state sperimentando dei razzi.»
Barnhardt: «Si, è la verità!»
Klaatu: «Fin che vi limitavate a combattere fra di voi, usando armi primitive come i cannoni, non ci preoccupavamo, ma presto l’energia atomica vi permetterà di costruire aerei astrali e questo costituirà una minaccia per la pace degli altri pianeti. Cosa che noi non possiamo permettere.»
Barnhardt: «Ma qual è lo scopo della sua missione, signor Klaatu?»
Klaatu: «Sono venuto ad avvertirvi che continuando su questa strada voi correte dei gravi rischi, gravissimi, anzi. Tuttavia io posso offrirvi una soluzione…»
Barnhardt: «E quale sarebbe questa soluzione?»
Klaatu: «Questa è una cosa che dirò a tutti gli interessati. E’ troppo importante per poter essere detta ad uno solo.»
«Lei è il mio ultimo tentativo, la mia pazienza è al limite. Devo prendere misure drastiche, per avere udienza?» dichiara Klaatu. Infine, decide di dare una dimostrazione, bloccando per mezz’ora l’energia elettrica in tutto il mondo, ad eccezione degli ospedali e sugli aerei in volo, ma tutto questo scatena il panico degli uomini che, braccato Klaatu anche grazie alla denuncia di Tom Stevens (Hugh Marlowe), innamorato respinto da Helen, la giovane vedova che fa di tutto per aiutare lo spaziale dopo che questi le aveva rivelato la propria identità. I due sono inseguiti mentre, a bordo di un taxi cercano di andare alla conferenza che il professor Barnhardt ha indetto davanti al disco volante con tutti gli scienziati più importanti del mondo. Klaatu viene ucciso a colpi d’arma da fuoco.
Prima di morire fa in tempo a dire alla donna di correre subito da Gort e dirgli tre parole «Klaatu barada nikto»; la ragazza giunge dal robot, che si è risvegliato dalla sua immobilità e, dopo aver distrutto il cubo di plastica speciale dentro al quale era stato imprigionato disintegra anche i due soldati di guardia. Quelle tre parole fermano la sua marcia distruttrice, preleva la donna e la porta all’interno del disco, poi è la volta del corpo di Klaatu ad essere portato nell’aereo astrale, dove viene fatto rivivere.
Come abbia fatto il robot ad andarsene in giro per la città impunemente, ad arrivare nel luogo dove era conservato il corpo di Klaatu e a ritornarsene indietro portandoselo in braccio come se fosse invisibile, è un mistero che gli sceneggiatori non ci hanno mai spiegato…o forse non dovremmo chiedercelo.
Nel successivo discorso fra Klaatu ed Helen, il film espone un altro concetto universale, quello del Dio Cosmico. Ne parla lo stesso Klaatu, quando Helen gli chiede a proposito di Gort:
Helen: «Allora, lui ha il potere di vita o di morte?»
Klaatu: «No, questo potere è riservato all’Onnipotente. Noi possiamo, in qualche caso, ridare la vita per un dato periodo.»
Helen: «Ma, per quanto?»
Klaatu: «Per quanto tempo vivrò? Questo nessuno può dirlo.»
Lo spaziale, la ragazza e l’automa escono dal disco, ad attenderli c’è un concilio di esperti e di scienziati presieduti da Barnhardt e ad essi Klaatu rivolge il discorso che si è riportato all’inizio.
Come abbiamo detto, un film privo di fronzoli e di forzature, elegante e semplice nei suoi dialoghi che pure hanno uno sfondo amaro.
Il regista Robert Wise è un uomo di mestiere, firmerà il famoso West Side Story e Tutti insieme appassionatamente e si accosterà di nuovo alla fantascienza con il gelido Andromeda, dall’omonimo romanzo di Michael Crichton e con Star Trek: Il Film, il primo della saga stellare nata dalla fertile mente di Gene Roddenberry, anzi sarà proprio il fatto che Wise era stato il regista di Ultimatum alla Terra a convincere Nimoy a rientrare nei panni di Spock..
La bellissima musica è di Bernard Herrmann; in seguito verrà ripresa in modo similare per François Truffaut per il suo Fahrenheith 451.
Durante la lavorazione il film aveva il titolo originale del romanzo «Farewell to the Master» e poi «Journey to the World»
Uno studio linguistico e fantastico è stato condotto sul significato della frase “Klaatu Barada Nikto”, essa potrebbe essere approssimativamente tradotta in questo modo: Ferma la rappresaglia e vieni a prendermi. La frase è diventata talmente famosa da apparire in uno striscione posto nell’ufficio di uno dei programmatori di Tron e da essere usata, anche se leggermente cambiata, forse per un errore di traduzione, dal protagonista de “L’armata delle Tenebre” di Sam Raimi, ma non è tutto qui: essa appare anche leggermente camuffata nel film Il Ritorno dello Jedi dove incontriamo creature aliene Klaatu che appartengono alla specie Nikto e dei Barada della specie Klatoonian. La troviamo persino in un fumetto di Walt Disney quando Paperino si fa incontro a degli alieni facendo loro il saluto vulcaniano e recitando l’ormai storica frase. In X-Files il buon Fox Mulder ce l’ha appiccicata sulla parete del suo studio e Steven Spielberg l’ha messa nello studio dove ci sono gli scienziati che si apprestano a prendere contatto con gli alieni. La possiamo ascoltare anche in Men in Black, in Gioco Mortale e in Toys-Giocattoli, come anche nel film Willow nella sequenza magica che trasporta il protagonista su un albero facendolo levitare. E in un episodio realizzato nel 2007 della serie Simpson un alieno, dopo essersi preso una mazza da baseball sui settecento genitali, la farfuglia stremato. Tralasciamo pure il fatto, se volete, che alcuni gruppi musicali come i Creedence Clearwater Revival, l’hanno usata in una loro tournee del 1969, ma non possiamo tralasciare che Alice Cooper la canta in My Stars ed abbiamo uno stupendo Ringo Starr/Klaatu nella copertina di Goodnight Vienna e una infinita serie di videogame che la riportano felicemente. L’onore di pronunciarla nel nuovo film tocca a Jennifer Jones.
Sappiamo poco di Klaatu: il suo mondo di provenienza, o meglio il suo luogo di provenienza, dato che non è detto che si tratti di un pianeta, sta a quattrocento milioni di chilometri dalla Terra (nella versione originale 250 milioni di miglia). Lo dichiara lui stesso.
Il fatto è che, a quella distanza, non esiste nessun pianeta perciò verrebbe da pensare o che si tratti di un mondo ancora da scoprire, il che sembra assurdo, o di una stazione spaziale artificiale o naturale, collocata, per esempio, nella fascia degli asteroidi. Klaatu parla anche di altri mondi, forse questi pianeti abitati sono in altri sistemi solari e il nostro alieno potrebbe quindi provenire da una base avanzata di questa «Fratellanza Cosmica», la quale ricorda molto da vicino la «Federazione» di Star Trek e il suo compito è quello di controllare ciò che accade sul nostro strano pianeta. Un’altra cosa avvicina il film di Robert Wise alla creatura di Gene Roddenberry ed è la decisione degli alieni di prendere contatto con i terrestri solo per il fatto che, grazie all’energia atomica, saranno presto in grado di costruire delle navi astrali. Un poco come la Federazione la quale prende contatto con nuovi mondi solo quando questi riescono a realizzare motori a velocità curvatura.
Nella prima stesura si era deciso che Klaatu venisse da Marte o da Venere, ma poi l’idea fu abbandonata perché la cosa non sembrava credibile, nonostante le scarse cognizioni astronomiche di allora.
Inizialmente la parte fu offerta a Spencer Tracy ma il produttore Zanuck considerò che l’elmetto di Klaatu non sarebbe bastato a coprirgli il volto nelle scene iniziali e, incredibilmente, non potevano ingrandirlo. Per Claude Rains ci fu lo stesso problema ed era inoltre impegnato altrove. Michael Rennie entrava perfettamente nel casco e aveva già dimostrato a teatro la sua bravura. I tratti del suo viso erano abbastanza particolari anche se perfettamente umani.
Rennie è nato il 25 agosto 1909 a Bradford, in Inghilterra nello Yorkshire: ha inizialmente svolto l’attività di venditore di auto e direttore di fabbrica, ma nel 1941 si era già distinto nella Seconda Guerra Mondiale quale abile pilota della Royal Air Force combattendo nei cieli degli Stati Uniti. E’ entrato nel mondo del cinema nel 1936 ma è del 1951 il suo ruolo più famoso per il quale è ancora oggi ricordato e che è proprio quello dell’alieno Klaatu. Nel campo della fantascienza e orrore lo ricordiamo inoltre in Mondo Perduto del 1960, nel ruolo di Lord John Roxton, poi nel 1966 in Cyborg anno 2087: Metà Uomo, Metà Macchina Programmato per Uccidere dove era il Cyborg Garth 17 (si noti l’assonanza con quella di Gort). Passiamo poi al 1968 per il film di George Pal La Forza Invisibile, dove interpretava il malvagio mutante Arthur Nordlund e, infine, nel 1969, assume il ruolo del Dr. Odo Warnoff nel film Operazione Terrore. Nel campo televisivo lo ricordiamo nel ruolo di Keeper nell’episodio di Lost in Space del 1965, poi interpreta il Capitano Malcolm Smith nell’episodio Rendezvous with Yesterday della serie Kronos – Sfida al Passato. Riprende il ruolo dell’alieno Magnus nella serie televisiva Invaders (Gli Invasori) nell’episodio “Summit” del 1967 e in “The Innocent” del 1969 . Accanito fumatore, un infarto lo stronca il 10 giugno del 1971 nello Yorkshire ad Harrogate.
Dentro all’involucro del robot fu collocato Lock Martin, un allora oscuro portinaio del Grumman Chinese Theater, alto due metri e trentuno. Gli era difficile indossare il pesante costume per più di mezz’ora e la stessa attrice, Patricia Neal (e successivamente lo stesso Michael Rennie), gli fu posta tra le braccia usando una piccola gru per poi essere sostituita da un pupazzo nelle scene in distanza.
Furono realizzate due tute dell’automa: una per le riprese davanti e un’altra curata nei particolari per le riprese da dietro. Inoltre fu costruito un modello rigido in fibra di vetro per quando il robot stava immobile come, per esempio, nella scena della risurrezione e nelle sequenze finali.
Il risultato è accettabile, ma in certi momenti, abbastanza approssimativo ed evidenzia il materiale gommoso del costume.
L’eroico Lock Martin è nato il 12 ottobre del 1916 in Pennsylvania, un parto gemellare che vide suo fratello Donald morire appena nato. Il suo nome per intero era Joseph Lockard Martin Jr. e in quella veste, in gioventù, aveva fatto il cow boy in una fattoria e aveva anche avuto qualche piccola parte in alcuni film ma sempre in ruoli non accreditati. Dopo il ruolo di Gort nel quale assunse ufficialmente il nome di Lock Martin, lo ritroviamo, ancora una volta non accreditato, nel ruolo di uno degli alieni servitori della Suprema Intelligenza, assieme a James Arness nel film Gli Invasori Spaziali di William Cameron Manzies del 1953 e poi, anche se la notizia non è mai stata confermata, pare che sia diventato un gigantesco Yeti nel film diretto dal fratello di Billy Wilder e da noi inedito: The Snow Creature di Lee W. Wilder datato 1954. Poi ebbe il ruolo di un gigante in una scena ambientata in un circo nel famoso Radiazioni BX: Distruzione Uomo di Jack Arnold del 1957, ma la sequenza fu tagliata. E’ deceduto il 19 gennaio del 1959 a Los Angeles
Il raggio mortale, dipinto sul fotogramma, partiva dal visore del robot, un modello costruito a parte per quest’inquietante sequenza. Per la scena iniziale dove Gort disintegra le armi dei militari senza toccare gli esseri umani è doveroso dire che fu chiesta la partecipazione dell’esercito da parte della produzione, ma le alte sfere non apprezzarono la storia e si dovette così ricorrere alla Guardia Nazionale che svolse il suo compito perfettamente.
Orfano di padre e figlio d’arte da parte di madre, il piccolo Billy Gray che nel film ricopre il ruolo di Bobby, il figlio di Helen (Patricia Neal), ha visto nascere una relazione tra la propria vera madre e Michael Rennie proprio durante le otto settimane di riprese. La nave spaziale a disco è opera di un disegno di Lyle Wheeler e Addison Henr, è costata centomila dollari ed era una struttura di legno ricoperta di gesso alta sette metri e possedeva una circonferenza di centosei metri e mezzo. La parte più solida era la rampa perché doveva sostenere il peso degli attori e del personale. Non era un cerchio intero, era aperta dietro per renderla più maneggiabile e più leggera e fu poi usata in una brevissima sequenza del serial tv Project UFO, o, per meglio dire, ne fu creato un modello molto simile: questo perché colui che aveva dichiarato di aver visto un disco volante in un hangar aveva in realtà visto le fasi di preproduzione del film.
Volete sapere che fine ha fatto Gort? Ebbene, abbandonato in un magazzino per limiti di età a Belair (California), è stato ritrovato da Steve Rubin e tirato di nuovo a lustro. Gaudio e tripudio da parte di Steve, che aveva visto sfatare il mito del robot buono ma severo nel glorioso film, quando il produttore americano Larry Harmon (Bozo the Clown) lo aveva trasformato in un ridicolo robot del XXI secolo in un pilot intitolato “General Universe”, peraltro mai trasmesso in televisione. Come se non bastasse, lo si vide in “Commander Comet” con tanto di stellone sul petto e bizzarre alucce, interpretato proprio da Harmon. Che fine ingloriosa per un salvatore dell’umanità!
Tornando agli attori la vita non è stata facile per l’attrice Patricia Neal. Nata a Packard (Usa) il 20 gennaio del 1926, dopo aver fatto la cassiera, la commessa, l’assistente di un medico e la modella. Studia recitazione e comincia ad avere le prime critiche positive a teatro. Entra nel cinema e girando il film La Fonte Meravigliosa con Gary Cooper s’innamora dell’attore il quale però non ne vuole sapere di divorziare per lei. Infine, nel 1953, si sposa con lo scrittore Ronald Dahl dal quale avrà tre figli: Olivia, Tessa e Theo. Viene colpita da trombosi cerebrale e resta paralizzata a lungo, ma con un’indomabile forza di volontà riesce a guarire e torna a recitare. Purtroppo, però, nel 1962 la figlia Olivia, muore di morbillo a soli sette anni e il figlio Theo subisce un delicato intervento chirurgico al cervello a causa di un incidente d’auto. Ha scritto un libro sul suo recupero dalla malattia dal quale ne è stato ricavato un film tv. Per quanto ci riguarda la ricordiamo nel 1954 con un film per noi inedito dove interpreta un personaggio molto simile a quello di Helen Benson: Stranger from Venus e, nel 1972 la vediamo brevemente nel film horror Ghost Story. E’ morta l’8 agosto del 2010. Billy Gray, che nel film recita il ruolo del figlio di Patricia Neal, era uno dei tanti bambini prodigio che si vedevano sugli schermi. Infatti, prima del film di Wise, Billy aveva al suo attivo ben 47 film e apparizioni televisive avendo incominciato la sua giovanile carriera nel 1943 all’età di cinque anni. E’ nato, infatti il 13 gennaio 1938 a Los Angeles e anche dopo aver recitato nel film di Wise la sua carriera continuò con successo fino al 1996, anno in cui si mise a lavorare a tempo pieno in televisione, impegno che sta portando avanti anche ai giorni nostri. Per quanto ci riguarda lo ritroviamo nel mediocre The Navy vs.the Night Monsters di Michael Hoey datato 1966, un film che potrebbe vincere il premio di titolo più idiota, se tale onorificenza esistesse davvero ed anche di come si realizza malamente un film da un dignitosissimo soggetto. Era infatti stato tratto dall’ottimo romanzo di Murray Leinster: “L’orrore di Gow Island”. Poi ritroviamo Billy Gray nel 1996 in Vampire Wars, ma nel piccolo ruolo di un maggiordomo.
Gli appassionati lo possono incontrare nel Making the Earth stood Still abbinato al DVD e girato nel 1995
In ultimo, giova ricordare che nei panni dell’odioso innamorato di Helen, debutta l’attore Hugh Marlowe: nella fantascienza cinematografica avrà ancora molto da dire. Fu una scelta imposta a Wise e il regista non fu affatto soddisfatto della sua recitazione che non era all’altezza di quella degli altri, mentre apprezzò moltissimo Billy Gray grazie al quale non ebbe bisogno di rigirare nessuna scena. Eppure, malgrado tutto, Hugh Marlowe ebbe un ruolo importante nel cinema di fantascienza: era nato il 30 gennaio 1911 a Philadeplhia, Pennsylvania (USA) ed è morto a New York City il 2 maggio del 1982 per attacco cardiaco. Il suo vero nome era Hugh Ipple. Fu dapprima annunciatore radiofonico e attore di prosa. Recitò anche in Inghilterra per lungo tempo. Ha esordito nel cinema nel 1936. Dopo aver girato il film di Wise fu protagonista, nel 1956, di Mondo senza Fine di Edward Bernds e nello stesso anno girò La Terra contro i Dischi Volanti di Fred F. Sears e il serioso Sette giorni a Maggio di John Frankeneimer. Marlowe appartiene a quella piccola squadra di attori che si dedicò al cinema di fantascienza, o meglio fu loro imposto dalla produzione, e che divennero i beniamini del pubblico di quei tempi ormai lontani. Ricordiamoli per un momento: Richard Carlson, Jeff Morrow e John Agar, non furono forse attori eccelsi ma certamente hanno segnato un’epoca.
Il caratterista Sam Jaffe è un magnifico professor Barnhardt. Jaffe appartiene a quella rara categoria di attori che si ricordano quasi sempre come caratteristi o protagonista in età avanzata (un altro esempio potrebbe essere Agnes Morehad, chi l’ha mai vista come una giovincella?) e in questo modo lo spettatore che li riconosceva era portato a pensare: ma come? E’ ancora vivo quello? Ma quanti anni ha?
Il vero nome di Sam Jaffe era Salomon Jaffe, era americano, nato il 10 marzo 1891, ma i suoi tratti caratteristici lo rendevano adatto a interpretare dei personaggi stranieri. Nel suo vasto curriculum abbiamo un tibetano, un indiano, un russo, un israelita e un messicano. Come abbiamo detto per il suo aspetto costante di persona anziana anche in giovane età, ricoprì i ruoli di scienziato e di saggio Lama. Ricevette anche una nomination per l’Oscar. Un tumore lo ha stroncato il 24 marzo 1984, ma noi continueremo a ricordarlo nel famoso Orizzonte Perduto – 1937 di Frank Capra, nella Vergine di Dunwich – 1970 di Daniel Haller, nel divertente Pomi d’ottone e Manici di Scopa – 1971 di Robert Stevenson e ne I Magnifici Sette dello Spazio – 1980 di Jimmy T. Murakami.
Negli anni a seguire alla Fox circolò la voce che fosse in preparazione un sequel del film e di dare vita a questa interessante seconda parte era stato incaricato Ray Bradbury e la storia doveva essere quella della figlia di Klaatu che torna sulla Terra anni dopo per incontrare ancora una volta Bobby e ribadire al pianeta il suo messaggio. Nella preproduzione non si era orientati a dare il ruolo nuovamente a Billy, ma si pensava a Jeff Bridges, ma poi non se ne è fatto più nulla anche perché non si è mai potuto trovare un attore o un attrice che potesse sostituire il carisma alieno che aveva sullo schermo Michael Rennie… almeno, e forse, fino ad oggi…
ULTIMATUM ALLA TERRA (The Day, The Earth Stood Still – 2008)
Come è ormai abitudine, un vezzo alquanto criticato e spesso con giusta ragione, le possibilità di un sequel sono diventate remake e, infatti, il film di Scott Derrickson segue anche lui quella che è diventata una spiacevole moda dei tempi moderni.
Perché spiacevole? Beh, perché mai, o quasi mai, questi remake sono almeno pari all’originale, non parliamo poi di superarli e non sto parlando degli effetti speciali perché allora sappiamo che l’accuratezza degli stessi, grazie anche all’uso sfegatato, quasi ammorbante del computer, li rende senza alcun dubbio superiori all’originale, no, non stiamo parlando di quelli, noi, miei carissimi Mujick, sappiamo ormai da tempo che gli effetti speciali non sono tutto per una storia, ne costituiscono la cornice, ma certamente devono avvolgere un quadro che abbia significato per le nostre sensazioni e se ciò non avviene è solo perché esiste uno scompenso da una parte o dall’altra.
Personalmente parlando ho conosciuto un solo remake che fosse superiore all’originale e tanto per non far nomi, ma soltanto i cognomi si tratta de La Mosca di David Cronenberg, remake de L’Esperimento del Dr. K di Kurt Neuman.
Poi, si sa, spesso ci troviamo di fronte a un pubblico che non si accorge nemmeno che il film che sta vedendo è il rifacimento di una pellicola precedente o, se lo sa, non l’ha mai visto o se l’ha visto, giudica la nuova e la vecchia opera solo con gli occhi di oggi senza nemmeno cercare di immettersi nell’epoca in cui il film è stato girato e questo perché non esistono film datati, ma solo film che sono invecchiati più o meno rapidamente e non tanto per colpa loro quanto per l’evolversi del sociale con i suoi problemi quali potevano essere allora la paura della guerra fredda e oggi il disastro ambientale del quale siamo ampiamente responsabili, dei gusti del pubblico che, con il progredire degli anni, ha perso quella fresca ingenuità e aumentato quel cinismo critico che ora fa parte diretta delle proprie esperienze.
Ciò che ci intimoriva, ci spaventava, ci terrorizzava allora, oggi ci fa sorridere e non c’è praticamente nulla che attualmente ci possa intimorire, spaventare o terrorizzare o, se accade, è solo un fuggevole attimo e poi si ritorna sul pianeta nel quale viviamo e all’epoca alla quale apparteniamo con tutti i problemi che ne derivano oppure preferiamo passare ore intere davanti alla televisione a lasciarci stordire da programmi futili e consumistici.
Un esempio di quanto appena detto è dimostrato da un commento che Silvio Sosio ha scritto sui due film: non è entusiasta del secondo e prende a bordate il primo elencandone tutte le evidenti e palesi ingenuità. Giusto, assolutamente giusto: esse ci sono e sono visibili adesso come lo erano allora, alcune come quella dei vestiti e del fatto che in quel film quasi tutti fumano come dei camini e portano il cappello, sono tipici dell’epoca nel quale il film era stato girato, il conduttore televisivo che porta in testa il cappello era un vero giornalista TV: Walter Cronkite, la cui caratteristica, o vezzo, se vi pare, era proprio quello di presentarsi in questo modo, la pubblicità sulle sigarette era all’ordine del giorno e quanto agli abiti ci sembra inutile dire che se anche oggi dovessero girare un qualunque film ambientato ai primi degli anni ’50 quelli sono i vestiti di allora e quelli verrebbero rappresentati. L’errore che si commette sempre è quello di non rapportarsi mai all’epoca in cui il film è stato girato, difficile per i giovani che non l’hanno vissuta, facilissimo e nostalgico per chi c’era e, d’altra parte, se tutta la critica cinematografica dell’epoca non ha sempre parlato bene se non benissimo del film di Wise viene da pensare che qualcosa doveva pur valere e non bastano certamente le critiche superficiali e moderne di un Silvio Sosio o chi per lui per abbatterlo ma, cosa più importante almeno per me: quando si racconta un film per spiegarlo al lettore, non si devono commettere errori di storia e di sequenza come, per esempio, quando il buon Sosio dice che Gort, svegliato dalla pila di Klaatu, disintegra i due soldati di guardia: no, mio caro, lo fa nella sequenza successiva quando si libera dalla prigione di plastica, dopo che Klaatu è stato ucciso e allora e solo allora uccide a sua volta, nella sequenza di cui tu parli si limita ad abbatterli, vediamo di essere più precisi, eh?
Al di là di questo e delle osservazioni, come ho detto in gran parte fondate, che Sosio fa sarei curioso di vedere come si comporterà fra trent’anni di fronte ai remake dei remake, quando i giovani del poi maltratteranno, spesso a “però”, i classici di oggi, se pure ce ne sono. Ma non preoccuparti amico mio: non ci sarò a prenderti in giro, ma spero ricorderai le parole di questo vecchio rincoglionito che non vuole né pontificare né insegnarti nulla, non ne hai bisogno, ma che spero ti faranno capire quello che adesso, per la tua giovane età, rispetto alla mia, e per la voluta o non voluta mancanza di rapportarti a un’epoca, non ti fa intendere.
Detto ciò parleremo di questo film con prudenza, usando il termine “sembra” o “pare” con tutti suoi sinonimi (si ritiene, si stima, si ha l’impressione, si crede, dare l’impressione ecc…) e di questo ci scusiamo con i nostri affezionatissimi lettori ma non vorremmo trarre conclusioni senza che si pensi che il vostro umile storico possa parlare male di un film moderno solo perché tale e a maggior ragione in questo caso dove la pellicola di cui stiamo per parlare è il remake ufficiale di uno dei capisaldi di tutta la fantascienza cinematografica. Come vi ho detto più volte io non sono un critico né desidero esserlo, non mi piace parlare di film sproloquiando senza nemmeno accennare alla trama come purtroppo capita sovente ai miei cari critici criptici, gli stessi che giudicano i film di Jack Arnold come filmetti di serie B o, invitati a parlare di fantascienza, sanno solo citare 2001: Odissea nello Spazio o Blade Runner perché altro non conoscono o che hanno condannato a priori 2010 L’Anno del Contatto di Peter Hyams solo perché si era osato, ripeto osato, ribadisco osato, non solo pensarlo ma addirittura poi commettere l’errore blasfemo di girarne un sequel. Il loro compito sarebbe o dovrebbe essere quello di comunicare con il pubblico, invece parlano solo per sé stessi o per pochi eletti che capiscono, o fingono di capire la loro lingua. Sono felice, immensamente felice di essere semplicemente un vecchio maestro di una scuola di un lontano paese di campagna piccolo come Il Villaggio dei Dannati ma di essere riuscito il più delle volte a comunicare con voi e a vivere con voi questa comune grande passione.
Ma basta, torniamo a noi.
Naturalmente la trama del film ricalca da vicino quella del suo predecessore, o almeno nelle sue più grandi linee: vi sono però alcune differenze sostanziali.
Rispetto al suo predecessore, infatti, questo remake differisce alquanto dall’originale almeno per alcuni particolari.
Per cominciare l’aspetto del nuovo Klaatu non è umano, le sue vere sembianze sono inimmaginabili, come dice lui stesso, e con questo non si riesce a rinunciare al diverso, mostro o creatura lucente che sia mentre tanto più originale era l’aspetto veramente e perfettamente umano dell’evoluto visitatore degli spazi del primo film.
Seconda impressione: non sembra che Klaatu abbia un grande potere su Gort, presentato con sembianze simili a quelle del primo film ma con forma molto più umanoide e alto almeno una decina di metri, animato al computer in un modo che a volte dà l’impressione più di un pupazzo animato sullo stile di Hulk che di quella potenza intimidatoria e misteriosa che sembrava sprigionare dal minaccioso e seppur gommoso Gort di Lock Martin. Questo nuovo Gort e l’astronave sferica d’energia che scende sulla Terra fanno pensare a involontarie citazioni del robot Maximilian de Il Buco Nero di Gary Nelson e alla nave spaziale che appare nella sequenza finale di Starman di John Carpenter.
Tutto parrebbe già deciso: i terrestri devono essere distrutti per salvare il pianeta che stanno devastando e Gort parte all’attacco poi, Klaatu, convinto dalla nuova Helen Benson (Jennifer Connelly) decide di dare la possibilità ai terrestri di cambiare ma non è sicuro di poterlo fare (Lo farà, lo farà, eccome se lo farà…).
Il fatto di aver deciso la sorte degli abitanti della Terra invece di dare loro un vero e proprio ultimatum, se le nostre impressioni sono giuste, fa decadere il titolo italiano (ma non quello originale), mantenuto per ovvie ragioni commerciali ed è già un fatto positivo che i distributori nostrani lo sapessero perché non sempre si sono accorti di operazioni del genere, per cui, sempre che le nostre ipotesi siano corrette, il titolo poteva in realtà essere: I Depuratori di Mondi, oppure Gli Spazzini del Cosmo perché se uno ti pone una condizione di salvezza e poi ti disintegra che speranze ti dà?
La celebre scienziata Helen Benson (quindi un ruolo ben diverso da quello del primo film) si trova faccia a faccia con un alieno chiamato Klaatu che ha viaggiato nello spazio per avvertire l’umanità di una imminente crisi globale ed è intanto tenuto prigioniero dai militari, un poco come accadde a Kevin Spacey in K-Pax dove la possibile entità aliena era trasmigrata in un corpo terrestre ma viene ritenuto pazzo e ricoverato in manicomio. Il personaggio interpretato da Jennfer Connelly ha un ruolo molto più attivo di quello di Patricia Neal anche perché l’attuale Klaatu ha la fortuna di andare a sbattere non contro una qualunque segretaria mamma ma con un’astrobiologa di chiara fama che si porta dietro il figlio di colore del proprio uomo, come è d’uso oggi per far vedere quanto non siamo razzisti. Intanto da qui si potrebbe dedurre, e direi che lo si deduce proprio, che alieno e robot sono due cose ben distinte e possiamo altresì dire che se il primo Gort si limitò a disintegrare armi e poi, solo in un secondo tempo, due soldati, questo fa un’insalata di terrestri testardi senza avere il minimo controllo o rispetto ma semplicemente perché deve farlo, fa parte del suo lavoro di disinfestazione, uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo…. Devo dire che non abbiamo apprezzato affatto la trasformazione di Gort in una sorta di cavalletta distruggi tutto, un effetto fatto benissimo ma ben poco ricercato, molto moderno, proprio di quelli che piacciono ai moderni spettatori fracassoni mentre troviamo più giusto e ben contenuto l’inutile attacco umano e la risposta distruttrice del robot.
Il resto è sibillino: forze che ritengono ostile l’extraterrestre gli negano di parlare ai leader del mondo come aveva richiesto… Il presidente degli Stati Uniti non solo non si fa vedere, ma se ne fugge lasciando l’incarico di gestire la patata bollente a un segretario che è poi una donna dannatamente ottusa e simile a una cancelliera di nostrana memoria. E qui prende piede l’ipotesi che le “forze ostili” non sia solo l’ottusità dei politici e dei militari ma un buco della sceneggiatura perché l’uomo è cretino ma non fino a questo punto: se hanno ascoltato un extraterrestre in tuta argentea sceso a bordo di un normale dischetto volante, a maggior ragione ascolteranno un alieno partorito da un’astronave sferica alta come la torre Eiffel che se ne esce con un robot dall’aspetto non proprio da badante moldava… Solo Helen e il figliastro Jacob scoprono rapidamente le intenzioni mortali di Klaatu che si reputa “un amico della Terra”. Ora la scienziata deve trovare il modo di convincere questa entità che è stata inviata per distruggere l’umanità che i terrestri meritano di essere salvati… e lo fa facendo ascoltare un brano sinfonico all’alieno in casa di uno scienziato pacifista. Da qui si rende conto, beato lui, che l’uomo è giunto sì sul ciglio di un baratro, ma che può anche tornarne indietro. Meno male che non è disceso in Italia!
Mantenendo sempre una posizione il più possibile obbiettiva, il film di Scott Derrickson (Hellraiser 5 e The Exorcism of Emily Rose) naviga ad anni luce dall’originale sfociando in una storia molto più di cassetta, meno originale e, soprattutto, molto più commercializzata e artefatta.
Parliamo degli interpreti principali: sostituire Michael Rennie in quel ruolo ci è parso come voler sostituire Fernandel e Gino Cervi in Don Camillo e Peppone. Ci si può provare e lo si è fatto con Gastone Moschin e poi con Terence Hill ma quanto a riuscirci… Badate bene: non è un discorso da vecchio rincoglionito e nostalgico. Guardate i due attori assieme: Keanu Reeves potrebbe essere un magnifico impiegato del catasto oltre a essere quel bravissimo attore che è, ma è inadatto per la parte. Michael Rennie, anche quando lo vedevi in ruoli diversi, gli mettevi sempre addosso la sua tuta azzurro argento con la fantasia e questo perché dal 1951 e fin dopo la sua morte, Rennie è e sarà sempre Klaatu, un’icona permanente nel panorama della fantascienza cinematografica che lo si voglia o no e scalzare un’icona l’è dura, urca se l’è dura…
Il ruolo interpretato da Rennie era più in linea con i suoi tempi: più umano, a volte ironico, quello di Reeve è volutamente più cupo e impassibile del suo predecessore. Non si capisce se sia lui il robot o l’altro forse perché non è sceso direttamente con la sua tuta ma atterra dentro a una tuta organica, una sorta di placenta che gli consente di assumere il suo involucro umano. Comunque sia il nostro Reeves dal passato colmo di tragedie personali, è nato a Beirut ma cresce tra il Canada e l’Australia dove diventa un ottimo giocatore di hockey su ghiaccio. Il suo film più famoso è la trilogia di Matrix girata tra il 1999 ed il 2003, ma lo ricordiamo anche, nel 1989 in Bill and Ted’s Excellent Adventure, nel 1991 in Un Mitico Viaggio, nel 1995 in Johnny Mnemonic, nel 1996 in un fantathriller intitolato Reazione a Catena e infine abbiamo nel 2006: A Scanner Darkly – Un Oscuro Scrutare.
Jennifer Connelly, che abbiamo avuto il piacere di conoscere personalmente sul set di un film di Dario Argento, ha dimostrato con gli anni di crescere professionalmente e di essersi definitivamente liberata di alcuni brutti problemi di droga. Non è Patricia Neal, non ha la sua affettata eleganza né desidera averla: è giustamente donna dei nostri tempi e l’aggiornamento del personaggio non può che essere considerato logico.
Jennifer Connelly, nata a Catskill, nel Montana, il 12 dicembre del 1970, ha iniziato giovanissima la sua carriera perché ha girato il suo primo film all’età di undici anni apparendo nella pellicola di Sergio Leone C’era una volta in America. Da allora i suoi ruoli hanno spaziato praticamente ogni genere. Noi la ricordiamo nel 1985 in Phenomena di Dario Argento, l’anno successivo in Labyrinth – Dove tutto è possibile di Jim Henson e accanto a David Bowie, nel mediocre Rockeeter di Joe Johnston datato 1991, nell’ottimo Dark City di Alex Proyas del 1998, nel pessimo Hulk di Ang Lee (2003) e in Dark Water (2005) di Walter Salles.
Passiamo ora agli effetti speciali di questa pellicola che è stata in testa agli incassi, sperando che il risultato positivo permetta al cinema americano di sfornare altri film di fantascienza e se proprio non ne possono fare a meno ci accontentiamo di altri remake. Consiglieremmo questi: Il Pianeta Proibito, Cittadino dello Spazio, RXM Destinazione Luna, tanto per cominciare mentre aspettiamo quello già annunciato di Quando i Mondi si Scontrano.
Scusate la digressione e torniamo a noi.
Autori di questa sezione della pellicola, oltre allo stesso regista con la supervisione di Jeffrey Okun, sono le scenografie di David Brisbin e l’arte di Aaron Sims.
Per poter introdurre il Klaatu umano, un corpo che, come abbiamo detto emerge da una tuta-placenta, i tecnici hanno mischiato la tecnica del CGI usando protesi in silicone e plastica termica per poi rifinire tutto al computer e poiché avreste tutto il diritto di chiedermi che cosa diavolo sia il CGI da bravo maestrino senza la penna rossa, passo a spiegarmi.
Il CGI, detto più semplicemente CG, vuole dire Computer Generated Imagery (immagini generate al computer) ed è conosciuta come quella “disciplina che studia le tecniche e gli algoritmi per la visualizzazione di informazioni numeriche prodotte da un elaboratore”.
La computer grafica nasce ufficialmente e inizialmente per scopi militari e industriali verso la seconda metà degli anni ’60 ed è il continuo aumento di potenza di calcolo e di componenti elettronici altrimenti chiamati schede video e sottosistemi grafici che permettono risultati sempre più sofisticati, risultati che oggi si possono ottenere con soddisfacente attuazione anche con gli home computer.
Con l’avvento degli anni ’90 questa tecnica ha raggiunto risultati incredibili grazie alla diffusione di schede video altamente versatili e personal computer sempre più potenti e oggi è diventata una disciplina usabile con risultati impensabili da chiunque abbia un personal computer e sappia come usarlo. Oggi la CGI vive e prospera nei videogiochi, nel ritocco fotografico dove anche il vostro affezionatissimo potrebbe diventare più bello di Brad Pitt, (beh, non esageriamo, tale potenza grafica ancora non esiste), e ancora in altri settori quali il montaggio dei filmati, la tipografia, la progettazione grafica nelle industria metalmeccanica, elettronica, impiantistica ed edile e nella visualizzazione di dati tecnico-scientifici e sistemi informativi territoriali, ognuno con la propria sigla di riferimento. Ha esordito ufficialmente al cinema nel 1982 con il film: Star Trek II: L’Ira di Khan, dove illustravano gli effetti del Progetto Genesis, il nuovo rivoluzionario sistema per creare la vita su pianeti disabitati.
Tornando al nostro film la nave spaziale sferica è stata realizzata in computer grafica partendo da modelli concreti costruiti dalla Custom Plastics, la ditta che realizza sfere per i parchi a tema della Disney.
E poi abbiamo Gort che, come abbiamo detto, è stato realizzato totalmente al computer anche se inizialmente il progetto era quello di ridisegnarlo per poter ottenere un aspetto di origine biologica ma, alla fine, si è preferito tornare alla figura originale. I movimenti di Gort sono stati realizzati con la tecnica della “Motion Capture” o “Mocap”, un sistema che permette di “catturare” i movimenti: nel caso specifico un attore, truccato più o meno alla Gort, ha indossato un vestito ricoperto da alcuni marcatori che creano un’immagine stilizzata dell’attore e riproducono digitalmente i suoi movimenti che vengono “catturati” da qualche decina di telecamere poste tutte attorno al soggetto. Queste telecamere mandano le coordinate dei marcatori al computer il quale crea in questo modo un’immagine virtuale che ne riproduce i movimenti.
Questa tecnica viene usata anche in medicina per la valutazione funzionale dei pazienti, soprattutto prima e dopo un intervento chirurgico, farmaceutico, riabilitativo con ortesi o protesi.
Ma questa sola tecnica non sarebbe bastata per riprodurre un liscio e metallico robot, per cui si è aggiunto quello che si chiama “rendering” o “effetto renderizzato”, cioè quel processo di generazione di un immagine a partire, come sempre, da una descrizione matematica di una scena tridimensionale interpretata da algoritmi che definiscono il colore in ogni punto dell’immagine. Questa tecnica è sempre necessaria nella fase finale dell’animazione e ne definisce l’aspetto ultimo. Viene usata per i videogiochi per computer, simulatori e ogni volta con una differente combinazione di caratteristiche e tecniche.
Una volta data la tridimensionalità al modello da animare, un processo lungo che necessita di un gran numero di elaborazioni, Gort può scendere in campo.
Lasciamo questo affascinante ma arido campo e concludiamo dicendo che, in definitiva, ci troviamo di fronte a un film impeccabile dal punto di vista visivo, leggermente claudicante nella sceneggiatura e privo di quel senso dell’umanità e di quell’eleganza formale che possedevano i personaggi della pellicola di Robert Wise.
Non è una sfida persa perché non c’è lotta in quanto il primo film è e sarà sempre consegnato alla Storia del Cinema in generale e in quella della Fantascienza in particolare mentre il secondo ne farà sempre e solo dignitosamente parte e poi, per la miseria, dove è finita la ormai storica frase Klaatu Barada Nikto? Una recensione dice che la proferisce Helen ma io non l’ho sentita e infatti ho dovuto vedere il film tre volte per accorgermi che viene quasi sussurrata da Klaatu all’inizio dopo che gli hanno sparato: vogliamo mettere questa scena con quella di una Patricia Neal, inseguita dal robot che quando sta per disintegrarla riesce, con voce rotta nella versione italiana e quasi incazzata come una biscia in quella originale, a fermare l’inquietante creatura?
Consigli per gli acquisti: entrambi i film sono disponibili in DVD dalla FOX Video.