Parleremo ora di un film interessante, anche se non eccezionale. I motivi di questa scelta sono principalmente due: uno è storico perché si tratta del primo esempio di lungometraggio di fantascienza sovietico giunto fino a noi attraverso i normali circuiti cinematografici e rappresenta quindi un’occasione da non perdere… Siamo nel 1962 e ci vorranno ancora più di dieci anni prima che arrivi il turno di Solaris ed ecco quindi l’interesse nel poter esaminare più a fondo questa pellicola che, e qui scatta la seconda motivazione, si deve considerare non solo come ben riuscita dal punto di vista delle scenografie e degli effetti speciali, molto ben fatti, ma, soprattutto, perché è una storia intelligente e semplice che parla di sentimenti umani e del desiderio bruciante dell’uomo di non essere solo in questo sterminato universo.
Un esempio di fratellanza cosmica con coloro che abitano gli spazi astrali, un messaggio forse ingenuo, ma, senza dubbio, molto umano…
«Attenzione, attenzione, parla Mosca in collegamento con New York, Londra e Roma: trasmettiamo un’edizione straordinaria del giornale radio… Tre navi spaziali: la Sirius, la Vega e l’Aldebaran, della spedizione scientifica internazionale, avendo volato per oltre duecento milioni di chilometri, si stanno avvicinando felicemente al pianeta Venere. Il morale dei cosmonauti è altissimo…»
Quasi a sottolineare, pur se in maniera piuttosto macabra, le parole dell’annunciatore, una meteora disintegra l’Aldebaran. I superstiti, costernati, ricevono l’ordine di immettersi in orbita attorno a Venere e attendere il lancio di una quarta astronave, l’Arturo, che verrà lanciata dalla Terra nel giro di una settimana. Occorreranno però quattro mesi perché si possa raggiungere le altre. I due equipaggi sopravvissuti: tre uomini sulla Sirius, due uomini, una donna e un robot sulla Vega, pongono il problema di un eventuale sbarco al cervello elettronico del robot in questione. L’automa risponde al nome di John ed ecco la sua risposta.
John: «Vega–rimane–in-orbita–con–una-persona. Da-Vega-sbarcano-tre-Da-Sirius-tre-così-scendono-sei-al-ritorno-salgono-cinque-il-sesto-rimane-su-Venere.»
Alla domanda postagli dal suo creatore, Kern (Georgi Tejkh) su chi debba restare sul pianeta, John risponde:
John: «Io-Signore-essendo-morto-e-più-pesante-di-voi.»
La prima parte della spedizione si avvia. Kern con il robot e il comandante Scherba (Yuri Sarantsev), iniziano la discesa con la scialuppa lasciando in orbita l’astronave Vega con Masha (Kyunna Ignatova) a bordo.
Il mezzo viene parzialmente danneggiato dalle forti correnti d’aria ascensionali e i due iniziano l’esplorazione del pianeta anche se l’atterraggio non è stato dei più felici. I loro movimenti vengono seguiti dal radar dell’astronave e la donna dovrà restare in orbita per tutto il tempo dell’esplorazione sul pianeta per assicurare il ritorno a casa. La mossa successiva prevede l’atterraggio dell’astronave Sirius nel punto più vicino agli altri che ora hanno cessato le comunicazioni. La manovra riesce perfettamente e i tre cosmonauti, Ilya Vershinin (Vladimir Yemilyanov), Bobrov (Georgi Zhzhyonov) e Alyosha (Gennadi Vernov), atterrano con la loro nave spaziale. Il primo pericolo proviene da una micidiale pianta carnivora che si abbarbica tenacemente attorno alle gambe di Alyosha e solo l’intervento dei suoi due compagni lo salva da una fine orrenda.
Il particolare strano è che nessuno dei due si era accorto del compagno in pericolo eppure a entrambi era parso di aver udito delle grida che li avevano guidati verso di lui. Masha, in orbita, avvisa i tre della Sirius che il radar ha rintracciato gli altri due astronauti e il robot a una distanza, in linea d’aria, di trentadue chilometri. I tre si trovano dietro una non ben identificata macchia luminosa. I rilevamenti di Masha sono esatti: intanto, nello stesso momento, i due stanno sparando contro una specie di piccoli tirannosauri grandi come un uomo (e uomini travestiti in effetti sono) che saltellano loro attorno mentre il robot sta reinserendo l’apparato radar danneggiato dal brusco atterraggio.
L’equipaggio della Sirius, intanto, ha tolto dalla nave spaziale un battello a cuscino d’aria.
Una fauna preistorica appare agli occhi degli esploratori e su un acrocoro pianeggiante essi scorgono un gigantesco animale simile a un brontosauro quindi giungono di fronte a un grande lago e, ancora una volta, uno strano suono sembra accompagnarli durante l’attraversamento dello specchio d’acqua.
Intanto una pioggia insistente imperversa sulla zona dove sono gli altri: la troppa acqua costringe il robot a cercare riparo nelle grotte vicine. I due astronauti sono sfiniti e cominciano a delirare usando parole sconnesse. Il fatto che si siano rifugiati in una grotta impedisce la ricerca con il radar e Masha avvisa immediatamente gli uomini della Sirius che cercano di mettersi in contatto con loro.
Il collegamento riesce, ma vengono captate solo parole senza senso che il robot trasmette in risposta ai deliri dei due. Durante l’attraversamento del lago, intanto, una specie di gigantesco pterodattilo attacca il battello dei terrestri i quali, per evitare danni al veicolo, s’immergono nelle acque profonde.
La scomparsa del veicolo dallo schermo sconvolge Masha che temendo per la loro sorte, decide di trasmettere alla Terra una richiesta di autorizzazione per scendere con la nave spaziale allo scopo di poter andare in loro soccorso, pur rendendosi conto che questo gesto comprometterebbe il ritorno sulla Terra.
Il Centro Spaziale risponde di non lasciare l’orbita per nessun motivo e adesso il problema assume connotazioni ancora più tragiche anche perché Masha è innamorata, ricambiata, di Scherba. Sott’acqua, intanto, i tre trascinano il loro veicolo: ai loro occhi appaiono strane rocce le quali, anche se coperte da piante acquatiche e licheni, danno l’impressione di non essere state disposte casualmente e l’idea di trovarsi di fronte a una città sommersa viene suffragata dal ritrovamento di una scultura a forma di drago e, anche se non è estremamente chiaro il fatto che possa trattarsi di un opera fatta da esseri senzienti, si radica sempre di più negli astronauti il sospetto di trovarsi in un mondo che abbia già conosciuto l’evolversi superiore della vita.
Alyosha trova, tra l’altro, un sasso dalla forma singolare e lo raccoglie come campione. poi scoprono che uno degli occhi del drago è un rubino tagliato e sfaccettato con arte: è la prova che cercavano.
Trascinato il veicolo a riva ora i tre devono attendere che si asciughi per poter riprendere la marcia e, nell’attesa, si scambiano le loro impressioni.
Bobrov. «Immagina, per un istante, che degli esseri intelligentissimi, siano arrivati quassù da un altro pianeta e che ci siano rimasti senza poter mai tornare…»
Ilya: «Sarebbero morti…»
Bobrov: «Le provviste marciscono, l’ambiente è tutto diverso, l’atmosfera è diversa…»
Alyosha: «Precisamente: sarebbero morti.»
Bobrov: «Ma quando uno può sopravvivere allora si abbrutisce e per vivere deve lottare come un animale contro altri animali di qualsiasi genere. Inizia così il cammino inverso della civiltà, non conta più l’intelligenza, ormai può sopravvivere solo il più forte…»
Ilya: «Quindi si torna allo stato selvaggio…»
Bobrov: «Appunto: o si muore o si diventa selvaggi.»
Il suono si ripete nuovamente, misterioso, ossessivo e mentre gli altri due esaminano il veicolo Alyosha si perde in riflessioni…
Alyosha: «<Che mondo misterioso! Una città sommersa, il rubino, questa voce. Chi può essere arrivato prima di noi? Gli abitanti di un altro sistema solare? Ma forse no. Su Marte bisogna combattere per ogni goccia d’acqua e qui è tutto sommerso. Saranno emigrati da Marte… Eppure nessuna traccia, nessun segno è rimasto della loro civiltà… o forse ogni civiltà ha il suo ciclo: dopo la vita l’estinzione e poi una nuova vita… e così, interminabile… nel tempo…>»
Il battello riparte in direzione dei dispersi i quali si accorgono di essere fin troppo vicini a una eruzione vulcanica che altri non era se non il misterioso “punto luminoso” che appariva dal radar della nave. I due si trovano così isolati dai soccorsi da un mare di lava; salgono sulle spalle del robot che comincia a guadare il fiume incandescente, ma a metà percorso John trasmette questo agghiacciante messaggio:
John: «La-temperatura-delle-estremità-ha-raggiunto-i-cinquecento-gradi-andare-avanti-col-peso-è-pericoloso-per-i-miei-meccanismi-Sono-costretto-a-liberarmi-del-vostro-peso-».
A causa del movimento scomposto di Kern, il quale cercava di staccare i contatti dell’istinto di conservazione dell’automa, viene provocato un corto circuito che immobilizza definitivamente il robot giusto al centro del mare di lava. Fortunatamente il battello della Sirius raggiunge i due pericolanti pochi istanti dopo e li trae in salvo mentre John sprofonda nel magma.
I cinque, raggiunto un luogo sicuro, si fermano e si radunano attorno al veicolo per scambiarsi le proprie impressioni e tutti si trovano d’accordo sulla probabile abitabilità di Venere. Kern, il creatore di John, conclude:
Kern: «Sono convinto che i voli interspaziali siano passi indispensabili verso lo sviluppo della vita nel cosmo… Non soltanto la Terra è abitata.»
Alyosha: «(Parlando a se stesso) <Probabilmente l’emigrazione degli esseri nel Cosmo è una legge di natura, come da noi sulla Terra il trasporto dei semi fatto dal vento. Non mi stupirebbe se in tutto il sistema solare si sviluppasse un unico genere di esseri viventi: il Popolo Solare… Così saremmo tutti fratelli… Come saranno le donne degli altri pianeti? Mi piacerebbe vederne una…>»
La loro conversazione è seguita da uno strano oggetto a forma di sfera semisommerso nelle acque del lago e dal quale spunta una corta antenna, quasi una sorta di piccola boa.
Riattraversato il lago i cinque tornano nel luogo dove è atterrata la Sirius e ascoltano, affranti, la registrazione nella quale Masha dichiarava di non poter più attendere e di voler scendere in loro soccorso. Questo rappresenta la fine della spedizione: la strada del ritorno è preclusa per sempre.
Decidono di partire in due con la navetta alla ricerca del Vega in modo di poter comunicare alla Terra, dall’orbita di Venere, i risultati scientifici ottenuti. Cominciano a scaricare il materiale superfluo mentre un pauroso temporale si scatena su di loro creando dei pericolosi rivoli fangosi sotto le pinne di atterraggio dell’astronave.
Durante lo scarico Scherba constata, tramite il radar, che il Vega è ancora nella sua orbita. Masha ha rinunciato a scendere e ascolta con gioia le loro voci. Ora bisogna partire al più presto anche perché un crepaccio si sta aprendo sotto la nave spaziale. Alyosha si attarda all’esterno per aprire un contenitore metallico e poiché le leve si sono incastrate egli vi batte sopra con la strana pietra trovata nella città sommersa. L’involucro di roccia si rompe e appare il ritratto scolpito di un dolcissimo volto femminile.
Alyosha si dirige di corsa verso la Sirius.
Alyosha: «Comandante, ehi Comandante! Aspettate, Comandante, aspettate, non possiamo partire! Anche questo pianeta è abitato da gente come noi, guardate! Loro sono come noi, avete capito? Sono come noi, capite? Aspettate… lasciatemi qui… Ma non capite cosa vi ho detto? Sono come noi, non possiamo partire…»
Alyosha si è arrampicato sulla scaletta ed è l’ultimo rimasto fuori bordo. Non c’è più tempo per parlare: l’acqua sta ingrandendo il crepaccio sotto l’astronave. Alyosha viene trascinato a viva forza all’interno, il portello si chiude, i motori si avviano e la Sirius si alza per scomparire nel cielo grigio.
Riflessa in una pozza d’acqua, una ieratica figura femminile, solleva il braccio in segno di saluto verso i fratelli terrestri.
«Come foglie dello Sterminato Albero della Vita le cui radici affondano nel Cosmo, gli uomini sono sparsi per l’universo, stelle e pianeti. Nell’universo l’umanità è una, anche se innumerevoli sono le sue forme. Vi aspettiamo qui di ritorno, amici, come eravamo i vostri progenitori, ora saremo i vostri fratelli dello spazio…»
Questo finale, giusto e suggestivo, è stato messo nella edizione italiana del film, nella versione originale, quella uscita in DVD dalla Sinister, taglia questo dialogo e i nostri si allontanano seguiti da una stupida marcetta.
Romantico concetto finale in un film che rifugge da tutte le occasioni di facile commerciabilità. Pur attraverso un dialogo a tratti ingenuo, ma pur sempre delicato e umano, la pellicola sviluppa una tesi estremamente affascinante: l’umanità è come un seme che si sparge nello spazio, spinta ad abitare nuovi mondi, a crearli in un idilliaco ideale di fratellanza cosmica.
L’ambientazione di Venere, tipica dei fumetti e dei romanzi degli anni ‘50 è comunque fantasticamente accettabile, così come lo sono gli effetti speciali in genere. Edito la prima volta a colori è stato in seguito rieditato in bianco e nero secondo un discutibile e stupido vezzo di inutile risparmio applicato dai distributori nostrani. Infatti, la stampa in bianco e nero, peggio ancora se fatta per contatto su negativo o positivo a colori, costa meno e dà dei risultati orribili senza contrasti e lo stesso procedimento fu usato per la riedizione in bianco e nero di Mondo senza Fine e viene da sé che pellicole in quelle condizioni sono difficilmente noleggiabili nei cinema dove, al limite, fanno solo delle fugacissime apparizioni. La stampa o la ristampa a colori purché fatta non a contatto ma passando dal negativo nel consueto procedimento di sviluppo e stampa, costa molto di più, ma il risultato è infinitamente superiore a qualunque altro e avrebbe permesso un maggior numero di noleggi e la conseguente maggiore divulgazione del prodotto, ma questo, ancora, oggi è difficile da capire. Si chiama “Risparmio del Ca…volo” ed è applicato quotidianamente in ogni parte del mondo anche al di fuori del campo cinematografico.
Il film ha circolato anche negli Stati Uniti con vari titoli: Cosmonauts on Venus, Planet of Storms e cioè Il Pianeta delle Tempeste (e con questo titolo è stato dato alle stampe, In Italia, il fotofilm), Planet of Tempests, Planeta Burg e Storm Planet, mentre in Francia era La Planéte Des Tempetes.
In seguito il film è stato rieditato negli Stati Uniti con il titolo Voyage to the Prehistoric Planet per la regia di Curtis Harrington. Il tutto è opera di Roger Corman e con l’esordio di Bogdanovich sotto pseudonimo. Vi sono stati aggiunti due attori americani: Basil Rathbone (13/06/1892 – 21/07/1967: L’Uomo dei Miracoli, The Mummy’s Hand, The Monster and the Girl, Il Mostro Pazzo, The Mummy’s Tomb, Dr. Renault Secret, Il Vampiro (Cyclops il Vampiro), Return of the Ape Man, Mad Houl, The Voodoo Man, The Mummy’s Ghost, Al di là del Mistero, The Flying Serpent) e Faith Domergue (16/06/25 – 14/04/99: Cittadino dello Spazio, Il Mostro dei Mari, Il Culto del Cobra, Sette Secondi più Tardi, Legacy of Blood, The House of Seven Corpses, Psycho Sisters) che interpretano l’uno il capo di una base lunare in contatto con le astronavi e l’altra sostituisce totalmente la protagonista russa Marsha che in questo modo nel film non si vede affatto. In origine, prima di tutte queste manipolazioni, il film era tratto dal libro Astronauts di Stanislaw Lem.