IL CAPPELLO DI HALK
di MATTEO FACCHINI
Lo sguardo di Halk era fisso negli occhi della sua avversaria. L’amazzone dell’aria, lunghi capelli dorati e il viso sottile e aggraziato, sorrideva di fronte all’ultimo tiro di dadi. Il nano aveva lanciato per l’ennesima volta un doppio sei, forse un po’ troppo per non destare sospetti.
«Suvvia, Rika. Non crederai veramente che io stia barando?» disse Halk, mal celando un’espressione colpevole.
«Si dà il caso, mio caro capitan Halk Squalobianco, che non sia la priva volta che ti pizzico a usare dadi truccati.» ribatté l’amazzone, scrollando nervosamente le candide ali che teneva appoggiate sulle spalle.
«Lo ammetto, è capitato in passato. Ma questa volta ti assicuro che non è così!»
«Non è che non voglio crederti, ma lo sai… sono sospettosa di natura. Tira un’altra volta.»
Una goccia di sudore partì dalla fronte del nano fino a perdersi nella folta barba nerastra.
«No, dai. Non serve. Facciamo così: questa mano la cedo a te, ci facciamo una bella bevuta e poi ognuno per la sua strada. Che ne dici?»
Gli occhi glaciali di Rika divennero due fessure.
«Tira.» sentenziò mentre due giganti si avvicinavano di un passo al loro tavolo.
Halk li aveva già notati da prima. Sovrastavano gli uomini della bettola di almeno un braccio ed erano muscolosi il doppio. Erano le dannate guardie del corpo dell’amazzone.
Il nano deglutì a fatica e prese meccanicamente in mano i dadi. Pregò uno dei quattro dei affinché non uscissero due sei, ma tanto sapeva che non sarebbe stato possibile. I suoi dadi truccati non perdevano un colpo.
Lancio.
Il primo colpì una pinta di birra ormai vuota.
Sei.
Il secondo rotolò ancora per il tempo di un respiro.
Sei.
«Prendetelo.» sbuffò l’amazzone, contrariata.
Halk si svegliò tutto dolorante mentre la prima luna diurna stava sorgendo. Un forte odore di pesce marcio gli invase le narici cancellando completamente i postumi della sbornia e dei colpi ricevuti.
Era stato gettato senza troppa cura in un cassone contenente gli scarti della cucina dell’Ancora Spezzata, la bettola più malfamata di Drolia.
Il nano si tirò in piedi a fatica, le gambe tozze incerte sul pavimento lastricato.
«Che la bonaccia ti colga, lurida sgualdrina…» biascicò con la bocca impastata di birra rancida e altro su cui non voleva di certo indagare.
Frugò nelle tasche, anche quelle interne, per scoprire se qualche suo avere era sopravvissuto alla nottata. Inutile dire che quel poco che aveva era sparito con l’amazzone.
Una folata di vento gli scompigliò i capelli ormai unti e maleodoranti. Fu allora che un brivido gli percorse la spina dorsale, facendogli gelare il sangue nelle vene. Le dita callose di marinaio andarono a tastare il capo, trovando null’altro che forfora e interiora di pesce. Gli occhi porcini andarono in ogni direzione, alla disperata ricerca dell’oggetto perduto, il suo unico vanto. Il tricorno finemente lavorato dal migliore cappelliere della città era svanito assieme al resto delle sue cose.
Il porto di Drolia era immenso. La lunga banchina che percorreva la città da Est a Ovest era interrotta da un centinaio di moli diversi, sui cui erano attraccati tutti i tipi di navi conosciuti. Elaborate Trialberi usate dagli umani dondolavano nella corrente mite a fianco di Dragan naniche e i catamarani mono-vela dei giganti. Beldaria, scintillante nella sua argentea luce diurna, era appena sorta all’orizzonte, illuminando la fitta ragnatela di canali che tagliavano la capitale della Marca dei Fiumi.
Halk si diresse barcollante verso la sua nave. Rispetto ai pesanti galeoni ormeggiati poco distante, la Vento del Sud era lunga e stretta, dotata di una sola vela a righe bianche e rosse. Il legno verde acqua era arricchito da corrimani in ottone e una serie di baliste poste a intervalli regolari lungo lo scafo.
Giunto in prossimità della passerella, il nano cacciò un grido con quanto fiato aveva in corpo.
«Dannate scimmie di mare! Dove diavolo siete? Dovreste essere già alzati, razza di inutili perditempo.»
Nessuna risposta.
Halk si diresse sul ponte col volto livido di collera.
«Shala! Dove diamine sei finita?»
Dopo alcuni secondi delle urla femminili provennero da sottocoperta, seguite da mugugni vari e qualche insulto. il tempo di altri due strilli e una nana dalle curve generose uscì dal castello di poppa, con espressione torva. I capelli neri e ricci erano tagliati corti, fatta eccezione per due ciocche che discendevano dalle basette fino ad essere legate assieme sotto al mento. Gli abiti che indossava erano maschili e molto costosi.
«Halk, ma che diamine ti dice il cervello? Sai che ore sono?» disse, lievemente stizzita.
«Sono Capitan Halk, quando siamo sul ponte della mia nave, ricordatelo sempre, quartiermastro.» replicò il nano, con una punta di acidità.
«Che Kenil mi salvi, se sei di così cattivo umore deve essere successa una disgrazia…» ribatté Shala, avvicinandosi.
Halk la fulminò con lo sguardo.
«Vogliate scusarmi, capitano, intendevo dire che chiunque abbia arrecato a voi offesa se la vedrà con la nostra ciurma al completo. Nessuno può fare quello che ha fatto al nostro capitano.» aggiunse la nana, enfatizzando il titolo del suo superiore.
Halk annuì, non cogliendo la pesante ironia.
Solo allora Shala notò che qualcosa non quadrava nell’aspetto del capitano.
«Hal… Capitano! Ma dove diamine è finito il vostro cappello?» domandò, ben sapendo quanto il nano tenesse al suo copricapo.
Halk digrignò i denti.
«Fa salire tutti sul ponte. Salpiamo in meno di un’ora. Dobbiamo andare a trovare la strega gatto.»
La Vento del Sud risaliva pigramente uno dei tanti corsi d’acqua che si diramavano nella Marca dei Fiumi. La grande vela catturava la brezza meridionale che spirava dal mare, facendo vincere allo scafo la debole corrente.
Halk stava al timone ancora livido in volto. Sul suo capo era adagiato un tricorno liso e di scarsa fattura che aveva preso in prestito da uno dei nani della ciurma.
«Sei sicuro di voler andare da solo?» chiese Shala, avvicinandosi.
«Devo. La strega gatto tratta solo con me. Gli altri felidi non farebbero entrare nessun altro.» la voce del capitano era più tranquilla; Halk era animato soltanto dalla determinazione di riprendersi ciò che era suo.
La Dragan si diresse verso un’insenatura nascosta dalla vegetazione e lì il capitano fece gettare l’ancora. Una volta sceso a terra con cinque marinai e Shala, disse agli altri di attendere loro notizie.
Il gruppo si inoltrò nella rada boscaglia e ben presto trovò un sentiero che si dipanava tra gli alberi. Qua e là era attraversato da uno dei tanti ruscelli della zona, piccoli rigagnoli facili da guadare.
Dopo un’ora di cammino, il capitano fece cenno agli altri di fermarsi.
«Da qui continuo da solo. Aspettate che torni e vedete bene di non andare a ficcanasare in giro, prima che uno dei gatti vi faccia pentire di averlo fatto.» disse Halk, incamminandosi.
Il nano continuò attraverso la boscaglia fino a quando gli alberi cessarono di colpo. Davanti a lui si apriva un grande villaggio composto da tende e capanne di fango e paglia. Alcune felidi percorrevano i cerchi dell’insediamento, portando i loro cuccioli a giocare verso uno stagno sul lato orientale.
Halk fece un passo avanti e fischiò un richiamo simile al canto di un uccello.
«Ragazzi, uscite fuori. Anche se non vi vedo so che siete lì.» disse, attendendo le sentinelle.
Comparsi da chissà dove, due felidi si materializzarono al suo fianco. Uno aveva le fattezze di una pantera, massiccio e muscoloso, coperto soltanto da un perizoma di cuoio, l’altro assomigliava a un ghepardo, sottile e snello, e indossava un paio di braghe che terminavano appena sotto al ginocchio.
«Che ci fai qui, nano?» domandò il più grosso. «È passato poco tempo dall’ultima visita.»
«Devo richiedere a dama Terra i suoi servigi. È di vitale importanza.» disse il nano, serio come non mai.
Il tendone centrale era invaso dal fumo degli incensi. La luce proveniente dalla grande apertura circolare posta sopra il braciere non riusciva a cancellare le ombre create dai tanti talismani agganciati alla struttura portante. Un massiccio felide, la testa di leone e il fisico marmoreo, faceva da guardia a braccia conserte, appoggiato a uno dei pilastri dell’ingresso. Al centro della stanza, inginocchiata sulla terra battuta, stava un’esile felide coperta da un grembiule di cuoio morbido che si apriva sulla schiena. Il pelo era bianco e candido, spezzato da una striscia tigrata grigiastra che partendo dalle orecchie percorreva tutta la colonna vertebrale, terminando la sua corsa sulla punta della coda. Gli occhi azzurri come il ghiaccio erano fissi e non reagivano ai bagliori momentanei causati dalle pietre riflettenti agganciate ai monili sul soffitto. Uno sguardo che non poteva vedere null’altro che la nera tenebra.
Il ghepardo entrò con riverenza e scambiò un paio di battute con il leone, che fece cenno affermativo col capo. Dopo qualche istante, Halk fece il suo ingresso, il capo chino e il cappello tenuto da ambedue le mani contro al petto.
La felide, come intuendo la sua venuta, si alzò in piedi con un movimento fluido, spostandosi più o meno nella sua direzione.
«Capitan Halk Squalobianco.» lo salutò, la voce cristallina e melodiosa. «Cosa ti porta qui da noi così presto?»
«Madama Terra, ho grandemente bisogno del vostro aiuto.» balbettò il nano, sempre in soggezione di fronte alla sciamana.
«Quante volte te lo dovrò dire, capitan Halk. puoi chiamarmi solo Terra.» sorrise la gatta. «Cosa posso fare per te?»
«Una dannat… Un’amazzone dell’aria mi ha sottratto un grande tesoro, che per me vale tantissimo. Potete fare quella cosa con i bracieri per sapere dove è diretta? Ho portato anche il compenso!» fece il nano, riversando al suolo delle conchiglie dalle strane forme e alcune perle violacee prese dalle tasche. «È tutto ciò che ho…»
Terra si avvicinò con passo esitante, la coda che andava avanti e indietro sul terreno in cerca di ostacoli. Una volta che fu di fronte al nano, si chinò per tastare i gingilli offerti dal capitano. Dopo un’attenta analisi, la sciamana si alzò nuovamente con un sorriso soddisfatto sul volto affilato.
«Vediamo se i Quattro Spiriti possono aiutarti.» disse, mostrando i canini appuntiti.
Quattro fuochi ardevano nei quattro punti cardinali. Terra stava nel centro, salmodiando in una lingua che Halk non comprendeva. Il nano se ne stava in un angolo, al fianco del leone, sbalordito di fronte a quello che stava avvenendo innanzi a lui. Conosceva solo di fama i poteri della sciamana e trovarsi di fronte a un rituale così antico e misterioso lo riempiva di agitazione e soggezione. Solitamente i marinai additavano come stregoneria e malocchio qualsiasi sfoggio di potere arcano.
«Padre! Illumina la strada.» urlò Terra, spargendo dei semi neri nel focolare davanti a sé.
Il fuoco crebbe di intensità, diventando scarlatto come il sangue. Un profumo secco e pungente si sparse nell’aria.
«Madre! Mostraci la via.» continuò la gatta, bruciando dei petali di svariati colori.
Le fiamme divennero verdi e un nuovo aroma si produsse nell’ambiente.
«Fratello e Sorella! Ascoltate la nostra richiesta.» Terra gettò della sabbia nel braciere di destra e delle foglie a sinistra.
Bianco e Azzurro, i nuovi colori assunti dalle vampe.
Una densa coltre di fumo colorato si alzò dai rispettivi focolari, vorticando intorno a Terra come una tromba d’aria impazzita. Un chiarore luccicante provenne dalla sua figura, come se fosse pervasa da una misteriosa forza magica nata dal rito sciamanico.
Un boato sparse per la stanza un lampo di luce incandescente, che lasciò i presenti senza vista per alcuni secondi. Poi tutto fu buio.
Halk era impalato sul posto, le gocce di sudore che discendevano copiose lungo le rughe attorno agli occhi. solo un’incredibile forza di volontà gli impedì di evacuare. Gli ansimi della gatta erano profondi e rantolanti, una cosa agghiacciante da sentire.
La luce di Beldaria e Nemos, le due lune diurne, riuscì infine a vincere la resistenza del fumo, riportando solo in parte la visibilità nel tendone.
«Capitan Halk Squalobianco, gli Spiriti hanno parlato.» sospirò Terra, ancora debole, visibilmente affaticata.
«Sì…» riuscì soltanto a dire il nano.
«Se vorrai recuperare ciò che ti è stato tolto, dovrai raggiungere il bacino concentrico, l’occhio di pietra e legno. Ma bada bene di giungervi senza adoperare la tua nave, o le conseguenze saranno nefaste.»
«Vi ringrazio moltissimo, dama Terra. Seguirò i vostri consigli alla lettera.» la paura aveva abbandonato il nano.
Le visioni si erano palesate criptiche come si aspettava, ma quella descrizione poteva corrispondere soltanto a un luogo. Una cittadina che conosceva molto bene.
«Terra. soltanto Terra.» ribadì la gatta, adagiandosi al suolo.
Il leone le fu subito a fianco e la sorresse, tenendola in posizione comoda.
«Sì, dam… Terra. posso chiedervi un ultimo favore?» domandò il capitano, sperando che il pagamento effettuato bastasse per quello che aveva in mente.
Halk riemerse dalla boscaglia portando un grande zaino a tracolla e seguito dal giovane ghepardo.
«Ce ne hai messo di tempo! Pensavo di passare qui la notte, ancora un po’.» sbuffò Shala.
«Contegno, quartiermastro. Dovresti portarmi il rispetto che devi di fronte a degli ospiti!» tuonò Halk.
«Scusatemi, capitano…» fece la nana, piroettando in un inchino troppo ampio per essere sincero.
I nani della ciurma trattennero a stento le risa.
«Longon! A te che piace tanto sghignazzare, prendi questo e portalo alla Vento del Sud. Dì a Sputabudella di caricare le baliste con questa roba e di raggiungerci alla dogana di Dalania. Fate prima che potete o vi assicuro che la vostra permanenza sulla mia nave diventerà un dannato inferno!» fece Halk, lanciando lo zaino al nano più smilzo.
Quello annuì e, presa la sacca, si mise a correre in direzione del fiume.
«Aspetta, aspetta, capitano.» intervenne Shala, gli occhi sbarrati. «Cosa stai insinuando? Come credi di farci arrivare fino a Dalania senza la nave?»
«A piedi, ovviamente! Questo è Vento, la nostra guida. Preparatevi, partiamo tra cinque minuti.»
Il felide si presentò con un lieve inchino del capo. Dopo aver distribuito delle provviste per il viaggio, il ghepardo si incamminò lungo un sentiero che si dirigeva a Nord-Est.
«Che la bonaccia ti colga…» mormorò Shala, prima di mettersi in marcia.
Dopo cinque giorni attraverso guadi, acquitrini e paludi, il gruppo di Halk raggiunse la meta.
Un grande lago di forma circolare si apriva in mezzo a una zona collinare. Proprio nel centro, sorretta da piloni risalenti alla Seconda Era, sorgeva la cittadina di pietra chiamata Dalania. Palazzi bassi e tozzi, bianchi con le tegole viola e blu, componevano un intricato mosaico di costruzioni, tipiche della Marca dei Fiumi. A mezzo miglio di distanza, un’imponente barriera formata da tavole e tronchi di legno posti alla rinfusa, circondava totalmente la città. Era la dogana del distretto di Dalania, unico crocevia per raggiungere via nave la Marca dei Boschi e il Lago Cobalto. Due grandi cancellate permettevano il passaggio delle navi, ma erano già sigillate, data l’ora tarda e il crepuscolo incombente.
Halk era stremato. Grandi occhiaie nere erano comparse sotto agli occhi e la stanchezza del viaggio lo aveva indebolito più di quanto avesse creduto. I suoi compagni non lo erano di meno, a parte Vento che sembrava immune alla fatica.
«Ti ho condotto dove dovevi arrivare, capitan Halk. ora farò ritorno al mio villaggio.» disse il felide, pacatamente.
«Grazie mille, Vento. Che il vento gonfi sempre le tue vele…» fece il nano prima che un’espressione incredula gli comparisse sul volto. «Cioè, aspetta. Non è che tu devi gonfiare le vele… hai capito cosa intendo?»
Il ghepardo sorrise e prese commiato, lasciando i sei nani sulla sponda del lago.
«Bene. E ora cosa diamine facciamo, Halk? Ti ho seguito in questa maledetta impresa e Kenil solo sa se è stata una buona idea.» recriminò Shala, inacidita.
Il capitano non le rispose e rimase a lungo a fissare le navi all’ancora. Preso il suo cannocchiale telescopico, scrutò meglio, ma la luce morente di Beldaria non consentiva di indagare a fondo. Il pulsare di Kenil, la terza luna, indicava già il Nord nel cielo. Della Vento del Sud, nessuna traccia.
«Se prendo Longon lo ammazzo, parola mia.» imprecò a denti stretti il nano.
«Aspetta, fa vedere me. Tu col buio non ci vedi un pesce secco.» intervenne Shala, rubando il cannocchiale dalle mani di Halk. «Ecco! Laggiù. La chiatta di medie dimensioni.»
Il capitano aguzzò la vista, ma non vide niente di particolare.
«Ne sei sicura?» chiese.
«Ho visto una dannata amazzone e non credo ce ne siano molte fuori dalla Marca dei Picchi. Capelli biondi, leggermente mossi, faccia da vipera. Ora è scesa sotto coperta.»
«È lei. Abbordiamo la nave.»
Il cielo stellato e privo di nubi lasciò che Seges, la quarta luna, arrivasse allo zenit. Un vento caldo, proveniente da Ovest, riscaldava la serata primaverile quel tanto da rendere l’acqua del lago tiepida.
Il gruppo di nani nuotava nelle ombre create dagli altri vascelli, diretti alla chiatta incriminata. L’ora era tarda e la speranza di Halk era che i maledetti giganti si fossero ubriacati a tal punto da essere svenuti sulle loro amache. Arrivati lungo lo scafo, si issarono sul ponte senza fatica, con nessuno ad attenderli. Le navi e l’acqua erano gli elementi naturali dei nani delle Quattro Marche.
«Io vado là sotto, voi state pronti a fermare chiunque mi venga dietro.» sussurrò Halk, sparendo dentro il boccaporto che portava nella stiva.
La ciurma sfilò gli stocchi dalle cinture e si preparò a ogni evenienza.
La scala terminava nell’oscurità della zona adibita ai marinai. La luce soffusa di un lume proveniva da dietro un angolo e anziché spazzare via il buio, non faceva altro che accentuarlo. Le assi del pavimento scricchiolavano malamente a ogni passo del nano, che già era sul chi va là perché non sentiva il canonico russare dei giganti addormentati. Nell’aria si percepivano soltanto respiri profondi e regolari.
Il capitano si spostò verso le cuccette ed esaminò se il sonno dei bruti era almeno profondo. Arrivando a fatica alla loro altezza, anche se sdraiati nei giacigli, decise che dopotutto non si sarebbero svegliati. Raggiunse l’angolo e si diresse verso la cabina di Rika. Entrò con circospezione e subito vide l’oggetto della sua ricerca. Al di là del letto, poggiato su una cassapanca, il suo cappello era in bella mostra. Halk strisciò verso di esso, bramoso di riconquistarlo.
«Stai cercando qualcosa?» domandò una voce gelida alle sue spalle.
Il nano si maledì per le sue azioni avventate. Nella fretta di recuperare il tricorno non si era accorto che il letto era vuoto.
Rika si spostò velocemente e assestò un colpo allo stomaco del capitano, prendendo successivamente il copricapo.
«Ridammelo! È mio!» ansimò Halk, piegato in due.
L’amazzone scosse il capo, quasi divertita.
«La prossima volta ci penserai bene prima di barare al gioco. Peccato che non capiterà mai più.»
A conferma della minaccia, Rika estrasse dal fodero uno stiletto che rifletté la luce della candela. Fece un passo verso il nano quando un boato proveniente dall’alto fece tremare la nave.
«Cosa diavolo…» pronunciò prima che Halk le tirasse una testata al plesso solare.
Cadendo a terra per il contraccolpo, l’amazzone vide il nano riprendersi ciò che era suo e schizzare via attraverso la porta.
Halk corse a perdifiato per il dormitorio, schivando i giganti che si erano già alzati a causa del trambusto. Uno gli si parò davanti e il nano si lasciò scivolare sul pavimento, passandogli attraverso le gambe. Fatte le scale più velocemente che poteva, ad attenderlo all’esterno c’era l’inferno.
Un muro di fuoco si alzava lungo le paratie della dogana e altri focolai si erano estesi alle navi vicine. Shala sbracciava sul ponte, facendo cenno a tutti di buttarsi in acqua. Halk sghignazzò sotto ai baffi scuri. La Vento del Sud era giunta e utilizzando il liquido incendiario preso dai felidi assieme ai dardi delle baliste stava creando il pandemonio. Peccato per la mira errata. Il capitano e la sua ciurma avrebbero dovuto stare al largo di Dalania per molto tempo.
Sprecata l’opportunità di fuggire mentre gongolava, Halk non si avvide della figura furibonda che sfrecciò alle sue spalle. L’impatto fu violento e il nano caracollò lungo il ponte. I compagni si erano già gettati fuoribordo.
«Sei impazzito! Tu hai creato tutto questo solo per un inutile cappello?» tuonò Rika, con lo stiletto pronto a colpire.
«Certo! È il cappello del capitano ed è mio di diritto, lurida anatra spennata!» le rispose, rimettendosi in piedi a fatica.
Il tricorno era rimasto sulle assi, a metà tra nano e amazzone.
«Se ci tieni tanto, allora ti farò un dono!» ringhiò Rika, gettandosi verso il copricapo con l’intento di distruggerlo.
Intuito il piano, Halk si lanciò in avanti, nel disperato tentativo di salvare il simbolo del suo comando.
Una conflagrazione di fuoco sconquassò la nave, facendola rollare pericolosamente su un fianco. Il castello di poppa divenne un rogo e il grido di dolore dei giganti echeggiò nella notte. La Vento del Sud aveva aggiustato la mira.
Rika fissò il nano in cagnesco, ma decise che ne aveva avuto abbastanza. Aprì le ali e con un balzo fu nell’aria, volando verso lidi più sicuri. Inutile morire per un pezzo di peltro.
Ancora intontito per il contraccolpo, Halk strinse forte il tricorno e si lanciò fuoribordo. Annaspò come poté fino a che le forze non gli vennero meno, poi una rete venne calata dalla sua Dragan e fu issato a bordo. Rimasto sul ponte ad ansimare, Shala gli si avvicinò, ancora grondante di acqua lacustre.
«Ne è valsa la pena?» chiese, per nulla convinta.
«Oh, sì.» balbettò il capitano prima di perdere i sensi.