Il fasciame gemeva sinistramente sotto i colpi inferti di fianco dalle onde che battevano con forza le frisate e facevano ballonzolare lo scafo. L’esperto timoniere, ritto nella sua posizione, faticava non poco a mantenere la rotta. Stava lottando contro la violenza delle correnti, particolarmente insidiose in quel punto, sotto lo sguardo accigliato del suo capitano. Rjbrett non gli aveva tolto gli occhi di dosso da quando si era reso conto del pericolo incombente. Ogni tanto si voltava indietro per un attimo, giusto il tempo di verificare a che distanza si trovassero i vascelli inseguitori, quindi ritornava immancabilmente a fissarsi su di lui.
“Non riesci proprio a tenere più lontane quelle vele?” urlò improvvisamente il guerriero in preda all’ira “Si stanno avvicinando troppo!” La sua voce aspra e roca metteva sempre in soggezione gli interlocutori. Gli occhi azzurri e freddi dell’uomo, quasi glaciali, assieme al suo barbone castano chiaro, ispido e sempre incrostato di salsedine, completavano il quadro. Non c’era forse nessuno che meglio di lui riunisse in un solo individuo le peggiori qualità dei temuti guerrieri Nordici: frasi brevi, modi rudi e sbrigativi e una fin troppo facile propensione a sfoderare la spada se perdeva il controllo. Il che capitava anche troppo frequentemente. Chiunque, scambiandoci solo poche parole, avrebbe capito subito di aver a che fare con uno non avvezzo a sentir discutere i propri ordini. Il che era già di per sé una pessima qualità. Eppure i suoi uomini lo rispettavano e lo avrebbero seguito ovunque li avesse portati. Purché ci fosse la prospettiva di un ricco bottino, è chiaro…
Il timoniere distolse brevemente gli occhi dalla barra che tentava di governare al meglio con tutte le sue forze, sollevando appena il capo verso Rjbrett per accennare una protesta, ma l’espressione gelida che gli lesse in viso gli fece cambiare prontamente idea, inducendolo a riportare l’attenzione sul timone dello skeidh.
Viberk, il secondo, nonché mano destra del capitano, notò il gesto di insofferenza del marinaio ed intervenne in sua difesa “Sta facendo il possibile” disse in tono asciutto “Quelle navi sono troppo veloci! Hai visto che alberi e che vele….Sono ben armate e tengono il mare perfettamente! E’ già un miracolo che non ci abbiano preso quando abbiamo passato il Capo del Torrione…”
A quel punto il capitano dovette riconoscere che le cose stavano per mettersi al peggio. Quello stupido aveva proprio ragione! Non potevano continuare a sfuggire per sempre, il loro skeidh non era all’altezza degli inseguitori. E poi c’era quella maledetta tempesta che rumoreggiava in lontananza, pronta a scatenarsi da un momento all’altro trasformando il mare in un vero inferno, purtroppo…
L’ultima razzia aveva fruttato davvero bene. Il villaggio che avevano assalito poche ore prima era un paesino di poveri pescatori, ma l’abitazione del loro capo si era rivelata tuttavia fonte di gradite sorprese. L’uomo custodiva infatti numerose pietre rare e preziose, e teneva inoltre appese alle pareti delle splendide armi, dall’impugnatura rifinita ed ingioiellata, certo un glorioso retaggio dei suoi antichi progenitori. Le spade erano forse un dono elargito dal Re in persona ad uno di loro per il coraggio dimostrato in una qualche guerra.
Si erano avvicinati in silenzio alla costa poco prima dell’alba, sbarcando in un punto riparato su un lato dalla sporgenza rocciosa che dominava la piccola baia. Velocemente si erano portati sotto la palizzata di legno che cingeva le case ed in un attimo avevano eliminato le due guardie assonnate, cominciando ad appiccare incendi qua e là mentre il resto degli uomini si dava al saccheggio ed alle uccisioni. La sorpresa era stata totale. Probabilmente nessuno di loro si aspettava un attacco dei Razziatori a stagione inoltrata. Ed in effetti quella doveva essere l’ultima dell’anno, così aveva stabilito Rjbrett, poiché presto il freddo sarebbe divenuto insopportabile ed il mare sarebbe stato ricoperto in larghi tratti da pericolose lastre di ghiaccio che avrebbero reso estremamente difficile la navigazione.
Quando se ne erano andati un alto fumo si levava ancora dai resti bruciati del villaggio. Ed era allora che era cominciata la fuga. Quelle navi di Ertlew erano comparse all’improvviso sul mare. Probabilmente erano dirette al porto di Viberdu, più a sud, ma non ci avevano messo molto a capire cosa era successo e ad individuarli. Da quel momento non erano più riusciti a far perdere le loro tracce.
Il capitano si scostò il mantello dal petto, ove il vento l’aveva arruffato gonfiandolo scompostamente, e se lo gettò dietro le spalle con un gesto di insofferenza. Allontanandosi dai presenti, scese velocemente i tre gradini che separavano il basso castello di poppa dal ponte principale. Superò gli scudi lignei di difesa, fissati ai due lati delle fiancate, e procedette a grandi passi in direzione dell’uomo anziano che sedeva accoccolato poco al di sotto dell’albero maestro, su cui si apriva la grande vela quadra dai colori bianco e verde con al centro l’Ascia ,simbolo del clan dei Brjonnorim. Il sartiame era tutto inzuppato e la larga tela sembrava fin troppo tesa sotto le sferzate del vento.
Klebel aveva deciso quella mattina di restarsene sul ponte in meditazione. Non aveva voglia di concentrarsi sulle letture chiuso nello stretto spazio del proprio alloggio. Non appena lo aveva visto muoversi da laggiù, il vecchio si era già immaginato cosa volesse Rjbrett da lui. Si passò una mano fra i lunghi capelli grigi, radi e spettinati, tentando di portarli a coprire le orecchie infreddolite, senza tuttavia riuscirvi del tutto.
“E’ arrivato il momento, mago!” gridò il capitano, ritto di fronte a lui, un gigante al confronto delle sue proporzioni minute. La sua statura e la possanza fisica di cui era dotato troneggiavano imperiosamente sul corpo flaccido e rugoso di Klebel “Libera l’Elementale subito o gli sgherri di Ertlew oggi avranno le nostre teste!”
L’uomo non replicò subito, limitandosi a sollevarsi appena dalla coperta umida su cui si era accoccolato per proteggere le proprie stanche membra dal contatto con le fredde assi bagnate del ponte. Quindi, puntellandosi su di un braccio, osò levare lo sguardo verso il suo interlocutore, limitandosi a poche, concise parole “Sai perfettamente che potrebbe essere pericoloso…Sta per scoppiare una tempesta e ci stiamo finendo dritti in mezzo.”
“Non dirmi cose che già so, vecchio!” ribattè Rjbrett in un tono che non ammetteva repliche. Sembrava quasi che stesse per cedere ad uno suoi famosi attacchi d’ira, però si trattenne.
Per quanto lo conoscesse bene, Klebel ne restò sconcertato “E se…”
“Fallo e basta! Non c’è più tempo.”
Quelle parole mettevano fine alla discussione, se mai ce ne fosse stata una “Come desideri…” rispose infine rassegnato “Sappi però che il rischio è molto grande.”
“Preferisci forse vedere le nostre teste penzolare dai pennoni di quelle navi? Pensi forse che la tua sorte sarebbe diversa?”
Klebel parve meditare brevemente sulla cosa “Non credo proprio. I miliziani di Ertlew non amano i maghi che prestano la propria scienza al servizio dei loro nemici. Specie se questi sono dei Razziatori…” disse. Quell’immagine evocata dal feroce capitano era riuscita a suscitare in lui le peggiori paure. Conosceva bene le usanze dei soldati del Regno e non avrebbe mai voluto finire vivo nelle loro mani. O, peggio ancora, essere risparmiato per venire sottoposto ai terribili rituali punitivi dei loro Sacerdoti del mare.
Lottando con il dondolio provocato dalle onde, il vecchio riuscì alfine a mettersi faticosamente in piedi. Le sue gambe non erano più quelle di una volta. Rjbrett parve quasi sul punto di avvicinarsi per sostenerlo, ma si trattenne. Klebel gli fu grato per non avergli teso il braccio: in fondo aveva ancora la sua dignità. Rimuginò fra sé, fissando il mare scuro e minaccioso che li circondava, stringendoli in una presa da cui sembrava non volesse più liberarli. Le onde erano cresciute di intensità nell’ultima mezz’ora, il che non era niente affatto un bene.
Barcollando si mosse pian piano verso il proprio alloggio situato sotto il castello di poppa, compensando con un’andatura irregolare lo sballottamento a cui veniva sottoposto di continuo lo skeidh. Una volta dentro, imbracciò la lampada che pendeva appesa ad un gancio di metallo sporco e cominciò a rovistare il contenuto di una grossa cassa addossata ad una parete. Le sue mani corsero veloci verso un involucro di tela cerata ove aveva riposto i suoi preziosi ‘strumenti da lavoro’. Dentro vi erano un vaso, un libro di magia dalla copertina pregiata e impreziosita di finimenti dorati, una tavoletta di pietra ed una vecchia tazza di legno consunta. Prese il piccolo vaso sigillato e lo tirò fuori. Strani disegni a trama fitta gli correvano tutt’attorno, abbellendone la superficie e donandogli al contempo una strana aura di sacralità.
Gli serviva tuttavia ancora una cosa per il rituale. Ricominciò a rovistare e prese un tappetino arrotolato che stese per terra, quindi vi si sedette sopra a gambe incrociate, sistemando il contenitore proprio davanti a sé.
La luce della lampada creava strani disegni danzanti sulle assi del pavimento e sulle pareti a causa del rollio dello scafo. Si stavano avvicinando sempre di più alla tempesta. “Bisogna che faccia presto!” pensò fra sé Klebel “Il rischio aumenterà man mano che ci avviciniamo…”
Le sue labbra pronunciarono sottovoce delle formulette propiziatorie, mentre con la destra esercitava una leggera pressione sul coperchietto del vaso. Non appena lo scostò di lato, il contenuto divenne alfine visibile. Una luce accecante e biancastra, ricolma di energia magica, brillava in tutto il suo splendore. Si trattava di un flusso luminoso fortissimo che si torceva e vorticava all’interno di continuo, creando un cerchio in perenne evoluzione.
Gli occhi del vecchio si scaldarono immediatamente a quella vista. Il Tempestarius! Osservandolo mentre si trovava ancora entro il recipiente magico, gli vennero alla mente i suoi trascorsi. Si ricordò di quando, ancora piccolo, il suo maestro aveva scoperto in lui doti magiche, profetizzandogli un futuro promettente se soltanto avesse accettato di dedicarsi allo studio di quell’antica scienza presso una delle più importanti scuole allora esistenti. Il tempo aveva mostrato come quelle previsioni fossero state fin troppo generose nei suoi riguardi visto che, ancora giovane, aveva dovuto scontrarsi con la limitatezza della propria arte e le invidie dei compagni, fino a voler osare troppo, esponendosi ad una grande dimostrazione in pubblico ove la sua abilità ancora grezza lo aveva miseramente tradito. Quegli eventi lo avevano condotto all’umiliazione e allo sconforto facendogli abbandonare la scuola. Era così divenuto un povero mago itinerante che compiva pochi trucchi di scarsa importanza innanzi ad ignoranti cittadini, contando soltanto sulla generosità altrui. Finché una mattina, uomo ormai fatto, ma ancora desideroso di dimostrare il proprio valore, aveva avuto vergogna di se stesso ricordandosi di essere stato un tempo un buon mago che avrebbe potuto diventare famoso. Allora aveva ripreso lo studio delle arti magiche e si era esercitato lungamente per migliorarsi.
Un giorno aveva deciso di fare appello a tutte le sue energie per creare un oggetto unico, un artefatto potentissimo che sarebbe stato ricordato a lungo. E vi era riuscito! Aveva costruito qualcosa che nessuno prima di lui era stato capace di ottenere, se non i grandi maghi delle leggende: un vaso che potesse imprigionare il mitico Elementale delle tempeste, un Tempestarius, permettendo di servirsene a comando per soddisfare i propri voleri e ridurre al silenzio ogni avversario. In quell’opera mirabile aveva radunato magicamente tutta la propria arte, elaborando un oggetto che sarebbe stato fonte di ammirazione da parte di tutti.
Poi aveva dovuto affrontare la sua sfida più grande, ovverosia catturare l’Elementale! Era stato indispensabile richiamarlo nelle prime fasi di una tempesta, prima che si scatenasse interamente il furore degli elementi e l’impresa diventasse praticamente impossibile. Quella era stata un’ardua lotta! Alla fine la sua maestria e l’ingegnosità a lungo represse avevano prevalso. Ricordava che subito dopo era dovuto fuggire con il prezioso bottino, prima che i fratelli dell’Elementale, furenti per il furto appena perpetrato, potessero liberarlo vendicandosi dell’affronto subito.
Aveva faticato per imparare a domarlo, rischiando più volte di finire incenerito nel tentativo. Con il tempo era però divenuto capace di servirsi della creatura, liberandola per periodi sempre più lunghi, finché aveva scoperto il proprio limite, rendendosi conto che abusare dei suoi poteri avrebbe comportato il grave rischio di deteriorare i legami magici che la tenevano vincolata al prezioso vaso. Aveva inoltre compreso che con l’invecchiamento le sue energie stavano diminuendo giorno dopo giorno e sapeva che, presto o tardi, avrebbe perso il controllo di quell’essere, a causa della stanchezza o per un errore. Inoltre il contenitore avrebbe potuto deteriorarsi ed allora sarebbe certamente andato incontro al suo destino, ricevendo la giusta punizione per aver osato tanto giocando con le forze primordiali della natura.
Era già piuttosto anziano quando aveva incontrato quel capitano Nordico, Rjbrett, allora poco più di un pirata, il quale lo aveva affascinato da subito per la cupidigia e l’ambizione sfrenata che dimostrava. L’uomo cercava un mago che salvaguardasse il suo equipaggio durante la navigazione, propiziandogli buona sorte e lui necessitava di qualcuno cui vendere i propri servigi. Si era lasciato facilmente allettare dalle promesse di facili ricchezze e si era associato alle sue tristi imprese, assecondandolo nelle razzie e condividendone il bottino e la dubbia gloria di sanguinario guerriero. L’aveva considerata una rivincita sulle ingiustizie subite nel passato e non si era reso conto di diventare così complice di uno spietato assassino che non si saziava mai di provocare stragi e distruzione, fiero di essere per tutti, assieme al suo numeroso clan, un simbolo di odio e di dolore, braccato dalle flotte di molti paesi.
Nel rapporto instauratosi fra i due, il capitano aveva ben presto finito per diventare l’elemento dominante. Il vecchio era ben conscio che, a parte quella sua splendida creazione, non sapeva fare poi molto altro e si stancava sempre di più dopo ogni evocazione. La sua volontà era molto scemata nel corso degli anni così come i suoi poteri. Sapeva di esser diventato proprio lui il più debole e aveva accettato di sottomettersi sempre più al volere di Rjbrett, finendo per diventare niente più che uno strumento di morte nelle sue mani, così come la spada affilata di cui il capitano si serviva per sventrare i malcapitati che si trovava di fronte quando compiva le sue violente razzie negli sfortunati villaggi ove dirigeva la prua del suo veloce skeidh.
Si sollevò in piedi, tenendo il prezioso contenitore con entrambe le mani e si diresse verso la porta per uscire. La sua creatura era pronta a scatenarsi nel pieno della sua micidiale potenza!
Gli occhi dei rematori e di tutto l’equipaggio si appuntarono su di lui non appena comparve all’aperto. Apparentemente ognuno continuava a svolgere i propri compiti come al solito, ma lui sapeva perfettamente che di nascosto ascoltavano e scrutavano ansiosamente quel che stava facendo in quel momento. Lottando per mantenersi in equilibrio si recò a poppa, conscio che quella era la migliore posizione per osservare il nemico.
Sollevando verso l’alto il vaso con la sinistra, distese in fuori l’altro braccio come in una preghiera silenziosa e iniziò il rituale di evocazione. Vi fu uno strano movimento all’interno del recipiente, come se qualcosa si fosse improvvisamente risvegliato. Sotto l’influsso del richiamo mistico, il Tempestarius, creatura composta della materia del fulmine, protese in fuori dapprima un’estremità brillante, quindi innalzò il capo come incuriosito, fra il fragore delle scariche di energia che gli danzavano attorno. Allora Klebel diede l’ordine. Un attimo dopo una fiamma accecante esplose di fronte al mago, levandosi velocissima verso l’alto sotto forma di una vibrante striscia di luce che segnò il cielo.
Una volta libero nell’aria, dopo la prolungata prigionia, l’essere assaporò il vento che soffiava con forza sul mare e sentì nuovamente fluire in sè tutta la propria potenza troppo a lungo sopita. Il mago, teso al massimo per non perdere la necessaria concentrazione, lo richiamò al proprio dovere dandogli il comando di attaccare i tre vascelli di Ertlew che si trovavano poco lontano. Il Tempestarius obbedì prontamente, dirigendosi rapidamente verso l’obiettivo designato.
Il fulmine colpì una volta, scaricando la sua fiamma di luce vivida e accecante sull’albero maestro della prima nave che si spezzò istantaneamente in due, incendiando di un rosso infuocato le vele che cadevano rumorosamente verso il basso assieme a frammenti dei pennoni e al sartiame senza più appigli, fra le grida di terrore dei malcapitati marinai sottostanti e le urla di dolore dei soldati feriti.
La lama di luce violenta centrò il bersaglio una seconda volta. E una terza.
Il fuoco prese a divampare ovunque mentre il vascello, ormai reso ingovernabile, prendeva ad inclinarsi di lato, andando pericolosamente ad incrociare la rotta della seconda nave, che era ormai troppo vicina per evitarlo. L’urto che ne seguì fu fragoroso e i Razziatori che assistevano da lontano a quello spettacolo poterono distinguere chiaramente i corpi dei membri dell’equipaggio che venivano infilzati dalle travi spezzate, mentre i pochi superstiti si gettavano in mare un attimo prima di essere colpiti dai legni e dalle strutture frantumate che saettavano nell’aria per impattare poi fragorosamente nell’acqua.
Tanto bastò. L’ultima nave, ancora intatta, cessò immediatamente l’inseguimento, dedicandosi all’opera di soccorso dei naufraghi sparpagliati per il tratto di mare, mentre ancora il legno del fasciame bruciava tutt’attorno, arrossando i flutti.
Era finita. Uno stanco Klebel appoggiò una mano al parapetto fradicio di pioggia per darsi un sostegno. Il rituale era stato sfibrante, più del solito. Tanta era stata la paura di sbagliare e di perdere il controllo che l’uomo aveva utilizzato nello sforzo tutte le proprie energie ed ora cominciava a risentirne. Tuttavia sapeva che doveva farsi forza, aveva ancora una cosa importante da compiere. Le sue mani tremanti presero a gesticolare nuovamente nell’aria, mentre pronunciava la frase che evocava il vincolo sacro. Lo skeidh aveva percorso parecchia strada nel frattempo ed era giunto in una zona estremamente burrascosa ove la tempesta stava per scatenarsi in tutta la sua forza. Il mago sapeva perfettamente di doversi affrettare a far ritornare l’Elementale, prima che assaporasse troppo la sua temporanea libertà. Prima che sentisse la presenza dei propri fratelli che guizzavano indisturbati fra le scure nubi cariche di pioggia.
Klebel mosse un braccio ripetendo il consueto gesto con cui richiamava a sé il Tempestarius a conclusione del rituale. Inizialmente non avvenne nulla, poi una linea di luce biancastra comparve nell’aria, sospesa al di sopra delle onde che rumoreggiavano con intensità crescente. La straordinaria creatura pareva immobile, stranamente confusa, e ciò che era più grave non rispondeva al suo richiamo!
“No!” Il sudore cominciò a bagnare il volto del vecchio, mentre un fremito di timore gli attraversava le stanche membra. C’era decisamente qualcosa che non andava, se lo sentiva, forse il richiamo non era stato abbastanza forte… Klebel ripetè la frase e rinnovò con fare vibrante la sua richiesta. Di nuovo senza effetto.
Il Tempestarius, fisso in una silenziosa immobilità, continuò a restare al suo posto per qualche momento ancora. Quindi, come in risposta ad un altro più forte richiamo, cominciò ad agitarsi, aumentando rapidamente di splendore mentre le scariche di energia emanate dalla sua figura accrescevano il proprio vigore e squarciavano il nero delle nuvole sopra di loro.
Durò soltanto un attimo, ma fu indimenticabile. La creatura di pura luce sfavillò fino a diventare impossibile da guardare, quindi saettò verso il folto dell’ammasso temporalesco e scomparve in esso con incredibile velocità, riunendosi ai propri simili.
Sul ponte dello skeidh tutti erano ammutoliti. Il mago, consapevole di quanto era appena accaduto sotto i suoi occhi, pareva incapace di aprire bocca. Era capitato proprio ciò che più aveva temuto in tutti quegli anni! La sua creatura era tornata dai propri fratelli e compagni di scorribande, riprendendo a solcare gli spazi del cielo privo dei vincoli e delle costrizioni che la sua magia era riuscita a creare per imprigionarlo con la forza, costringendolo a servire gli uomini. Presto avrebbe comunicato l’accaduto agli altri elementali presenti fra le nuvole e allora…
Anche il fiero Rjbrett, accanto a Viberk, si mostrava stranamente taciturno. Pareva impaurito, come mai Klebel lo aveva visto in vita sua. Il suo sguardo corse verso gli occhi spenti del vecchio mago, in cerca di un conforto. Ma la rassegnazione che gli lesse in viso fu sufficiente ad accrescere in lui il timore.
Improvvisamente attorno alla nave si fece uno strano silenzio. Anche i flutti placarono la loro insistenza e gli scrosci che avevano finora battuto il ponte si arrestarono di colpo. Si udì un fragore inatteso e assordante, quindi un ammasso di luci accecanti prese ad addensarsi al centro delle nubi, facendo risplendere il cielo di una luminosità mai vista.
Il Tempestarius si apprestava a tornare. E questa volta veniva per tutti loro…