CHARLIE FA SURF (SUI MILLELIRE)

In lode di Baraghini Marcello & Cannata Piero

e in memoria (rispettosa) di Sanguineti Edoardo

Ok, non preoccupatevi.

All’apparenza questo pezzo non parla direttamente di genere (horror, thriller, fantasy – e qui il fantasy garba parecchio).

Ci arriviamo, comunque.

Vi volevo parlare di alcuni libretti usciti qualche decennio fa e ormai, presumo, defunti o di difficile reperibilità. Non saprei.

Tutti libri della Stampa Alternativa, come quelli di Gordiano Lupi di cui abbiamo già detto.

Questi volumetti sono accomunati tra loro da un’altra cosa, ovverosia quella di essere libretti camp (dove per camp si intende un campeggiare innaturale, artificioso, un gusto eccessivo per l’estetismo letterario, l’esercizio di stile, per il frivolo, il luogo comune, il triviale assunto come tic o narcisata, ecc), squisitamente inutili, e in questo risiede la loro importanza.

Buona parte di questi libretti appartengono alla gloriosa collana dei Millelire, originalissima idea del Baraghini.

Andy Warhol “La cosa più bella di Firenze è il McDonald’s”, a cura di M. Bianchi, è una raccolta fulminante di aforismi mai scritti e trascritti (da qualcun altro) per noi posteri. Lo spirito camp dell’artista americano è ben rappresentato dai detti spiritosi e arguti, distillati per argomenti disparati e caotici (sesso, cultura, cinema, moda, politica, ecc), che costruiscono un’idea di mondo originale e ironica in linea col dandismo di massa del pittore/regista/scrittore.

Altra gemma è “I vostri bambini” di Charlie Manson (forse questo lo trovate ancora). Il libro è una trascrizione (dunque sempre di lacerto extra-fonico si tratta – esercizio sound in sintonia con la voce mimetica di un Balestrini o con la narcisata alla Arbasino, o, perché no, la voce idiota, svagata, di un Sanguineti) della dichiarazione (finale) processuale dell’accusato nel 1970/71. La voce-sound di Charlie funziona benissimo anche sulla pagina e fuori dal suo (con)testo processuale (i 7 omicidi commessi dalla Famiglia). Più dei bestseller che sono stati scritti sulla vicenda, più dei diritti d’autore con cui si sono ingrassati in parecchi, vale la viva testimonianza di colui intorno a cui tutto gira, quindi Charlie. Un Charlie da flusso di coscienza, liberissimo e caotico, pronto a snocciolare la sua sgangherata e affascinante teoria sulla società globale e sui figli di tale società. Figli bambini frustrati e abbandonati, non capiti dalle loro famiglie borghesi, troppo mute, sorde & cieche per accorgersi che due case, tre macchine, quattro telefoni(ni) e via aumentando non sono tutto. Manson non è un marxista come il sottoscritto, quindi non la mette proprio giù così, però il sottotesto del magical mistery tour e dell’helter skelter party si potrebbe anche leggere così. Dopotutto, come ci insegna Charlie, ognuno di noi, chiuso nei corridoi del suo iperMegamarket (Vercelli Nord), munito di badge e metacodici, consuma il suo obbligo universale di consumo sotto le fredde luci che, mattina – pomeriggio – sera, non cambiano mai e piovono sui banconi e le casse come presagi d’obitorio.

Consumare è bello e bene.

Per il resto, noi siamo le prigioni di noi stessi.

Riuscite a vedere che Charlie è libero (e fa surf)?

Francesco Signor, il libro è “Non ci sono più le mezze stagioni”, silloge di frasi fatte, luoghi comuni, stereotipi sintattici a cui ricorriamo (sempre più) e a cui le nuove tecnologie (le scritture iper-contratte dei social network per esempio) hanno dato un ulteriore impulso. Un male? Un bene? Di certo un fenomeno linguistico dentro il presente che abitiamo.

Parole in ritirata”, a cura di Mauro Perdetti, è uno dei Millelire più belli e radicali… sì ecco, radicali, estranei al mondo editoriale di allora (1993) e ancor più di oggi (2014). Un florilegio caotico e casuale di scritte prelevate dal nostro cronista direttamente sui muri dei vespasiani. Scritte caleidoscopiche, lunghi elenchi che hanno indirettamente l’ambizione di realizzare qualcosa che (nel romanzo) richiederebbe gli sforzi di tutta una generazione di narratori. Scritte, epigrammi volgari, lettere e parole poetiche, ironiche, ciniche, corrosive, pornografiche (di una pornografia talmente violenta e gratuita da essere priva di eccitazione), personali, mute, frustrate, anarcoidi e surreali. Parole in ritirata da un mondo sempre più irreggimentato dai mille gangli del capitalismo finanziario che ci ridurrà tutti (in qualunque contesto lavorativo) a delle appendici di un badge. Parole in ritirata dal modo attuale di comporre libri (e cultura), ovverosia col pesino del farmacista, o delle ninfe sirene dell’ufficio marketing. Scrivere su un cesso “Tiziana penso di amarti” oppure “Colleziono cazzi” è la medesima cosa. Sempre meglio che scrivere come i narratori degli anni zero.

Medesimo concetto in un altro capolavoro borderline come “Le mille lire scritte”, questa volta a cura di Claudio Gaetano Pisani, per anni casellante autostradale e quindi fine raccoglitore di scritte e slogan rilasciati sulla banconota da millelire.

Di palo in frasca.

Teresa Macrì, per i Millelire, scrisse il breve e fondamentale “Splatter”. In copertina la testa esplosa di un alieno presa da “Bad Taste”. Sul retro dei vermi. Dentro una veloce panoramica sullo splattermovie e le sue ideologie punk surreali/demenziali (quindi Gordon Lewis, Jackson, Henenlotter, Muro e Buttgreit). Non saprei se generazioni di futuri scrittori di genere si sono formati su questo libricino piccino picciò?

Alberto Forni porge in un altro MillelireScrittrice precoce a pochi mesi scriveva il suo nome”, una serie di autobiografie di scrittori non illustri, cioè gente che scrive poesie, racconti, romanzi, intere saghe e non viene mai pubblicata (e letta) da nessuno se non da parenti, amici e qualche editore a pagamento. Se da un lato Forni scoperchia un fenomeno che oggi (il volume è del 1994) è esploso (tutti scrivono, nessuno legge, case editrici oberate, editori a perdere che campano sulle speranze degli esordienti, autori costretti a svenarsi per vedere il proprio lavoro editato da qualcuno e poi abbandonato nei maceri d’Italia, mancanza cronica di pubblico, di lettori, di genere e non), dall’altro, involontariamente, dà corpo proprio a questa esigenza narcisistica dello scrittore a tutti i costi, anche senza talento o meriti particolari. Perché in fondo scrivere è un po’ come leggere, ovvero una attività universale e gratuita a cui tutti, potenzialmente, possono accedere democraticamente, senza bisogno di avere un editor sul groppone che ti dice cosa tira in questo momento e come lo si deve scrivere [1]. L’ho già detto altrove, ma i classici, sì, quelli che gli intellettuali studiano a scuola e nelle università e poi non aprono più, sono scritti in un modo che per un mercato librario come il nostro sarebbe inaccettabile e impubblicabile [2].

Chiudo segnalandovi un altro Stampa Alternativa, stavolta nella collana Eretica. Autore: Pablo Echaurren, “Corpi Estranei”, girotondo negli abissi della creatività underground, girandola di manifesti avanguardistici presentati dall’autore con uno stile di scrittura che il Tondelli di Altri libertini si sogna. Seguono brevi lacerti in cui i vari artisti (o collettivi anarcoidi) presentano il proprio operato surreale e folle. Vengono elencate Chiese dell’eutanasia, brigate terroristiche che rubano nani da giardino, associazioni di ciclisti anarchici, artisti postali, men in red, rave illegali, partiti del tubo e groucho-marxisti, indiani metropolitani ed esponenti della non arte o della psicogeografia ecc, insomma una massa di falliti e perdenti (secondo la vulgata) o di irriducibili alla corsa allupata per il potere.

Oggi che il conformismo (letterario) trionfa, questo libro è una boccata d’ossigeno per aprire gli occhi, anche un pochino, su mondi lontanissimi carichi di energia, idee e criticità.

Se invece preferite restarvene tranquilli coi vostri romanzi horror – fantasy – thriller – polizieschi – autoriali scritti con la carta carbone, allora dimenticate tutto. Paolo Giordano ha finito il nuovo libro. Il ghost writer di Stephen King pure e Danilo Arona si sente bene. L’Italia di Renzie è con voi.

Davide Rosso


[1] Oh  bella. Sull’Espresso del 29 maggio 2014 esce un pezzo nella rubrica cultura di Paolo di Paolo intitolato Scrittore arrangiati. In due parole ci spiegano come il self publishing abbia trasformato tutti in scrittori, caricando di inquietudini metafisiche chi scrittore lo è per davvero e dall’alto della sua casa editrice e dei suoi diritti d’autore. Il problema, anche per i professionisti, è che non si riesce più a vivere di scrittura e anche la bolla dell’esordiente d’oro sembra esaurita. Che fare allora? Arriva l’ultima moda e neologismo: il crowdfunding letterario, insomma scarichi gratis un’anteprima del libro e se in un mese si arriva a quota 4 mila richieste l’editore dà il via allo scrittore per buttare giù il resto, magari seguendo alcuni consigli dei 4 mila lettori, così perché il minestrone riesca proprio a pennello secondo i gusti e le aspettative del cliente. Senza la quota il libro rimane un accenno abortito e via col prossimo tentativo di fare il botto e la grana. Nel tempo in cui tutti siamo scrittori con un proprio pubblico (magari microscopico e domestico) l’editoria deve inventarsene di nuove per sopravvivere. E sul libro su misura ci indottrina Irene Cao sull’Espresso del 5 giugno 2014 nella rubrica Attualità – Storie di successo. La Cao ha dalla sua 350 mila copie per la Rizzoli coi suoi porno soft alla Liala del XXI secolo e spiega che i suoi libri sono candidamente studiati a tavolino come tutti gli altri del mondo editoriale dopotutto. E se la realtà delle sue trame è degna di una fiction di Canale 5 qual è il problema? La realtà del nord est è dura e lei lo sa ma la gente ha bisogno, la sera, quando rincasa, di riposarsi e spegnere il cervello, rilassarsi. Col primo libro, tanto per dire, l’editore le ha detto: ok ci sono 3 o 4 scene buone di sesso, le restanti 500 pagine buttiamole. Ti va di riscrivere tutto piano piano come dico io? Beh, visto il successo di certe operazioni, mica poteva la politica restarsene indietro? Sulla Repubblica di qualche mese fa esce un articolo folgorante: Ficion tv, studio e racconti ecco le frattocchie genziane, ci servono dirigenti preparati. La proposta del rottamatore è che serve una classe politica nuova, spendibile a livello d’immagine, e preparata attraverso stage e workshop in cui si dovranno studiare le storytelling della tv seriale americana, imparare una nuova (l’aggettivo qualificativo preferito dal nostro) narrazione per coinvolgere cittadini ed elettori e portarli ad identificarsi in una idealità smagliante e fighetta. Altra alternativa, per tornare a bomba nell’editoria, è quella delle amiche di penna sull’Espresso del 19 giugno 2014, dove si evince che le quote rosa della nostra letteratura sono tra loro sempre in contatto per mail, si leggono e si incoraggiano, si promuovono e sostengono senza invidia e fanno da argine all’editoria maschile. Insomma si scambiano le pagine dei libri, li commentano, cercando di uniformarsi in un’unica grande novel da salotto con gita di classe sul neofemminismo alla riscossa per il potere di quel che rimane dentro le stanze dei premi letterari.

Perché, dopotutto, diciamolo, scrivere è pur sempre meglio che lavorare.

[2] Rieccoci col solito elenco noiosissimo di autori morti e stramorti, ridotti in polvere dal tempo inclemente e dall’inquisizione dei repressi.

Straparlo? Vediamo. O anche no, saltatela pure codesta notarella.

Apuleio, già, Le Metamorfosi, meraviglioso, primo vero grande romanzo antico pieno di sesso e meraviglie (ci sono scene sfrenate di pissing e zoofilia, con troione borghesi che si fanno tappare l’anello del sedere dagli asini!!!!)… e poi?

Dunque, lasciamoci alle spalle l’epoca classica dei greci e latini perché capisco che le vacanze sono alle porte e si deve staccare la spina e arriviamo ai secoli bui del Medioevo – una parola sola: Fabliaux, dal 1100 al 1300 sono finzioni, menzogne fantastiche che provengono dalla Francia cortese e cavalleresca, exempla cittadini (la nuova classe sociale fa la sua comparsa sul proscenio, leggete i borghesi), fatti di stupidità, astuzia, donne, vino, sesso, tanto, tanto sesso. I fabliaux sono il trionfo del movimento, del motto sagace, della supercazzola alla conte Mascetti. Uno per tutti: un contadino ignorante che lavora come un toro e prega tutti i giorni San Martino. Un giorno il santo gli appare e gli regala tre desideri. Il contadino corre dalla moglie e le regala il primo: lei desidera che al suo uomo spuntino cazzi da tutte le parti, perché uno non le basta e allora lui diventa un mostro pieno di cazzi. Tocca all’uomo ed esprime il desiderio che alla moglie spuntino fiche ovunque. Quando si ritrovano come due esseri lovecraftiani, esprimono l’ultimo desiderio di tornare normali e poveri come prima! Desideri sprecati! Amen! Splendido affresco in versi.

Da noi i fabliaux si trovano in un millennio einaudiano del 1980, cartonato con minute a colori. Mercatini delle pulci, grazie!

Rimaniamo nel Medioevo: Il Decameron di ser Boccaccio. Pallosissime le novelle edificanti e d’amore, splendide quelle pecorecce & scoperecce! Ser Ciapelletto, il convento delle monachelle infoiate storpiate dal finto mutolo, Andreuccio da Perugina che finisce nel calderone della merda, Alibech e Rustico che le caccia lo diavolo nell’inferno, Cecco Angiolieri, Giotto, una sarabanda di voci, motti, arguzie, scherzi, gabelle geniali e semplicissime, molte delle quali riprese dalla commedia latina e dai fabliaux, a testimoniare come sempre tutto si tiene, torna e ritorna!

Ok, passiamo al Rinascimento!

Tenetevi forte, qui abbiamo due campioni della scrittura squadernata del momento: Poggio Bracciolini con le Facezie e l’Aretino.

Dunque Poggio: intanto cominciamo col dire che Poggio fu segretario del Papa e visse nella curia romana ricoprendo importanti incarichi politici, inoltre lavorò, come altri moltissimi umanisti nel solco del Petrarca, alla riscoperta dei codici greci e latini, riportando alla luce gemme che, altrimenti, sarebbero incorse nelle incurie del tempo; il libro delle facezie, scritto in latino, siamo nel ‘400, è una giara di fabule, di farse appunto, del tempo, pettegolezzi reali o inventati, con episodi ripresi dai mostri sacri precedenti, appunto ser Boccaccio, fabliaux, Luciano (autore che ritorna, perché molto amato e riscoperto dai rinascimentali). Le facezie sono testi brevissimi, a volte di due righe, a volte una pagina o mezza, buffonerie salaci col gusto per la battuta arguta e smazzante, calembour introdotti in un universo primario dove il mangiare, il bere e il fottere sono le linee guida di un’umanita in ripresa dopo i tracolli politici, economici e sanitari dell’epoca buia. In Poggio si respira un’aria di freschezza, di sapienza e serenità mescolata alla golosità delle dame e dei borghesi trafficoni, dei primi banchieri, eccetera.

Le facezie come antenati delle barzellette insomma!

Libro immenso, comunque.

Passiamo all’Aretino Pietro col suo Dialogo-Ragionamento che riprende lo stile dei dialoghi lucianei (quanto grande è stato questo autore latino, di cui, tra l’altro, anche i Dialoghi dei morti è immenso!) e mette in scena la Nanna (madre) e la Pippa (figlia). La madre, come già nei dialoghi delle cortigiane di Luciano, cerca di convincere la figlia a intraprendere la via della prostituzione e le illustra i pro e i contro dell’affare. La bellezza di Aretino risiede nell’uso del volgare, un italiano plastico e liquido, dove le volgarità più estreme sono mascherate dietro un sapiente uso retorico di eufemismi e similitudini. L’aretino parla sempre di chiavate e pompini ma lo fa con una vastità di vocaboli da aver istituito il vocabolario delle parolacce e locuzioni italiane! Qui dentro trovi per un cazzo e una figa mille modi diversi di dire, tutti geniali: uno su tutti, per dire di un tale che aveva il cazzo gigante lui dice che era più lungo della messa di Natale!!!! E poi ci domandiamo perché, al netto di tutti gli elogi della giovane critica degli anni zero, i narratori degli anni zero sono carta straccia.

Sempre del ’500 è il francese Pierre de Bourdeille, signore di Brantome, nobile di corte, autore del capolavoro Le dame galanti, raccolta di facezie e arguzie sulle dame di corte del tempo. Il libro è un gioiello della letteratura erotica francese ed è l’equivalente dei nostri Poggio e Aretino. L’opera è divisa in sette discorsi. Il primo riguarda le dame amorose e i mariti becchi (cornuti), il secondo tratta l’argomento di quale sia più gradevole all’amore tra il tatto, la vista o la parola, il terzo è un’apologia sulla bellezza delle belle gambe, il quarto discorso gira attorno alla domanda se sia meglio ficcare una giovinetta, una donna maritata o una vedova, il quinto riprende il tema delle vecchie dame che piglian gusto nel farsi aprire, il sesto e il settimo trattano argomenti generali e più generici! Libro molto bello e divertente.

Diciamo che l’erotismo del ’400 e ’500 è molto allegro e burlone, lontanissimo dai tenebrosi umori dell’eros novecentesco/ottocentesco, o dalla frenesia maniacale e scopereccia di un Sade

Chiudo questa lagna con un’ultima segnalazione, sempre di uno studioso rinascimentale, Ferrante Pallavicino, autore della Retorica delle puttane, agile manualetto in cui si immagina una vecchia laida che istruisce una giovane all’arte delle puttanacce (il tema su cui già si eran espressi Ovidio, Luciano, Aretino, insomma). L’opera è godibilissima e consta di poche pagine, una novantina contro le 600 di Aretino, le 400 di Poggio e le 700 di Brantome! Però quel che volevo segnalare è un’altra cosa. Tutti i libri di cui vi ho detto, per lungo tempo sono circolati come libri porno clandestini. Fuori dal giro. Fuori dal coro. Corpi estranei. Ferrante, per dirvi come nel 1600, in clima di forte rigidità religiosa, rigidità accesa dallo scontro tra protestanti e cattolici, è stato beccato e, per un libretto ironico, geniale e divertente, è stato condannato dall’autorità ecclesiastica alla decapitazione in pubblica piazza con l’accusa di lesa maestà divina e umana!!!

Ecco, questi eran grandi scrittori, che per il loro lavoro finivano al rogo e degli editori o del marketing, dei book-trailer, delle recensioni e classifiche su Tuttolibri, dei premi letterari se ne sbattevano altamente.

Va tutto bene, mi si dirà.

Ti nascondi dietro un dito, in questo caso i “classici”.

Ok, allora sentite questa. Prendete un qualsiasi “Racconto di Dracula” da bancarella o un fumetto di Barbieri e avrete qualcosa a cui non siete più abituati. Lo sentirete sotto i vostri denti: è letteratura fragile, senza pretese, a suo modo perfettamente inserita all’interno di una logica commerciale ben precisa (allora), tuttavia, oggi, nel mondo del consumo flessibile, assumono un rilievo che non avevano. Propongono soluzioni e stilemi che nessun editore avvallerebbe più. Romanzi scritti di getto, in pochi giorni, senza una scaletta, come viene viene, infittiti di flussi di coscienza, descrizioni inutili e dialoghi camp, spesso in spregio delle più elementari regole grammaticali, pur tuttavia, nei casi migliori, rischiarati da un’atmosfera e una libertà senza pari. Ne volete un’altra? Prendete quello che è stato Tiziano Sclavi pre-Dylan Dog, lo Sclavi sgangherato degli anni Settanta, primi Ottanta, dei romanzi nel cassetto. O del nostro contemporaneo Bissoli, così naif da rasentare il sublime.