Il folklore anglosassone è molto basato su quelle che in italiano sono chiamate impropriamente fate, e che nell’originale Faeries indicano creature appartenenti al cosiddetto Piccolo Popolo, spesso di aspetto mostruoso e tutt’altro che benevole, anzi minacciose verso gli esseri umani, che spesso non possono vederle ma subiscono i loro attacchi.
Le fate o fairies sono al centro de La cacciatrice di fate, primo libro di una serie di Elizabeth May, californiana trapiantata e innamorata della Scozia (e si vede!), inizio di una storia che è indubbiamente molto interessante e spicca nel panorama della letteratura fantastica attuale.
Lady Aileana vive nella Edimburgo ottocentesca, una città reinventata anche se non mancano i luoghi reali, dall’inquietante città vecchia, oggi luogo turistico imperdibile e allora posto sordido e arretrato, al quartiere giorgiano dove viveva l’aristocrazia. In questa Edimburgo trovano spazio anche invenzioni steampunk, aerei e altri macchinari, omaggio e tributo a un genere in crescita come interesse nel panorama attuale. Aileana di giorno è impegnata a fingersi una ragazza vittoriana con tutte le limitazioni del caso, di notte combatte contro le fate e le creature del Piccolo Popolo, responsabili della morte della sua madre, per la quale è sospettata lei, visto che è stata trovata sul cadavere e che i comuni mortali non possono vedere le fate.
Un libro quindi insolito e pieno di spunti interessanti, a cominciare dall’ambientazione e dalla mescolanza di due generi come l’urban fantasy, d’epoca tra l’altro, cosa non diffusissima, e lo steampunk, nella sua ambientazione più diffusa, quella dell’Inghilterra vittoriana. Dietro al personaggio di Aileana, che racconta la storia e non è sempre il massimo della simpatia, ci sono echi di Buffy ma anche della cacciatrice Victoria creata da Colleen Gleason, che lottava contro i vampiri nell’Inghilterra della Reggenza, una trentina d’anni prima. Ma stavolta non ci sono i vampiri, personaggi ultra frequentati e persino un po’ snaturati ultimamente, ma gli altrettanto se non di più inquietanti fairies, pochi amici della protagonista e la maggior parte nemici implacabili e da sconfiggere.
La vicenda è avvincente, e la scelta dell’epoca vittoriana rivista in un’ottica gotica è indubbiamente interessante. Il libro, primo della serie della Falconiera (è questo il nome con cui si chiamano queste ragazze e donne che lottano contro le creature del Piccolo Popolo), ha però un paio di difetti che non rovinano la lettura ma che se non ci fossero sarebbe meglio.
Il primo è la brevità del romanzo: in tempi di libri lunghi e spesso sbrodolati, poco più di duecento pagine sono davvero poche per costruire un intreccio ricco di elementi insoliti, che deve qualcosa a autrici come Holly Black, ma che ha una sua originalità e complessità.
Il secondo è il finale troppo in sospeso, che può funzionare in un telefilm, ma che in un romanzo è davvero troppo improvviso, anche perché non ci sono ancora notizie sulle prossime uscite del seguito in italiano per Sperling. In tutto dovrebbe essere una trilogia, speriamo che Elizabeth May non ripieghi su intrecci alla Twilight, ma le premesse, e non solo che ci si trovi di fronte a qualcosa di diverso, ci sono tutte, per cui non resta che aspettare per scoprire le nuove peripezie e lotte della cacciatrice Aileana in una Edimburgo che suscita curiosità per chi non c’è ancora andato e rimpianto per chi la conosce già.