Il mio vizio è una stanza chiusa, così reca la scritta del SuperGiallo mondadoriano del 2009, una antologia alla scoperta di scritture thrilling (di oggi) che si rifanno a quelle di ieri, figlie di Sergio Martino ed Ernesto Gastaldi, piuttosto che Argento.
Il mio vizio è una antologia di racconti (di medio livello), il cui limite, a mio parere, è la poca affinità – tranne che per Le meraviglie del liceo femminile di una maestra come Claudia Salvatori – coi modelli.
L’altro pregio de Il mio vizio è il lungo e articolato saggio di Stefano Di Martino, intitolato L’avventurosa storia del thrilling, che riesce a rilevare le caratteristiche del filone.
Marino ci fa capire (prima di lui lo avevano fatto altrettanto bene Antonio Tentori & Antonio Bruschini) che, nonostante le influenze del cinema di Hitchcock e la scrittura di Edgar Wallace, il thrilling italiano ingrana una marcia differente, parapsicologica, dove, all’elucubrazione della Christie, si sostituisce la follia dell’omicida, il trauma rimosso.
E da qui valanghe di delitti compulsivi, sragionati, non più originati da motivi venali, bensì incestuosi, sessuali, infantili.
L’assassino, nelle sue astrazioni più riuscite, diviene mano guantata, uomo nero, orco predatorio armato di carillon e manichini.
Di Marino punta anche a farci capire l’importanza delle ambientazioni lounge, italiane; il thrilling la smette con la Cornovaglia di tanti Racconti di Dracula e apre alla provincia.
Dai non luoghi di Cinque bambole per la luna d’agosto e Reazione a catena, si passa alla Gubbio di Amore e morte nel giardino degli dei, alla Sicilia ancestrale di Non si sevizia un paperino, alla Siena di Sette note in nero, alla Perugina di I corpi presentano tracce di violenza carnale, alla Torino di Argento, a Bergamo in Una farfalla con le ali insanguinate, a Milano in E tanta paura, a Genova in Perché quelle strane macchie di sangue sul corpo di Jennifer?, a Venezia in Chi l’ha vista morire?, a Padova in Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave, a Spoleto in L’etrusco uccide ancora, fino alla bassa Romagna in Pupi Avati.
Infine, Di Marino rintraccia nel cinema di quegli anni le vere radici della letteratura thrilling di oggi: vuoi perché sono stati i film a marchiare la fantasia di chi si cimenta oggi col genere, vuoi perché, salvo rare eccezioni, la letteratura thrilling degli anni ’70 non esiste!
Le collane (quantitativamente) maggiori (i KKK e i Dracula) operavano più sul versante dell’horror riciclato dai canoni inglesi.
Altri scrittori (e penso a Fruttero & Lucentini, a certo Piero Chiara, a un Comisso, l’ultimo Scerbanenco, un intrigante Paolo Levi, oggi dimenticatissimo) hanno provato a dire la loro, senza però riuscire a restituire quella polpa, quell’alchimia tra erotismo morboso, lounge, psichedelica, sadismo, angoscia e ironia becera, insomma, senza la follia di quelle pellicole dei ’70.
Un cinema fuori dal tempo.
E in parte è un peccato.
Infatti la vena surreale del thrilling non sarebbe venuta meno se mescolata con un decennio sulfureo, pieno di speranze e delusioni (che cominciamo a pagare nel nostro quotidiano).
Tranne il sempre meritorio Sergio Martino [1], la realtà dei ’70, nei thrilling di allora è negata, inesistente.
Profondo Rosso, per citare un titolo simbolo, vive in un universo parallelo, in cui l’Italia del Vajont, della burocrazia, dell’incultura, dell’autoritarismo è rimossa.
L’horror dei petrolchimici e le spaventose condizioni di lavoro nelle fabbriche e nei cantieri – mentre gran parte della borghesia italiana (che è quella ritratta da Bava nei suoi bellissimi thrilling) evade il fisco e si arricchisce oltre ogni limite immaginabile, fino al ripiegamento conformista e allo sperpero degli anni Ottanta, incuneati nel miraggio individuale a cui anche quel thrilling si conforma, con le sue storie meno d’atmosfera surreale e, invece, cerchiate attorno a plot minimali, massificati dallo stile slasher americano – sono rimosse.
E’ rimossa l’Italia dell’autunno caldo.
Della Genova degli scioperi aspri.
E’ rimosso il ricatto e il clima che il padronato tenta di imporre.
Ci si dimentica del lavoro castrante nelle aziende, delle cariche della polizia, dei blocchi stradali, degli scioperi, del potere invisibile della DC e di quello underground dell’America e dei fermenti radicali di una nuova gioventù che vorrebbe mettere in discussione una vita al giogo di un lavoro inutile e annichilente.
Forse, per una astrazione inconscia, il thrilling degli anni ’70 rappresenta una forma di evasione commerciale, una sublimazione di quel clima, poiché lo spettatore (e così pare suggerirci tra le righe uno studioso immane come Stefano Pistilli) poteva, tra gli scricchiolii e il buio di quelle sale di seconda categoria, rivivere le emozioni, i brividi e le tensioni sotto le sembianze di un killer nerovestito, un killer oltre le BR, l’eversione di destra o le stragi di stato, un seme del male dilagante e irrazionale volto a soffocare le spinte di libertà e anarchia vitale inscritte nelle carni burrose dei corpi – altare delle Edwige Fenech di allora.
E partendo da qui, anzi finendo da qui, da quell’antologia mondadoriana, volevo tornare al thriller, al vizio del thriller, con due narratori odierni, ospitati anch’essi nella gloriosa collana del Giallo Mondadori.
Uno è proprio Stefano Di Marino.
L’altra è Cristiana Astori.
Di Cristiana mi è piaciuta l’idea di andare a pescare, per il primo romanzo Tutto quel nero, una faccenda che riguardava anche Jess Franco. Chi l’avrebbe mai detto? Un bel giallo da edicola, a pochi euro e così interessante. Tuttavia ho un ricordo confuso di quel libro, forse con troppo plot ingarbugliato (cosa che amo pochissimo). Fu un inizio. Mi piacque maggiormente il secondo libro della serie, sempre con protagonista Susanna Marino, Tutto quel rosso. Qui la trama era più semplice, pur tuttavia imbrigliata all’interno di una scrittura di genere così codificata come quella del Giallo Mondadori, dove tutto deve spiegarsi e i personaggi, a lungo andare (il mediocre Steve Salvatori) hanno lo spessore di un fumetto Bonelli. Un altro limite fu quello di insistere troppo col citazionismo dilagante, nel voler dare a tutti un nome che richiamasse registi o personaggi di quel cinema thrilling, eccetera, oppure di girare un remake letterario di Profondo Rosso, al punto da condannare quasi a un contrappasso dantesco i vari personaggi, costretti a rivivere i delitti e le morti di quel film. Detto questo, il resto l’ho trovato quanto di più fresco e attuale mi abbia saputo dare una giovane scrittrice italiana. Cristiana (come prima di lei ha fatto Giovanni Buzi) ha saputo dare dignità letteraria al suo lavoro anzitutto con una scrittura sensuale, femminile al 100%, fatta di parole di sangue sull’avorio uterino della pagina. Una scrittura, per lunghe sequenze, surreale, così come certi squarci di quei film anni ’70. E ancora la capacità di restituire un andamento da cantilena infantile, imbevuta di zoologie sperimentali nelle descrizioni. Insomma, un libro scritto veramente bene, sentito, viscerale. Impreziosito, come nel capolavoro thrilling di Zampaglione, dalla capacità di collocare il giallo italiano all’interno di un paesaggio culturale radicalmente mutato rispetto ai ’70, con una protagonista in fin dei conti trascinata nelle sue astruse peripezie dallo stringente bisogno di trovare un lavoro un pochino stabile.
Attendiamo con ansia l’uscita, a dicembre, del nuovo romanzo di Cristiana, Tutto quel blu, sempre per il Giallo Mondadori.
Stefano Di Marino, Il palazzo dalle 5 porte, Giallo Mondadori del 23/2/2014.
Di Marino, da professionista della scrittura, ci tiene ad ascrivere questo lavoro all’universo del thrilling all’italiana degli anni ’70.
Di Marino, poi, dopo il saggio sul thrilling, ha tutta la mia fiducia.
Purtroppo però, a mio modestissimo e amatoriale avviso, Di Marino scrittore (e non saggista) con la parola thrilling intende tutt’altro.
La garza dell’atmosfera è poca, per il resto una caterva di frasi fatte e dialoghi da uomo di mondo (o giramondo) sullo sfondo di una laguna descritta con l’estro di un ragioniere armato di compasso e righello.
La farina arcana delle parole, ossia la capacità di evocare, dilatare gli spazi, la percezione del tempo, dei colori, delle sensazioni – senza bisogno di un plot fitto; voglio dire, quel cinema là dei ’70 era insensato, pieno di buchi, lungaggini inutili, dialoghi a cazzo, incongruenze che nemmeno un deficiente, personaggi pochissimo definiti eccetera – in Di Marino latita: la sua prosa è dopata d’action (cosa che nei Segretissimi non guasta), declina verso personaggi redux da Grozny, superduri spacca tutto che in un supermarket ci hanno messo piede solo per comprarsi degli integratori e lanciare un’occhiata di sufficienza alla cassiera o al mulettista sottoposti e frustrati: loro sì veri redux!
Per il resto l’ambient di Di Marino oscilla tra salotti raffinati, gente in tailleur di Yves Saint Laurent, camicette di seta, topazi e oro bianco, vernissage veneziani – milanesi.
E poi descrizioni a cascata, azioni, dialoghi per tirare sulle pagine e lasciare nemmeno un briciolo di non detto, di non spiegato al lettore.
Bas Salieri, il personaggio principale, mi sta sui coglioni.
Bello.
Colto.
Affascinante.
Pieno di figa.
Con la grana.
Magari amico di Marchionne & Renzie.
No.
L’unico Salieri che reggo è Mario.
E’ questo il thriller all’italiana?
Questo lavoro furioso di editing?
Di quadrature del cerchio?
No.
Tra me e questo mondo s’incunea l’abisso.
E’ lo sciopero sociale.
Il caos.
La guerra.
Libro chiuso a pag. 163.
Ho bisogno di una boccata d’aria, di leggermi anche solo due righe del mio maestro Sergio Bissoli.
Cristiana, spero nel tuo Tutto quel blu.
Non ascoltare Franco staccato Forte.
E non deludermi.
Almeno per un altro po’.
Tuo,
Davide Rosso
BIBLIOGRAFIA MINIMA
Bruschini Antonio & Piselli Stefano, Giallo & Thrilling all’italiana (1931 – 1983), Firenze, Glittering Images, 2010.
Piselli Stefano, Eros & Thanatos ’70, Firenze, Glittering Images, 2013.
[1] Con la sua Perugia ribollente di studenti e poliziotti, costretti a confrontarsi in un sit-in anti mostro ne I corpi presentano tracce di violenza carnale, film che da solo contiene tutto del nostro thrilling e, al contempo, ne rappresenta un (im)possibile superamento.