Tutto ebbe inizio quando Alejandro Jodorowsky (regista, scrittore, fumettista… e tanto altro), surrealista e grande ammiratore di André Breton, negli anni ’60 entrò in contatto con una guaritrice messicana, Paquita. Egli vide in lei un modo di agire molto simile a quello surrealista e intuì che i metodi che Paquita utilizzava per guarire i suoi “pazienti”, se così vogliamo definirli, non avevano alcun valore dal punto di vista della medicina tradizionale, ma avevano una tale “forza” che li pervadeva da portare spesso il “paziente” a reagire, a intraprendere egli stesso la strada per una guarigione, per ritrovare una forza positiva dentro di sé oppure, paradossalmente, per un’accettazione serena della malattia.
Jodorowsky, profondamente affascinato da un metodo di cura tanto caratterizzato da intrigante mistero e nello stesso tempo da consapevole finzione – che pure risultava così psicologicamente appagante e quindi “necessaria” al benessere delle persone – elaborò una forma d’arte che avesse come fine proprio la guarigione. E la chiamò “psicomagia”.
Quello che Jodorowsky aveva postulato si traduceva in questo: per mezzo di quello che egli chiamava “atto effimero”, proponeva all’interlocutore un gesto da realizzare, in apparenza privo di logica o senza senso o campato per aria, ma che in realtà era carico di un dirompente impatto emotivo che in seguito lo avrebbe portato a vedere e percepire la propria realtà da un punto di vista altro, diverso e nuovo. In seguito, l’interlocutore, realizzando il gesto proposto dallo psicomago, avrebbe spezzato la quotidianità con i suoi problemi e il suo personale vissuto, per arrivare a una nuova percezione del problema stesso, riuscendo in un certo qual modo a guarire o ad accettarlo in tutta tranquillità
Vediamo alcuni esempi di atti psicomagici: una persona parlava a Jodorowsky dei propri problemi economici, dicendogli che non aveva mai un soldo in tasca. Jodorowsky gli chiese semplicemente di incollare alle proprie scarpe due monete, in maniera tale che camminando si potesse sentire il tintinnio delle monete sulla strada. A un ragazzo, orfano del padre, la cui figura, idealizzata e severa, continuava a influenzarne negativamente la vita, chiese di bruciare una foto del padre, gettando le ceneri in un bicchiere di vino e quindi di berlo.
Il gesto psicomagico è dunque finalizzato a essere costruttivo e positivo. Il suo è un tentativo di dare all’arte una dimensione di “guarigione”, non più meramente estetica né con fini politicizzati. La sua opera “I vangeli per guarire” è un ulteriore tentativo in tal senso.
Nel libro “La danza della realtà” Jodorowsky raccontò di come si rivolse a lui e alla psicomagia per curarsi dalla depressione anche un grande attore italiano. Il nome dell’attore in questione non è mai citato, ma dalle pur scarne descrizioni fatte si potrebbe pensare a Vittorio Gassman, il quale – ammesso si tratti di lui -, pare si fosse rifiutato di compiere il gesto psicomagico proposto da Jodorowsky (un complesso rituale in cui doveva sgozzare un gallo sulla tomba della madre), dicendo “ma io non posso. Io sono Vittorio Gassman”. Per Jodorowsky quella fu la vera natura della depressione dell’attore, il dover “portare” un nome come un’etichetta.
In pratica la psicomagia cura quelle che sono le ferite psicologiche di un individuo, liberandolo da traumi emotivi passati, nascosti il più delle volte nel nostro profondo. Consiste in sostanza nel compiere una serie di azioni pratiche, prescritte dal terapeuta, per riuscire a parlare al proprio inconscio, superando la censura della propria parte cosciente, liberandosi di quello che in pratica si è nella quotidianità per guarire blocchi psichici, abitudini e automatismi.
La psicomagia affonda le sue radici nelle tradizioni popolari e negli antichi rituali curativi degli sciamani e dei guaritori. Al pari dello sciamano infatti, lo psicomago prescrive un atto/rito che usa un linguaggio simbolico per comunicare con la propria mente irrazionale. Sostanzialmente, il terapeuta fa compiere un’azione precisa – a forte connotazione emotiva e simbolica – al proprio paziente, senza per questo assumere la tutela o diventare la guida del soggetto per lunghi periodi (come avviene invece in psicoterapia).
Gli atti psicomagici sono spesso atti paradossali che possono scuotere l’immobilità patologica e compulsiva di cui siamo prigionieri, determinando così una rottura con quelli che sono gli schemi del passato. La semplicità e la spontaneità, proprie delle antiche culture rurali, rendono i rituali profondi, efficaci e al tempo stesso mistici. Grazie a questa arcana alchimia, tra passato e presente, tra magia, psicologia e suggestione, la psicomagia cambia il nostro modo di interpretare la realtà e di conseguenza noi stessi.
Spesso una persona desidera smettere di soffrire, ma non è disposta a pagarne il prezzo, non è pronta a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sue sofferenze. Affinché un atto funzioni bisogna quindi essere coscienti di volersi liberare dai propri automatismi, blocchi e costrizioni patologiche, e intraprendere così l’atto psicomagico in modo deliberato, attivo e costruttivo. Bisogna in sostanza avere fede nell’atto “magico” da compiere per poter ottenere un risultato psicoterapeutico ed è necessario seguire alla lettera le istruzioni prescritte dallo psicomago affinché si abbia qualche beneficio. Quest’ultimo punto soprattutto è di fondamentale importanza: se l’atto psicomagico viene modificato o interrotto, anche il messaggio che si invia all’inconscio verrà mutato radicalmente, e le conseguenze potranno essere molto pericolose.