FANTASCIENZA STORY 11

UN PICCOLO PASSO PER L’UOMO (1950) – PARTE 1

1950: UOMINI SULLA LUNA – DESTINAZIONE LUNA (Destination Moon)

Il primo grande film di fantascienza dell’era moderna è, senza alcun dubbio, il memorabile Destination Moon (in Italia, Uomini sulla Luna) che il produttore-regista George Pal, cui si dovrà anche l’ancor più memorabile La guerra dei mondi, realizzò nel 1950, conquistando un meritatissimo Premio Oscar per gli effetti speciali, oltre che un sorprendente successo di pubblico e di cassetta.

Uomini sulla Luna prende il via quando Pal acquista i diritti di riduzione cinematografica di un romanzo destinato al pubblico giovanile, Rocket Ship Galileo (1948), opera di un noto specialista della narrativa fantascientifica, Robert A. Heinlein. (Tr. it. Razzo G.2, La Sorgente, Milano 1957).

In base a esso, concepisce l’idea di un film fatto pressoché interamente di trucchi e di effetti speciali.  Dandosi molto da fare, Pal riesce a convincere una fra le più grandi società di distribuzione hollywoodiane a lanciare sul mercato l’insolita (per quei tempi) pellicola e così il progetto viene messo in cantiere.

Deciso a fare del suo film un’opera esemplare, Pal si circonda, oltre che di ottimi tecnici specializzati, anche di notevoli collaboratori scientifici, tra cui il disegnatore Chesley Bonestell e lo stesso autore del romanzo, Robert Heinlein, che partecipa alla stesura del copione, trasferendosi addirittura a Hollywood per seguire da vicino la realizzazione della pellicola.

L’affascinante avventura di domani” promettevano all’epoca, le foto pubblicitarie nei cinema.

In effetti, la pellicola è la ricostruzione fedele di un viaggio sulla Luna, almeno secondo le conoscenze che si avevano allora.

I quattro astronauti della spedizione che giungono sul satellite, per esempio, trovano un terreno costellato di crepe, l’orizzonte ingombro di aguzze montagne, ma sinceramente sono dettagli minimi: la Luna è stata pittoricamente disegnata da Chesley Bonestell, l’artista che disegnerà poi i pianeti per la famosissima La guerra dei mondi.

Alcune sequenze anticipano la realtà, ad esempio quando durante una passeggiata spaziale uno degli astronauti perde il contatto con il missile e sta per perdersi nel vuoto, in suo aiuto arriva un collega che si spinge fino a lui usando una bombola di ossigeno come getto, questo stesso principio è stato usato per un mezzo a piccola ricognizione in uso sulle tute spaziali, una sorta di pistola ad aria compressa.

Non si supponeva minimamente, allora, che sarebbe stato possibile seguire da casa nostra l’atterraggio umano sulla Luna e si pensò, dopo molte esitazioni, di far parlare i novelli “seleniti” con la Terra via radio.

Un’ultima curiosità: le bellissime tute spaziali, realizzate in vari colori per potersi riconoscere a distanza, ebbero un tale successo da essere riprese per riviste e per altri film.

Questa pellicola ebbe il merito di aprire la strada ai kolossal di science fiction.

Fu con una perfetta scelta di tempo che, nel 1949, mentre Pal stava ancora completando The Great Rupert, la Eagle-Lion decise di concedere al grande artista ungherese il finanziamento necessario per realizzare un altro film che prendesse spunto da un allora vendutissimo romanzo per ragazzi di Robert A. Heinlein, Rocket Ship Galileo.

Questo libro racconta la storia un po’ incredibile di tre ragazzetti che con il loro zio scienziato, partono per la Luna a bordo di un’astronave fatta in casa e, quando raggiungono il nostro satellite, scoprono addirittura che alcuni profughi nazisti vi hanno segretamente impiantato delle basi atomiche, da cui pensano di impadronirsi della Terra, vendicandosi della sconfitta appena subita nella Guerra Mondiale.

La vicenda, che pure si basava su dati scientifici abbastanza validi e accurati, era comunque troppo assurda e implausibile per poter diventare un film così com’era, pertanto, il suo autore, Heinlein, venne incaricato da Pal di riscriverla trasformandola in una storia più seria e credibile e, per aiutarlo, gli mise al fianco due sceneggiatori di fiducia, James O’Hanlon e Rip Van Ronkel.

Alla fine, del libro di Heinlein non rimasero che uno dei personaggi principali, il dottor Cargraves (nel racconto lo zio e qui uno scienziato), l’idea del primo viaggio verso la Luna e il concetto, piuttosto audace per l’epoca, di chi per primo fosse riuscito a ottenere il controllo del satellite, avrebbe potuto facilmente dominare anche la Terra.

Il titolo del romanzo, ritenuto troppo vago e generico da Pal, venne lasciato cadere e si optò per qualcosa di molto più chiaro e preciso: Destination Moon.

In una base isolata di un deserto del sud-ovest, un razzo sperimentale, destinato a inserire in orbita il primo satellite artificiale della Terra, si sfracella al suolo pochi secondi dopo il lancio.

Con questo insuccesso (che si sospetta sia dovuto a un sabotaggio) finiscono i fondi messi a disposizione dal governo e tutte le speranze del progettista in capo, il dottor Charles Cargraves (interpretato da Warren Anderson) e del suo principale sostenitore, il generale Thayer (Tom Bowers). Passano due anni; il generale Thayer, dopo aver lasciato l’esercito, va a trovare Jim Barnes (John Archer), titolare della grande ditta che aveva costruito il satellite che Cargraves doveva mettere in orbita, e gli propone di associarsi a lui e a Cargraves stesso per costruire un nuovo razzo da lanciare sulla Luna.

Viene persuaso da Thayer della buona possibilità di riuscita di questa impresa, quando viene informato che Cargraves, nel frattempo, ha messo a punto un motore a reazione atomica, pertanto, Barnes accetta con entusiasmo di mettersi alla ricerca dei finanziamenti necessari tra i maggiori industriali americani.

Soltanto la convinta e inquietante affermazione di Thayer: “La prima nazione che riuscirà a installare delle basi missilistiche sulla Luna, sarà in grado di dominare la Terra! convincerà i grandi finanzieri a unirsi per sostenere l’audace progetto. Il razzo viene costruito, ma quando è ormai imminente il giorno in cui dovranno sperimentare il funzionamento dei suoi reattori di propulsione, appare chiaro che qualche misterioso gruppo di agitatori sta tentando di sobillare l’opinione pubblica per impedirne il decollo.

Il progetto è ormai anche a corto di denaro e un eventuale ritardo avrebbe conseguenze disastrose, affossando per sempre il sogno di Cargraves e di Thayer.

Barnes decide di non effettuare una semplice prova, ma far decollare veramente il razzo con destinazione Luna; loro stessi ne costituiranno l’equipaggio: Cargraves, Barnes, Thayer e un radiotelegrafista, esperto anche di radar, chiamato Sweeney (l’attore Dick Wesson), che deve sostituire all’ultimo momento il quarto pilota prescelto, Brown, colpito da un attacco di appendicite.

Il razzo, denominato Luna, decolla proprio sotto il naso di uno sceriffo che era andato a porlo sotto sequestro, in seguito all’ingiunzione del tribunale di Stato.

Una volta nello spazio, dopo essere sopravvissuti alla tremenda morsa dell’accelerazione (si era ritenuto che le tute pressurizzate sarebbero state inutili) e dopo aver sofferto un po’ di “mal di spazio” (risolto con speciali pillole), i quattro uomini dell’equipaggio si adattano con calma e tranquillità a questo fantastico viaggio che li sta portando verso la Luna.

Viene presto scoperto che per errore Sweeney ha lubrificato un’antenna, credendo di farla funzionare meglio; purtroppo, una volta nello spazio, il grasso si è gelato bloccandola, perciò gli uomini sono costretti a uscire dall’astronave per ripararla, trattandosi di un’antenna indispensabile per seguire perfettamente la rotta.

Quando sono all’esterno, Cargraves, che sta controllando gli ugelli dei reattori, si sporge un po’ troppo e finisce alla deriva nello spazio, ma viene recuperato grazie a una trovata di Barnes che usa, come razzo di spinta per raggiungerlo, la fuoriuscita di gas da una bombola di ossigeno.

L’astronave raggiunge la Luna e inizia l’atterraggio, ma il punto prefissato per la discesa si rivela troppo accidentato e Barnes, costretto a farla posare più in là del previsto, deve tenere accesi i razzi più a lungo del dovuto, consumando di conseguenza una maggiore quantità di energia.

Finalmente dopo che l’astronave è atterrata al centro di un cratere, i quattro astronauti scendono sul suolo lunare e la Terra, nell’apprendere la notizia, esplode di gioia, mentre anche gli intrepidi esploratori si abbandonano all’euforia.

Vengono svolte varie attività di rilevamento scientifico e si scopre l’esistenza di grandi giacimenti di uranio.

L’euforia lascia il posto allo sconforto tra i nostri eroi: consumando troppa energia nella discesa, l’astronave adesso non è più in grado di farli ripartire dalla Luna.

Barnes calcola che, se si libereranno di una certa quantità di peso, riusciranno probabilmente a farcela lo stesso e quindi l’astronave viene subito svuotata di tutto il superfluo, che viene lasciato sulla Luna.

Alla fine ci sono ancora una sessantina di chili di troppo affinché si possa tentare il decollo e, per di più, entro pochi minuti scadrà il momento utile per partire, trascorso il quale l’astronave sarà costretta a restare per sempre sul satellite.

Purtroppo non c’è più nulla che si possa scaricare, tra i quattro inizia una discussione su chi di loro dovrà restare sulla Luna, sacrificandosi per i compagni. Sweeney, che si era offerto volontario viene respinto, scivola di nascosto fuori, però il suo sacrificio fa venire in mente a Barnes che esiste forse un’altra possibilità di salvezza: non devono fare altro che sbarazzarsi anche della radio di bordo e delle loro stesse tute spaziali e il peso in sovrappiù verrà eliminato senza sacrificare la vita di nessuno.

Informato, Sweeney accetta di tornare a bordo e, in gran fretta, viene fatto tutto quello ordinato da Barnes; l’astronave riesce a partire in tempo utile e il decollo è perfetto.

I quattro sono sulla via del ritorno verso la Terra festante che li aspetta. A questo punto appare una didascalia: Questa è la Fine… del Principio.

Destination Moon ha avuto la sua “prima” americana il 21 maggio del 1950 a New York, proprio mentre uscivano altri film come Luci della città e Ladri di biciclette. Eppure, malgrado quella concorrenza, il film richiamava enormi file di spettatori ovunque venisse proiettato e anche le recensioni dei giornali erano entusiastiche.

Non solo il film era il primo che inaugurava il filone fantascientifico negli anni Cinquanta, ma veniva anche considerato come una pellicola seria e importante, che riusciva a rendere credibilissima l’ipotesi presentata.

Alcuni quotidiani arrivarono addirittura a scrivere che Destination Moon era una specie di semi-documentario e nel 1959 Richard Hodgens, scrisse sull’autorevole pubblicazione Film Quarterly, che il film avrebbe dovuto essere proiettato nelle scuole.

Indubbiamente per gran parte del pubblico che lo vedeva per la prima volta, nel 1950, Destination Moon rappresentava quasi una lezione di scienza, la cui seria e attendibile esposizione è un grande merito che va attribuito alla professionalità di George Pal e dei suoi collaboratori, che spesero un’enorme quantità di tempo e di lavoro nello svolgere accuratissimi studi di ricerca e di verifica.

Uno dei più noti tra questi collaboratori era un amico personale di Pal, Chesley Bonestell, considerato in tutto il mondo ormai come il primo grande disegnatore dell’era spaziale. E poi c’era anche Hermann Oberth, lo stesso che già nel 1929 aveva fatto da consulente a Fritz Lang per Una donna sulla Luna. E infine va segnalato lo scrittore Robert A. Heinlein, una delle maggiori celebrità della fantascienza letteraria; ai loro talenti congiunti si deve gran parte dell’alta qualità raggiunta dal film.

Un altro elemento determinante nello straordinario successo della pellicola è stato l’uso del colore, allora ancora abbastanza raro nel cinema commerciale. Come fece notare il quotidiano The Atlantic Monthly, l’aver saputo descrivere l’impresa spaziale usando il colore contribuì non poco a renderla maggiormente credibile e più vera, diffondendo tra il grande pubblico dei concetti audaci e originali.

Va comunque rilevato che gran parte delle immagini che appaiono in Destination Moon non sono altro che la trasposizione dei famosi quadri spaziali di Chesley Bonestell che, con oltre vent’anni di anticipo sugli atterraggi lunari delle missioni Apollo, aveva dipinto per Destination Moon delle minuziose, accurate e profetiche rappresentazioni della Terra e della Luna, come le si potrebbe vedere da un’astronave in volo nello spazio.

Il nostro pianeta, con i suoi continenti verdi e marroni, disseminati tra grandi mari turchesi, era infatti una visione stupenda e affascinante né più né meno come la Luna, tutta costellata di crateri e immersa in una spettrale luce solare.

E in più Bonestell riusciva a infondere un vero e proprio fascino soprannaturale nelle sterminate distese di vuoto, puntellate di minuscole stelle; indubbiamente, nessuno prima di lui aveva saputo avvalersi dei pennelli per raffigurare tanto bene l’antico sogno umano del volo spaziale.

Ad arricchire le meravigliose immagini di Bonestell contribuì non poco anche lo scenografo Fegte, che costruì il suolo della Luna ricoperto di crepe e di fessure, proprio come il fondo di un antico oceano disseccato, rendendo così l’idea che un tempo sul nostro satellite ci fosse stata acqua e vita, svanita però ormai da milioni di anni.

Questa raffigurazione, smentita poi dall’Apollo 11, era però attendibile nel 1950 e destò non poco sgomento ammirato nel pubblico, ma Fegte eseguì un ottimo lavoro scenografico nel conferire credibilità anche a tutti gli ambienti che comparivano nella pellicola, persino ai più normali uffici terrestri che, allo spettatore del 1950, apparivano così modernissimi e stilizzati.
Lo stesso venne fatto per gli interni dell’astronave, dove Pal volle che ogni apparecchio avesse una sua precisa ragione di essere; le tute spaziali, come già detto, vennero fabbricate in colori diversi per rendere più semplice il riconoscimento dei personaggi e, con coerenza, Fegte usò le medesime tinte anche per distinguere i vari tubi e apparecchi di collegamento all’interno del razzo.

Gli unici oggetti che, anche allora, sembravano un po’ superati e fuori luogo erano l’attrezzatura radio e i microfoni, troppo grossi da sembrare quasi residuati bellici; malgrado questo, Pal riuscì comunque a prevedere l’uso della televisione nelle comunicazioni spaziali, come si vede al momento del decollo dell’astronave.

Il disegno del Luna non aveva nulla dei razzi fantasiosi e assurdi delle storie di Flash Gordon, era invece un perfezionamento futuristico della V-2 tedesca. Prima del lancio, quest’astronave si ergeva in posizione verticale, sorreggendosi su tre alettoni e aveva intorno a sé una grossa impalcatura di sostegno che, al momento del lancio, si spostava automaticamente, proprio come avviene oggi con i lanci spaziali veri e propri.

L’atterraggio sulla Luna si svolgeva esattamente come era avvenuta la partenza dalla Terra, ma al contrario, avvalendosi dei reattori ausiliari e direzionali piazzati nel muso e nella coda dell’astronave, il pilota (Jim Barnes) poté guidare con sicurezza il razzo fino a farlo atterrare verticalmente sui tre alettoni di sostegno.

Una volta immobile al suolo, dal fianco dell’astronave usciva una scala idraulica automatica che serviva anche da sostegno, ma nel corso del film lo spettatore non si sofferma molto sul suo esatto funzionamento.

La conclusione non vedrà il ritorno dell’astronave sulla Terra, ma viene anticipato che gli astronauti ce la faranno, perché, come dice un personaggio, “da adesso in poi è come andare giù per una discesa“. E’ sottinteso che, una volta rientrato nell’atmosfera, il razzo comincerà a planare come un aliante fino a posarsi perfettamente eretto, sulla coda, avvalendosi di una serie di paracadute per rallentare la discesa.

Pal nel 1950 aveva giudicato bene il suo pubblico che, infatti, apprezzò moltissimo l’estrema cura nel dettaglio e nel particolare contenuta nel film e si lasciò perciò convincere che forse un viaggio sulla Luna era davvero possibile.

Moltissimi spettatori dal palato più difficile apprezzarono invece il buon gusto e l’intelligenza con cui Pal era riuscito a rendere quell’argomento, piuttosto complicato, alla portata di tutti.

Un vero e proprio colpo di genio è stato l’uso da parte di Pal di una specie di “film all’interno del film”, cioè quel cartone animato di Picchiarello, che l’artista ungherese usa per spiegare al pubblico, in modo divertente e spiritoso, i principi tecnologici e scientifici del volo spaziale.

All’inizio del film, infatti, Barnes riunisce un gruppo di grandi magnati dell’industria per cercare di convincerli a finanziare il suo audace progetto e trattandosi di persone sì importanti, ma completamente a digiuno dei minimi elementi di fisica e di scienza (un po’ come era lo spettatore medio del film), mostra loro un cartone animato in cui si spiega come si può fare per lanciare un razzo e farlo volare nello spazio fin sulla Luna.

In questo cartone animato, appositamente realizzato, il personaggio di Woody Woodpecker (in italiano Picchiarello) fa al commentatore fuori campo le stesse domande che verrebbero poste anche dallo spettatore comune e ottiene risposte giuste.

In altre parole, fingendo di spiegare tutto al gruppo di industriali, Pal sta invece tenendo una divertente, ma anche seria e accurata, lezione di scienza al pubblico di Destination Moon.

Nel cartone animato il personaggio di Picchiarello, creato da Walter Lantz, si domanda che cosa sia a far volare un razzo dal momento che non va a benzina. Per illustrare il principio che ogni azione ha una reazione opposta ma uguale, a Picchiarello viene allora dato un fucile con l’ordine di sparare puntandolo contro il suolo; ogni colpo sparato lo fa così rinculare sempre più in alto fino a che l’arma non si dissolve e al suo posto appare il razzo.

Quando Picchiarello afferma che l’astronave non può atterrare, in quanto priva di ali, gli viene mostrata la discesa dolce per mezzo di una serie di enormi paracadute ed è a questo punto che viene accennato per la prima volta al fatto che il viaggio di ritorno dalla Luna alla Terra sarà come una “corsa tutta in discesa”. In breve, grazie a questo inserto didattico a cartoni animati, Barnes riesce così a rispondere a tutte quelle che possono essere le inevitabili domande o dubbi del pubblico; da questo momento in poi gli spettatori saranno pronti a prendere per buono tutto quello che verrà loro proposto, avendone appena appreso i principi basilari.

E non solo: con un così semplice espediente Pal ha anche anticipato al pubblico quello che accadrà nel resto del film, generando di conseguenza un enorme interesse e un senso di grandissima attesa per vedere finalmente le stesse cose “dal vero”.

Pal ideò anche un altro modo per fornire ulteriori informazioni e particolari scientifici al pubblico, creando appositamente tre personaggi schematici e inserendoli nell’equipaggio dell’astronave, ciascuno di loro, lo scienziato, il militare e l’industriale, fornisce appena possibile ulteriori spiegazioni, attenendosi però sempre ai propri specifici settori di competenza, in modo tale che lo spettatore è letteralmente sommerso di dati e di informazioni su questo viaggio verso la Luna.

Non c’è forse un solo momento nelle scene in cui appaiono questi tre personaggi in cui non si spieghino nuovi dettagli o non si forniscano ulteriori precisazioni, al fine di farci sapere veramente tutto su quello che stanno per fare e su ciò che sta  per succedere.

Ma non è solo quello che questi personaggi fanno o dicono a essere importante, bensì chi essi sono, in quanto tutti e tre rappresentano un miscuglio semplificato delle più spiccate caratteristiche iper-americane: Jim Barnes, bello, giovane, aggressivo, fa il pilota ed è un ingegnere aeronautico; il Generale Thayer, ufficiale di mezza età a riposo, che possiede un acuto senso politico e che si è dimostrato capace di compiere grandi sacrifici pur di favorire l’avvento dell’era dei razzi e della tecnica ed è disposto a tutto per propagandare nel mondo l’ideale della “pace americana”. Abbiamo poi il dottor Cargraves, l’unico sposato, un genio solitario, dedito completamente al suo lavoro, in grado di conseguire sensazionali risultati e progressi, anche se finora ha ottenuto pochi riconoscimenti e ha scarsa voce in capitolo; infine c’è Sweeney, un tecnico della classe media, un tranquillo borghese, il tipico ragazzo cresciuto in una grande città, profondamente innamorato di “birra, ragazze e pallone”, che continua a sollevare dubbi e a formulare domande proprio come farebbe nella stessa situazione uno spettatore medio, dando così modo ai suoi compagni di fornire sempre le risposte più appropriate e convincenti.

Per esempio, una volta che gli astronauti escono dal razzo per riparare l’antenna che Sweeney ha ingrassato per errore, il giovane fa subito notare che le stelle intorno a loro non si muovono affatto, anche se invece il razzo dovrebbe continuare a viaggiare.

Allora il dottor Cargraves si affretta a chiarire, a lui (e anche al pubblico): “Al contrario, Sweeney, stiamo viaggiando a 25.000 miglia all’ora”. Sweeney allora si sporge verso le stelle come per sentirsele sfrecciare accanto e commenta: “Diavolo: andiamo a 25.000 miglia all’ora e non tira un alito di vento!“. Cargraves allora gli spiega che nello spazio il vento non esiste, non essendoci neppure aria.

Mentre tutti i personaggi sono appena abbozzati e forse schematizzati, Sweeney, interpretato da Dick Wesson un po’ alla Jerry Lewis, è senza dubbio il più autentico e simpatico; Sweeney commette errori, esprime per nostro conto la paura del viaggio e il terrore dell’ignoto, viene perfino colpito dal “mal di spazio” e, mentre si contorce per la cabina, riesce a farci rendere accettabile quella situazione tanto assurda e a farci perfino ridere.

Ci sono comunque dei momenti in cui questo personaggio diventa troppo stupido e ridicolo per rimanere accettabile, come quando, vedendo la Terra dallo spazio, crede di poter riuscire a scorgere le luci di casa sua o quando in un momento di riposo si mette assurdamente a suonare un’armonica a bocca o quando sulla Luna prega Cargraves di scattargli una fotografia per gli “amici del bar sulla Terra” ed allora Cargraves lo sistema in una posa che lo fa assomigliare a un “moderno Atlante” che regge il mondo su una mano.

La scelta di attori molto seri e coscienziosi, ma anche del tutto impersonali e sconosciuti come John Archer nella parte di Barnes, Warner Anderson in quella di Cargraves e di Tom Powers per il Generale Thayer, hanno dato un valido contributo nell’acuire il tono semi documentaristico del film, ponendo chiaramente in sottordine i problemi psicologici e umani rispetto alla tecnologia e agli effetti speciali.

Powers si segnala più degli altri per una certa umanità, mentre Anderson rimane sempre freddo e imperturbabile come una pietra, anche quando dice addio alla moglie (l’attrice Erin O’Brien Moore) poco prima del decollo. Senza dubbio una parte della colpa dell’impersonalità e della rigidità degli attori va imputata alla regia un po’ artritica di Irving Pichel o all’eccessiva predominanza di Pal o a una sceneggiatura troppo fredda e meccanica.

Destination Moon evita qualsiasi contrasto drammatico tra i suoi protagonisti. L’unico momento in cui ideali e personalità si scontrano è quando si deve decidere chi resterà sulla Luna a sacrificarsi per gli altri. La trama è strutturata in modo semplice come una serie di fatti logici e consequenziali che si succedono in fretta verso un’unica meta finale: il raggiungimento della Luna.

Quello che conta in questo film non sono i chi o i perché, ma soltanto la bellezza dei colori, dei concetti delle idee e degli effetti speciali, per esempio: il razzo con il satellite di Cargraves che precipita all’inizio, viene detto che forse si è trattato di un sabotaggio. Poco dopo, il Generale Thayer tiene un discorso vibrante e ammonitore agli industriali per avvertirli che, se non si schiereranno al loro fianco, rischieranno di perdere tutto, perché chi controlla la Luna governa anche la Terra.

In questo discorso si allude ad “altri” che potrebbero precedere l’America sulla strada della Luna  (ovviamente il Generale si riferisce ai russi, anche se non lo dice esplicitamente) e il militare dichiara che sarà meglio se ad arrivarci per primi saranno gli americani.

Eppure, malgrado questo, il tema del sabotaggio non viene più affrontato nel resto del film né si accenna più all’urgenza disperata di questa “corsa alla Luna”, neppure quando appare sinistramente chiaro a Barnes, a Cargraves e a Thayer che “qualcuno” sta cercando a tutti i costi di fermarli, eppure si arriva perfino a insinuare che “quelli” che vogliono bloccarli sono già riusciti addirittura a infiltrarsi nei circoli governativi e nella commissione per l’Energia Atomica!

Dal che si deduce che il vero motivo che spinge l’equipaggio del film di Pal verso la Luna non sono delle semplici ragioni scientifiche e tecnologiche, quanto una assoluta necessità politica con evidenti toni da “difesa della pace” di stampo militaresco.

Ma il film Destination Moon si limitò a lasciar cadere quei temi e a non definirli, dopo averli sollevati.

Nel compiere questa scelta la pellicola ha perso, senza dubbio, molto in fatto di resa drammatica e di crescendo narrativo, limitandosi a puntare invece tutto su un’estrema semplificazione dei personaggi e delle loro motivazioni, fino a farli diventare quasi delle semplici figure di carta, prive di profondità e di dimensione.

E’ qui forse un’ironia che Destination Moon abbia innocentemente sollevato un tema che invece, negli anni Sessanta, ha costituito la spinta principale dietro il programma spaziale americano, perché, come ebbe a dichiarare il 12 settembre 1962 il Presidente John Kennedy:

Abbiamo deciso di metterci in corsa per la conquista di questo nuovo mare, lo spazio, perché esso dischiude nuovi tesori di scienza e di sapere che, una volta raggiunti, potranno venire usati per il progresso di tutte le genti. Ma la scienza dello spazio, come quella nucleare e tutta la tecnologia in generale, non ha coscienza di per sé. Perciò, se queste nuove conquiste diventeranno una forza di progresso o foriere solo di guerra e di male, dipenderà dall’uomo, e soltanto se gli Stati Uniti riusciranno a godere di un ruolo di preminenza in questa corsa allo spazio noi potremmo fornire il nostro contributo affinché la scelta tra il bene e il male avvenga nel modo giusto e lo spazio diventi un oceano di pace e non un ennesimo, terrificante campo di battaglia.

Dal punto di vista scientifico, comunque, ancora oggi Destination Moon lascia sbalorditi per l’accuratezza di certe previsioni, come per esempio il recupero dell’astronave per mezzo di una serie di paracadute che, anche se non appare nel film (ma nel cartone animato sì), costituisce un sorprendente parallelo con quanto avvenuto poi con le missioni dell’Apollo.

Pal ha cercato di evitare nella pellicola qualunque fatto o incidente che non avesse dei precisi riferimenti nella realtà scientifica o alle teorie più ampiamente accettate.

Per decollare dalla Terra senza le tute pressurizzate, per esempio, i quattro astronauti devono sottoporsi alla tremenda pressione dell’accelerazione: i loro volti si distorcono, le bocche si allargano grottescamente e le voci si affievoliscono, mentre l’improvviso, elevato accrescimento di peso delle loro braccia rende perfino difficile muovere i tasti dei comandi di controllo. Anche se la scena si basava su del materiale filmato durante alcune prove in laboratorio o per il lancio di missili sperimentali, è ovvio che ci si è dovuti adattare a immaginare quello che avrebbe potuto succedere una volta nello spazio, attenendosi comunque sempre al rigore scientifico e tecnologico.

Quando il dottor Cargraves per sbaglio si stacca dall’astronave, mentre ne sta ispezionando la coda, la sua incapacità di salvarsi da solo ci ricorda molto da vicino i rischi corsi dagli astronauti della NASA durante le varie attività extraveicolari in orbita. Barnes riesce a recuperare Cargraves usando con molta intelligenza una bombola di ossigeno, come se fosse una specie di razzo, usando la valvola della bombola come motore. Questo espediente anticipa di circa quindici anni la particolarissima “pistola spaziale” usata dagli astronauti della NASA per lo stesso scopo.

Come il Modulo Lunare dell’Apollo, anche l’astronave Luna è in grado di volare, sia se pilotata manualmente, sia con la guida automatica di un calcolatore elettronico.

In Destination Moon il pilota è Jim Barnes e, mentre lui controlla la forza di propulsione dei reattori principali del razzo, Sweeney, il radiotelegrafista, gli grida i dati di diminuzione dell’altezza e la velocità di discesa, quando stanno per atterrare sul centro dell’obiettivo prefissato.

Sullo schermo televisore posto di fronte a lui, Barnes è in grado di vedere la superficie della Luna, le montagne che si fanno sempre più vicine e le gole dei crateri e, per evitare una collisione fatale con il bordo di una serie di crateri non previsti, è costretto a rallentare la discesa troppo veloce, consumando però una parte del carburante riservato al ritorno.

Riuscendo a sorvolare a bassissima quota quei picchi, Banes attiva i comandi automatici e finalmente l’astronave riesce ad atterrare nel letto piatto e screpolato di un antico cratere.

E’ lo spreco di energia che si verifica in questa fase dell’atterraggio che alla fine genererà il dramma della ripartenza difficile.

Quello che oggi ci stupisce, è come tutta questa scena, immaginata da Pal, Heinlein e Bonestell, abbia esattamente anticipato quello che poi sarebbe accaduto nella realtà a Neil Armstrong e ai suoi compagni dell’Apollo 11.

Finalmente al sicuro sulla Luna, Barnes e Cargraves indossano le tute spaziali e scendono per una scala che sbuca da sola, come per magia, dal fianco dell’astronave e toccando il suolo, essi dichiarano di aver conquistato la Luna in nome di “tutta l’umanità”, con una frase che quasi vent’anni dopo è stata pronunciata più o meno nello stesso modo anche dal già citato Neil Armstrong.

Essendo degli scienziati e degli studiosi, gli uomini del Luna si mettono subito all’opera per scattare una grande quantità di fotografie e per raccogliere il maggior numero di dati possibili e, di nuovo essi hanno anticipato quello che sarebbe stato fatto anche dagli equipaggi dell’Apollo, anche se indossavano delle tute meno sgargianti.

Per attenersi sempre alla realtà, Pal inserì una piccola scena per far vedere come sulla Luna l’uomo fosse in grado di compiere enormi balzi, grazie alla minore forza di gravità: invitati dal Generale Thayer a raggiungerlo vicino a un picco solitario, Cargraves e Sweeney compiono tre lunghi balzi e gli volano accanto in un attimo.

Quando uscì, Destination Moon fu visto da un numero incredibile di spettatori che venivano attirati come mosche.

Il suo lancio avvenne con una campagna pubblicitaria molto ben orchestrata, che si rivolgeva a ogni tipo di spettatore, compresi i più giovani e in più si avvaleva della vendita di un mucchio di prodotti e di giocattoli ispirati al film: piccole tute spaziali per i bambini, modellini dell’astronave Luna, albi di fumetti, falsi biglietti per futuri viaggi verso la Luna e persino un concorso a premi tra gli spettatori. Una versione romanzata della sceneggiatura del film apparve, firmata da Heinlein, sulla rivista Short Stories nel 1950 e in seguito è stata ristampata nell’antologia Three Times Infinity della Bantam (1958).

Destination Moon è un film che ha indicato la via da percorrere.

La pellicola ha saputo sfruttare il crescente interesse del grande pubblico americano di allora per le novità del mondo della scienza.

Il film ha fatto diventare George Pal una personalità di tutto rispetto nel mondo del cinema e ha imposto alla critica un nuovo tipo di film che fino ad allora veniva preso in ben scarsa considerazione, quando non era totalmente ignorato.

Sia Pal che Lee Zavitz sono stati premiati successivamente con un Premio Oscar per gli effetti speciali di Destination Moon, premio che teneva, ovviamente, conto dell’enorme successo ottenuto dalla pellicola.

Nelle sole sale di prima visione degli Stati Uniti, del Canada e dell’Inghilterra, il film di George Pal, la cui realizzazione era costata 586.000 dollari, incassò in poco tempo oltre 3.786.000 dollari dell’epoca! Un vero trionfo…

Il 24 giugno del 1952 l’Ente Nazionale Aeronautico, riunito a Washington, decise di “…dedicare anche qualche sforzo al tentativo di risolvere i problemi connessi con il volo umano nello spazio, da un’altezza superiore alle 50 miglia fino all’infinito e da una velocità di Mach 10 fino alla velocità di fuga necessaria per sfuggire al campo gravitazionale della Terra.”

Quel comunicato rappresentava l’inizio della conquista dello spazio nella realtà del mondo politico e finanziario.

La gente che decideva aveva così stabilito di tentare di mettersi al passo di tutti quegli artisti, scrittori e cineasti di genio che da tempo profetizzavano per l’uomo la conquista delle stelle.

Quel risultato fu anche conseguenza diretta della grande popolarità conquistata da un film come Destination Moon che, inevitabilmente, aveva subito generato un diluvio di imitazioni e di variazioni, anche se queste ultime erano prodotti molto inferiori a quello del prototipo di Pal.

Il film di Kurt Neumann Rocketship XM (in Italia noto come RXM Destinazione Luna) venne distribuito nel 1950 addirittura un mese prima della pellicola di Pal, anche se in realtà le sue riprese erano iniziate parecchio tempo dopo. La diceria secondo la quale ci sarebbe stata una corsa frenetica a chi arrivava primo tra Pal e Neuman è sempre stata smentita dal cineasta ungherese.

Rocketship XM approfittò della grande pubblicità che già circolava per il film di Pal e ottenne degli ottimi incassi.

Dopo vennero Flying Saucer (1950), Seven Days to Noon (1950), Man from Planet X (1951), Lost Continent (Continente scomparso – 1951) e Flight to Mars (1951), quest’ultimo distribuito in Italia solo nel 1956 come Volo su Marte, era a sua volta a colori e offriva un razzo molto simile a quello di Pal, delle tute spaziali pressoché identiche (ma le indossavano i marziani, mentre i terrestri portavano delle semplici maschere d’ossigeno da alta quota…), e faceva purtroppo capire che le grandi avventure stellari erano ormai irrimediabilmente condannate a finire tra il ciarpame della serie “B” cinematografica.

Era un’amara constatazione per chi si era tanto esaltato al film di Pal, ma comunque presto sarebbero venuti Il cittadino dello spazio e Il pianeta proibito a risollevare gli animi e le speranze degli appassionati.

(1 – continua)

Giovanni Mongini