Titolo originale: Black Cat
Anno: 1980
Regia: Lucio Fulci
Soggetto: dall’omonimo racconto di Edgar Allan Poe
Sceneggiatura: Lucio Fulci e Biagio Proietti
Direttore della fotografia: Sergio Salvati
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Musica: Pino Donaggio
Effetti speciali: Paolo Ricci
Produzione: Guido Sbarigia
Origine: Italia
Durata: 1h e 32’
CAST
Patrick Magee, Mimsy Farmer, David Warbeck, Al Cliver (alias Pier Luigi Conti), Dagmar Lassander, Bruno Corazzari, Geoffrey Copleston, Daniela Doria
TRAMA
Ci troviamo in una piccola cittadina inglese: il professor Robert Miles, studioso appassionato di parapsicologia che dedica il suo tempo a uno speciale apparecchio radiofonico capace di catturare nell’etere presunte voci di persone defunte, è stato appena lasciato dalla moglie. Intristito e reso apatico dalla situazione decide di vendicarsi di un mondo che non gli ha mai dato niente: ipnotizza il suo gatto nero, che già utilizzava per altri esperimenti, e lo addestra per uccidere. L’animale plagiato, reso implacabile dalla ferrea volontà del parapsicologo, uccide una ragazza, un ubriaco e ferisce gravemente un poliziotto. Ma una giornalista, Jill Trevers, mentre la polizia, capeggiata dall’ispettore Gorley, brancola nel buio e chiede aiuto alla sezione scientifica, inizia a intuire qualcosa. Il suo fiuto la condurrà diritta a casa del folle professore che cercherà di murarla viva. Sarà il gatto assassino, imprevedibilmente, ad avere, però, l’ultima e salvifica parola.
NOTE
Non sono in pochi a dire che questo film non è stato uno dei più brillanti della carriera di Lucio Fulci. Si ispira molto alla lontana, un po’ come le vecchie pellicole gotiche in stile Hammer di Roger Corman, al celeberrimo racconto di Edgar Allan Poe che gli dà il titolo: “Il Gatto Nero” (più conosciuto col titolo anglofono di “Black Cat”). È la storia di un’ossessione, del morboso attaccamento nei confronti dell’aldilà di un anziano professore, il bravo Patrick Magee che per modi e ideali sembra più essere vicino alla figura di un vecchio stregone, del mad doctor, di un alchimista. Magee è presente nei kubrickiani “Arancia Meccanica”, “Barry Lyndon” e, per consolidare la tesi del trait d’union fulciano sia con Corman che con Poe, ne “La Maschera della Morte Rossa”. Grazie allo sceneggiatore Biagio Proietti, il regista cerca una visione personale e aggiornata del racconto di Poe, tenta di mettere assieme i tasselli di un’ibrida trama horror – thriller. Il risultato però non riesce ad appagare i fan dello splatter che non si contentano degli affilati artigli del suo gatto nero e neppure gli appassionati del mistery che restano delusi dall’abbozzo di un’indagine portata avanti, ciecamente, dalla solita giornalista, che nella finzione scenica è impersonata da una Mimsy Farmer (già psicotica ed efebica dai tempi delle argentiane “Quattro Mosche di Velluto Grigio”) in ottima forma. Sulla imperfetta funzionalità dal punto di vista narrativo del film non c’è nessuna scusante da ipotizzare. Pur avendo a disposizione un ottimo cast artistico, Fulci ha tentato una commistione cinematografico – letteraria del racconto di Poe, cosa che riuscì a Edgar G. Ulmer e a Roger Corman nel 1934 e nel 1962 con due film: uno dal titolo omonimo e l’altro contenuto ne “I racconti del terrore”. Biagio Proietti non è Roberto Gianviti né tantomeno Dardano Sacchetti, sceneggiatori che hanno elevato l’incredibile bravura tecnica del regista, la sua predilezione per le inquadrature impossibili, peculiarità che emerge anche in questo piatto “Black Cat” con delle ottime soggettive del micio killer. Pur se appartiene al periodo d’oro del cinema di Fulci, questo film non decolla, non riesce a prendere lo spettatore e a violentarne le certezze come certi suoi film truci. “Black Cat” però non è solo un occasione sprecata, è un punto morto, che simboleggia la mancata evoluzione nei temi del regista perché la tumulazione, Poe e l’Inghilterra già erano motivi che ricorrevano dai tempi di “Sette Note in Nero” (1977). Per fortuna ci resta la salda e inconfondibile regia, le musiche di un Pino Donaggio precedente al periodo depalmiano e il suggestivo make – up di Franco Di Girolami e Rosario Prestopino abbinato agli effetti speciali di Paolo Ricci, pronto a mostrarci quanto male possano fare le zampette mansuete ma artigliate di un felino.
Tuttavia, se dovessimo stilare la classifica dei migliori film italiani diretti sulla base di un racconto di Poe, metteremmo questa variazione di Fulci tra i primissimi, assieme al delirante e contestatore “Toby Dammit” di Fellini e al patinato e geniale “Gatto Nero” di Dario Argento, tutti film a episodi (“Tre Passi nel Delirio” e “Due Occhi Diabolici”) fatti insieme ad altri registi stranieri e con una troupe internazionale, quasi come se la natura stessa del lungometraggio fosse poco congeniale all’adattamento dei racconti di Poe, in una specie di similitudine cinematografico – letteraria, che si ripercuote su più di un incauto regista.
I critici Pino Farinotti (solo due stelle per la pellicola) e Morando Morandini lo hanno definito “…un impasto non riuscito di parapsicologico, demoniaco e horror fantastico con gli ingredienti del giallo” e nei loro dizionari dei film si accodano al coro quasi unanime di disapprovazione nei confronti della pellicola.
Gordiano Lupi & As Chianese
(tratto dal libro Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci - Edizioni Il Foglio, 2007)