La storia comincia in uno scorcio di campagna ancora illuminato dal sole. Una macchia di alberi, delle colline, ma nessuno in giro. La luce si smorza e cambia nelle tinte cilestrine della sera. Le ombre si allungano fino a oscurare tutto. Ora è notte fonda. Sentiamo solo il frinire infinito dei grilli.
Una coppia di fidanzatini arriva su una vespa. Si inoltrano nel bosco, poi si fermano in una radura e parcheggiano nel mezzo. Ridono, sembrano spensierati. Subito il ragazzo (Luigi) accarezza i seni della giovane (Noemi), ma lei gli indica qualcosa.
NOEMI – No aspetta, guarda…
Luigi si gira a guardare nella direzione indicata e vede una macchina scura parcheggiata ai limiti del boschetto. L’interno dell’abitacolo è invaso dalle ombre e non si riesce a distinguere chi ci sia alla guida. Si sente soltanto il suono dell’autoradio accesa su una canzoncina alla moda anni ’60. E’ “La Tramontana” di Antoine.
Dall’interno dell’auto intuiamo uno scorcio del parabrezza, due mani guantate strette sul volante; i ragazzi oltre il parabrezza, lanciano occhiate verso l’abitacolo. La mano destra del guidatore si abbassa sull’autoradio e alza il volume.
Luigi, spavaldo, prende Noemi e la spinge oltre i cespugli, dentro al boschetto. I ragazzi camminano qualche minuto e si fermano nei pressi di una seconda radura. Qui iniziano a baciarsi con foga. Nel frattempo, qualcuno si aggira nel sottobosco. E’ una sagoma scura e indossa i medesimi guanti di pelle nera. Deve essere il guidatore dell’auto. La sagoma sente i gemiti di piacere dei ragazzi, scosta degli arbusti e si avvicina per spiarli.
I giovani hanno finito di fare l’amore e cominciano a rivestirsi, quando Noemi emette un urlo strozzato. Luigi si gira di scatto verso la fidanzata e la vede indicare qualcosa lì vicino. Da un albero, notano penzolare dei piedi. Luigi si avvicina cauto al corpo appeso all’albero. Noemi è dietro di lui e trema come una foglia. Luigi allunga una mano e ferma l’oscillazione del piede. Ora, da vicino, si accorgono che è solo un manichino da supermercato. Un manichino femminile con tanto di abiti e parrucca. Qualcuno l’ha impiccato a un albero. Luigi lo tira giù e lo osserva da vicino. Il viso del manichino è sfregiato, tagliato. Poi sentono il motore dell’auto che si accende e parte. I due corrono verso la radura e fanno appena in tempo a scorgere i fanalini posteriori della vettura scomparire nella notte.
Giorno. Una macchina percorre a moderata velocità la strada provinciale. Due persone all’interno della vettura. L’uomo, sulla quarantina, ben portati, è alla guida. Si chiama Marco Fortis. Al suo fianco, sul sedile del passeggero, c’è una bella ragazza di nome Valeria Reta, la sua fidanzata. Valeria guarda fuori dal finestrino, assorta sul panorama.
MARCO – Che c’è? E’ da mezz’ora che non parli.
VALERIA – Niente. Sono solo un po’ nervosa.
MARCO – Da quanto non tornavi?
VALERIA – Una decina d’anni, più o meno.
MARCO – Capisco. L’ultima volta è stata quando tuo padre…
VALERIA (pensierosa, quasi tra sé) – Già.
MARCO – E tua madre?
Valeria fa spallucce.
MARCO – Dici che le piacerò?
VALERIA (sporgendosi verso di lui) – Tu devi piacere solo a me.
E si baciano.
La macchina parcheggia nei pressi di una villa/casale di campagna. Attorno solo le colline e i boschi. Valeria e Marco scendono dall’auto e si avvicinano alla villa. Una donna viene loro incontro: è Rachele, la madre di Valeria, una donna ancora bella e piacente. Rachele spalanca le braccia per salutare Valeria, ma la ragazza evita il contatto col genitore e apre il bagagliaio per prendere le valigie.
RACHELE – Valeria, amore mio, vieni fatti vedere.
VALERIA (visibilmente contrariata) – Siamo stanchi mamma, rimanda i convenevoli a dopo.
RACHELE (cerca di mascherare l’imbarazzo e il gelo e continua a sorridere, ora guarda Marco) – Eh, ma come sei musona, manco arrivi e tieni già il broncio. Non sei cambiata per niente. E questo bel giovanotto chi è?
MARCO – Marco Fortis signora. Piacere.
RACHELE (stringendogli la mano) – Rachele! E’ un piacere Marco. Vorrei poter dire che Valeria mi ha parlato molto di te, ma non è così.
Intanto Valeria li supera ed entra nella casa con le valigie.
RACHELE (il sorriso di circostanza si attenua, smorfia malinconica) – Io e Valeria non ci siamo parlate molto ultimamente.
MARCO (imbarazzato) – Sono sicuro che avrete il tempo di rifarvi.
Rachele per un attimo rimane pensierosa a osservare la figlia mentre sparisce all’interno della villa, poi, torna gioviale e allegra.
RACHELE – Hai ragione Marco, vieni, ora entriamo, ho già fatto preparare le vostre stanze.
MARCO – Non vive sola?
RACHELE – Due volte la settimana viene su una donna del paese e mi aiuta per le faccende di casa. Dopo la morte di mio marito e la partenza di Valeria ho preferito abituarmi alla solitudine.
MARCO – E non ha paura?
RACHELE – E di cosa? Io sono nata qui. Questi posti non hanno segreti per me. Vieni.
MARCO – Me ne sono accorto leggendo i nomi sui cartelli stradali. E’ da queste parti che li ha uccisi. Otto coppiette, vero?
RACHELE (senza dare peso alla cosa) – Sono passati così tanti anni…
MARCO – Già, quella vicenda è rimasta sempre un mistero. Ricordo che all’inizio avevano accusato alcuni guardoni, poi non avevano prove e li hanno liberati.
Rachele cinge la vita di Marco e lo accompagna verso la villa.
RACHELE – Vuoi spaventare una signora? Anche se non erano loro, ormai il vero mostro sarà pure morto. Qui non è più successo niente. Non ci pensare.
Rachele e Marco entrano nella villa.
Valeria e Marco sono nella camera da letto e hanno finito di disfare le valigie. Valeria, stanca, si butta sul letto e si guarda attorno. Marco cerca un pacchetto di sigarette nella giacca e ne accende una.
VALERIA – Questa casa è cambiata molto. Quasi non la riconosco.
MARCO – Non sei stata molto tenera con tua madre, prima.
VALERIA – E lei non lo è mai stata con me.
Marco si siede sul letto accanto a Valeria e le massaggia il collo.
MARCO – Perché la detesti? A me non sembra male.
VALERIA – Dopo il suicidio di papà mi ha spedita prima in un collegio a Pontremoli, poi su a Milano da una zia. Mi veniva a trovare una volta al mese e ogni volta la supplicavo di riportarmi qui, ma lei rimandava sempre. Ogni volta una scusa diversa. Col tempo ha finito per non importarmene più niente.
MARCO – Povera piccola.
VALERIA (guardandosi attorno) – Una volta questa non era una camera da letto, ma uno studio. Ci veniva mio padre a lavorare. Lei sembra aver cancellato ogni traccia di lui dalla casa. Entrando non ho visto una sola foto che lo ricordasse.
Rachele si accosta alla porta e cerca di ascoltare le voci all’interno.
Marco e Valeria sempre sul letto e lui che la massaggia.
MARCO – Da che stiamo insieme questa è una delle poche volte in cui mi hai detto qualcosa sulla tua infanzia.
VALERIA – E’ solo perché non saprei cosa dirti. Ricordo pochissimo di quando vivevo qui. Quando mio padre si è suicidato ho avuto uno shock fortissimo. Il dottor Polselli dice che venire qui è l’ultimo passo della terapia prima della guarigione.
MARCO (chinandosi per baciarla) – Conosco una terapia migliore…
VALERIA – Anch’io… (con tono impositivo) Allora sdraiati e prendi fiato.
Rachele sorride imbarazzata e si allontana.
Marco, eccitato, esegue l’ordine di Valeria. Si toglie le mutande e si distende sul letto, prendendo fiato. La ragazza, con uno sguardo da sfinge, senza togliersi gli slip, balza su Marco e si posiziona con il sedere sulla sua faccia, cominciando ad andare su e giù.
Panoramiche sul paesaggio e la campagna attorno alla villa. E’ una splendida mattinata.
Valeria è sveglia e si infila una sottoveste, lancia un sorriso a Marco addormentato nel letto e lascia la stanza.
Valeria entra nella cucina e trova la madre mentre finisce di preparare la colazione. Si siede alla tavola e imburra una fetta biscottata.
RACHELE – E’ un bel ragazzo, ne sei innamorata?
VALERIA – Non ti riguarda.
RACHELE (per la prima volta la vediamo innervosirsi) – Hai intenzione di tenere questo atteggiamento ancora a lungo? Se ti do così fastidio, perché sei tornata?
VALERIA – E tu perché mi hai mandata via quand’ero una bambina?
RACHELE (turbata per la piega che sta prendendo il discorso) – Amore, era solo per proteggerti. Questi luoghi potevano ricordarti… l’ho fatto per te. Allora eri troppo piccola. Non mi aspetto che tu mi capisca ora, ma tutto quello che ho fatto l’ho fatto per proteggerti.
VALERIA – Tu non hai mai protetto nessuno.
RACHELE (colpita dalle parole della figlia, visibilmente addolorata) – Ti ho amato più di ogni cosa, Valeria. E l’ho fatto per te.
VALERIA (gelida) – Hai tolto le foto di papà in ogni stanza.
RACHELE (esasperata) – E’ per questo che tieni il muso? Vivaiddio Valeria! Nel bene e nel male ho dovuto andare avanti, lo capisci questo?
VALERIA (sprezzante) – Ti sei rifatta una vita.
RACHELE (mal sopportando il tono della figlia) – Sì, mi sono rifatta una vita.
VALERIA – Ma non avevi bisogno di aspettare la morte di papà, vero?
RACHELE – Che vuoi dire?
VALERIA (sorridendo allusiva) – Chi ti scopi adesso?
Rachele si alza di scatto e colpisce la figlia al viso. Poi cala un silenzio carico di tensione. Suonano alla porta. Rachele si calma, sembra turbata per quello che ha fatto, ma non riesce a dir nulla. Valeria riprende a imburrare le fette biscottate. Rachele va ad aprire. Da FC la sentiamo mentre apre e saluta qualcuno. Quando ritorna, con lei c’è un uomo sui cinquant’anni, capelli brizzolati. E’ Bruno Caprino, un giornalista di cronaca nera. L’uomo capisce di essere arrivato in un brutto momento, ma prova comunque ad alleggerire la tensione.
BRUNO – Ciao, tu devi essere Valeria. L’ultima volta che ci siamo visti eri piccolina, adesso ti sei fatta una donna.
Bruno tende la mano a Valeria, ma lei si alza ed esce dalla cucina senza degnare Bruno e la madre di uno sguardo.
BRUNO – Sono arrivato in un brutto momento, vero?
RACHELE (rassegnata) – Con lei è sempre un brutto momento.
Valeria si è vestita ed esce a farsi una passeggiata. Forse ha voglia di alleggerire la tensione, forse vuole rivedere i posti dove ha passato la sua infanzia. Si allontana a piedi. Cammina lungo stradine polverose, poi si inoltra nel bosco. Mentre passeggia, ripensa al padre e ha un flashback.
Una polaroid mentale dal passato remoto.
In soggettiva, Valeria corre lungo i sentieri del bosco. Dietro di lei, una figura sfuocata e protettiva.
PADRE DI VALERIA – Valeria, piccola mia, corri da papà…
Sempre in soggettiva, la piccola Valeria corre verso le braccia aperte della figura sfuocata.
PADRE DI VALERIA – Vieni da papà, Valeria…vieni…
Valeria si inoltra sempre di più nel bosco. Intanto notiamo qualcuno che la segue a distanza. E’ Omar, un guardone della zona, un tipo poco raccomandabile.
Intanto alla villa, Marco si sveglia, e cerca Valeria.
Nella cucina ci sono ancora Rachele e Bruno. Bruno è seduto al tavolo e beve un caffè.
Entra Marco.
RACHELE – Oh Marco, ben svegliato, vuoi fare colazione?
L’uomo indossa una tuta da jogging.
MARCO – No grazie, prima preferisco fare una corsa.
RACHELE (facendo le presentazioni) – Lui è Marco, il fidanzato di Valeria.
BRUNO – Piacere: Bruno Caprino.
Al nome del giornalista, Marco sembra perplesso. Qualche secondo e poi mette a fuoco la persona che ha davanti.
MARCO – Ma sì, lei è quel giornalista della Nazione. L’ho vista un sacco di volte in televisione per la storia del mostro. Ho persino letto il libro che ha scritto su quella vicenda.
Bruno è visibilmente soddisfatto di esser stato riconosciuto.
BRUNO – Beh, sono passati alcuni anni, adesso non mi occupo più di nera.
MARCO – Lo dicevo ieri alla signora, non appena sono arrivato ho riconosciuto questi luoghi. Allora ero piccolo, ma la vicenda del mostro mi ha sempre interessato.
BRUNO (facendosi serio) – Non sei il solo.
RACHELE – Marco, non chiamarmi signora o mi offendo. Chiamami solo Rachele, e basta con queste storie di mostri.
MARCO – Valeria?
RACHELE – E’ uscita prima. Credo sia a caccia di ricordi.
Marco esce per andare a correre. Bruno finisce il caffè.
BRUNO – Sembra un tipo a posto.
RACHELE – E’ fissato con la storia del mostro.
BRUNO (si avvicina a Rachele lascivo e le palpa il culo) – Hai visto? C’è ancora qualcuno che mi riconosce.
RACHELE (con una voce caramellosa) – Vanitoso…
BRUNO – E porco…
RACHELE – Cosa fai sei pazzo? Mia figlia potrebbe tornare…
BRUNO – Ma stai tranquilla! Ti ho preparato una sorpresa…
Bruno e Rachele sono seduti su un letto improvvisato all’interno del ricovero attrezzi di Villa Reta. Si baciano.
BRUNO (con una voce da scolaretto) – Ferma, tesoro, voglio immortalare questo nostro momento d’amore.
Bruno si alza dal letto e rovista in un borsone, da cui tira fuori una videocamera.
RACHELE – Pff! (con un tono seccato che poi si fa ammiccante) Amore, ma cosa fai?
Bruno impugna una videocamera.
BRUNO – Dai, fatti filmare un po’!
RACHELE – Ma scemo! I filmini non li facevo a vent’anni, figurati se comincio a farli adesso!
BRUNO – Ma dai, fai vedere un po’ il tuo corpo, che sei bellissima!
RACHELE (categorica) – Bruno, no, dai! Alla mia età il no è no!
BRUNO (mellifluo) – Come vuole la mia padrona.
Bruno appoggia la videocamera su un tavolo a fianco, con l’obiettivo rivolto al letto.
BRUNO – Ecco, spenta!
La videocamera di Bruno, invece, resta accesa e registra.
BRUNO (con un ghigno famelico) – Ora torniamo a noi.
Dopo alcuni preliminari, quando Rachele sta per avere un orgasmo, Bruno afferra la videocamera e la punta al volto godurioso della donna.
Rachele, vedendo la videocamera nelle mani di Bruno, cerca di ristabilire la sua autorità morale.
RACHELE (continuando a fare l’amore) – Ma brutto porco! Ti avevo detto di…
Il volto di lei, però, da severo, si allarga in una espressione languida di godimento. Ansima più forte di prima.
BRUNO (possedendo la donna da dietro) – Fatti vedere mentre ti faccio godere, zoccolona!
Sera. Marco ha un grembiulino da cuoco ed è ai fornelli. La cena è quasi pronta. Valeria finisce di apparecchiare. Nella cucina entrano Bruno e Rachele, entrambi raggianti.
RACHELE – Bene, noi adesso ce ne andiamo al cinema, così vi lasciamo tranquilli.
MARCO – Siete sicuri di non voler cenare con noi?
Bruno, invogliato dall’odorino della cena fa per rispondere, ma Rachele gli strizza un braccio e lo zittisce.
RACHELE – No, non preoccupatevi. E poi credo che anche Valeria lo preferisca.
Valeria non si gira nemmeno a salutare la madre e tanto meno Bruno. Rimasti soli, i ragazzi iniziano a cenare. Marco versa le porzioni nei piatti.
VALERIA (sbuffando sollevata) – Ce ne siamo liberati.
Marco carezza la guancia della fidanzata.
Una macchina parcheggiata su un viottolo. Attorno solo il buio e le sagome frastagliate dei cespugli, degli sterpi. Non c’è una luce, a parte i fari di posizione dell’auto.
Dentro la vettura ci sono due ragazzi. Sono sul sedile posteriore e stanno per fare sesso. Lei (Carlotta) si sbottona la camicetta e sfila il reggiseno. Lui (Matteo) ha gettato i gins sul sedile davanti. Ridono, si baciano, si carezzano.
Un’ombra scura spia i ragazzi nascosta dietro ai cespugli. Intravediamo la faccia di Omar, il guardone. L’uomo, infatti, si tira fuori il cazzo e prende a menarselo.
Matteo e Carlotta si baciano. Carlotta è una ragazzina con le trecce bionde, il viso appena turbato da un sorriso malizioso. Il ragazzo fruga con la mano nelle mutande di lei. Si sentono dei gemiti. La ragazza scosta la mano di Matteo.
CARLOTTA – Dai, Matteo, lo sai benissimo che non posso… Se mi prende mio padre, mi disereda…
MATTEO – Cazzo me ne frega di quel bigotto fascista di tuo padre!
CARLOTTA – (scostandosi dal ragazzo) Devi dire grazie a lui se hai un lavoro!
MATTEO – E tu devi dire grazie a me se ora ti sei bagnata (poi, con un sorriso beffardo sul volto)… Se aspetti quel mozzarellone che ti ha scelto quel bigotto fascista…
CARLOTTA – Sei uno stronzo, Matteo!
Matteo si riavvicina a lei senza rispondere, le rimette le mani nelle mutande.
MATTEO – Dai, che stasera non sei con quel mozzarellone, apri le gambe che ti svergino!
CARLOTTA – (mugolando) No, Matteo, non posso, no…
MATTEO – Dai, che ti entro dentro tutto…
CARLOTTA – Lì dentro non posso, lo sai che sono promessa…
Matteo si scosta un briciolo, la fissa. Poi la afferra per le spalle e la tira a sé. Con la mano scivola dentro le mutande, profondamente…
CARLOTTA – Ma cosa fai?
MATTEO – Mica ti avrà promessa anche lì?
CARLOTTA – (con una vocina flebile) Ma cosa dici? No…
Matteo le tira giù le mutande d’un soffio e scivola con le mani sul culo. Punta i medi rivolti all’orifizo di lei e con noncuranza lo penetra di scatto con le dita. Un gemito della ragazza irrompe nel silenzio della notte.
I ragazzi hanno finito di scopare, fanno per rivestirsi. Carlotta, infilandosi le mutandine si accorge di una macchia di sangue.
CARLOTTA (acida) – Che stronzo! Me l’hai rotto!
Matteo cerca le mutande e ride soddisfatto.
Omar è nel pieno della masturbazione, ma sente lo schiocco secco di alcuni rami, segno che c’è qualcun altro nascosto nel buio. Spaventato, il guardone rimette dentro il pene e si acquatta ancora di più dietro al cespuglio.
Un’altra ombra scivola dietro la macchina. In soggettiva, vediamo delle mani guantate e una pistola. L’ombra pratica un varco tra i rami e raggiunge il finestrino destro che è completamente abbassato. Infila dentro la mano e spara cinque colpi. Gli spari illuminano per alcuni secondi il viottolo. Dopo solo un silenzio di morte. L’ombra apre la portiera e si china dentro l’abitacolo.
Carlotta e Matteo sono morti. Il ragazzo è in posizione fetale, accasciato sul sedile. Carlotta gli è caduta addosso di traverso. L’ombra riesce ad afferrare la ragazza da sotto le ascelle e la trascina fuori, a qualche metro dall’auto. Lei indossa solo gli slip. La sagoma scura si china sul corpo inerme. Un bagliore nel buio. E’ quello di una lama, un rasoio affilatissimo. La lama s’insinua fra la pelle e gli slip e lacerare il tessuto. Ora il sesso di Carlotta è scoperto. L’acciaio carezza i seni, poi scende verso la vagina.
Dal suo nascondiglio, Omar vede tutto, vede l’auto, la sagoma scura del mostro china su Carlotta. Vede quello che le sta facendo. Il guardone è terrorizzato, suda di brutto. Cercando di non far rumore, scivola via e scappa nella notte. Buio.
Una redazione provinciale. Il direttore del giornale è seduto dietro la sua scrivania. Bruno è seduto davanti a lui. Entrambi sembrano parecchio su di giri. Da dietro la porta socchiusa dell’ufficio sentiamo baccano, segno che ci deve essere subbuglio nella redazione.
DIRETTORE – E tu eri lì?
BRUNO – Già, avevo appena riportato a casa Rachele.
DIRETTORE – Sei riuscito ad avvicinarti?
BRUNO – Macché, questa volta era impossibile. Hanno chiamato dieci pattuglie per isolare tutta la zona. Tra giornalisti e curiosi le strade erano intasate.
DIRETTORE – Cosa si sa?
BRUNO – Sembrerebbe la solita tecnica. Li ha uccisi con cinque colpi di arma da fuoco. Poi ha estratto la ragazza e si è divertito.
DIRETTORE – Quelle escissioni?
BRUNO – Quelle. Le ha strappato prima il seno sinistro, poi la vagina.
DIRETTORE – Cristo! Qualcuno è riuscito a fare delle foto ai corpi?
BRUNO – Solo quelli della scientifica. Bisognerà chiedere a loro o ungere qualche mano.
DIRETTORE (si accende una sigaretta, pensoso) – La seconda (poi si lascia andare sullo schienale della poltrona e si sfrega la faccia). Spara, cosa ne pensi?
BRUNO – Cosa vuoi che ne pensi?
DIRETTORE – Secondo te è la stessa mano?
BRUNO – E come potrebbe esserlo? Sono passati più di dieci anni dall’ultimo duplice omicidio del mostro. Troppo tempo di inattività per uno psicopatico, te lo direbbe qualunque psichiatra. No, qui abbiamo a che fare con qualcuno interessato a riportare in vita il fantasma del mostro. Un mitomane. Un imitatore.
DIRETTORE – C’è un solo modo per saperlo.
BRUNO – Già, la pistola. Il mostro uccideva sempre con la medesima arma, una Beretta Calibro 22 long rifle modello 74…
DIRETTORE (spegne la sigaretta nel posacenere, solleva il telefono e digita un numero) – … E la lettera K impressa sul fondello. Praticamente una firma.
BRUNO – A chi telefoni?
DIRETTORE – Ho un amico ai piani alti della polizia. A quest’ora sapranno qualcosa. Se siamo fortunati andiamo in stampa per primi con la notizia.
BRUNO – Non ti emozionare. Vedrai che i bossoli non possono corrispondere. E’ solo un volgare copycat.
DIRETTORE (parlando alla persona dall’altra parte del telefono) – Ciao sono io. Non ti faccio perdere tempo, tu non farlo perdere a me. Sai già cosa voglio. Avete analizzato i bossoli?
Bruno scruta il volto del direttore. Secondi di silenzio che paiono secoli. Poi il viso del capo si irrigidisce di colpo.
DIRETTORE – Ne sei sicuro?
Anche Bruno si irrigidisce sulla sedia.
DIRETTORE (chiudendo la chiamata) – Grazie amico, ti devo un favore.
BRUNO – Allora? Che ti ha detto? Non mi dirai che…
DIRETTORE – Cristo! E’ la stessa pistola.
Rachele, Marco e Valeria sono seduti sul divano, nella sala buia di Villa Reta. Solo la luce azzurrina del televisore illumina la camera. La voce del telecronista annuncia il nuovo delitto.
VOCE DEL CRONISTA (una voce squillante) – Un atroce delitto torna a frantumare le certezze della nostra piccola e pacifica comunità. Un delitto efferato, un delitto mostruoso, mostruosamente praticato su una giovane coppia in procinto di amarsi. L’intimità è stata rubata da una mano rapace, da una mente diabolica, da… Un mostro! (il cronista fa una breve pausa e simula un sussulto di pietà)… Anche se gli inquirenti non si sono sbilanciati, le notizie hanno viaggiato rapide lungo i vasti corridoi della Procura… Pare tutto impossibile, eppure… I bossoli sparati dall’omicida ci fanno tornare indietro di oltre dieci anni… Un incubo… (il cronista ha la voce squassata dall’emozione) Le prove in mano agli inquirenti ci dicono che il mostro, quel mostro, è tornato!
Gli occhi di Valeria e quelli di Rachele sono fissi sullo schermo, senza espressione. Marco, al termine del servizio, balza dalla poltrona, eccitato.
MARCO – Il mostro… (la sua voce è sottile, pare uscire da un sarcofago)… In questi luoghi… E’ tornato… Amore, proprio ora che noi siamo qui!
Valeria pare non ascoltare minimante le parole dell’amato. Di colpo, come una molla, balza in piedi. Fredda come una statua, fissa negli occhi il suo ragazzo, lo gela con un sorriso stranito. Poi si avvicina al televisore e con un gesto meccanico spegne l’apparecchio.
Rachele è da sola in camera sua, distesa sul letto, fissa il soffitto. A un certo punto, prende il cellulare che ha sul comodino e telefona a Bruno, ma lui risulta irraggiungibile. E’ molto tesa. Riprova a chiamare il suo uomo, ma il cellulare non è mai raggiungibile. Sente il bisogno di parlare con qualcuno. Qualcosa, un tarlo atroce, le frulla nel cervello.
RACHELE (in un sussurro) – No. Non può ricominciare. Non può.
Intanto, nella sua baracca da mezzo fallito, Omar il guardone è steso su una branda piena di giornaletti porno e fumetti horror/porno della serie “Oltretomba”. Anche lui sembra pensoso.
OMAR – (parlando tra sé, con una voce bassa, come se avesse paura di farsi sentire da qualcuno) Ho scelto di non essere né guardia né ladro… Ma la vita mi scorre via come una pellicola puzzolente… E adesso…
Omar afferra il cellulare con una foga scomposta. Digita un numero di telefono che legge da un piccolo foglio di carta. Dopo essersi schiarito la voce, parla con un tono freddo, da gangster consumato.
OMAR – Bando ai convenevoli, sai benissimo chi sono e perché ti chiamo. Ah non hai capito cosa voglio? E il lavoretto che hai fatto l’altra sera a quei due ragazzi? Ti è piaciuto? A me non frega un cazzo del perché lo fai, ma alla polizia potrebbe interessare. Adesso hai capito? 50.000 euro, in contanti, domani sera, a casa mia.
Omar chiude la chiamata, strizzando gli occhi. Poi si distende e comincia a massaggiarsi tra le gambe, fissando un punto indefinito oltre il suo naso.
Bussano alla porta.
OMAR – (alzandosi dal letto, con una voce rinvigorita) Ecco le mie regine!
Arriva alla porta e la spalanca. Spuntano due donne vestite da prostitute. Sono Anna e Fabiola.
ANNA – Ecco il nostro bel principe!
Le ragazze entrano nella baracca ancheggiando vistosamente. Omar le guarda facendo ballare la lingua lungo le labbra, avidamente.
OMAR (allungando delle banconote alle ragazze) – Chissà che un giorno io non possa diventare davvero un re!
A Villa Reta, Valeria è a letto. Marco dorme al suo fianco. Anche Valeria dorme e sogna…
Delle mani scavare nei pressi di un grosso albero. Sono mani grandi, rassicuranti… Valeria si trova nei pressi di una radura e si avvicina all’albero, dove c’è la sagoma scura del padre (il viso è coperto da un collant nero) che scava a mani nude. Il padre estrae dalla buca nel terreno un pezzo di stoffa arrotolato su qualcosa. Dal tessuto: appare una pistola, quella pistola. Sul viso di Valeria, ora l’angoscia sembra sciogliersi in gioia. La ragazza comincia a piangere.
VALERIA – Papà…
PADRE DI VALERIA – Valeria, ti ho aspettato a lungo. Sapevo che saresti tornata da me. Ora non ci separeranno più. Vieni…
La sagoma scura allarga le braccia (la pistola è sparita). Valeria si avvicina alla figura senza volto e la abbraccia. La ragazza appoggia il capo sul petto dell’uomo che le carezza i capelli.
VALERIA – Papà, mi sei mancato tanto…
Le mani grandi e rassicuranti del padre la spingono verso il basso. Valeria si inginocchia e solleva il viso rigato di lacrime verso l’alto.
PADRE DI VALERIA – Staremo sempre insieme…
VALERIA – Sono ancora la tua bambina…
PADRE DI VALERIA – Sì piccola mia, come ti ho insegnato…
La giovane sbottona lentamente la patta dei pantaloni del padre e gli pratica un lungo blow job.
Quando ha finito, torna ad appoggiare il capo sul petto del padre. Le mani di lui (grandi e rassicuranti…) stringono Valeria e le accarezzano le scapole, solo che ora le mani non sono più nude, ma ricoperte da dei guanti neri, gli stessi guanti scuri del mostro.
Omar è disteso sul suo letto, a petto nudo. Ha uno sguardo compiaciuto e sognante che gli balla sul viso. Le ragazze finiscono di rivestirsi e ridacchiano giulive.
FABIOLA – Alla prossima, nostro bel principe.
Anna e Fabiola aprono la porta della baracca e si ritrovano avvolte nel buio del bosco.
Due occhi nel buio scrutano Anna e Fabiola mentre si allontanano nell’oscurità. Quando le sagome delle due ragazze scompaiono inghiottite nel buio, i due occhi si voltano verso la capanna di Omar.
Omar dormicchia con la luce accesa. Un rumore lo desta di soprassalto: è la porta d’ingresso che sbatte. Lui si volta con fare guardingo. Poi si alza dal letto per andare a chiudere l’uscio. Quando arriva alla maniglia, i suoi occhi si fanno all’improvviso terrorizzati: un’ombra è alle sue spalle. Il bagliore di un rasoio. Per lui non c’è scampo.
Valeria si risveglia con un balzo. E’ terrorizzata, il volto imperlato di sudore. Con la mano cerca freneticamente Marco nel letto, ma lui non c’è.
VALERIA – Marco?
Nessuno risponde. La ragazza si guarda attorno, ma vede solo il buio. Tira un respiro profondo, si divincola dalle coperte e si mette seduta sul letto.
VALERIA – (più decisa) Marco!
Con la mano scivola al comodino e cerca il pulsante di accensione della abat-jour. Lo schiaccia ma resta il buio.
VALERIA – (con un tono stizzito) Pff! Maledetta casa di campagna!
Al buio scende dal letto e, tastando con le mani, cerca l’interruttore della camera. Lo schiaccia ma nemmeno questo funziona.
La ragazza esce a tentoni dalla camera.
Si muove per le stanze buie.
Sente il rumore di passi, i suoi passi, che percorrono una scala.
VALERIA – Marco?
Silenzio.
VALERIA – Mamma?
Silenzio.
Altri passi risuonano nel buio.
CIACK! (il rumore di un piede che affonda in una pozzanghera)
VALERIA – Ma cosa… ?
Gli occhi di Valeria si sono adattati al buio. Al chiarore della poca luce che entra dalle persiane, la ragazza scorge una sagoma distesa per terra.
VALERIA – Aaaaaaaaaah! (urlo di terrore)
Valeria si avvicina alla sagoma, che noi ancora non riconosciamo.
VALERIA – Oddio! Marco!!!
Si china sul corpo del fidanzato con gli occhi sbarrati e la gola tagliata. Quando la ragazza fa per posare una mano sul cadavere, una voce viene dal buio.
Valeria! (quasi un sussurro)
Lei si volta nella direzione da cui proviene la voce.
VALERIA – (quasi urlando) Papà?
Improvvisamente torna la luce nella villa e…
…una sagoma esce dall’oscurità.
E’ Rachele! La faccia è contratta in una smorfia paurosa. Nella mano impugna la famigerata pistola e la tiene puntata contro la figlia. Valeria, in ginocchio, carezza la testa del cadavere di Marco e piange. Ormai sembra senza forze, svuotata. Torniamo su Rachele, al suo volto, che, lentamente, si de-contrae e assume un’espressione di profonda malinconia.
RACHELE (abbassando l’arma) – Valeria, piccola mia, cosa hai fatto?
VALERIA (piangendo) – L’hai ucciso…
RACHELE – No, non l’ho ucciso, Valeria.
VALERIA (urlando isterica) – Sì che l’hai ucciso. Sei stata tu, puttana!
RACHELE – Dovevo capirlo subito, se avessi avuto più coraggio adesso Marco sarebbe ancora vivo, ma non volevo crederci… Speravo ti fossi dimenticata tutto, che avessi rimosso ogni cosa. E’ per questo che ti ho mandata via.
VALERIA (urlando) – Cosa stai dicendo, puttana?
RACHELE – Tuo padre Valeria, tuo padre…
VALERIA (ruggendo) – Non meriti nemmeno di nominarlo…
RACHELE (persa nei ricordi) – Lo sospettavo da tempo… Le sue uscite insolite, i delitti… Oh mio Dio!… Non potevo permettere che rovinasse la nostra famiglia, Valeria… Il nostro buon nome… Ci avrebbero travolti… Così lo seguii nel bosco… Vidi dove nascondeva quelle cose, i suoi trofei e…
VALERIA (urla) – Stai zitta puttana, stai zitta…
RACHELE – Nessuno sospettò nulla… La morte di tuo padre sembrò un suicidio… Mi sbarazzai di quei poveri resti…
VALERIA (ora non urla più, piagnucola) – Stai zitta, stai zitta, ti prego…
RACHELE – Ogni cosa si sarebbe riaggiustata se tu non ci avessi seguiti… Sei sempre stata una bambina coraggiosa, ti piaceva camminare nel bosco per ore, non avevi mai paura…
VALERIA (piagnucola) – Ti prego, mamma ti prego…
RACHELE – Ho sempre pregato che tu non ricordassi… Speravo che mandarti via sarebbe stato il modo migliore… Mi sbagliavo… (Rachele indica la pistola) Non ero mai riuscita a trovarla… Non sapevo dove l’avesse nascosta, ma tu ci sei riuscita… Hai sempre amato moltissimo tuo padre e lui ha sempre amato moltissimo te… Il vostro rapporto mi spaventava… Dio… Non voglio pensare, non voglio immaginare… Eri solo una bambina… (adesso anche Rachele sembra distrutta)
Valeria è a terra in ginocchio, sempre accanto al cadavere di Marco e piange, sembra così fragile e sperduta. Con entrambe le mani si copre il viso.
VALERIA – Mamma, mamma, aiutami… Mamma…
Rachele si impietosisce e si inginocchia accanto alla figlia. La abbraccia e la stringe forte a sé.
RACHELE (carezzando dolcemente i capelli della figlia) – Su non piangere piccola mia, non piangere…
La ragazza spinge all’improvviso la madre all’indietro e le strappa la pistola. Poi si alza in piedi e sembra un’altra. Non piagnucola più e ghigna come una pazza. Punta l’arma contro la donna ancora a terra.
VALERIA – Sei solo una puttana, sei sempre stata una povera puttana…
RACHELE – Valeria, non lo fare, possiamo ancora nascondere tutto… Sarà il nostro segreto… Se mi uccidi non rimarrà nessuno a proteggerti…
VALERIA (un ghigno clownesco le deforma i lineamenti) – Ancora non capisci stupida troia… Io non sono sola, non lo sono mai stata… Ascolta… Senti questa voce? Riesci a sentirla troia? E’ papà… E’ qui anche adesso e ti sta guardando…
RACHELE (spaventata) – Valeria qui non c’è nessuno… Torna in te…
VALERIA (persa nel suo delirio) – Sei stata molto cattiva con lui mamma…
Valeria punta la pistola sulla madre, sta per sparare. Poi un fracasso, come di un vetro o di una porta che si rompe. Il suono di alcuni passi affrettati e nella sala della villa compare Bruno Caprino. Il giornalista è visibilmente scosso e trafelato.
BRUNO – Non lo fare Valeria.
Lei punta l’arma verso di lui e gli spara, ma lo manca. Il giornalista le balza addosso e le colpisce il polso. La pistola cade a terra. Valeria indietreggia, poi corre via. Bruno soccorre Rachele e l’aiuta a rialzarsi.
RACHELE (grida verso la figlia) – Valeria!
La giovane è già fuori dalla villa. Corre verso l’auto di Bruno che è ferma nel giardino della casa ed è aperta col motore acceso. Sale e sgomma via. Subito dopo escono anche Bruno e Rachele.
BRUNO – Valeria fermati!
Valeria è al volante dell’auto e fugge via nella notte. Dal parabrezza vediamo il fondo stradale illuminato dalla macchina. Valeria viaggia a una velocità molto sostenuta. A un certo punto sente la voce del padre.
VOCE PADRE DI VALERIA – Valeria…
Lei vede dallo specchietto retrovisore la sagoma scura del genitore seduta sul sedile posteriore. E’ un attimo, lascia il volante e fa per voltarsi.
La strada provinciale e uno scorcio di campagna. Il rumore dell’auto che sbanda e si schianta. Dopo solo il silenzio della notte. Poi vediamo altri fari, segno che un’auto si sta avvicinando.
Sono Bruno e Rachele con l’auto di Marco. Scendono di corsa e si avvicinano alla vettura accartocciata fuori strada. Bruno apre la portiera del guidatore e vediamo Valeria accasciata sul volante. Con delicatezza il giornalista la solleva all’indietro, verso il poggiatesta: il volto della ragazza è completamente ricoperto di sangue. In sottofondo, sentiamo il suono di una sirena che si avvicina.
RACHELE (piangendo) – Valeria…
La ragazza apre appena gli occhi e sorride. Adesso sembra serena.
VALERIA (in un sussurro) – Papà…
Intanto le sirene della polizia si sono fatte vicinissime.
Dei passi lenti si avvicinano alla villa rimasta incustodita. Vediamo la porta d’ingresso spalancata e le luci accese. Tutta la casa illuminata. I passi sono all’interno della villa. Si avvicinano a un oggetto a terra: la pistola. Una mano guantata si abbassa e la raccoglie.
Uno scorcio di campagna ancora illuminato dal sole. Una macchia di alberi, delle colline, ma nessuno in giro. La luce si smorza e cambia nelle tinte cilestrine della sera. Le ombre si allungano fino a oscurare tutto. I titoli finiscono ed è notte fonda. Sentiamo solo il frinire infinito dei grilli. Poi degli spari e un lungo grido femminile. Dopo solo…
BUIO.
FINE?