In un paese della piana vercellese in cui, anni fa, si trovava un parco naturale, sorge ora un grande centro commerciale. La vita dei cittadini scorre inalterata, tra turni di lavoro presso il centro commerciale e domeniche in parrocchia. Pare, però, che alcune giovani coppie che la notte si appartano ad amoreggiare in macchina siano scomparse. Le voci che circolano in paese vengono archiviate dall’idea che gli amanti furtivi abbiano deciso di prendere la via della fuga amorosa. Contemporaneamente, sul piazzale del centro commerciale vengono notate coppie di macchine che sembrano non appartenere né a clienti, né a dipendenti e che parrebbero essere abbandonate.
“…E dirmi sentìa: Vieni!
Vieni! E fu molta la docezza! Molta!
Tanta, che, vedi… (l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
con un suo lungo brivido…) si muore!”
G. Pascoli, Digitale purpurea
C’è un paese lontano da tutto, avvolto come dentro un mantello tra le risaie che lo contornano, perso nel vuoto cosmico della piana vercellese.
E’ una notte di inizio estate, in cui la luna si affaccia sullo specchio perfetto delle risaie.
Nel vuoto siderale di questo spazio nero, come sono lontane le luci delle città (brulicanti sulle colline come lucidi pensieri, stanotte che soffia forte il vento dal mare lontano), come sono distanti gli impegni del lavoro.
Dentro i muri delle case senza suono, sul guanciale mormorano i sogni; là fuori gracchiano le rane nelle risaie ampie come enormi canali.
La luna si ispessisce nel cielo senza domandare il permesso alle nubi, silenziosa come una lanterna che s’alza dagli orti.
Lontane sono le città, coi loro stanzoni carichi di fogli, di cartelle, coi computer che rombano fin dalle sei della mattina. I palazzoni sono solo tanti totem persi nel silenzio del deserto.
Allontaniamoci da questi abissi di asfalto, dai loro atoni muri su cui si incrostano le giornate. Lasciamo ruscellare questa notte come fosse l’ultima speranza abbandonata a una stella cadente, tanti anni or sono, quando ancora stavamo distesi con una ragazza sul fondo del bosco e pensavamo che il tempo fosse un oblungo allargarsi.
In mezzo alle risaie che senza muovere una parola lasciano spandere l’estate timida e capricciosa, c’è una macchina spenta, parcheggiata dietro gli alberi su uno spazio che guarda in faccia alla luna.
- E’ la prima volta che tradisco il mio ragazzo – dice Caterina sotto la frangia scura, gli occhi due pietre nere.
- Non aver paura.
La luna (i due ragazzi non se ne sono accorti) è velata per diversi istanti da una nuvola che è scivolata da dietro i monti, tirata dal vento.
Pochi minuti fa, nella notte di vetro, una macchina ha attraversato la pianura dormiente.
Nell’automobile c’è una sagoma scura, che guida con i guanti neri, il busto coperto da una giacca scura e il volto rubato dalla notte.
E’ stato un attimo. La sagoma ha avvistato all’orizzonte l’automobile con la giovane coppia di amanti sopra. Ha spento i fari, parcheggiato in un cantuccio. Ora si avvicina nella notte, passando per i campi, all’automobile della coppietta.
- Se solo potessimo uscire insieme anche di giorno…
- Come se fosse facile…
- Ti voglio.
Ora non sono più soli. La sagoma cerca di distinguere nel buio gli occhi di Caterina, immagina il suo corpo bianco come il latte che si lascia possedere, le mani affusolate che scivolano sulla schiena sudata dell’amante.
L’intruso vede che nell’abitacolo si accendono due minuscole luci rosse. I due amanti stanno fumando. Si apre la portiera, passi tra l’erba. La sagoma scivola dietro un albero.
- Chissà quando potremo rivederci…
Caterina scende dall’auto, senza far rumore e senza accendere luci scivola dentro casa.
Siamo nella periferia del paese, una casa che confina con i campi. Caterina si muove nella casa stando attenta a non svegliare i genitori. Tutto attorno a lei è silenzio e buio. Quando la ragazza è già sotto le coperte, i fari di un’automobile si accendono sul retro della casa.
(1 – continua)