Si leva l’alba sul paese incastonato nelle risaie. Dai campi piatti e allagati sorge un sole caldo e immacolato. Di quanto successo durante la notte, degli amori inconfessabili consumati nel ventre nero della campagna, non rimane traccia. Se non nelle parole di qualcuno che, per caso o per vizio, è stato testimone…
Che per caso o per vizio…
E’ stato testimone.
Che per caso o per vizio…
E’ domenica mattina: dalla chiesa scende come un torrente il flusso dei credenti. Tutto il paese si trova qui riunito, le mani giunte e gli occhi bassi. Caterina stringe la mano di un bel giovanotto con la camicia ordinata e le basette lunghe. Lo sguardo lacrimoso della giovane pare chiedere perdono al Signore di qualcosa di inconfessabile.
Due comari le si strusciano al fianco, la guardano un istante con gli occhi grigi come i muri del paese. Caterina solleva lo sguardo e si accorge che le vecchie raggrinzite sorridono tra loro, farfugliando qualcosa:
- Lei, proprio lei.
- Dicono così?
Caterina si sente paralizzata dalla vergogna, per un attimo stringe più forte la mano del fidanzato. Poi anche la giovane coppia fluisce all’esterno dell’edificio.
Solo una persona rimane dentro. Dietro le colonne, nella penombra della navata, scivola dietro il drappo del confessionale, con la mano fa scendere la grata e comincia a parlare:
- Non riesco a trattenermi. Quelle ombre, mi chiamano. E’ una cosa che mi preme qui, all’altezza del ventre, mi spinge fuori, la notte. Le cerco, padre, le cerco…
La figura, che ha il volto nascosto dal drappo del confessionale, tiene nella mano qualcosa, pare un indumento, su cui campeggia una macchia rossa.
Fuori, gli sguardi cortesi liquidano con un ”Buon appetito” i compaesani. Attende il pomeriggio. Il giorno dopo ricominceranno gli affari, per fortuna.
Solo le risaie, liquide e compatte, rimangono impassibili di fronte a tutto questo.
Caterina è nel giardino. Le belle guance rosate spiccano tra le ciocche di capelli, neri, che le cadono sulle spalle. Sta prendendo il sole su una sdraio e aspetta l’amica Carlotta. Hanno entrambe ventiquattro anni: nate nello stesso paese e compagne alle elementari.
- Non sei venuta nemmeno stavolta alla messa – la rimprovera bonaria Caterina.
Carlotta è bionda: le efelidi sul volto nascondono il piccolo naso. Il resto dei tratti è piacevole: alti zigomi e labbra flessuose. Caterina è più bassa e ha il mento largo, le gambe un po’ grosse, ma possiede un sorriso malizioso che da sempre ha attirato le simpatie dei ragazzi, fino a portarla a conquistare il fidanzato più ambito, Alberto…
- Senti, ma ci sono notizie di Diana e Roberto? – chiede Carlotta.
- Ma chi, i due che lavorano al magazzino?
- Sì, loro. Sono giorni che non li vedo più.
- Un’altra coppietta che scompare…- Cate fissa un punto distante.
Entrambe le ragazze tacciono alcuni istanti.
- E tu, piuttosto? – fa Carlotta.
- Io cosa?
- Ti si vede poco in giro con il tuo bell’Alberto!
- Ma figurati!
- Cate, Cate… I muri sono sottili e la gente… La gente viene a sapere tutto…
Caterina si incupisce. Per un attimo vorrebbe parlare apertamente all’amica, confessarle quel sentimento inconfessabile…
Avrebbe Caterina potuto fidarsi dell’amica? In quel gioco di fiducia e gelosia, quanto l’amicizia avrebbe potuto reggere sotto il peso dei peccati indicibili? Lei che era da sempre (e senza possedere qualità fisiche sopra la norma, se non fosse stato per quel sorriso… E quel seno…) la più corteggiata dai maschi del paese…
Caterina che aveva come fidanzato Alberto, il figlio del farmacista. Caterina così fortunata, così in vista, così invidiata…
Mentre le amiche chiacchierano senza confidare le loro più recondite emozioni, il sole percorre il cielo, fino a scivolare mestamente sotto le risaie.
Se solo su quel paese piombato in mezzo alle risaie come un fazzoletto perduto sul manto della terra non fosse caduta la sciagura del lavoro, quel piccolo mondo nascosto sarebbe stato un angolo di paradiso…
Invece, il demone del lavoro aveva allungato le sue pesanti mani anche in quell’angolo di mondo. E quale inferno di lavoro!
(2 – continua)