C’è un sole tiepido, quest’oggi.
Parzialmente oscurato, reso flebile da un cumulo di nuvole addensate in un cielo grigio. Non proprio la giornata estiva ideale per una gita in campagna. Ma ormai sono quasi arrivati, una carovana di sei ragazzi che come muli umani trasportano sulla schiena ogni genere di accessorio da picnic, in processione su un viottolo impervio che porta a un casolare di proprietà di uno di loro, Jake.
Di ottima famiglia, il perfetto rampollo cresciuto a immagine del padre, dal futuro già plasmato e servito sul piatto d’argento. Gli è concesso ogni lusso, ogni vizio, quel genere di potere che attrae la ragazza più bella del college, Suzanna.
Calamita per l’invidia.
Una tipica casa della costa occidentale, un ambiente rialzato e una soffitta in cima alle scale, richiuso da una veranda a balconata dalla quale Suzanna si sporge per annusare il profumo delle spighe di grano che danzano e si spezzano piegate dal vento. I suoi lunghissimi capelli color orzo si librano leggeri, bloccati da un gelsomino impigliato a mo’ di fermaglio come serratura per la sua mente.
Troppo bella per essere reale.
Era da un anno ormai che anima viva non metteva piede qui, e il dito indagatore di Peggy strofina come abile incisore sui tavoli tarlati e pieni di polvere. Si avvicina per osservare meglio, con i suoi strambi occhiali grandi solo quanto la sua miopia. La ragazza più intelligente del gruppo, troppo interessata alla conoscenza per curare l’immagine che agli altri proietta di sé.
Splendente di una bellezza interiore.
Suo fratello maggiore Gordon, detto Gordy, stringe i bulloni delle tubature allentate dal tempo, affinché ci sia acqua sufficiente per la villeggiatura. Una forza considerevole, che si evince dalla larga corporatura da quarterback leader della squadra nelle partite di football. Fisicità controbilanciata da scarsa perspicacia, tanto che difficilmente lui e Peggy sembrano fratelli a chi è ignaro della cosa. Tanti battibecchi con lei, persino contrario a un possibile fidanzamento con l’unico ragazzo che in questi anni le è ronzato intorno, Robert. Ma in fin dei conti l’amore fraterno vince su tutto, ed è un utile rifugio quando si sente incompresa.
Un armadio in cui nascondersi.
Robert è poco distante dalla veranda, immerso tra le onde del grano, mentre contempla il grigio orizzonte scarabocchiando qualcosa su un taccuino che pare appena comprato. La zona attorno è completamente isolata, tabula rasa dalla civiltà, se non fosse per l’unica eccezione di un’antica e abbandonata magione là oltre la collina, tuttavia ugualmente distante. I suoi capelli rossastri stonano con una pelle scura e coriacea adibita a lunghe giornate sotto il sole. Estrazione contadina, la sua, abituato al lavoro sin da tenera età per mantenere la famiglia abbandonata da un padre fantasma, che non ha mai conosciuto.
Desiderio di rivalsa.
L’ultima a entrare in casa ha l’ombra di una ragazzina. Shannon, quattordicenne sorella di Suzanna, e d’altronde impossibile affermare il contrario. Il suo stesso sguardo, ma in una versione più dolce e meno superficiale, ugualmente costeggiato di capelli di rame ma nella forma di riccioli e boccoli che le pendono fino alle guance rosate.
Innocenza sulle gote.
Le zanzare abbondano in questo periodo, e non bastano delle spirali di citronella per tenerle a bada mentre si banchetta gozzovigliando. Il tempo sembra migliorare, cosicché Robert propone una breve maratona per i sentieri tutt’attorno, supportato prontamente da Gordy. Unica opposizione viene da Peggy, che ha sempre odiato qualsiasi tipo di attività che non fosse intellettualmente stimolante.
Voce fuori dal coro.
Ben presto lo spirito agonistico e competitivo del quarterback emerge preponderante, e l’allegra scampagnata si trasforma in vera e propria gara, nella quale Jake non mostra alcuna goccia di sudore, costantemente dietro il sedere di Suzanna, e Robert teme di sfigurare agli occhi di Peggy, che non fa altro che ammirare la flora circostante. Nella foga generale la distanza percorsa si fa considerevole, e il clima mutevole di questa zona si ribalta sgorgando le prime gocce di una violenta pioggia estiva. Non conviene più tornare indietro, troppa la strada che li separa dalla villetta. Significherebbe ritrovarsi sotto un sicuro temporale bloccati e invischiati nella fanghiglia. Meglio entrare nell’ormai vicina magione abbandonata, e trovare rifugio per la notte.
Mai scelta fu così sbagliata.
La porta cigola come la voce di una vecchia megera, e si apre lentamente mentre Gordon la sospinge a fatica, chiusa e bloccata dai detriti accumulati in tempi immemori. Un cono di luce si proietta all’interno, quando ormai il cielo è oscurato dalla pioggia scrosciante. Peggy gira in tondo estasiata, azzarda una valutazione cronologica dell’edificio e ne contempla ammaliata l’antico arredamento. Il tutto, mentre Robert riprende a scrivere sul suo taccuino, appoggiato al corrimano della scala che porta ai piani superiori.
Un’immensa casa, dalle pareti nere e ammuffite, piena di quadri con volti deformati dal tempo.
Il freddo si appresta a farsi sentire in fondo nelle ossa, e Gordon si prodiga per spaccare elementi d’arredo e gettarli a viva forza in un polveroso camino lì nella sala principale, vetusto ma ancora funzionante, accendendo il fuoco alla maniera dei boy scout. Robert, intanto, tenta di uscire dalla porta principale per controllare le condizioni esterne, ma con gran sorpresa di tutti il portone sembra bloccato, come chiuso dall’altra parte. Bloccati dentro, mentre Shannon si stringe amabilmente tra le braccia della sorella, entrambe tremolanti dinanzi al fuoco. Lo stesso Robert si propone di allontanarsi nelle varie stanze, alla ricerca di una chiave che, a detta sua, per forza di cose deve essere da qualche parte in casa.
Le ore passano beffarde, e di Robert ancora nessuna traccia.
Suzanna sente il bisogno di urinare, e coraggiosa si addentra tra i corridoi del pian terreno alla ricerca di qualcosa riconducibile a un bagno. Di lì a poco, non più di una manciata di minuti, anche la vescica di Peggy vuole emulare gli stessi bisogni dell’amica, e si precipita correndo a sollecitarla là dove l’avevano vista entrare, bussando ripetutamente con le bianche nocche delle dita.
Ma non vi è risposta.
Ripetute sono le incitazioni a uscire, ma da dentro non si sente proferire un sibilo. A Peggy non resta altro che entrare, quando gli altri attorno al fuoco odono un grido straziato. Tutti tranne Shannon, da poco addormentata, corrono verso Peggy, e ad accoglierli è una scena raccapricciante.
Suzanna è seduta sulla tazza, immobile, con le braccia penzolanti in avanti, e la testa afflosciata sul ginocchio sinistro. Jake le sposta i capelli spettinati e con la mano le solleva il volto, un volto privo di vita e di occhi, vuote cavità dalle quali gronda del denso sangue.
Il delirio e il panico dilagano, e ognuno corre nella direzione più vicina, ma non c’è fuga alcuna. Peggy urla chiamando Robert, Gordon ritorna nella sala del camino con il chiaro intento di sfondare la porta, ma una visione ferma il suo obiettivo. La fiamma del fuoco è occlusa dal corpo di Shannon seduta per terra, a sua volta seminascosto dalla spalliera di una sedia. Gordy sposta il sedile, ma la fanciulla non ha più volto per guardarlo. Una sensazione di bagnato sulla fronte, gocciolìo di sangue che proviene dall’alto. Il ragazzo alza gli occhi al tetto, e la testa di Shannon appare impilata tra le luci di un lampadario, roteando come le pale di un ventilatore di quelli ormai in disuso.
Correndo all’impazzata, Jake inciampa su una lattina forata di legumi scaduti, e nella caduta finisce per entrare, di lungo per terra, nella stanza accanto. Sulla linea di terra i suoi occhi si riaprono attorniati di ossa e arti amputati, taluni completamente spellati e altri con tendini filacciosi ancora attaccati. Accade in una frazione di secondo, che dall’oscurità affiorano tanti piccoli luccichii, occhietti vispi di roditori affamati, che in un lampo si gettano su di lui dilaniandolo e divorandone la carne con un rimbombante contorno di grida e squittii.
Gordon è ancora impietrito dalla scena che gli si staglia davanti, ed è lì impiantato rigido come blocco di marmo prima che l’artista modelli. Qualcosa lo spinge come una delle sue spallate con la tuta da football, premendogli la testa nel fuoco del camino attizzandola come se fosse un grosso carbone, mentre la pelle arrossata si ustiona e si scioglie in un delirio di urla e lamenti.
Peggy si trova vicino, appena sopra le scale, e le è facile sentire quello che accade a suo fratello. Scale che appaiono infinite e, quando è giunta, ormai troppo tardi. Ma non c’è nessuno nella stanza, solo un grande silenzio che regna sovrano.
Il suo cuore si può sentire palpitare, lampante, un tamburo che riecheggia nell’oblio. La porta è ancora chiusa, serrata, non c’è salvezza. Un senso di bagnato lo percepisce ai piedi, un torrente di sangue che senza anse si dipana fino al ciglio delle scale, e l’immagine di Robert coi vestiti zuppi di rosso le si imprime nei vetri degli occhiali.
La bocca aperta e allo stesso tempo sogghignante, i palmi delle mani aperte e sui polpastrelli dei fiammiferi accesi, a mo’ di luci, candele, tetre lampadine.
I fulmini hanno cessato di ululare, così la pioggia là fuori. Delle foglie cadono al suolo, mentre gemiti e urla di un rapporto non voluto vengono trasportati dal vento, viaggiando in mezzo ai campi, macabra canzone che accompagna l’ondulante danza delle spighe di grano.