PERSONAGGI PRINCIPALI
Roberto Santinovi: narratore e protagonista
H e Best: amici di vecchia data di Roberto
Rosi: 25enne milanese
Viola: giovane e bellissima ragazza di cui Roberto si innamora
Vanessa: ex fidanzata di Roberto
Ermanno: gestore della stazione balneare e guardone
Gina: moglie di Ermanno, gestisce con lui la stazione balneare
Sergio: guardiano notturno della pensione
Nino: violento romeno al soldo della malavita
Anonimo al telefono: amico di Roberto
Mike: barbone che predice il futuro
Sergio viveva in un appartamentino poco distante dal luogo di lavoro. Era ormai il tramonto quando sbucai da dietro una siepe e mi piazzai quatto quatto dietro un muro, a osservare la casa del nostro uomo. L’appartamento era al piano terreno ed era stato ricavato dalla suddivisione in piccoli alloggi della villa originaria. La porta d’ingresso era in alluminio, di quelle facilmente sfondabili. Sul muro che correva dietro, nel giardino, avevo visto che c’era una finestra. I vetri erano accostati e una zanzariera era il solo ostacolo. Non avevo certo paura di trovarmi faccia a faccia con quel bestione. I baffi a manubrio e il tatuaggio di donna sul collo non erano altro che orpelli: quel panzone doveva essere tonto e, anche se di tanto più piccolo di lui, di certo avrei avuto la meglio. A dire il vero, non vedevo l’ora di trovarmi a contatto con quel minchione: fin da principio mi aveva urtato il suo sorriso. E poi, chissà cosa mi aveva detto Rosi su di lui…
Forse avrei fatto meglio a essere più prudente: poteva ben essere lui il killer! Magari in casa aveva di che difendersi, forse un coltello più lungo del mio, magari come quello utilizzato dalla mano guantata per uccidere le ragazze…
Tutte cose che mi scivolarono addosso come acqua fresca. Presi la direzione della finestra sul retro e, quando fui sotto l’apertura e dopo essermi assicurato di non essere visto da nessuno, mi alzai e sfondai la zanzariera. In un lampo mi trovai sulle piastrelle di casa. Nella tasca accarezzavo il coltello, pronto a estrarlo a ogni fruscio.
L’appartamento era in penombra e mi trovavo nella sala da pranzo. Una camera arredata con pochi soldi, in fondo quel lavoro di guardiano non doveva rendere granché. Sulla destra si apriva il cucinino, potevo capirlo dalle piastrelle sul muro che luccicavano alla flebile luce. Vi balzai dentro, ma non trovai altro che piatti sporchi e puzza di pesce. Mi voltai con una piroetta e scivolai verso la camera successiva. Dischiusi piano la porta che la separava dal resto dell’appartamento. Per terra una moquette avrebbe attutito i miei passi. Quando la porta si aprì del tutto, non ebbi bisogno di entrarci. Sapevo già quale spettacolo mi avrebbe atteso: disteso sul letto c’era Sergio. Le lenzuola erano tutte imbrattate di rosso. La testa del guardiano notturno penzolava fuori dal letto, le orbite rivolte indietro.
Questa volta non mi feci cogliere impreparato. Con un respiro cacciai giù nello stomaco il panico. Con una breve occhiata indagai il modo in cui il ragazzone era stato ucciso. Non mi pareva che l’assassino avesse utilizzato la stessa tecnica: il sangue pareva colare da un unico foro all’altezza del cuore. Bene. Avevo pochi istanti per fare quello che mi serviva. Tornai in sala e presi a frugare nei cassetti e tra le pile di fogli sparsi per la camera. Sergio doveva essere un ragazzo molto solo: trovai collezioni di francobolli e di monete antiche, addirittura album di vecchie figurine, tra i cassetti del comò. Ma nulla che potesse legarlo agli omicidi. Tra le cianfrusaglie mi finirono nelle mani dei soldi, che ebbi l’accortezza di mettermi in tasca: mi sarebbero di certo serviti. Rovistai ancora, questa volta tra gli scaffali della cucina. Aprii una scatola in cartone e buttai a terra i fogli al suo interno. In fondo alla scatola, incollata alla superficie interna, c’era una mia foto. Una mia foto! Fui colto di sorpresa. Cosa poteva farci una mia foto in casa di Sergio? Non avevo tempo per rifletterci in quel posto. La strappai e la infilai in tasca. Poi tornai da dove ero venuto e mi allontanai dalla casa con il passo rapido di un ladro.
Era già sera. Cittadini e villeggianti fluivano silenziosi nelle case, negli alberghi, nelle pensioni e nei camping. Sull’uscio, prima di entrare, gli occhi indagavano frenetici. “Qualcuno mi ha seguito?”, “Posso stare tranquillo”, “Presto, dentro!” dicevano quegli occhi. Un gatto dagli occhi di giada traversò la strada, indifferente. Poi altre persone scomparvero dentro l’androne di un palazzo. Dovevo sbrigarmi. Presto la polizia sarebbe potuta arrivare alla casa di Sergio e io non dovevo farmi trovare nei paraggi.
Passando dietro gli alberi dei viali e scendendo lungo i tratti di via in cui l’ombra nascondeva i tratti del viso, percorsi la strada verso il mare. Arrivai a un casermone con un muro che proteggeva dal soffiare del vento. Qui c’erano dei cassonetti dell’immondizia. Mi ricordavo bene: gettato tra i cassonetti, il giaccone sporco che gli faceva da coperta, c’era il barbone che mi fermò la notte in cui fu uccisa Viola, quello che prediceva il futuro con il quadrifoglio.
Mi avvicinai a lui. Alzai la gamba e feci prendere una lunga rincorsa al piede, quindi con tutte le forze conficcai un calcio nelle reni di quel pezzente.
- Ouh! – sputò il barbone.
Con il piede gli premetti il viso contro l’asfalto. Gli versai sulla testa una bottiglia di acqua che avevo raccolto poc’anzi. Il vecchio attaccò a dimenarsi, ma la forza che l’altra notte gli aveva dato l’alcool doveva essersi esaurita. Con il piede gli impedii di alzarsi. Lasciai solamente che si girasse, venendosi a trovare supino.
- Ascolta bene, rifiuto umano – gli premevo il collo in modo da obbligarlo a restare vigile – l’altra notte qui hanno ucciso una ragazza. Tu devi aver visto qualcuno che la seguiva, ne sono certo.
Il vecchio non aveva il ghigno sghembo di quella notte. Senza alcool, le gengive non erano gonfie come larve e il viso appariva solo il muso di un cane picchiato. Per un istante mi fece pena. Ma poi pensai che quello era l’unico modo per ottenere qualcosa da lui.
- Ascolta, merda – lo incalzai – l’altra notte una ragazza bellissima, con i capelli neri, è salita dalla spiaggia. Tu eri qui perché hai fermato me, poco dopo. Lei era seguita da qualcuno! Capisci? Capisci pezzo di merda!? – tirai fuori il coltello – Parla o ti infilo questo! Credi che conti qualcosa la vita di un pezzente come te?
Il vecchio era spaventato. Con le mani sollevò la suola delle mie scarpe. Lo lasciai fare, avevo capito che intendeva parlare.
- Mike non è un barbone stupido – sputava per la fatica di parlare – e ora parla.
- Bravo Mike – gli sollevai la suola dal muso, i modi duri avevano sortito l’effetto.
- Me ne stavo qui, tra i cassonetti, avevo comprato una bottiglia di gin, con i soldi della questua, dato che ieri era il compleanno di mia figlia, che ora vive con suo marito ricco…
- Taglia – agitai il coltello.
- Sì, sì, deve perdonare Mike. Mike ha la mente corta – passava le dita sulla fronte emettendo un fischio – Dicevo… Qui faceva freddo e bevevo… Passa una ragazza, che, come dice lei, era bellissima. Non feci in tempo a fermarla per predirle il futuro, la mia specialità deve sapere, perché io ho imparato a predire il futuro non qui in Italia, ma a Budapest…
- Me ne frego. Se non vai al punto ti infilo.
- Già, già, allora… – con la lingua squamata si pulì la saliva dalla barba – la guardai camminare, perché aveva un bel culo.
Gli mollai un calcio sulla zigomo, che si aprì come un pomodoro maturo. Il vecchio batté la testa per terra e rimase qualche secondo intontito. Lo afferrai per il bavero.
- Chi la seguiva? – abbaiai.
- U – u – u – una donna.
- Una donna?
- Sì, sì – il volto gli sanguinava vistosamente.
- Sei sicuro?
- Sicuro signore. Una donna vestita di nero. La stava pedinando da lontano.
- E com’era questa donna?
- Non lo so. Non passò di qua. Si allontanò dall’altra parte.
Lo mollai. Tirai fuori cento euro e glieli infilai nel bavero.
(7 – continua)