L’UOMO DELLE NEVI E L’UOMO CHE RIMPICCIOLIVA (1957) – PARTE 01
IL MOSTRUOSO UOMO DELLE NEVI (The Abominable Snowman)
Accanto a pellicole dal sapore ormai classico il 1957 ci concede una ricca anteprima con Il mostruoso uomo delle nevi: film nato in anticipo sul suo tempo, tanto da scivolare rapidamente in sale di seconda visione con incassi a dir poco disastrosi. Eppure il concetto dell’uomo come “razza di transito” al quale deve succedere una stirpe superiore, se è nuovo per il cinema non lo è per la letteratura, ma per l’uomo comune essere paragonato a un dinosauro non era e non è certo un complimento e se è pur vero che la civiltà così come oggi la conosciamo è, come tutte le altre cose, prima o poi destinata a finire, altrettanto vero è che il normale spettatore (mi scuserete ma trovo ridicolo chiamarlo fruitore) nella sala cinematografica non è nelle condizioni di spirito ideali per valutare appieno questo genere di considerazioni. Se il mercato dell’Home Video e del DVD permettono una visione a volte tecnicamente inferiore ma comoda, rilassante allo spettatore, riteniamo abbastanza difficile che egli abbia l’interesse, la competenza o quantomeno la voglia di rendersi conto di essere “transeunte” su questo piccolo mondo.
La cavia ideale di identificazione è quasi sempre il protagonista-eroe il quale lotta contro i cattivi alieni provenienti dallo spazio o abbatte i mostri bavosi e striscianti e poi, l’argomento è più commerciale, c’è più azione per cui, almeno per i beneamati produttori meglio mostri, alieni e meteore… beh, Il mostruoso uomo delle nevi non è niente di tutto questo: fu un film troppo intelligente per i suoi tempi.
La storia di questa immaginaria creatura risale a tempi antichi, ma a noi basta ricordare brevemente qualche episodio importante che riguardi la sua eventuale esistenza tra noi. Incontreremo poi altre pellicole imperniate sullo Yeti e alcune mostreranno altre ipotesi più o meno fantasiose sulla sua non provata esistenza, quindi ricordiamo, per esempio che il 20 ottobre 1967, un allevatore della California settentrionale, Roger Patterson, stava facendo una tranquilla passeggiata a cavallo con un suo amico, Bob Grimlin, lungo l’ansa di un torrente chiamato Bluff Creek quando vide qualcosa dall’altra parte del fiume: una specie d’animale di grandi dimensioni molto simile ad un gorilla dalla pelliccia marrone scuro e la testa appuntita.
Anche l’essere vide i due uomini e si allontanò da loro voltandosi ogni tanto per osservarli per poi sparire nella foresta vicina. Patterson aveva con sé la sua cinepresa caricata con pellicola a colori e non si lasciò sfuggire l’occasione di riprendere la Creatura. Ancora oggi questo filmato, famosissimo, stupisce per ciò che mostra e ancora oggi non è stato possibile smentirlo, anzi, è ritenuto dai più come una ripresa autentica dell’essere conosciuto come Yeti. Nel 2004 è trapelato il nome dell’uomo che avrebbe vestito il costume della Creatura: un certo Bob Heironimus, un pensionato, in un costume fatto da Philip Morris in Carolina. Patterson fino alla sua morte (1972) ha sostenuto l’autenticità del suo filmato. Per la verità non ci sono prove che il filmato sia un falso, infatti il costume da Bigfoot non fu mai ritrovato.
Di questa creatura, forse mitica, ma quantomeno rara e sfuggente, esisterebbero varie specie.
Esso viene chiamato Sasquatch dagli Indiani d’America e sia in America, sia in Canada è però universalmente conosciuto come Big Foot e la sua descrizione è generalmente quella di una creatura d’aspetto scimmiesco con un’altezza che sta tra i due e i quattro metri e in grado di camminare eretta. Il corpo è coperto di una pelliccia il cui colore va dal marrone scuro al nero (in alcuni rari casi anche bianco), la fronte è sfuggente, il naso è largo e schiacciato. Possiede lunghe braccia che fa dondolare avanti e indietro quando cammina. Non ha coda ma piedi molto grandi (da questo proviene il nome Big Foot), lunghi anche cinquanta centimetri con le dita dei piedi generalmente in numero di cinque, benché siano state trovate e fotografate anche di tre o quattro. Il suo nutrimento consterebbe di vegetali, radici e bacche.
Sir Edmund Hillary era un famoso scalatore nonché uno studioso e ricercatore della misteriosa Creatura, anche lui, come tutti pensava esistesse una sola specie di queste creature, ma, con sua grande sorpresa, scoprì, nel 1960 che i nepalesi distinguevano ben tre tipi diversi di Yeti.
Il Teh-Ilma, alto solo un metro e coperto di una pelliccia fulva con i piedi piccoli. Il suo habitat sarebbe nelle valli più calde dell’Himalaya nepalese e tibetano. Potrebbe essere una forma primitiva dei futuri pigmei.
Poi abbiamo il Meh-Teh e cioè quello che viene definito il classico Yeti, vivrebbe nelle stesse zone del precedente e ha la statura di un uomo alto. Ha la testa allungata, una pelliccia tra il marrone e il rossiccio.
In ultimo esisterebbe anche il Dzu-Teh, conosciuto anche come Rimi, la cui altezza arriverebbe fino a tre metri. Coperto da una folta pelliccia scura, possiede piedi di grandi dimensioni simili a quelli umani e vivrebbe nelle zone occidentali e più elevate del Tibet Orientale, del Bangladesh, del Myanmar, della Manciuria e del Vietnam del Nord.
Gli scienziati ritengono che possa essere una forma derivata dall’antico Gigantopiteco e che abbia molto in comune con il Big Foot.
Anche la Cina possederebbe il suo Yeti, anzi ne avrebbe più d’uno, il che getta un’ombra oscura sulla possibile esistenza di questo animale o, quantomeno, sul numero fin troppo eccessivo delle sue variazioni.
I criptozoologi impegnati in questa sovrumana ricerca sono perfettamente a conoscenza che molte delle testimonianze sono esagerate o inventate di sana pianta e cercano in ogni modo di acquisire prove che rivelino, senza ombra di dubbio, l’esistenza di queste sfuggenti creature. L’antropologo Grover Krantz ha esaminato a lungo il filmato di Roger Patterson e ha escluso che possa trattarsi di un uomo travestito da gorilla perché questi non sarebbe in grado di riprodurre la caratteristica andatura a grandi passi così ben evidenziata nel filmato.
Per anni le prove più attendibili dell’esistenza di queste creature erano quelle trovate nel monastero di Solu Khlumbu, nel Nepal, alle pendici del massiccio dell’Himalaya. I monaci custodivano dei frammenti ossei che dicevano provenire dallo Yeti, più alcune parti di pelliccia. Nel 1991 le ossa furono misteriosamente rubate prima di poter essere esaminate e la pelliccia risultò provenire da uno Serow, un tipo di capra di montagna.
Il 3 maggio del 1957, gli abitanti del villaggio cinese di Zhuanxian catturarono e uccisero un uomo bestia privo di pelliccia e alto circa un metro. Gli furono tagliati mani e piedi che furono conservati dall’insegnante del villaggio. Nel 1981 questi resti furono esaminati da Zhu Guaxing, professore del Museo di Storia Naturale di Pechino e lo scienziato arrivò alla determinazione che si trattasse di una scimmia di una specie sconosciuta. Di ciò si ebbe conferma quando, nel 1983 e nel 1985 furono catturati degli altri esemplari.
Nel 1973, sul Monte Spokane, nello stato di Washington, fu avvistato e fotografato un grosso animale peloso e da ciò Grover Krantz dedusse, ma non chiedeteci come, che potessero vivere in quella zona tra i duecento e i duemila esemplari di quella specie sconosciuta. Alla fine degli anni Sessanta un emerito truffatore, Frank Hansen, mostrò al pubblico un uomo scimmia conservato nel ghiaccio. L’essere fu soprannominato L’uomo di ghiaccio del Minnesota e fu esaminato, nel 1968, da due criptozoologi, Bernard Heuvelmans e Ivan Sanderson, i quali lo giudicarono autentico. C’è anche chi afferma che furono profumatamente pagati da Hansen per dichiarare il falso. L’essere fu misteriosamente sostituito da un manichino che ne riproduceva le sembianze e dell’originale, se mai era esistito, non se ne seppe più nulla.
Prima abbiamo affermato che la provenienza del Big Foot poteva essere quella del Gigantopiteco il quale, altri non è, anzi non è stata, che una specie di scimmie di grandi dimensioni scomparse da molto tempo.
Alcuni pensano che possa trattarsi di una scimmia evoluta appartenente alla stessa famiglia che diede origine alla specie umana. I resti fossili di queste arcaiche creature sono stati trovati in Asia e risalgono, come minimo, a trecentomila anni fa. In quei tempi remoti la Siberia e l’Alaska erano unite da una striscia di ghiaccio attraverso la quale alcune popolazioni sarebbero emigrate dal Vecchio al Nuovo Mondo perciò queste creature, i cui discendenti potrebbero essere gli odierni Big Foot, avrebbero imparato molto saggiamente a evitare gli esseri umani, quell’Homo Vastans di cui si parla ne Il mostruoso uomo delle nevi di Val Guest di cui stiamo per parlare.
Nel 1898 il Colonnello Britannico A.L. Waddell pubblicò un trattato nel quale rievocava le proprie avventure d’ufficiale coloniale. In un paragrafo della sua opera egli raccontava che, nel 1889, mentre compiva una missione nel Sikkim, all’estremo nord dell’India, verso la triplice frontiera del Nepal, del Tibet e del Buthan, aveva trovato una gigantesca impronta di un piede nudo, impresso sulla neve a una quota di circa cinquemila metri. Si trattava di una pista vera e propria che un uomo di proporzioni colossali, avrebbe percorso a piede nudo a quella altitudine.
Qualche anno dopo, un altro esploratore inglese, Knight, sostenne di aver visto la strana creatura e attribuì all’essere un’altezza di due metri, un folto vello, fattezze e andatura umane. In più egli aggiunse che lo sguardo della creatura esprimeva una tristezza infinita…
La posizione storica di questa creatura è posta, secondo una delle più recenti ipotesi, tra l’Uomo di Pechino e quello di Neanderthal, pur considerando il fatto che esiste un divario di circa trecentomila anni fra i due e una distanza, in linea retta, di parecchie migliaia di chilometri per cui è preso in considerazione il fatto che la razza alla quale apparterebbe lo Yeti sarebbe rimasta esclusa e quindi isolata dalle migrazioni glaciali dell’epoca.
In uno sperduto monastero tra i monti del Tibet, tre scienziati stanno conducendo delle ricerche sulla fauna e sulla flora locali.
Uno di essi, il Dottor John Rollason (Peter Cushing, 1913 – 1994), è in attesa dell’arrivo di un’altra spedizione guidata da un certo Tom Friend (Forrest Tucker, 1919 – 1986) che intende dare la caccia al mitico Uomo delle Nevi. Pur sconsigliato dalla moglie, Helen (Maureen Connell) e dall’ascetica figura del Lama (Arnold Marlè, 1887 – 1980), Rollason parte ugualmente per le impervie montagne. Oltre ai due fanno parte della spedizione Ed Shelley (Robert Brown, 1921 – 2003), un cacciatore, Jack McNee (Michael Brill, 1928 – 2011) e Kusang (Wolfe Morris, 1925 – 1996), un portatore tibetano.
Durante il primo giorno di marcia raggiungono faticosamente il rifugio e i viveri, sparsi lungo varie tappe l’anno precedente.
I cinque, stanchi, si ristorano e l’argomento delle loro conversazioni è, naturalmente, lo Yeti.
Tom: “Di che cosa si nutre?”
John: “Di piccoli animali: lepri, topi, talpe.”
Jack: “Ma qui non ci sono.”
Ed. “Tu non li vedi, ma tu non sei lui.”
Tom: “E’ un carnivoro, allora.”
John: “No, onnivoro, sotto la neve ci sono delle erbe. Tutto sommato si può nutrire come noi. “
Tom: “Davvero? Potrebbe essere un anello di congiunzione tra l’uomo e la bestia.”
John: “Sarei piuttosto per la teoria dello sviluppo parallelo.”
Jack: “Parallelo a quello dell’uomo?”
John: “Non siamo lontani dal nord India. Milioni di anni fa queste terre erano popolate da animali simili alle scimmie: antropoidi primitivi di cui abbiamo trovato le ossa fossilizzate. Ora, una delle teorie più recenti dà ai loro discendenti due direzioni: una ci porta alle scimmie, gli scimpanzè, gli orangutan, eccetera… e l’altra all’uomo…”
Tom: “Già, in parole povere la teoria di Darwin.”
John: “Supponiamo… supponiamo l’esistenza di una terza specie…”
Tom: “Antropoidi differenti dall’uomo e dalla scimmia?”
John: “Certamente. “
Tom: “Una supposizione molto suggestiva…”
Jack: “E che fine avrebbero fatto?”
John: “Sarebbero stati sopraffatti dal progresso e dagli attacchi dei nemici.”
Tom: “Cioè dell’uomo e della scimmia?”
John: “Probabilmente. Quei pochi che sopravvivono si sono ritirati in luoghi inaccessibili, forse su queste montagne che sono le più alte protette dalle nevi.”
Jack: “Ma non abbiamo prove.”
John: “Neanche cento anni fa avevamo prova sull’esistenza dell’uomo primitivo…”
Tom: “Senta un po’, come se li immagina lei, che camminino su due piedi?”
John: “Senza dubbio. Abbiamo le orme, orme impresse da un piede lungo circa 13 pollici (32,5 cm). Calcolando il passo, la loro altezza dovrebbe essere di circa sei piedi (1 metro e 90 cm), ma se le loro gambe sono corte e massicce, rispetto al corpo, la loro altezza potrà essere di otto piedi all’incirca (circa due metri e mezzo).”
Ed Shelley mostra a Rollason un tipo di trappola, lo scienziato viene a sapere che lui e Tom hanno anche dei fucili e se ne risente. La loro discussione viene interrotta da Jack che ode una specie di urlo. Escono ed esplorano i dintorni, ma non trovano nulla. Rientrando Tom spiega a John di aver intrapreso la spedizione per fini commerciali, per poter esporre ai curiosi l’Uomo delle Nevi. Intanto, nel tempio, Helen sta cominciando a preoccuparsi per la sorte del marito ed era contraria alla spedizione diffidando istintivamente di Tom Friend.
Peter Fox (Richard Wattis, 1912 – 1975), il terzo componente della spedizione precedente cerca di parlare con il Lama, ma lo trova in stato di trance, gli occhi rivolti verso la montagna. Il giorno successivo la spedizione riparte, Jack e John restano indietro e, in questo modo, lo scienziato viene a sapere che il ragazzo, inesperto scalatore, ha pagato Tom per poter far parte della spedizione.
John: “Perché ha preso parte a questa spedizione?”
Jack: “Lo dovevo.”
John: “Lo doveva?”
Jack: “Da quando ho visto lo Yeti, due anni fa, ecco… io ho sentito che dovevo tornare su questa montagna, una specie di ossessione… forse uno psicologo troverebbe una spiegazione. Io… io so solo che devo rivederlo…”
John: “E questo lo sente da che lo ha incontrato?”
I due si ricongiungono con gli altri componenti, ma prima che questo accada Jack pone il piede su una trappola messa lì da Shelley. Alle proteste di John il cacciatore risponde che esse non sono affatto inutili, tanto è vero che hanno catturato uno Yeti. Lo scienziato, stupito, esamina la preda e si accorge immediatamente che non si tratta della creatura cercata, ma di una scimmia delle nevi. Tom replica che per lui va bene lo stesso, per lui quello è lo Yeti e lo sarà anche per la gente. I due litigano e, involontariamente, sfasciano la radio. Fuori, nella notte ormai fonda, “qualcosa” si aggira vicino alla gabbia dove è stata rinchiusa la scimmia. All’improvviso rumore escono dalle tende e accorrono sul luogo illuminandolo con l’aiuto delle loro torce: la gabbia è stata sfondata e ci sono delle gigantesche orme sul terreno. Tom manda Kusang nella sua tenda a prendere il fucile, il tibetano vi entra e scorge una mano gigantesca che s’impossessa dell’arma trascinandola all’esterno. Urla per il terrore e gli altri lo raggiungono.
Tom: “Cos’era, cos’hai visto? Vuoi rispondere?”
Kusang: “Io ho visto… io ho visto cosa che uomo non deve vedere… Non deve vedere…”
Tom: “Cosa?”
Kusang: “Io ho visto… lui… Yeti!…Uomo non deve vedere… Non deve vedere… no!”
Il tibetano torna indietro correndo lanciandosi sul pendio. John si rivolge a Jack che per tutto il tempo era rimasto sdraiato nella tenda a causa della gamba ferita, ma non riesce a rivolgergli la parola: il ragazzo sembra quasi in stato di trance da quando lo Yeti è apparso. All’esterno Shelley spara un colpo di fucile e il suo bersaglio viene colpito: dietro un costone di ghiaccio appare una grande zampa pelosa immobile, priva di vita.
Ed: “Stiamo attenti…”
Tom: “No, è morto. E’ lui! Lo Yeti, l’Uomo delle Nevi!”
Ed: “Che corpo enorme!”
Tom: “L’aveva sottovalutato Dottore, sarà alto più di dieci piedi (Oltre tre metri).”
John: “Che faccia!”
Un lamento lontano attraversa le montagne. I tre portano il corpo al campo caricandolo su una slitta.
Intanto, al Tempio, Helen vede rientrare Kusang e va dal Lama a chiedere spiegazioni, ma questi nega che il portatore sia tornato.
Lama: “Lei è preoccupata per suo marito, vero?”
Helen: “Sì, sono sicura che è in pericolo.”
Lama: “E ha ragione. Tutti, tutti lo sono, per aver osato ciò che hanno osato… Nessuno è mai riuscito a cambiare il destino, ognuno ha la sua sorte nelle proprie mani, legata alle sue azioni.”
Helen decide di organizzare una seconda spedizione per andare a soccorrere il marito. E’ sicura di aver visto Kusang ed è altrettanto certa che John sia in pericolo.
Il nuovo giorno è sorto anche sul ghiacciaio e John sta parlando con Jack, il ragazzo si è totalmente ripreso.
Jack: “Dottore, che aspetto ha?”
John: “Lo Yeti? Lo vedrà, conferma le mie teorie. E’ robusto, alto circa dieci piedi e cinque pollici e pesa 650 libbre (195 chili), è difficile stabilirne l’età…”
Jack: “No, non le chiedevo questo. Volevo sapere della sua espressione…”
John: “Il suo viso? Beh, non ha niente di scimmiesco, ma anche niente di umano… Sembra esprimere una certa saggezza… nello sguardo ha una luce pietosa, triste…”
John esce dalla tenda per aiutare Tom e Ed a trasportare il corpo dello Yeti in una grotta lì vicino mentre intorno l’aria è percorsa dallo strano, suggestivo lamento. Tornando nella tenda per riprendere Jack, lo scienziato la trova vuota. Jack sta vagando nella neve con un’espressione smarrita finchè non mette un piede in fallo e precipita in un burrone. Tom e John che lo stavano cercando hanno assistito impotenti alla scena, ma devono accorrere di corsa al campo sentendo gli spari del fucile di Ed.
Quando i due raggiungono il cacciatore, questi spiega loro concitatamente che si è messo a sparare all’impazzata perché due di quegli esseri stavano avanzando verso di lui. Ed è sconvolto, è convinto che gli Yeti vogliano lui perché colpevole dell’omicidio di uno di loro. Tom gli propone di fare da esca: stare nella grotta con il fucile in mano e una rete robustissima pronta a cadere davanti all’ingresso. Gli Yeti cercheranno lui o il cadavere del loro compagno. Ed accetta con gioia, desideroso di agire mentre, nello stesso momento Helen, Peter e i portatori tibetani sono giunti all’altezza del primo rifugio e vi si accampano per la notte. Dentro a una tenda, Tom e John, sono in attesa che la trappola scatti. Fuori sta infuriando una bufera di neve.
John: “Senta, forse è un ammonimento. Sono forti, intelligenti. Hanno i sensi più sviluppati dei nostri. Forse è una razza superiore, lontana da tutto, che si è rifugiata in un luogo dove non c’è nessuna possibilità di sopravvivere, che forse preferisce estinguersi in miseria e disperazione. Non le sembra un ammonimento questo?”
Tom: “Quando sarà lanciata la bomba H anche i nostri discendenti, forse, finiranno così…”
Mentre i due stanno discutendo, “qualcosa” cerca di entrare nella grotta. La rete resiste per poco tempo e poi cede. Ed cerca di sparare ma l’arma non funziona, allora urla in preda al terrore più profondo.
Quando i due arrivano alla grotta trovano il cacciatore stroncato da un infarto e John scopre che il caricatore dell’arma di Ed era vuoto per cui accusa Tom, che glielo aveva dato, il quale si giustifica che non voleva “un altro Yeti morto, ma vivo”.
John: “Volevano questo… il corpo del loro compagno… non volevano altro…”
Tom: “Non volevano uccidere?”
John: “No!”
Tom: “Ma l’hanno ucciso!”
John: “Non sono stati loro… E’ stato lei!”
Scavata la tomba per il loro compagno i due rientrano esausti nella grotta.
Tom: “Che cosa pensa?”
John: “A cosa vorranno fare…”
Tom: “Che vorranno fare?”
John: “Lo sanno che abbiamo un fucile…”
Tom: “Perché, quello di Shelley li ha fermati?”
John: “Loro sapevano che non avrebbe sparato.”
Tom: “Sapevano che il fucile non avrebbe sparato? Ma cosa dice! Non esageri Dottore, quelli sono animali, animali pericolosi, altro che storie!”
John: “Jack è morto in un incidente, Shelley è morto di paura… non è da loro che viene il pericolo, è dentro di noi.”
John si alza e si avvicina al gigantesco corpo sulla slitta.
Tom: “Che cosa fa, ora?”
John: “Vorrei sapere quanti anni può avere questo essere. Hanno una vita lunga, certo più lunga della nostra… cento anni… forse più… Questo è il viso di un saggio, non di un selvaggio…”
Tom: “Un saggio?!”
John: “Supponiamo, ad esempio, che non sia una razza che aspetti d’estinguersi, ma aspetti, invece, che si estingua la nostra…”
Tom: “Che l’umanità si estingua?”
John: “Il Lama parlò in proposito. Disse che a noi succederà un’altra razza… ora so cosa intendeva… Siamo noi i selvaggi!”
Tom: “Ma cosa dice? E’ impazzito per caso, Dottore?”
John: “Noi costituiamo per loro un’era oscura, siamo degli illusi. La nostra teoria sull’Homo Sapiens, l’Uomo Pensante, a cosa ci ha portato? All’Homo Vastans, l’Uomo Distruttore. Se il mondo scoprisse gli Yeti li distruggerebbe… perché noi siamo solo capaci di distruggere, questo loro lo hanno capito.”
Tom: “Ad ogni modo ci sono contro!”
John: “Non lo sarebbero se noi tacessimo, se negassimo che esistono.”
Tom: “Ma cosa vogliono, cosa aspettano quassù?”
John: “Un giorno, forse, arriverà il loro tempo…”
I due si apprestano a mangiare quando John sente per radio l’annunciatore della zona che prevede una vasta tempesta di neve, ma la radio e guasta e, in effetti, Tom non ha udito nulla: l’apparecchio è tuttora guasto e lui crede che lo scienziato stia male o abbia delle allucinazioni uditive, ma poi a sua volta crede di sentire la voce di Ed Shelly che lo sta chiamando dall’esterno.
Tom corre fuori sparando come un pazzo, una gigantesca valanga provocata dai colpi della sua pistola lo seppellisce. John, salvatosi a stento, va alla sua ricerca ma non lo trova. Rientra nella grotta e, nella profonda penombra, vede due alte figure che stanno slegando il corpo sulla slitta. Una di queste sagome gli si avvicina e torreggia su di lui, due occhi profondi lo guardano… quindi il buio.
Helen lo trova a poca distanza dal rifugio, qualcosa l’ha attirata fuori: uno strano suono, Lo scienziato è appoggiato a una parete rocciosa, semiassiderato, ma vivo e delle orme gigantesche tutt’intorno ci rivelano che è stato trasportato nel luogo dove la donna lo ha trovato.
Rimessosi del tutto John, prima di partire, ha un breve colloquio con il Lama.
Lama: “Sono addolorato, è stata una prova molto dura per voi. I vostri compagni sono stati vittime di incidenti e, nonostante le loro sofferenze, non avete trovato quello che cercavate.”
John: “Mi sono sbagliato. “
Lama: “Sicuro?”
John: “Cercavo qualcosa che non esiste…”
Lo sguardo penetrante del Lama si posa sullo scienziato.
Lama: “Sicuro, Dottore?”
La risposta di John è ferma.
John: “Sì.”
Il Lama alza lo sguardo soddisfatto. L’uomo ha capito, il segreto è al sicuro.
Lama: “Non esistono… Yeti.”
Val Guest (1911 – 2006), regista di questo film, girerà nello stesso anno I Vampiri dello Spazio, secondo episodio imperniato sulle avventure di Bernard Quatermass e la pellicola avrà un buon successo. E’ un enorme peccato che non si possa dire la stessa cosa di questo film al quale non è stata riservata la stessa sorte. Praticamente sconosciuto è invece un’opera di delicata fattura, ricca di atmosfera e dalla tematica avvincente. Ancora, a tutt’oggi, la miglior opera cinematografica imperniata sullo Yeti. Il film, in realtà girato quasi tutto in interni, tranne qualche scena esterna in mezzo alla neve girata con controfigure, si avvale dell’interpretazione dello scomparso Forrest Tucker e del veterano e futuro interprete, di tante pellicole dell’orrore, Peter Cushing, purtroppo scomparso anche lui, ma che ricorderemo sempre nei suoi due ruoli più famosi: il Barone Victor Frankenstein, creatore del mostro, e il Dottor Van Helsing, cacciatore di vampiri.
Soggetto e sceneggiatura di questo film sono ancora una volta di Nigel Kneale, il padre di Quatermass.
Per quanto riguarda il mostro della situazione esso viene fatto vedere pochissimo, il che, se risulta positivo dal lato tecnico e per il buon ritmo del film, non lo è certamente da parte dello spettatore grossolano. La cosiddetta tecnica dell’intravedere al posto del vedere chiaramente non era usata solamente dai registi che preferivano permeare il film da un’atmosfera inquietante (Val Lewton, fra tutti), ma anche da coloro che esitavano a far vedere il mostro, creatura, o alieno che fosse, in maniera chiara e in piena luce perché così l’oggetto di tanta suspance avrebbe mostrato a tutti la sua insufficiente truccatura o, che so, la cerniera lampo sul costume.
E’ successo più volte (Il Primo uomo nello Spazio, L’Esperimento del Dottor K, Missili sulla Luna, Uomini Coccodrillo, per fare solo qualche esempio): la visione totale e nitida era tutta a discapito della truccatura, mentre si consideri la presenza inquietante e sempre intravista de La Cosa da un altro Mondo o la donna pantera nell’omonimo Il Bacio della Pantera, per fare due ottimi esempi contrari.
Val Guest, saggiamente, s’inserisce nel secondo filone: pur avendo girato molto materiale sullo Yeti tolse quasi tutto, anche su saggio consiglio di Kneale.
(1 – continua)