L’UOMO DELLE NEVI E L’UOMO CHE RIMPICCIOLIVA (1957) – PARTE 02
RADIAZIONI BX: DISTRUZIONE UOMO (The Incredible Shrinking Man)
Radiazioni BX: Distruzione Uomo rappresenta il migliore sforzo realizzativo di Jack Arnold nel campo della fantascienza, sia dal punto di vista spettacolare, sia dal punto di vista qualitativo e questo grazie anche all’apporto di Richard Matheson (1926 – 2013) che ne ha curato la sceneggiatura basandosi sul suo romanzo Tre millimetri al giorno uscito in Italia, per la prima volta, sul numero 227 di “Urania” della Mondadori.
L’unica cosa brutta del film è probabilmente il suo titolo, sia quello inglese: The Incredible Shrinking Man, e cioè L’incredibile uomo che rimpicciolisce, che quello italiano, se possibile ancora più orribile.
Una nebbia di origine misteriosa avvolge Scott Carey (Grant Williams, 1931 – 1985) mentre sta prendendo il sole al largo sul suo motoscafo. Sua moglie Louise (Randy Stuart, 1924 – 1996) che si trovava nel sottoponte, non si accorge nemmeno del fenomeno. Carey si asciuga il corpo cosparso di goccioline luminescenti e non bada più all’accaduto.
Sei mesi dopo Scott scopre, con disappunto, che i suoi abituali vestiti gli sono larghi, si rivolge al dottor Arthur Bramson (William Schallert), il quale non trova nulla di strano in lui anche se Scott gli dice di essere diminuito di cinque centimetri, il medico lo congeda affermando che “l’uomo non diventa più basso”.
Scott torna a casa, ma il suo peso e la sua altezza continuano a diminuire per cui si reca nuovamente dal medico con Louise.
Bramson: “(guardando la lastra) Questa è l’ultima signor Carey.”
Louise: “E’ stata una settimana di emozioni.”
Scott: “Beh, avrà esaurito le lastre…”
Bramson: “Occorrevano due serie di foto fatte in giorni diversi e… dovevo confrontarle prima… di essere sicuro…”
Louise: “Sicuro di cosa, Dottore? Che c’è?”
Scott: “Parlate, Dottore, io ho fatto tutte le supposizioni…”
Bramson: “Diventate più basso… Io… non ci capisco nulla, signor Carey. Non ci sono precedenti medici di quanto vi succede. Posso dirvi solamente che diventate più basso… lo provano con certezza le radiografie.”
Scott Carey viene mandato al più attrezzato Centro di Medicina dal dottor Thomas Silver (Raymond Bailey, 1904 – 1980). La storia, per tutto il film, è raccontata da lui stesso.
“<Cominciò un’interminabile serie di esami. Ho bevuto soluzioni di bario, sono stato dietro lo schermo di un fluoroscopio, mi hanno dato della jodina radioattiva e mi hanno fatto un esame con il contatore Geiger, mi hanno fasciato con elettrodi, prove vitaminiche, prove con proteine, prove agli occhi, prove del sangue, radiografie, radiografie, prove, prove a non finire…finché un giorno, nella terza settimana, ci fu l’ultimo esame: una prova cromatografica su carta…>”
Silver: “Su, non si avvilisca, signor Carey, siamo riusciti a scoprire cosa avete: una graduale perdita di azoto, calcio e fosforo. Questo ci dirà la causa.”
Scott: “Lo spero.”
Silver: “La striscia dovrebbe essere asciutta. Dovrebbero esserci dei fosfolipidi, aminoacidi, colesterolo, creatinina e proteine, sono gli elementi più comuni, in questi casi… ecco, guardate: dall’analisi risulta un’alterazione molecolare e cellulare che è molto grave.”
Scott: “Una specie di cancro?”
Silver: “No, una tossina, direi, che fa rimpicciolire gli organi in proporzione.”
Scott: “E’ per questo che divento più basso?”
Silver: “Credo di sì, signor Carey, e per questo vi ho convocato. Ho qualche domanda da farvi. Per caso vi siete esposti agli spruzzi di qualche germicida, in particolare di un insetticida, una gran quantità di insetticida?”
Scott: “Insetticida?”
Silver: “C’è stato un tempo in cui vi siete stato esposto?”
Scott: “Ti rammenti di quando ti parlai di quell’autocarro?”
Louise: “Sì, circa due mesi fa.”
Scott: “Andavo al mio negozio, per un viale… mentre camminavo giunse l’autocarro che disinfetta gli alberi, credete che sia stato quello?”
Silver: “No, quello fu solo il principio. E’ avvenuto qualcosa a quell’insetticida appena penetrato in voi, qualcosa di incredibile e mai successo, qualcosa che, in poche parole, trasformò l’insetticida in un virulento veleno che fermò, chimicamente, ogni processo di sviluppo in voi. Vi siete esposto a influenze radioattive negli ultimi sei mesi?”
Il ricordo del misterioso episodio della nebbia si insinua nella mente dei due e ne parlano con il medico.
Terminato il colloquio marito e moglie risalgono in macchina. Scott è avvilito, ma sua moglie, indicandogli la fede nuziale, promette di stargli vicino. Mentre Carey avvia la vettura l’anello gli scivola dal dito.
Passano i giorni e Scott rimpicciolisce sempre di più. Ora la sua statura è di poco superiore al metro e, a tutto questo, si aggiunge anche la notizia portata dal fratello di Scott, Charly (Paul Langton, 1913 – 1980), di non essere più in grado di mandare soldi per aiutarli.
Charly dà loro un consiglio: farsi pagare per permettere di scrivere articoli sulla sua condizione ma, orgogliosamente, Scott rifiuta, almeno inizialmente…
“<Ma in realtà che potevo fare? C’eravamo indebitati ed io disoccupato. Non c’era da scegliere, in alcun modo. Fu così che diventai… celebre>.”
Anche i rapporti con Louise diventano sempre più difficili. Scott è estremamente teso, nervoso.
La realizzazione tecnica della pellicola è più che soddisfacente e le sovrapposizioni che permettono al piccolo Carey di stare vicino alle persone cosiddette normali, sono sufficienti. Anche se si nota una leggera sfocatura tipica della scena fotografata due volte, attorno alla figura del protagonista.
Nel frattempo gli scenografi erano sottoposti a un lavoro massacrante per ingrandire sempre di più gli oggetti che lo circondavano permettendogli di sembrare in questo modo sempre più piccolo.
Carey non sopporta più la curiosità morbosa della gente e pensa di potersene andare con Louise, ma…
“<17 Ottobre, altezza un metro e otto, peso 22 chili… Non abbiamo trovato la nuova casa, non ci lasciano in pace, nessun aiuto o cura dal Centro Medico, forse la vita che mi rimane ancora…>”
Scott interrompe il suo diario per rispondere al telefono: è la notizia proveniente dal Centro Medico, che l’antitossina è stata scoperta, avvisa subito la moglie che in quel momento è in cantina dove ha preparato una trappola per i topi e sta tagliando una vecchia fetta di torta forse per farne cibo per altre trappole.
Il preparato viene inoculato immediatamente a Carey (l’esile braccio di Carey che riceve la finta iniezione è in realtà quello di un bambino). Dopo una settimana peso e altezza restano invariati: 20 chili e 90 centimetri.
Scott: “Quanto tempo ci metterò, Dottor Silver, a tornare normale?”
Silver: “…Signor Carey, abbiamo scoperto il processo degenerativo del vostro male: è già una vittoria. In questo attimo la crescita del vostro corpo è ferma come in quella di un adulto. Se tornerete a crescere è un’altra questione… Per aiutarvi affronteremo altri problemi.”
“<Troncai le mie relazioni con tutti, fuorché con mia moglie… Sapevo che allontanavo Louise da me, ma il mio amore, ancor più che la vergogna in cui vivevo, mi spingevano verso di lei… mi sentivo piccolo e assurdo, un minuscolo mostro… E’ facile parlare di anima, di spirito e del valore essenziale, ma non quando si è alti un metro. Io odiavo me stesso, la nostra casa e la mia vita grottesca con Louise, dovevo uscirne, dovevo lasciarla. Per la prima volta dopo la disgrazia, uscii nella notte…>”
Il suo girovagare lo porta nei pressi di un luna park dove fa la conoscenza con una ragazza più bassa di lui che lo comprende e lo consola. Ma un giorno mentre sta parlando con lei (April Kent, 1935 – 1998), si accorge con orrore di essere ora più basso di lei e fugge via sconvolto.
Sono passati altri giorni e ora Scott vive in una casa per bambole e nuovamente con Louise. La donna esce per fare delle compere e, per un attimo, lascia inavvertitamente aperto l’uscio di casa. Di questa distrazione approfitta il loro gatto che assale la casetta di Scott il quale sfugge sanguinante agli artigli del felino e si rifugia dietro la porta della cantina cercando di chiudergliela davanti.
La lotta è ìmpari e la porta cede sotto il peso del gatto scaraventando Scott all’interno della cantina e dentro a uno scatolone pieno di cianfrusaglie. Louise, tornando, vede con orrore che il gatto ha tra le zampe un brandello della camicia di Carey e crede quindi che il marito sia morto. Decide di abbandonare la casa. In cantina, Scott inizia la sua lotta per la sopravvivenza.
“<Non dubitavo che una volta o l’altra, Louise sarebbe venuta, non potevo che sperare in questo… dovevo solo vivere e scovare del cibo per sostenermi>.”
Come una pianura sconfinata il pavimento della cantina gli si erge davanti. Un gigantesco (per Scott) ragno, coabita e divide il territorio di caccia con lui. Per mezzo di un chiodo Scott fa scattare una trappola per topi, ma il formaggio che vi era collocato sopra finisce nella grata dello scarico.
“<Ero finito, agli estremi, sapevo solo che per vivere dovevo mangiare, chissà quando ci sarei riuscito. Ad un tratto, proprio davanti a me, trovai un profondo abisso… (Scott si è arrampicato su un vecchio mobile il cui ripiano è rotto). Mi sembrò enorme, un vuoto senza fine fra le cime di due montagne, senza la possibilità di un varco, profondo, buio, misterioso e pericoloso. Non era possibile superarlo per quante cose inventassi, per quante risorse avessi. Ogni volta, quando stavo per riuscirci, sapevo che per me sarebbe stata la rovina>”
Aggirando un gigantesco barattolo di vernice Carey passa dalla parte opposta e molto ben fatte sono le scene in cui il protagonista vaga tra gli oggetti enormemente ingranditi: il barattolo sporco di vernice, un pezzo di legno, il chiodo dal quale ottiene un’arma…
“<Decisi allora che come l’uomo era padrone del mondo con il sole, io sarei stato il signore del mio mondo di tenebre…>”
Il ragno si avventa su Carey il quale, per sfuggirgli, si rifugia dentro una scatola di fiammiferi.
“<Nella caccia per il cibo fu data la caccia a me. Questa volta sopravvissi, ma non ero più solo nel mio universo… avevo un nemico, il più terribile che occhio umano avesse mai veduto…>”
Il mattino trova Carey addormentato dentro la scatola di fiammiferi sulla quale, dall’alto, cadono gigantesche gocce dalla caldaia. Scott usa una di esse per bere e lavarsi. Sono state realizzate riempendo d’acqua dei profilattici: un ricordo giovanile di Arnold che ha lasciato di stucco i responsabili dell’Ufficio Spese della produzione ai quali, scherzando, Arnold aveva spiegato che erano serviti per un’orgia di fine film… La caldaia si rompe e fiumi d’acqua investono il protagonista proprio mentre Louise e Charly scendono in cantina. I due non lo vedono, sbloccano lo scarico intasato da stracci e se ne vanno per sempre dalla casa. Travolto dalla corrente, aggrappato a una matita, Scott sviene. Il suo risveglio è ancora più doloroso perché adesso è veramente solo.
“<Avevo ancora qualche arma. Con dei pezzi di metallo ero di nuovo un uomo, non volevo finire come un povero insetto nelle fauci di un enorme ragno. Una strana calma si era impossessata di me. La mia mente era più chiara di quanto fosse mai stata, come se in essa entrasse una luce molto viva. Sentivo che parte del mio malessere era dovuto alla fame, allora mi ricordavo del cibo sullo scaffale, della torta coperta dalla ragnatela. Non riuscivo più a odiare il ragno: era come me, lottava disperatamente per procurarsi da vivere. Se dovevo lottare contro di lui e contendergli il cibo dovevo farlo subito, finché avevo forza, finché ero abbastanza alto da scalare il muro. Non era la volontà che mi spingeva su, ma i riflessi istintivi in me come nel ragno. Le gambe mi tremavano, non di paura, ma per la debolezza. Eppure sentivo dentro di me una nuova forza… gigantesca… che mi spingeva a una ferocia selvaggia. Il mio nemico sembrava immortale… era più che un ragno: ispirava un orrore sconosciuto e tutte le paure miste a un indefinito terrore ma, comunque fosse andata, avevo un cervello umano e la mia intelligenza era quella di un uomo. Mi venne un’idea: le forbici erano troppo pesanti per me come arma, ma potevano servirmi ad altro: potevo tentare di infilzare il mostro con il mio gancio, legare lo spago alle forbici e poi farle cadere fuori dal ciglio… A tutti i costi dovevo tentare… sapevo che prima o poi sarebbe calato dalla sua ragnatela e piombato su di me: uno di noi doveva morire…>”
Dopo aver scosso più volte la ragnatela Scott vede il gigantesco aracnide scendere e dirigersi verso di lui. Scaglia l’arpione che aggancia il ragno, con fatica fa cadere le forbici, ma il filo si impiglia in un’asperità del muro e si trancia. Il ragno è sopra di lui. Prima che emetta la sua bava, Scott lo trafigge dal basso con il suo spillo, il sangue scivola dal ventre del mostro sull’arma ancora brandita con rabbia e determinazione da Carey che nemmeno sente il caldo liquido viscoso che gli finisce addosso. Il mostro muore… faticosamente Scott si rialza…
<“Era il premio della mia vittoria, mi avvicinai (al cibo) ebbro di gioia: avevo vinto, vivevo… ma appena toccai le secche, ammuffite briciole del cibo, fu come se il mio corpo non esistesse più. Era sparita la fame, sparito il terrore di rimpicciolire… avvertivo di nuovo il senso dell’istinto, di ogni movimento… il pensiero s’intonava con la forza dell’azione…>”
Scott, sfinito, sviene. Quando riprende i sensi è notte e i raggi della luna piena illuminano la grata dell’unica finestra, adesso molto più grande di lui. Gli stracci che indossava sono diventati più grandi, ancora una volta è rimpicciolito. S’inerpica faticosamente verso la finestra…
<“Ma sarei ancora rimpicciolito? Fino a diventare… cosa? Un infinitesimale? Cos’ero io? Ancora un essere umano? O forse ero… l’uomo del futuro?…>”
Attraverso i fori della grata Scott scivola all’esterno e guarda il cielo stellato.
“<Se ci fossero state altre irradiazioni, altre nuvole attraverso mari, continenti, mi avrebbero seguito altri nel mio nuovo mondo? Sono così vicini l’infinitesimale l’infinito… Ma ad un tratto capii che erano due termini di un medesimo concetto: lo spazio più piccolo e lo spazio più vasto nella mia mente erano i punti d’unione di un immenso cerchio. Guardai in alto come per cercare di aggrapparmi al cielo… L’universo: mondi da non finir mai… L’arazzo argenteo di Dio sul cielo notturno… e, in quel momento, trovai la soluzione dell’enigma dell’infinito. Avevo sempre pensato nei limiti della mente umana… avevo ragionato sulla natura: l’esistenza ha principio e fine nel pensiero umano, non nella natura… Sciogliersi… diventare il nulla… Le mie paure svanivano e veniva a sostituirle l’accettazione… La vasta maestà del Creato doveva avere un significato, un significato che “io” dovevo darle. Sì, più piccolo del piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla… Io esisto ancora.>”
Durante questa carrellata cinematografica abbiamo già avuto modo d’incontrare un soggetto, sotto certi versi, analogo e precisamente nel 1939 con Il Dottor Cyclops di E.B. Schoedsack, ma, a parte la minore difficoltà tecnica offerta dal fatto che i protagonisti diventano sì piccoli, ma in una volta sola e non gradatamente, mancava totalmente in esso quell’atmosfera inquietante, quel senso dell’ignoto che Jack Arnold (1916 – 1992) sapeva dare con tanta maestria alle sue opere.
La collaborazione con William Alland (1916 – 1997) è ormai terminata e Arnold realizza il film per Albert Zugsmith (1910 – 1993), il quale non gli intralcia il lavoro né chiede di modificare la già sofisticata sceneggiatura, forse troppo per l’epoca, di Richard Matheson, un autore, in altri casi, i cui soggetti saranno sempre massacrati (L’ultimo uomo sulla Terra, 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra e Dopo la vita) e solo più avanti (Duel, Ovunque nel tempo) le sue storie saranno portate sullo schermo come lui le voleva. Matheson, peraltro, si è dichiarato più che soddisfatto di come Arnold aveva realizzato il film.
Dal punto di vista tecnico vogliamo segnalare che, come in Tarantola, il ragno era autentico e veniva guidato sulla scena da dei getti d’aria, il sincronismo del montaggio dei fotogrammi del ragno con il piccolo Grant Williams sono pressochè perfetti. L’attore sta per interpretare La meteora infernale su soggetto di Jack Arnold e per la regia di John Sherwood di cui stiamo per parlare. Le scene sono state girate nei teatri di posa dell’Universal dove, in pratica, è stata ricostruita una cantina con gli orrori di tutte le normali cantine di questo mondo.
(2 – continua)