L’UOMO DELLE NEVI E L’UOMO CHE RIMPICCIOLIVA (1957) – PARTE 04
Uno dei temi più cari del cinema di fantascienza è sempre stato quello del gigantismo. Esseri mostruosi, generalmente insetti, provenienti dalla preistoria che restano per secoli, per millenni in un profondo letargo dormendo il sonno del giusto e che un evento naturale, terremoto in genere, o esplosione atomica come evento provocato, risvegliano per seminare il panico e il terrore tra le moderne genti.
Poi ci sono i comuni animali nostrani, dalle formiche ai conigli o dai ragni ai pidocchi i quali, per effetto di malsani esperimenti o, più semplicemente a causa dell’inquinamento, assumono proporzioni inusitate e di nuovo sono guai per il nostro povero mondo. In ultimo, appartenenti più che altro alla pura preistoria e sperduti nella solita valle situata in capo al mondo, vivono, per meglio dire sopravvivono, esemplari di specie altrimenti scomparse.
Al primo genere appartengono pellicole come questo Lo Scorpione Nero del quale stiamo per parlare ma potremmo anche citare Il Risveglio del Dinosauro, Dinosaurus, La Mantide Omicida, Reptilicus, Il Mostro che sfidò il Mondo, La Vendetta del Ragno Nero e lo stesso Godzilla con tutta la sua genia. Non contenti quindi dei pericoli che si possono celare nel sottosuolo, o in mezzo ai ghiacci, o addirittura dentro un lago ecco che lo sragionato uso della bomba atomica, tema molto caro e sentito negli anni ’50, può far diventare gigantesche delle creature che altrimenti sarebbero poco più che un fastidio. E’ il caso delle formiche giganti di Assalto alla Terra o dei ragni voluminosi di Mondo senza Fine o di scorpioni pur ingranditi ma ben più piccoli dello Scorpione Nero de L’Ultima Odissea. Gli esperimenti mal condotti possono ingrandire uno dei ragni più pericolosi facendolo diventare una gigantesca Tarantola o dei topi in Latitudine Zero o Il Cibo degli Dei. Dai fenomeni di gigantismo non si salvano neppure gli esseri umani che, se investiti da radiazioni, diventano I Giganti Invadono la Terra o, se sottoposti a esperimenti diabolici, possono mutarsi in bestie in L’Isola del Dottor Moreau o, in maniera molto più divertente, dei baby giganti come capita in Tesoro, mi si è allargato il Ragazzino. Nella valle perduta, su un acrocoro od isola che sia, viveva felice King Kong, almeno fino a che la cosiddetta civiltà non venne a rompergli le scatole.
Abitano tuttora invece tranquilli, in un acrocoro dell’Amazzonia i dinosauri delle varie versioni di Un Mondo Perduto o, nella giungla più profonda, quelli di Baby, il Segreto della Leggenda Perduta. Sopravvivono al tempo e, anche se non ci fossero più, provvediamo noi a crearli e a creare così, per il nostro divertimento, un Jurassic Park per ora in quattro puntate. Questi esseri non provenienti dalla preistoria, nati da esperimenti, o causati dall’inquinamento in realtà non potrebbero neppure camminare ma morirebbero schiacciati dal loro stesso peso, per cui occupiamoci intanto di queste creature ideate e fatte vivere da Willis O’Brien (1886 – 1962), il creatore di King Kong e maestro di Ray Harryhausen (1920 – 2013) che proprio con lui debuttò nel film Il Re dell’Africa. Il film, a basso budget come altri mai, deve intendersi come una coproduzione con il Messico dove è stata girata la storia e dove sono stati reclutati tutti gli attori, tranne i due protagonisti e cioè Richard Denning (1914 – 1998) e Mara Corday.
Il film si apre con il solito materiale da repertorio questa volta proveniente da eruzioni vulcaniche, colate di lava e case che crollano sotto le forze della natura.
“Per secoli le preghiere sono state l’unica protezione dei contadini messicani contro le furie devastatrici che hanno sconvolto le loro case e distrutto le loro vite. E anche oggi essi s’inchinano in preghiera, terrorizzati e inermi mentre un nuovo vulcano viene creato dalle misteriose e ribelli forze della natura.
La terra si è spaccata migliaia di volte, ettari di terreno sono stati squarciati e inghiottiti, milioni di tonnellate di lava incandescente colano lungo i fianchi del vulcano in un terremoto registrato dai sismografi della capitale come il più violento dei tempi moderni. Per gli abitanti di questo remoto paesello, sorpresi nel cuore della notte, l’aspetto più allarmante del fenomeno è il fatto che la lava si accumula ora per ora con una rapidità senza precedenti, avendo raggiunto altezze eccezionali nel giro di pochi giorni. A ogni metro in più essa sparge il suo inesorabile massacro entro una circonferenza sempre più ampia. Nonostante tutti gli sforzi l’opera di soccorso è grandemente ostacolata dalla pericolosa inacessibilità del terreno.”
LO SCORPIONE NERO (The Black Scorpion)
Una Jeep sta avvicinandosi al nuovo vulcano. In realtà la scena è un modellino di comunque dignitosa fattura. A bordo della Jeep, il cui paesaggio circostante è frutto di una “Front Proiection” , cioè di immagini fisse o in movimento proiettate dietro gli attori, ci sono due geologi, Herry (Hank) Scott (Richard Denning) e Arturo Ramos (Carlos Rivas, 1925 – 2003). I due, dopo un lungo viaggio si permettono una breve sosta per bere un po’ d’acqua. Mentre Arturo è sceso dalla Jeep per rimettere in piedi un lacero cartello stradale, Hank commenta:
Hank: “Uff… Quanto credete che ci manchi, Dottore? Siamo da tre giorni in questa bagnarola e quel vulcano sembra più lontano che mai!”
Arturo: “Nessuno vi ha obbligato a fare il geologo.”
Hank: “Sì, ma c’è un limite a tutto.”
Arturo: “(leggendo il cartello) San Lorenzo dodici chilometri… Se ci fosse un altro villaggio nel giro di cento chilometri un cartello simile confonderebbe le idee…”
Hank: “Qualcun altro deve essere passato da qui recentemente.”
Arturo: “Sì, qualche camionetta della Polizia.”
Hank: “Non ve la prendete a male, Dottore, io adoro il vostro paese, ma da queste parti gradirei tanto un po’ di compagnia.”
Arturo: “Levatemi una curiosità, Hank, come avete ottenuto così facilmente il permesso dal Ministero?
Dopotutto la burocrazia ha la sua forza.”
Hank: “Semplice, ho detto la verità, cioè che vi occorrevo come interprete.”
Arturo: “(ridendo) Non lo metto in dubbio! Ma credo che le vostre arti migliori le abbiate adoperate con l’impiegata che vi ha preparato tutti i documenti.”
Hank: “Oh, con lei non ho usato lo spagnolo. Ho parlato a gesti.”
I due ripartono e, mentre cala la sera, incontrano un camioncino con due operai del telefono che stanno cercando di ripristinare la linea.
Hank e Arturo chiedono loro la strada per San Lorenzo e se la stessa é praticabile, ma i due possono solo rispondere di aver visto una macchina della polizia dirigersi verso il paese e non tornare indietro. I due geologi ripartono.
Uno strano suono li fa fermare. Scendono dalla Jeep e si guardano intorno preoccupati.
Hank: “Cosa diavolo era?”
Arturo: “Ah, non lo so.”
Hank: “Di solito io adoro le notti di luna ma questa qui non vedo l’ora che passi. Sembra una fattoria laggiù, può darsi che abbiano dell’acqua.”
Arturo: “Speriamo. Vorrei risparmiare quelle due ultime bottiglie di birra.”
Rimettono in moto la Jeep con il cofano ormai fumante e arrivano lentamente alla fattoria. Tutto sembra deserto e anche semidistrutto. Vicino a loro c’è la macchina della polizia con il cofano sventrato.
Arturo: “Che ve ne sembra?”
Hank: “Dev’essere la macchina che hanno visto passare quei telefonisti, però non ho la minima idea di cosa possa essere successo. Come si può essere ridotta così? Che abbiano tentato di arrivare a piedi a San Lorenzo?”
Dalla radio della macchina esce improvvisamente una voce.
Comando: “Cinque, uno, uno… Chiamo cinque, uno, uno, mi sentite? Sergente Vega, mi sentite? Qui è il Comando che parla… Cinque, uno, uno…”
Hank si siede in macchina e prende il microfono.
Hank: “Pronto, pronto, mi sentite?”
Comando: “Cinque, uno, uno. Vi sento Sergente Vega, dove vi trovate? Sergente Vega?”
Hank porge il microfono ad Arturo.
Hank: “Parlate voi. Voi siete il capo della spedizione.”
Arturo: “Pronto…”
Comando: “Parlate, passo.”
Arturo: “Sono Arturo Ramos, professore di geologia all’Università. Io e il mio collega abbiamo trovato questa macchina. C’è stato un incidente. Ritengo di essere a pochi chilometri a sud del villaggio di San Lorenzo…”
Comando: “Dov’è il Sergente Vega?”
Arturo: “Qui non c’è, non c’è nessuno. La macchina è sfasciata ma non ci sono tracce di sangue.”
Comando: “L’avete trovata fuori strada?”
Arturo: “No, anzi… Ma il Sergente non ha fatto rapporto dell’accaduto? La radio funziona.”
Comando: “Non sappiamo niente. Grazie, Professore, lasciate la macchina così come sta. Manderemo immediatamente a San Lorenzo una pattuglia militare di soccorso.”
Arturo: “Va bene.”
Hank: “E’ proprio inutile rimanere qui.”
Un rumore di sonagli li blocca. Hank estrae la pistola e, seguito da Arturo, entra nella casa semidistrutta. Una pentola sta ancora bollendo sul fuoco e, dietro una tenda, i due scoprono la causa del rumore: un neonato che sta giocando con un sonaglino. Hank lo prende in braccio.
Hank: “Cosa può aver fracassato la casa e la macchina della polizia?”
Arturo: “Potrebbe essere stato un toro.”
Hank: “Ma doveva essere il bisnonno del più grosso toro che sia mai esistito.”
I due escono dalla casa.
Arturo: “Hank?”
Hank: “Uh?”
Arturo: “Avete visto che la pentola fumava ancora in cucina?”
Hank: “Sì.”
Arturo: “Quindi?”
Hank: “Quando ho già tanti problemi di cui non trovo la soluzione preferisco ignorare gli altri.”
Il geologo si siede tenendo sempre in braccio il neonato, di nuovo quello strano suono, quasi un ruggito, si alza nella notte. Qualcosa attira la sua attenzione. Si alza, deposita il bambino sul sedile e, seguito da Arturo, si avvicina a delle frasche, le tocca ed esse cadono a terra rivelando dei gradini e un portico. Appoggiato a un angolo del muro, gli occhi sbarrati e la pistola in pugno, c’è quello che una volta doveva essere il Sergente Vega. Hank gli si avvicina lentamente e gli toglie la pistola dalle dita irrigidite, il cadavere rotola sugli scalini. Hank esamina la pistola.
Hank: “Ha sparato tutti i colpi.”
I due avvisano il Comando via radio poi ripartono arrivando a San Lorenzo poco tempo dopo. Mentre stanno cercando il sindaco, un prete, Padre Delgado (Pedro Galvan), va loro incontro e i due gli consegnano il bambino che il religioso riconosce subito come Manuel Tibursio. Il piccolo viene affidato a una donna, Perla, la quale è convinta che una creatura mostruosa si aggiri nei dintorni. Padre Delgado invita nella sua casa i due scienziati offrendo loro il cibo e un posto per dormire. L’argomento di conversazione, terminata la cena, è naturalmente, la morte del Sergente Vega.
Hank: “…La macchina era fracassata come se fosse stata di carta. Poi abbiamo trovato il Sergente…”
Delgado: “…Con uno sguardo di terrore come è difficile concepire.”
Hank: “E’ già successo altre volte?”
Delgado: “La prima Domenica dopo l’eruzione molti dei miei fedeli non vennero in Chiesa… Questo era comprensibile dato che gli spostamenti potevano essere difficoltosi. Poi la famiglia Tibursio scomparve. La loro fattoria, come avete visto, sembrava devastata da un cataclisma.”
Qui il fatto non è molto chiaro. Dalle parole di Padre Delgado sembra che la scomparsa dei genitori del piccolo Manuel sia accaduta qualche giorno prima ma, se così è, per quanto tempo il piccolo sarebbe rimasto solo? Non molto visto che è sopravvissuto e la pentola bolliva e Padre Delgado sapeva che la loro fattoria era stata distrutta. E chi ha visto la casa distrutta non ha visto il piccolo? E’ chiaro che c’è qualcosa che non quadra in ragioni di tempo e di logica… Ma andiamo avanti.
Hank: “Avete trovato i cadaveri?”
Delgado: “Prima di giovedì, no. Da allora una ragazza… attraversava i campi per andare da certi parenti e fu trovata una mattina… Orribile! Anche i fratelli Dominguez furono trovati in un fosso con quello sguardo terrorizzato e niente sangue…”
Arturo: ” E’ una magra consolazione Padre, lo ammetto, ma è evidente che dove gli effetti sono così simili ci deve essere una semplice e logica causa.”
Delgado: “Chissà quanto semplice, Dottor Ramos, o quanto logica…”
Hank: “Cos’è questa storia del toro malefico che si racconta come una strana superstizione?”
Delgado: “Il toro malefico è il simbolo del male fra molte delle antiche civiltà. Un paio di giorni fa tutti i braccianti della fattoria Miraflores, una vasta tenuta sull’altro versante delle colline, hanno deciso di abbandonare il lavoro e di venire qui a San Lorenzo. Questi uomini, che di solito sono molto coraggiosi, si sono rifiutati di lavorare un’ora sola di più e hanno raccontato questa storia del toro malefico.”
Arturo: “Anche questa fattoria è stata attaccata?”
Delgado: “Capi di bestiame sono stati trovati morti qua e là. Non erano stati radunati quest’anno e per tutti i pascoli i mandriani s’imbattevano spesso in bestie morte. Uno degli uomini ne ha dato la colpa al toro malefico di Maricopa. Signori miei, io non credo a queste fantasie ma è una spiegazione come un’altra.”
Hank: “Io mi auguro che le nostre ricerche qui possano essere d’aiuto.”
Delgado: “Anch’io. Ma non si può cominciare subito. Siete sfiniti per il lungo viaggio quindi, datemi retta, questa notte restate qui. Può darsi che domani le cose non sembrino tanto misteriose.”
Hank: “Lo spero ardentemente.”
Delgado: “Qui siamo isolati, quasi tagliati fuori dalla civiltà, con le famiglie e gli amici perduti per cause assolutamente sconosciute… E’ come se fossimo in un altro mondo…”
I due, dopo aver dato la buonanotte all’ospitale parroco, se ne vanno a dormire. Il mattino successivo una pattuglia di militari e un camion della Croce Rossa sono giunti in paese. Hank e Artur stanno risalendo sulla loro Jeep e si accingono a salutare Padre Delgado quando il comandante del gruppo di soldati, il Maggiore Cosio (Arturo Martinez, 1919 – 1992), li raggiunge.
Cosio: “Dottor Ramos, Dottor Scott, vi chiedo ancora una volta di non intraprendere questa inutile spedizione.”
Hank: “Maggiore Cosio, abbiamo risposto a tutte le vostre domande e non vedo come potremmo esservi ancora utili…”
Cosio: “Non vi chiedo di rimanere per aiutarmi, ma se voi andate ad esplorare quel cratere, e venite a trovarvi in serie difficoltà, le persone che mi sono tanto necessarie qui dovranno venire a cercare voi!”
Hank: “Mi dispiace…”
Delgado: “Per questo mi auguro che torniate prima del tramonto con tutte le risposte alle vostre domande e alle mie.”
I due avviano la Jeep e si portano a ridosso del cratere.
Hank: “Ah, ora ci siamo… Che ne dite, Dottore? Sarà meglio provare da quella parte o da questa? Nessuna delle due assomiglia a una autostrada americana…”
Arturo: “E’ noto che le fessure principali sono sui versanti orientali. Si può vedere la lava, lassù. Avviciniamoci per prendere delle fotografie e studiare il percorso migliore.”
Hank sta guardando con il binocolo un cavaliere in groppa a un cavallo bianco. Con una facoltà d’ingrandimento subitanea e una capacità di primi piani, fantascientifica per un binocolo, il geologo scopre che il cavaliere è in realtà una bella cavallerizza e porge l’avveniristico strumento ad Arturo affinché guardi anche lui la scena. Nel frattempo però la ragazza cade e Ramos dice ad Hank di vedere solo un bel puledro bianco. Hank si rende conto dell’accaduto e dirige rapidamente la Jeep sotto il costone dove aveva visto la ragazza. I due la trovano immediatamente e, malgrado la caduta, è in perfette condizioni.
Si chiama Teresa Alvarez (Mara Corday) proprietaria della fattoria Miraflores. Mentre la ragazza si rimette un po’ in sesto ed Hank si mette a fare il galante e, mentre la ragazza si rinfresca il viso con un po’ d’acqua, Arturo va a recuperare la sua sella sul costone scorgendo lì vicino una pietra nera e piatta d’interessante fattura. La carica sulla sella e porta il tutto alla Jeep. Le abluzioni di Teresa, intanto, sono finite e i due vedono arrivare Arturo.
Teresa: “Grazie, Dottore.”
Arturo: “Sono io a ringraziarvi. L’ho trovata vicino alla sella.”
Porge la pietra ad Hank.
Teresa: “E’ così importante?”
Hank: “Direi di sì, è ossidiana, lava vitrea raffreddata.”
Teresa: “Ah, io non ne capisco niente… Di bestiame sì, ma di pietre…”
La ragazza chiede un passaggio ai due geologi ed Hank è ben lieto di accontentarla. La sua meta è San Lorenzo, dove cercherà di convincere i mandriani a tornare al lavoro. Quando i tre arrivano in paese, Teresa è riuscita a convincere i due (non ha fatto molta fatica, a dire la verità) a usare la sua fattoria come base e di accettare quindi la sua ospitalità. Mentre la ragazza riesce a convincere gli uomini a tornare al lavoro, Hank e Arturo stanno per entrare in Chiesa a cercare Padre Delgado quando un militare, per ordine del Maggiore Cosio, li invita a raggiungere il Dottor Josè de la Cruz (Pascual Pena) per conoscere le ultime novità. In un laboratorio abbastanza attrezzato per essere quello di un paese sperduto, de la Cruz dà loro le ultime notizie. Su un tavolo, fuori inquadratura, c’è un cadavere.
Arturo: “Dottore, quello non è il poliziotto?”
Cruz: “Sì, il Sergente Vega. In vita ha fatto il suo dovere e forse può ancora renderci un grande servigio, ora. Prego…”
Il Dottore fa esaminare ai due un vetrino al microscopio. Hank osserva il rapido movimento delle cellule e dimostra una conoscenza di biologia al di là delle normali nozioni che un geologo dovrebbe avere.
Hank: “Cellule subitanee che sembrano schizzate o scoppiate via.”
Cruz: “E’ esattamente la mia analisi, Dottor Scott, non a causa di un veleno identificabile con queste attrezzature. Lopez! Ho ancora bisogno di voi (de la Cruz consegna a Lopez quattro provette). Qui dentro mettete alcool puro, qui acqua distillata, qui dentro Tequila e in questa acqua con un po’ di sale.”
Mentre Lopez esce per eseguire gli ordini Hank domanda:
Hank: “Quindi credete che sia un veleno?”
Cruz: “Ah, certo.”
Arturo: “Ma non un veleno chimico.”
Cruz: “No, sono indotto a credere, per varie ragioni, che sia un veleno organico. Ho fatto una notevole pratica con i veleni dei serpenti, delle vespe e dei ragni. Preparerò subito i vetrini e i campioni e li porterò ad una persona a Mexico City che non può sbagliare.”
Aruro: “Velazco?”
Cruz: “Conoscete Velazco?”
Hank: “E chi non lo conosce?”
Cruz: “Se, come ritengo, è un veleno organico, un prodotto della natura, Velazco lo riconoscerà senz’altro.”
Hank: “Quali sono le ragioni cui avete accennato?”
Cruz: “Beh, c’è soltanto una ferita, qui (indica la propria nuca). E niente sangue, poi la situazione dei tessuti, gli strani batteri… batteri, credo, trovati nei campioni di terra vicino alle impronte…”
Arturo: “Alle impronte?
Hank: “Che cosa?”
Cruz: “E vi sorprende?! Ah! Dove qualcosa distrugge i villaggi, rovina piantagioni, sarebbe sorprendente se non vi fossero impronte.”
Arturo: “Mai visto il calco di un’impronta così grande.”
Cruz: “Comunque sia, amici miei, io credo che nessun essere vivente abbia visto un piede, una zampa di queste dimensioni tranne quei disgraziati che ne avrebbero fatto volentieri a meno.”
Hank: “Una domanda, Dottore.”
Cruz: “Spero di saper rispondere.”
Hank: “L’alcool, l’acqua distillata, la soluzione salina, li capisco perfettamente… ma la Tequila a che serve?”
Cruz: “Beh… nel nostro paese sarebbe come dire… vado al caffè un momento…”
La battuta di de la Cruz è accolta da una risata. Poco dopo i due, con Teresa, vanno alla fattoria e la ragazza li fa accomodare incaricando la vecchia domestica, Florentina (Fanny Schiller, 1897 – 1971)) e suo nipote, Juanito (Mario Navarro), di accompagnarli nelle loro camere. Intanto gli uomini di Teresa stanno radunando un bestiame estremamente agitato e nervoso.
La sera, dopo cena, Hank cerca nuovamente di corteggiare la ragazza, ma è interrotto da Arturo che lo chiama dal tavolo del biliardo.
Il geologo ha in mano la pietra.
Arturo: “L’ho notato fin da ieri sera al villaggio. Provate ad esaminarla controluce.”
Hank: “E’ fantastico, Dottore!”
Teresa: “C’è uno scorpione rinchiuso là dentro!”
Arturo: “Certo, vecchio di qualche centinaio di anni, ma è così. Ho voluto mostrarvelo prima di romperlo.”
Se la pietra fosse dotata di una cerniera lampo non si sarebbe aperta così facilmente come vi riesce Arturo con due colpettini di martello: apertasi esattamente nel mezzo, come una scatola, libera l’insetto che comincia a sgambettare agilmente.
Teresa: “Ma è vivo! E’ impossibile! (Siamo d’accordo) Juanito, porta un vaso!”
Arturo: “E’ incredibile che la vita si sia preservata per secoli in questo modo!”
Hank: “E con tutto quel calore!”
Arturo: “Velazco sarà molto interessato quando lo saprà.”
Juanito porta il contenitore e, con abile mossa, Hank cattura lo scorpione il quale emette un curioso pigolio.
Passato il momento di studio Hank non rinuncia alla sua missione primaria che è quella di circuire Teresa ma mentre sta finalmente ottenendo una passeggiata al chiaro di luna, ecco che il telefono riprende a squillare, segno che la linea è stata ripristinata.
La ragazza risponde e il tecnico le comunica che la linea ora funziona. Appaiono ora, per la prima volta, i protagonisti del film: gli scorpioni giganti. Il lettore attento si sarà accorto come questa storia, nel suo svolgersi, nei suoi personaggi, ricordi molto da vicino quella di Assalto alla Terra. Il mistero sull’identità del nemico, dopo alcuni indizi sparsi in giro, finalmente si rivela. Proseguendo nella storia ci accorgeremo come altri punti siano fin troppo smaccatamente presi dal suo predecessore e come anche i personaggi diventino sempre più assomiglianti a quelli di Them.
Sbavando e urlando, o forse faremmo meglio a dire, ruggendo, un gigantesco mostro si avventa sui tre operai del telefono, afferra uno di loro (e quando questo avviene anche la vittima diventa un pupazzo animato in stop motion così come lo è lo scorpione) per poi andare a prenderne un secondo che si è rifugiato dentro al camion della compagnia telefonica.
Questi cerca di avviare il mezzo che ovviamente non parte (ma quando mai partono in casi come questi?). La gigantesca creatura afferra il camion con le chele e lo scaraventa a Terra. Quindi allunga e afferra con le stesse l’ultimo superstite e cioè quello che, sul palo telefonico, stava parlando con Teresa. La ragazza sente le urla dal ricevitore e lo passa ad Hank perché ascolti anche lui. Dalle frasi sconnesse il geologo capisce le parole “torrente” e “ponte”.
Hank: “Dov’è il ponte sul torrente?”
Teresa: “Venite con me!”
I due si precipitano alla Jeep avvisando anche Arturo dell’accaduto. L’uomo li segue mentre il cane lupo di casa, Pancho, dà segni di nervosismo e fugge via inseguito da Juanito. Mentre stanno per avviare la macchina i tre sentono le urla del ragazzino e tornano sui loro passi. Raggiungono Juanito che si trova, separato solo dal muro di cinta, davanti a uno scorpione gigante.
Preso in mano il fucile dai mandriani Hank e Arturo fanno fuoco contro il mostro mentre Teresa avvisa Florentina di dire a tutti di fuggire e va a chiamare aiuto al telefono. Ma le cose a San Lorenzo non vanno molto meglio. Altre scosse di terremoto si susseguono mentre nel martoriato paese fa il suo ingresso una pattuglia di giganteschi scorpioni. I militari, con il Maggiore Cosio in testa, cercano di fronteggiare i mostri, ma questi, indifferenti alle pallottole, devastano il paese. Alla fattoria Hank, Arturo, Teresa, Florentina e Juanito, salgono sulla Jeep e si allontanano di corsa nel buio.
E’ giorno quando giungono a San Lorenzo, o a quello che ne resta. Mentre Arturo scende dal camion vede arrivare il Dottor Velazco (Carlos Muzquiz, 1906 – 1960) e gli va incontro salutandolo. Lo scienziato istruisce Padre Delgado affinché ordini ai suoi paesani di raccogliere lo stretto indispensabile e abbandonino il paese e poi va nel laboratorio assieme a Teresa, Hank, Arturo e il Maggiore Cosio.
Velazco: “Appena ricevuti i campioni ho identificato il veleno per quello dello scorpione ma non avevo idea delle dimensioni della bestia finché non ho visto questo (il calco) e questo (il contenitore dove, in ammollo e non capiamo il perché di questa crudeltà, si agita lo scorpione preistorico). Questo esemplare trovato dal Dottor Ramos appartiene a una specie ritenuta estinta fin dall’era Triassica. Lo conoscevo allo stato fossile ma mai in vita (e non sappiamo quanta ne avrà ancora se qualcuno non lo tira fuori da quel bagno forzato). Ora è scaturito di nuovo dalle viscere della Terra per tormentare l’umanità.”
Cosio: “Cosa possiamo fare? Gli ho scaricato contro una mitragliatrice!”
Velazco: “Vi prego, Signori, di non perdere la testa nel vero senso della parola. Noi abbiamo alcuni vantaggi contro questi nemici: intanto escono a mangiare solo di notte. Quindi abbiamo le ore del giorno per cercare di trovarli e distruggerli; secondo: vivono in uno stato semi letargico finché non sono eccitati dall’odore del sangue…”
Anche questo discorso ricorda molto quello che il Professor Medford (Edmund Gwenn) fa in Assalto alla Terra, solo che il personaggio era reso in maniera molto più simpatica, grazie anche alla bravura del vecchio caratterista. Proseguendo vedrete che anche il metodo di attacco è molto simile, come la visita alla tana degli scorpioni che ha, praticamente, la stessa procedura di quella fatta al formicaio dai protagonisti di Them.
Cosio: “Vorrei fare una domanda, Dottore.”
Velazco: “Prego.”
Cosio: “Quale arma intendete usare?”
Velazco: “Gas, gas velenoso. Si è rivelato efficace contro le specie normali, speriamo che agisca anche contro lo “Scorpione Da Rex”, altrimenti… Non ci resta che raccomandarci a Dio.”
Mentre fervono i preparativi Teresa si offre di accompagnarli adducendo una perfetta conoscenza della zona. Hank si sta preparando e anche Juanito vorrebbe andare con loro. Naturalmente il geologo rifiuta e tutti quanti, il mattino successivo, partono per la spedizione punitiva. Uno dei mandriani, Mendoza, avvista un’enorme spaccatura, ma il cavallo scarta e fa precipitare il poveraccio. Quando anche gli altri raggiungono il luogo possono vedere (noi no, però) quanto sia grande e profondo il crepaccio.
Hank: “Questo crepaccio è nuovo. Deve essersi aperto durante i terremoti. E’ arrivato il lavoro per noi, Dottore.”
Arturo: “Certo.”
Cosio: “Niente da fare per Mendoza?”
Hank: “(scuotendo la testa) Eeeh…”
Velazco: “Quanto può essere profondo?”
Hank: “Sono disceso in molte caverne ma non si può mai dire finché non si è toccato il fondo.”
Hank prende in mano un sasso e lo getta nella spaccatura. Nessuno lo sente toccare il fondo.
Hank: “L’unico modo di saperlo sarebbe quello di calarci noi. Che ne dite, Dottore?”
Artur: “Va bene.”
Hank: “I gas velenosi saranno efficaci in un crepaccio di queste dimensioni?”
Velazco: “Beh, sarebbe azzardato affermarlo… potrebbero dissiparsi. Maggiore, fate portare qui l’equipaggiamento pesante: carri, gru e il resto.”
Cosio: “Capitano, portate qui la gru e il resto delle attrezzature. Volete che i miei uomini scendano laggiù? (Questa domanda è rivolta a Velazco che annuisce). E’ un suicidio!”
Hank: “Non vi preoccupate, il Dottore e io non andiamo in ascensore da tanto tempo.”
Hank toglie il telone dal rimorchio e vi scopre Juanito che si era nascosto fin dalla partenza. Il geologo lo affida a Teresa mentre i due indossano le tute e i caschi. La ragazza non nasconde la sua preoccupazione e giunge fino al punto di dare un bacio ad Hank il quale la ricambia in modo appassionato. Teresa appare frastornata e l’uomo le dice che parleranno della cosa al suo ritorno. La gru alza la gabbia con i due scienziati a bordo. Con loro portano anche una gabbietta con dentro degli uccellini nel caso sul fondo potessero esservi esalazioni venefiche. Hanno anche due grosse bombole contenente il gas. La discesa inizia ed è realizzata con i due attori davanti a uno schermo e con l’animazione in stop motion con dietro dei fondali dipinti. Dentro la cavità di una parete i due scorgono uno scorpione ed Hank, tramite il telefono, ordina alla gru di fermarsi per poterlo fotografare. Poi la discesa riprende fino a che la gabbia non arriva sul fondo.
Hank: “Abbiamo toccato il fondo. Siamo in una caverna enorme come non ne ho mai viste in vita mia.”
Velazco: “Ci sono tracce di Mendoza?”
Hank: “Finora niente. Ora guarderemo intorno.”
I due aprono il portello della gabbia e si guardano attorno. Cominciano ad allontanarsi mentre, dietro le due bombole che sono rimaste a bordo, sbuca Juanito. Hank ed Arturo hanno intanto avvistato uno strano e gigantesco verme con le chele che ruggisce come un dinosauro e il geologo non perde l’occasione per scattarne una fotografia. Mentre dalla superficie continuano a chiamarli i due si sono inoltrati in un anfratto dove trovano il cappello di Mendoza. Juanito s’inoltra a sua volta nella grotta e Hank e Arturo tornano al telefono mettendosi in contatto con Velazco.
Hank: “Mendoza è morto.” (Vista la profondità della voragine non avevamo dubbi. Se anche gli scorpioni lo hanno trascinato via, hanno indubbiamente portato via un cadavere).
Teresa: “Hank, vi prego, risalite! Hank!”
Hank: “No, vogliamo ancora esplorare la caverna.”
Mentre i due s’inoltrano in altre gallerie ecco arrivare gli scorpioni.
Hank: “Ce ne deve essere un nido!”
Arturo: “Già.”
Arturo spara contro uno dei mostri.
Arturo: “Non si riesce a penetrarlo!”
Hank: “Provate ancora.”
Salgono su delle rocce e da lì provano a colpirli nuovamente. Intanto Juanito sta proseguendo il suo giro turistico mentre gli scorpioni assalgono il verme ed Hank fotografa tutta la scena. Dopo aver ucciso la creatura i mostri si apprestano a pasteggiare quando appare un altro scorpione grande il doppio degli altri. Il gigantesco essere attacca i suoi simili e comincia a ucciderli.
Hank: “Quello deve essere il bisavolo di tutti! Si uccidono colpendosi in un punto debole della gola.”
Antonio: “E’ probabile.”
Juanito continua il suo giro fino a che non capita davanti a una grossa botola che si muove come se qualcuno o qualcosa spingesse da sotto. Il piccolo incosciente la solleva e ne esce un gigantesco ragno che comincia a inseguirlo. Juanito urla terrorizzato chiamando aiuto e i due lo sentono raggiungendolo appena in tempo e ammazzando il ragno a fucilate. Dopo aver preso il ragazzo tornano verso la gabbia giusto in tempo per vedere uno degli scorpioni afferrarla per le chele e distruggerla. Tirando per romperla fa ondeggiare pericolosamente la gru in superficie. Ramos si aggrappa alla fune in risalita e faticosamente riesce a raggiungere l’imboccatura dicendo a Velazco e agli altri di farla ridiscendere immediatamente cosa che tutti fanno appena in tempo per permettere ad Hank e a Juanito di sfuggire miracolosamente alle chele protese di uno dei mostri.
Hank: “Sarà notte fra un’ora e gli scorpioni usciranno di nuovo.”
Velazco: “Non potevate usare il gas?”
Hank: “No. Le bombole sono andate perdute. Ci saranno almeno una cinquantina di quei mostri là dentro.”
Cosio: “Chiudiamo l’imboccatura usando la dinamite.”
Hank: “Non avete idea delle dimensioni di quella caverna. Aspettate di vedere le fotografie. “
Velazco: “Sta bene. Ma speravo anche di recuperare un esemplare.”
Hank: “Non si riuscirebbe a tirarne fuori uno neanche con la gru.”
Velazco: “Maggiore, allora bisogna bloccare l’uscita con un esplosione. Dobbiamo farlo prima di notte.”
Mentre fervono i preparativi per un’operazione che Hank aveva scartato a priori, i due geologi parlano con Velazco.
Hank: “Avete detto che gli scorpioni possono vivere mesi senza cibo.”
Velazco: “Quelli giganteschi no. Mangiano l’equivalente del loro peso ogni pochi giorni.”
Arturo: “Ma potrebbero trovare un’altra via come quelle gallerie sotterranee.”
Velazco: “Questo è l’unico posto in cui sono comparsi. Forse è la loro unica uscita dalla caverna. Maggiore?”
Cosio: “Sì dottore.”
Velazco: “Fate saltare.”
Con la chiusura dell’imboccatura della voragine il nemico sembra essere stato sconfitto ed Hank può finalmente e tranquillamente confessare il suo amore a Teresa e riprendere con Arturo le sue ricerche geologiche.
Quando i due stanno finalmente per iniziare il loro lavoro, Hank riceve una telefonata da Città del Messico: è il Dottor Velazco che sollecita una venuta sua e di Arturo per poter fare una relazione completa dell’accaduto al Direttore della Difesa Civile, Moreno. Hank accetta chiedendo di poter portare anche Teresa sull’aereo che il Professore manderà loro per portarli nella capitale. Deposto il ricevitore Velazco si volta verso il Direttore che gli si avvicina ansioso.
Moreno: “Ha sospettato?”
Velazco: “No, non credo. E’ convinto che il pericolo sia superato.”
Moreno: “Bene, meglio così.”
L’aereo che porta Hank, Arturo e Teresa atterra a Città del Messico. I tre sono ricevuti da un autista, Victor Esteban, che ha l’ordine di condurre Teresa dove le aggrada e di portare subito dopo Hank e Arturo all’Università da Velazco.
Quando i due geologi entrano nella sala viene messo in funzione il registratore. Oltre a Velazco nella stanza c’è principalmente Moreno e due Ufficiali dell’esercito.
Moreno: “Innanzitutto vi ringraziamo per aver rinunciato al vostro lavoro per aiutarci e vi chiediamo scusa se vi abbiamo fatto venire qui con un falso pretesto. Non è un paese limitrofo che ha bisogno d’aiuto ma il nostro Governo.”
Arturo: “Signor Moreno, esiste sempre un pericolo potenziale. Basterebbe un altro terremoto fra qualche anno…”
Velazco: “Non è un pericolo potenziale, Signori, disgraziatamente è fin troppo reale e non fra qualche anno, forse in meno di un mese.”
Hank: “Dottore, sarà meglio che ci diciate tutto dal principio.”
Velazco: “Sì, certamente.”
I Ufficiale: “Sto effettuando rilievi aerofotogrammetrici per conto del Ministero. Recentemente i velivoli hanno fotografato la zona intorno a San Lorenzo.”
Velazco: “Signori, prego, accomodatevi e guardate. Spegnete la luce.”
La prima diapositiva non mostra niente d’interessante ma la seconda, invece, mostra, anche se mal sovrimpresso sulla foto, uno scorpione.
Hank: “No… Così vicini all’abitato!”
Arturo: “E’ uno di quelli!” (da cosa l’ha riconosciuto? Dalla lunghezza della coda, aveva una piastrina di riconoscimento?)
Velazco: “Siete convinto che i nostri timori sono giustificati?”
Hank: “Non per disapprovare, ma il fatto che sia stato trovato uno scorpione morto (Ah, e’ morto? Dalla foto sembrava in perfetta forma. Comunque sia anche questa scena ricorda l’ormai stracitato Assalto alla Terra quando s’inizia la caccia alle due formiche regine superstiti e uno dei maschi morti viene trovato tra i monti) mentre cercava di raggiungere la superficie, non significa necessariamente che non li abbiamo distrutti tutti. Questo scorpione potrebbe essere uno di quelli che…”
I Ufficiale: “Scusate, Dottore. Abbiamo pensato anche noi la stessa cosa. Abbiamo ricontrollato le fotografie il 22, cioè due giorni dopo il terremoto, lo scorpione non c’era, non era lì fino al giorno in cui usaste la dinamite e credeste di aver distrutto gli scorpioni. E’ evidente che almeno uno sopravvisse all’esplosione e riuscì quasi a raggiungere la superficie.”
Togliamo pure il “quasi”: la foto è stata fatta “sulla” superficie e l’immagine dello scorpione vi è stata brutalmente incollata sopra.
Velazco: “Accendete la luce. Quindi, Signori, dobbiamo regolarci come se ce ne fossero altri vivi”
Arturo: “Qual è esattamente la regione fotografata?”
II Ufficiale: “(avvicinandosi a una carta appesa alla parete) A sud ovest del vulcano. In una direzione normale alla spaccatura in cui voi e il Dottor Scott siete discesi. Guardate: qui è la spaccatura, questo è San Lorenzo ed è stato qui, precisamente qui, che la fotografia fu presa.”
Hank: “Io sono tuttora del parere che v’impressionate a torto. Il Dottor Velazco era presente quando facemmo saltare la montagna. Quei mostri non potevano resistere alle tonnellate di roccia.”
II Ufficiale: “Se erano sotto le rocce, no.”
Hank: “Non vi capisco.”
II Ufficiale: “Dalla vostra descrizione e da quanto ci ha detto il Dottor Velazco, è evidente che quella caverna in cui voi due siete discesi fa parte delle grotte “Ciamirco”, un complesso di gallerie che corrono sotto terra a profondità fino ad otto chilometri, molte delle quali si spingono fino ai dintorni di Mexico City. Alcune sono allagate e trasformate in laghi sotterranei.”
Hank: “Sì, lo so.”
II Ufficiale: “Eccole qui. Notate come questo largo crepaccio sia direttamente sopra a questo braccio del sistema. Questa larga sacca qui è esattamente il posto dove avete preso le fotografie. Ora potete osservare che questo punto dove lo scorpione fu fotografato dall’alto fa parte del sistema intercomunicante. Gli scorpioni, perciò devono essersi riparati in uno dei rifugi sotterranei.”
Velazco: “Come voi stesso ritenevate possibile…”
Arturo: “Ehm… Che cos’è quel lungo braccio lì?”
Moreno: “Oh, quella è una caverna che si estende a sud fino a circa trenta miglia da Mexico City. Precisamente sotto la sede ferroviaria. Io mi domando: quanti scorpioni si saranno rifugiati dentro le gallerie? E quando decideranno di venire alla superficie in cerca di cibo?”
Velazco: “Per questo vi abbiamo chiamato. Dopodomani terrete una conferenza a un gruppo di esperti scientifici e militari in modo da poterci attrezzare per qualunque emergenza.”
Moreno: “Che tipo di fucili avete usato? Che pallottole?
Arturo: “Erano pallottole capaci di perforare lamiere d’acciaio di due pollici.”
Moreno: “Ma non hanno fermato gli scorpioni. Dove si colpiscono fra loro?”
Hank: “Alla gola. Hanno una zona qui sotto che non è protetta. E’ il loro tallone d’Achille.”
Velazco: “Quando si combattono fra loro si servono del veleno che iniettano nella gola dell’avversario.”
Moreno: “Si può riprodurre il veleno?”
Velazco: “No. Occorre lo scorpione gigante.”
Hank: “Ci serve qualcosa che riesca a penetrare esattamente nel punto vulnerabile e faccia entrare una sostanza velenosa nel sistema circolatorio… Come ci si possa riuscire, non ne ho idea…”
Velazco: “Siamo tutti nello stesso dilemma ma nella riunione di venerdì certo arriveremo a una soluzione.”
Moreno: “Signori, è inutile che ve lo raccomandi: tutto ciò che abbiamo discusso qui è assolutamente segreto. Questa è una città di quattro milioni di abitanti. Se trapelasse qualche discrezione il panico della popolazione sarebbe più pericoloso degli stessi scorpioni.”
Hank trascorre i due giorni con Teresa, la ragazza deve partire poi per gli Stati Uniti e starà lontana due mesi. Alla fine del secondo giorno mentre la sta per riaccompagnare in albergo, non molto lontano da lì un treno viene assalito da un gruppo di scorpioni in una sequenza che ricorda da vicino quella in cui King Kong si erge minaccioso davanti a un treno e lo fa deragliare. Così capita allo sventurato macchinista che, all’improvviso e nel buio della notte, vede ergersi sui binari la sagoma minacciosa del mostro. I passeggeri superstiti al disastro cercano di fuggire ma sono inseguiti dalle orrende creature che ne fanno scempio. L’odore del sangue eccita il gigante che uccide i suoi simili. Hank e Teresa sentono, tramite la radio della macchina, un angosciante annuncio.
Radiocronista: “Interrompiamo il programma per darvi un comunicato straordinario. L’espresso di Monterey ha deragliato nelle vicinanze di Mexico City. Sembra che il numero delle vittime sia ingente. Testimoni oculari hanno affermato che mostruosi scorpioni hanno invaso la zona del disastro seminando il terrore. Restate in ascolto mentre cerchiamo di raggiungere la zona colpita.”
Poi è la volta di una voce stentorea che esce dagli altoparlanti (non si capisce il perché, era più logico usare un telecronista come sempre avviene in questi casi).
Altoparlante: “Dalle notizie finora giunte dagli ospedali e dalle infermerie di fortuna risulta che molti dei feriti nel disastro sono talmente gravi che ci sono pochissime speranze di salvarli. Tutte le ambulanze, macchine private, autocarri ed altri veicoli sono stati convogliati d’autorità sul luogo della sciagura. Centoventinove persone risultano decedute ed un numero imprecisato di dispersi. I superstiti affermano che un enorme scorpione nero ha attaccato e ucciso gli scorpioni più piccoli e si sta dirigendo verso Mexico City.”
Ovviamente Mexico City non è che Città del Messico. La ragione per la quale è rimasta “americanizzata” nel doppiaggio è solo per opportunità di sincronismo, data la ben diversa lunghezza delle due parole, per il doppiaggio. In altre parole se si traduceva anche Mexico City nel ben più lungo “Città del Messico” il muoversi della bocca degli attori, il tempo necessario per dire la battuta, sarebbe stato diverso e quindi “fuori sinc”, come si usa dire. Intanto Hank e Teresa hanno raggiunto Velazco e gli altri.
Moreno: “Vi cercavamo disperatamente. “
Hank: “Che possiamo fare?”
Velazco: “Potete aiutarci, e subito. Non siamo ancora sicuri di quanti ne siano rimasti ma io ritengo che quello grosso sia l’unico. Il sangue provocato dal disastro ha eccitato quei mostri. Il più grosso ne ha uccisi altri quattro e secondo me potrebbe anche averli uccisi tutti.”
Hank: “Lo scorpione dov’è ora?”
Moreno: “Lo abbiamo perduto fra le colline a pochi chilometri dalla città ma si sta avvicinando nel settore nord occidentale.”
Il telefono accanto alla sua scrivania suona e Velazco viene avvertito che il mostro è stato localizzato. Tutto il gruppo esce di corsa.
Altoparlante: “Attenzione, attenzione. La città è sotto la legge marziale (stessa procedura anche in Them). Tutti gli abitanti del quartiere di Taquai e di Guadalupe abbandonino subito le loro case. Seguite le istruzioni della polizia.”
In mezzo a un via vai generale e a una fuga precipitosa (aiutata anche dal fatto che le immagini sono state accelerate) Hank e gli altri salgono su un auto. Non così per Teresa che l’uomo manda a rifugiarsi in un palazzo.
Altoparlante: “Il mostro non ha ancora raggiunto la città. E’ stato accertato che soltanto un enorme scorpione nero è qui (non basta? E poi uno solo da muovere costa meno che tanti). E’ stata organizzata una linea di difesa intorno alla zona in cui il mostro è stato avvistato. Le autorità hanno preso tutte le possibili misure di protezione ma si raccomanda di adottare ogni precauzione. Proteggete le vostre case dal pericolo del fuoco. Gruppi di cittadini presi dal panico hanno reso più arduo il compito delle autorità minacciando di compromettere la rete di comunicazioni indispensabile per la difesa della città.”
Il Maggiore Casio sta spingendo il mostro, seguendo un piano ben preordinato, verso lo stadio e Moreno ordina a Velazco di contattare il Maggiore Ortega.
Velazco: “Maggiore Ortega, Maggiore Ortega, parla il Dottor Velazco. Trovatevi di fronte allo stadio con l’equipaggiamento speciale.”
Hank: “Avete un’arma nuova?”
Velazco: “Speriamo che sia efficace. Finora è soltanto una preghiera.”
Ora tutti si stanno dirigendo allo stadio mentre, imitando il suo illustre predecessore e cioè il Rhedosauro de Il Risveglio del Dinosauro, lo scorpione semina il panico in città. E’ tutto un fuggi fuggi generale ma sembra, per il resto, che l’animale percorra le strade senza causare danni. Alcuni automobilisti hanno fatto di peggio…
Uno spiegamento di mitragliatrici, cannoni, carri armati e anche un elicottero sta attendendo il mostro per, è il caso di dirlo, la partita finale. La gigantesca creatura viene attirata nella giusta direzione da un camion carico di carne che gli viene messo praticamente sotto il naso. Allo stadio una specie di arpione è l’arma nuova da usare contro il mostro. Al pezzo è il Maggiore Ortega, impacciato come pochi.
Velazco: “Bisogna colpire la gola!”
Ortega: “Speriamo, Dottor Velazco. Però io non ho mai usato un’arma simile in vita mia.”
Velazco: “Attaccato al proiettile c’è un filo di rame e poi un cavo isolato che si collega al gruppo elettrogeno. Dovrebbe dare sessantamila volt.”
Il mostro è in arrivo. La sua sagoma nera appare dalle gradinate. Inizialmente il regista Ernest B.Schoedsack e Merian C.Cooper avevano pensato di far morire il loro King Kong nello Yankee Stadium: il suo posto viene preso ora dal nostro gigante.
Tutti i mezzi aprono il fuoco, ma i proiettili non sortiscono alcun effetto sulla corazza della creatura. I colpi a vuoto esplodono stranamente in aria senza arrecare alcun danno alla struttura dello stadio, il budget era agli sgoccioli…
Ad assistere alla battaglia, intanto, è arrivata anche Teresa.
Il primo colpo del Maggiore Ortega è fuori bersaglio e il soldato recupera il cavo per fare un secondo tentativo. Per un’incredibile e ridicola serie di circostanze la corrente che alimenta l’arpione non viene tolta e Ortega si prende in pieno la scarica destinata alla creatura. Dopo aver opportunamente fatto togliere il contatto Hank recupera l’arpione e prende la mira mentre lo scorpione, dopo vari tentativi andati a vuoto, riesce finalmente a prendere al volo quella fastidiosissima zanzara (leggi elicottero) che gli ronzava sopra le… chele e a scaraventarla al suolo.
Il colpo di Hank non fallisce il bersaglio e la bestia, dopo le opportune contorsioni di routine, muore.
Velazco: “Ora possiamo recuperare il veleno naturale dello “Scorpione Da Rex” (non lo si poteva fare anche dagli altri quattro scorpioni morti? Tutti gli scorpioni possiedono un veleno o forse quello del gigante era d’annata?). Lo analizzeremo e creeremo una semplice protezione contro quei mostri contro qualunque…”
Arturo: “Hank, il Dottore desidera…”
Velazco: “Signori, non bisogna perdere tempo. Vediamoci domani nel mio laboratorio per riassumere i fatti… Hank, Senorita Alvarez, non abbiamo ancora finito…”
Hank: “(allontanandosi con Teresa) Neanche noi…”
La nascita del film non è chiara in quanto voci e pettegolezzi suggeriscono una scopiazzatura derivata dal successo di Them, d’altro canto la produzione affermò che si trattava di un’idea assolutamente originale. Il pettegolezzo è stato originato da una mala interpretazione data dalla visione in anteprima delle scene costruite da Willis O’Brien per gli effetti speciali.
Sulla base di questi effetti speciali fu scritta la sceneggiatura. D’altronde essi furono creati unicamente per impressionare i produttori e il film segue di pari passo la sceneggiatura di Them. Gli scorpioni sono molto credibili e c’è qualcosa veramente di molto sinistro in loro. O’Brien e Peterson sono riusciti a portare sullo schermo delle creature per l’epoca perfette. La meccanizzazione degli scorpioni è stata molto laboriosa e ha impegnato settimane di lavoro. Furono girate delle scene che poi non sono mai state incluse unicamente per testare la resistenza e la resa cinematografica delle creature. Verso la fine della lavorazione del film quando la troupe si spostò a Mexico City, la produzione rimase senza fondi e O’Brien e Peterson dovettero usare svariati matt painting per ricostruire alcune scene importanti in cui il gigantesco scorpione scorrazza per le strade di Mexico City.
Il modello del ragno era stato costruito per essere usato in King Kong ma fu poi eliminato per esigenze di copione e usato in maniera buffa, ma spettacolare in questa pellicola che fu un trionfo per la stop motion.
Inoltre il suono emesso dalla creatura è stato “rubato”, ancora una volta ad Assalto alla Terra.
La regia di Edward Ludwig (1899 – 1992) ha la mano molto più anonima di quella, ben più incisiva, di Gordon (Them) Douglas. Di Ludwig sappiamo inoltre che è nato il 7 ottobre 1899 in Russia ed è giunto negli Stati Uniti da ragazzo, ha seguito gli studi prima in Canada e poi a New York. E’ entrato nel cinema dapprima come attore in film muti, quindi ha fatto lo scenarista e lo sceneggiatore per poi passare alla regia nel 1932. Ha girato prevalentemente film d’azione ed è poi passato alla regia televisiva negli anni ’60. E’ morto a S. Monica, in California, il 20 agosto del 1992. Per quanto riguarda Mara Corday è nata il 3 gennaio del 1932 e il suo vero nome è Marilyn Watts e possiamo anche dire che il suo film più famoso resta Tarantola di Jack Arnold, accanto a John Agar, nel ruolo di Stephanie (Steve) Clayton, ma la ricordiamo anche come Sally Caldwell in Il Mostro dei Cieli di Fred F. Sears. La star del film resta però il creatore di effetti speciali Willis O’Brien, il padre di King Kong, che assieme al suo allievo Ray Harryhausen e con George Pal, furono i precursori dello stop motion o movimento passo uno fotogramma per fotogramma. I personaggi sono inferiori al suo scopiazzato predecessore Assalto alla Terra, tranne forse Richard Denning che non fa rimpiangere James Arness al quale poi era molto somigliante, come simile è il suo personaggio, agente dell’FBI uno e geologo l’altro ma entrambi donnaioli. Anche Arness dà la caccia a una donna per tutto il film: alla figlia del mirmicologo, Patrizia, personaggio forte e di ben altro spessore rispetto all’avvenente ma sfuocata Teresa di Mara Corday. Anche Carlos Ramos esce sconfitto dal confronto con il Ben di James Whitmore, il quale non segue la storia passivamente, ma vi partecipa quasi con aria disincantata riuscendo perfino a sacrificarsi pur di salvare due bambini. L’Arturo di Ramos è il primo che si arrampica sulla corda lasciando a combattere gli scorpioni Hank e Juanito. In ultimo abbiamo l’azzimato Velazco, sempre elegante e inappuntabile, sempre con la mano pronta ad aggiustarsi la giacca, contrapposto all’etereo, distratto, ma preciso personaggio del Professor Medford di Edmund Gwenn. Tutta un’altra classe, insomma.
(4 – continua)