Olive Westwood si era trasferita in Italia dopo aver litigato con ogni membro della sua famiglia. Questa la si potrebbe definire allargata, composta da tre sorelle, da una madre molto ricca risposata e da un padre, molto ricco anche lui, risposato a sua volta. Con quest’ultimo i rapporti non erano tesi come con gli altri parenti stretti, anzi, Olive lo incontrava ogni volta che tornava negli Stati Uniti e insieme si divertivano molto. Si scrivevano spesso: mail, cartoline da posti esotici, spesso anche lettere che, altrettanto spesso, si perdevano. La busta azzurra che Olive aveva dimenticato di aprire però era arrivata velocemente ed era stata abbandonata sul tavolino del salotto, insieme a tante riviste comprate e mai lette. Olive non era una spendacciona, semplicemente non aveva tempo di leggerle e anche quella mattina di novembre, quando le vide, pensò rapidamente che si meritava un’oretta di relax da dedicare a quelle cialtronerie e prese la porta quasi correndo, perché doveva accompagnare la sua classe in gita scolastica.
Olive era una maestra elementare: anche se all’università aveva studiato fisica, aveva deciso che nella sua nuova vita in Italia avrebbe fatto qualcosa di diverso, così aveva iniziato a insegnare inglese in una piccola scuola privata in una cittadina vicino alla sua. Le piaceva molto quel lavoro, la appagava e la faceva stare bene, nonostante tutti i suoi problemi familiari. Quella mattina, mentre scendeva le scale, Olive rabbrividiva. Faceva freddo e la nebbia si stava mangiando la campagna circostante. Si coprì bene la gola e cercò le chiavi della macchina nella borsa, poi, dopo aver scaldato l’auto, partì per la scuola. Come sempre era in ritardo.
Alle sei di sera la ragazza entrò in casa, sfinita. La giornata si era conclusa e ora voleva stare tranquilla, possibilmente nel silenzio più totale. Tolse il cappotto e la sciarpa, si tolse le scarpe e poi accese la televisione, togliendo l’audio. Andò a cercare una birra nel frigo. Si sedette sul divano e rovistò fra le riviste sul tavolino ed ecco che ritrovò la lettera azzurra. Cavolo, l’ho scordata di nuovo pensò fra sé e mentre la stava aprendo sentì il cellulare squillare. Si alzò, lo cercò nella tasca del cappotto, rispose alla chiamata senza controllare chi ci fosse dall’altra parte.
- Ciao Olive.
Era suo padre. Come le sembrava triste!
- Ciao papà, come va?
- Non bene, cara. Benedict è morto.
Olive si sentì mancare, dovette sedersi. Benedict era il marito di suo padre, John McGuyre, importante uomo d’affari, ed era a causa di questa relazione che John e sua moglie si erano lasciati, quando Olive aveva dieci anni. Benedict Argenti era un uomo colto, elegante, con una grande passione per l’arte. Aveva conosciuto Olive per caso, a New York, e lei non ci aveva messo molto a capire perché suo padre avesse preferito quel raffinato signore a quella strega della madre. Aveva cominciato, grazie al patrigno, a rifrequentare il padre ed era questa la ragione per la quale Olive aveva smesso di parlare con le sorelle e con la madre, che non approvavano questa riconciliazione. La signora Westwood, come Olive la chiamava, era arrivata anche a minacciarla che, se avesse portato avanti quella frequentazione, l’avrebbe esclusa dal suo testamento e Olive, inorridita da questa dichiarazione, non ci mise molto a mandare a quel paese la genitrice, sorelle incluse, che parteggiavano per quest’ultima. Benedict e John l’avevano consolata molto in quell’occasione e le avevano consigliato di prendersi dei giorni di riposo, magari di accompagnarli in Italia, dove Benedict aveva delle proprietà. Erano stati dei giorni fantastici, ricordava la ragazza, e i due uomini le avevano detto che non ci sarebbero stati problemi per lei, visto che si era ritrovata di punto in bianco senza un quattrino. Ci sarebbero stati anche nel senso economico della faccenda ma Benedict si sentì di dire a Olive che forse sarebbe stato meglio per lei trovarsi un lavoro, un qualcosa che potesse nobilitare la sua vita. La ragazza non ci aveva mai pensato veramente, veniva da una condizione agiata e i soldi non erano mai stati un problema. Si prese del tempo, poi decise che si sarebbe trasferita in Italia e che lì sarebbe ripartita la sua nuova vita.
- Come, pa’?
- E’ morto. Ti aveva scritto, ti è arrivata la lettera?
Porcaccia, la lettera azzurra!
- Sì papà, solo che me l’ero dimenticata e non l’ho letta. Cavolo, che notizia. Mi sento come se mi fosse franata la terra sotto i piedi. Non so come possa sentirti tu.
Dall’altra parte John non rispondeva, si limitava a singhiozzare. Pensava di aver perso il suo compagno della vita.
- Senti papà, quando è previsto il funerale?
- Oh cara, sto per partire adesso per Piacenza. Sai che la madre di Benedict era di quella città e lei è sepolta lì. Lui voleva stare accanto a lei nel suo riposo eterno, posso contare sulla tua presenza?
- Ma certo papà. Arrivi domani?
- Sì.
- A domani, allora.
La telefonata si concluse così. Quella sera Olive non dormì, dimenticò il televisore acceso senza audio e pensò al patrigno per tutto il tempo. Lesse la lettera e pianse, poi la rilesse di nuovo e si sentì in colpa per non aver chiamato, si sentì indifesa come chiunque perde una persona cara. Se morisse la signora Westwood, sicuramente non mi sentirei così di merda, asserì a se stessa.
Il giorno dopo, benché si sentisse uno schifo, Olive chiamò la scuola, per spiegare che si sarebbe allontanata per qualche tempo, visto l’imprevisto tremendo che le era capitato. Dall’altra parte del filo, la segretaria sembrava abbastanza scocciata perché si sarebbe dovuta muovere per cercare un sostituto all’ultimo momento. Olive era dispiaciuta e nervosa. Sentì nel tono della segretaria la stessa aggressività che spesso aveva sentito nella voce della madre e non ci mise molto a rassegnare le dimissioni.
- In questo momento viene prima la mia famiglia! – urlò nel ricevitore e lo buttò giù con violenza. Eccheccazzo!!! Preparò velocemente la borsa, nascose gli occhi gonfi dietro un paio di occhiali neri e se ne andò dall’appartamento. Piacenza non era distante dal paese in cui abitava, ma il viaggio le sembrò lunghissimo. Tutto era grigio intorno a lei e il freddo non le permetteva di abbandonarsi a tristi riflessioni sulla morte di Benedict. A un tratto inchiodò: sulla strada era comparso un cavallo, si era fermato proprio davanti alla sua auto, facendola spaventare molto. L’animale, nero come la pece, riprese la sua corsa, scomparendo nella nebbia come se niente fosse accaduto. Olive riprese il suo viaggio e nel giro di un’ora era a Piacenza, presso la chiesa di San Sisto. Vide suo padre accanto a una donna, Olive pensò che si trattasse della nipote di Benedict, di cui aveva sentito parlare qualche volta. Si avvicinò e abbracciò il padre, scoppiando in pianto. La donna sorrise tristemente e rimase con loro per tutto il tempo della celebrazione funebre e li accompagnò al cimitero. La situazione era davvero pesante, Olive si sentiva spesso mancare il respiro, cercò lo stesso di essere forte per il padre, che le sembrava davvero provato. Quando tutto terminò e i presenti si allontanarono riprendendo le loro vite, la donna sconosciuta si presentò.
- Mi chiamo Aurora – sussurrò sempre sorridendo tristemente – Benedict era mio zio, oltre che un mio cliente. Sono un notaio e devo provvedere all’esecuzione del suo testamento. E’ difficilissimo per me parlarne in questo momento, volevo molto bene allo zio. Quando mio padre, suo fratello, è mancato, ha provveduto lui alla mia istruzione e mi sembra doveroso rispettare le sue volontà. Sapendo della sua malattia, mi aveva chiesto di informarvi appena seppellito delle sue disposizioni testamentarie, perciò vi aspetterei domani nel mio studio per… – Aurora scoppiò a piangere. Toccò a John consolarla e decise insieme alla figlia di passare il resto della giornata con lei, festeggiando il ricordo di Benedict tutti insieme. Il tempo passò velocemente, tutti risero e piansero insieme, sentendo la presenza del morto più vicina che mai.
Il giorno dopo, alle dieci in punto, Olive e suo padre si trovavano seduti nell’ufficio di Aurora. Lei, ancora un po’ ubriaca dalla sera precedente, stava aprendo il testamento dello zio. Dentro un plico giallo si trovava tutta la ricchezza dell’ultimo rampollo della contessa Adelaide Argenti, la nonna di Aurora. La donna aveva diviso a suo tempo in parti uguali le sue sostanze, ma aveva anche provveduto a diseredare il padre di Aurora quando questi aveva deciso di sposare la figlia di uno dei fattori delle sue aziende agricole, la madre del notaio.
- Allora – incominciò la donna sottoponendo allo sguardo curioso di John e Olive le carte – lo zio ha diviso i suoi beni personali in due parti. Una parte è per te John: si tratta della casa di New York dove abitavate insieme e la galleria d’arte di Harlem, poi l’appartamento di Londra e anche qualche terreno nel Lincolnshire; ad Olive spettano invece le cascine e le pertinenze agricole del comune di Castelverde e un castello… sì, il castello della Pellagra, fra Cremona e Mantova… ricordo di esserci stata, qualche volta da piccola, vedrai, è un posto molto carino.
Ad un tratto, mentre tutti e tre leggevano in silenzio le carte, videro spuntare dal plico un altro documento, autenticato da un altro notaio, tale Gaspare Tanzutti. Lo lessero. Aurora scoppiò in lacrime. Il suo amato zio le aveva lasciato la parte della sua sostanza che sarebbe stata destinata al padre. Il notaio non sapeva di questa carta, che doveva essere stata introdotta nel testamento quando lo zio si era presentato in ufficio l’ultima volta. Benedict aveva dimostrato, anche in questa occasione, la sua generosità. In questo gesto Olive e John videro tutta la sua immensa persona.
Dopo la lettura, i tre decisero di andare a pranzo tutti insieme. Furono ore spensierate, poi ognuno dovette ritornare alle proprie faccende.
- Rimaniamo in contatto, vi prego. Adesso che ho avuto il piacere di incontrarvi, vorrei sentirvi qualche volta, se non è un problema. Voi siete la famiglia di mio zio.
- Ma certo Aurora. Ci sentiremo sicuramente. Quando vorrai venire negli Stati Uniti, sarai la benvenuta.
- Noi ci potremmo vedere più spesso, visto che abitiamo vicine – fece Olive – anzi! Perché appena sei libera non vieni con me al castello? Sono proprio curiosa di vederlo!
Aurora sorrise, annuendo.
- Certo, forse posso già questa domenica… devo controllare la mia agenda! Se il mio ex marito è disponibile a tenere nostro figlio, perché no… facciamo che ci sentiamo?
Strette di mano, abbracci. Il trio si sciolse. Olive chiese a suo padre cosa avrebbe fatto ora e lui rispose, con occhi lucidi, che per qualche tempo avrebbe chiuso la casa di New York.
- Forse me ne vado in Argentina… là fa caldo. Vuoi venire con me? Ah, che sciocco… il tuo lavoro…
- Beh, mi sa che mi sono dimessa, urlando al telefono, l’altro giorno – ridacchiò la ragazza. Dopo un’occhiata severa, i due risero. Passarono quel pomeriggio insieme e, la mattina successiva, ripartirono con la loro quotidianità.
(1 – continua)