L’UOMO DELLE NEVI E L’UOMO CHE RIMPICCIOLIVA (1957) – PARTE 07
William Alland passerà alla storia del cinema di fantascienza come un benemerito del genere, in quanto è grazie a lui se Jack Arnold è riuscito a dirigere i suoi film. E’ grazie ad Alland se pellicole come Destinazione… Terra, Il Mostro della Laguna Nera, Tarantola, Cittadino dello Spazio e altri ancora sono apparsi sugli schermi. Eppure, anche se il fine giustifica i mezzi, mai gloria fu più millantata in quanto ad Alland della fantascienza “non fregava proprio niente”. Lui si era semplicemente accorto che spendendo poco, girando quelle “ignobili porcherie” (non disse porcherie, ma qualcosa di più spinto), poteva guadagnare parecchi soldi in quanto queste pellicole, pur considerate di serie B, rendevano al botteghino
Ma Jack Arnold, conscio del suo passato di regista in attivo, almeno secondo i canoni della Universal, sapeva come prendere Alland in modo da fargli sganciare qualcosa di più del necessario affinché questi film rendessero sì, ma potessero risultare comunque più dignitosi. Il regista si affidava, poi, a sceneggiatori e soggettisti ampiamente provati e di fiducia, quando non era lui stesso a scrivere il soggetto e, in ogni caso, aveva carta bianca per fare i cambiamenti che desiderava e, infine, la sua “mano” non era certamente quella di un regista di serie B. Quindi, quando Arnold salpò per altri lidi, diretto verso una sicura promozione di categoria, Alland non ebbe nessuna intenzione di rinunciare a una così sicura fonte di guadagno e si mise lui a scrivere la storie.
Quando Jack Arnold era già morto, in un’intervista Alland dichiarò che era lui il vero autore dei film del regista perché “Arnold non sapeva neppure da che parte cominciare”. Una dichiarazione giusta o ingiusta che sia, ma quantomeno vigliacca verso colui che non era più in grado di replicare.
Stabilito che William Alland capiva di fantascienza così come un giudice può dar prova di elasticità mentale, il soggetto che ne derivò non ebbe nulla da invidiare, in quanto a scopiazzatura, a quello che fu fatta da Assalto alla Terra di Gordon Douglas, da parte dei soggettisti de Lo Scorpione Nero.
Possiamo quindi immaginarci una scena svoltasi all’epoca dell’inizio della produzione del film. Alland è seduto alla sua scrivania con l’immancabile sigaro e sta pontificando con il regista:
Alland: “Loro hanno fatto un film con delle formiche, c…! E io ci metto una mantide, invece, fa più impressione!”
Regista: “Una sola?”
Alland: “Una! Quante vorrebbe metterne? Costano, sa? Ma ce la metto più grande, molto più grande di quelle stupide formicuzze, così fa più paura!”.
Il regista in questione era Nathan Juran (1907 – 2002), conosciuto anche come Nathan Hertz, non certo all’altezza di un Arnold, ma comunque un mestierante assolutamente dignitoso, almeno fino a che i mezzi a disposizione potevano sostenerlo, ma non possedeva la creatività del suo predecessore.
Nathan Juran aveva la gran dote di sapersi mettere da parte e lasciare che gli effetti speciali parlassero per lui, lo aveva già dimostrato con il film A 30 Milioni di Km dalla Terra dove aveva lasciato che Ray Harryhausen potesse sfogare tutta la sua inventiva; non solo, ma girava di buona voglia tutto quello che sarebbe servito al maestro della stop motion affinché potesse esprimersi al meglio.
Avrà modo di dimostrarlo ancora, sempre con Harryhausen, con Il Settimo viaggio di Simbad, ma, soprattutto con la sua prova migliore che è ancora di là a venire. E’ solo nel 1964, infatti che, sostenuto dai sorprendenti effetti speciali dovuti sempre alla mano più che mai felice di Ray Harryhausen, da un interessante soggetto di Herbert George Wells, sceneggiato in maniera frizzante da Nigel (Quatermass) Kneale, e da una interpretazione, specialmente da parte di Lionel Jeffries, assolutamente eccezionale, che Nathan Juran girerà la sua opera migliore: Base Luna chiama Terra (First man on the Moon).
Ma, per ora, il regista deve accontentarsi di un produttore borioso che mischiando un briciolo di Tarantola, un pizzico de Il Risveglio del Dinosauro con sette etti di Assalto alla Terra, il tutto condito e farcito da spezzoni e documentari per risparmiare denaro e allungare la durata del film, gli fa girare questa Mantide Omicida, più che decoroso, in effetti, ma non certo all’altezza dei suoi predecessori.
Abbiamo parlato di spezzoni e documentari che allungavano la pellicola e ve ne diamo subito una dimostrazione. Il film si apre con una carta mondiale dove è inquadrato un punto dell’Antartico nel quale si sta verificando un’eruzione vulcanica, quindi una stentorea voce fuori campo esclama:
“A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.”
Subito la macchina da presa si sposta verso il Polo Nord per mostrarci un bel filmato di iceberg che si sfaldano, quindi ti inquadra una mantide sotto ghiaccio il quale comincia a sciogliersi fregandosene altamente se ciò sia dovuto alla legge di fisica newtoniana annunciata prima. Scorrono i titoli.
LA MANTIDE OMICIDA (The Deadly Mantis)
Inizia ora l’orgia dei filmati mentre la solita stentorea voce fuori campo ci erudisce e ci accompagna in quello che sembra un documentario di propaganda bellica.
“Il radar ha il compito di proteggerci dagli attacchi. Stazioni radar sono installate sui monti, nei deserti, nel cuore di intricate foreste, in migliaia di luoghi deserti e isolati.
Sui due oceani volano aerei provvisti di radar, nei due oceani isole radar artificiali salvaguardano i nostri fianchi… e ci sono navi che pattugliano le coste e quelle che sorvegliano le immense distese d’acqua. Un’altra difesa radar che si estende per tutta la lunghezza dell’indifeso confine tra Stati Uniti e Canada è la fascia radar detta “del Pino”. A nord di questa un’ulteriore rete di occhi elettronici forma la fascia radar del Canada Centrale. Più a nord ancora, in prossimità del Polo, una fascia radar di emergenza distante, nota come “la Linea Fred”, è pronta a trasmettere il primo allarme di un attacco improvviso attraverso le regioni polari. Per costruire questa linea fu riunita un’armata navale destinata alla più grande e segreta operazione dopo l’invasione della Normandia. Aprendosi la via tra gli infidi ghiacciai, in lotta disperata contro il tempo e il clima, essa sbarcò montagne di provviste, macchine, trattori e uomini nei punti prefissi. E cominciò la grande opera: Si spianarono le piste per i pesanti aerei da carico, si allestirono i rifugi per gli uomini e i servizi operativi e, mentre alcuni costruivano lunghi oleodotti per convogliare il combustibile, altri innalzavano i serbatoi di deposito. Il lavoro andò avanti giorno e notte senza soste una settimana dopo l’altra. Infine le navi partirono. L’estate era finita, ma il lavoro era stato compiuto: “Aquila Rossa”, sentinella dell’Artico, centro nervoso del sistema radar, era in funzione…”
Alla nuova base Aquila Rossa arriva anche il suo Comandante, il Colonnello Joe Parkman (Craig Stevens, 1918 – 2000), designato dallo Stato Maggiore per prendere il comando delle operazioni.
“Agli estremi confini del mondo, ancora più a nord, un avamposto della Linea Fred…”
I due operatori al radar di quello che viene chiamato “Posto 4” captano un insolito rumore molto forte e in avvicinamento, poi la loro baracca è investita da qualcosa che la distrugge e la schiaccia mentre la neve entra a cumuli…
Una pattuglia aerea sorvola il Posto 4 che, dal mattino, non ha dato alcun segno di vita e non risponde alla radio. Il Colonnello Parkman si reca di persona sul luogo per poter scoprire cosa possa essere successo.
La capanna viene trovata distrutta e non vi è nessuna traccia dei due marconisti, solo una strana, breve scia che termina con due solchi all’interno dell’alloggio semidistrutto.
Poi una seconda tragedia: i piloti di un aereo in volo sentono a loro volta un forte ronzio, quindi qualcosa li colpisce. Non riescono a mantenere l’assetto e precipitano. Osservando i rottami Parkman cerca, ancora una volta, di capire cosa possa essere accaduto, ma l’unica cosa che vede sono ancora i misteriosi solchi e uno strano oggetto appuntito, chiazzato di verde che, portato alla base, viene riconosciuto come non appartenente all’aereo o al suo carico. Il Colonnello Parkman lo manda al CONAD. Cos’è il CONAD?
Ma ci pensa la solita voce stentorea a spiegarcelo..
“Questo è il CONAD. Comando della Difesa Aerea Intercontinentale di Colorado Spring. Il punto focale della difesa aerea supersonica che protegge il continente nordamericano, una difesa da cui potrebbe dipendere il destino di milioni di vite umane. Questi sono i telefoni di emergenza che consentono di parlare con l’Alaska in quindici secondi, di dare l’allarme a Terranova in dieci secondi, di mettersi in contatto con la Linea Fred in cinque secondi e in tre secondi di collegarsi col Pentagono.”
E proprio questo telefono suona per annunciare al Generale Mark Ford (Donald Randolph, 1906 – 1993) che lo strano oggetto è arrivato al Pentagono per cui il militare riunisce un’équipe di scienziati per poter scoprire la natura e la provenienza del reperto.
Due giorni dopo il Generale Ford indice una riunione nella speranza di poter avere i primi risultati.
Ford: “(entrando nella sala riunioni) Buongiorno, Signori, sono il Generale Ford… oh, no… no, prego: sedetevi… Dunque, Signori, io so che l’Aeronautica non vi ha dato molto tempo per le vostre ricerche e che non si può fare un lavoro completo nel breve termine che vi ha dato, ma il Dipartimento della Difesa spera che in questi due giorni di sforzi congiunti siate riusciti a classificare questo… oggetto. Professor Gunther, quali sono le conclusioni?”
Gunther: “Siamo tutti concordi nell’ammettere una cosa: questa appendice proviene da qualche creatura vivente, ma di quale creatura essa possa aver fatto parte… siamo completamente all’oscuro.”
Il Professor Anton Gunther (Florenz Ames) consiglia il Generale Ford di chiedere lumi a Ned Jackson, un famoso paleontologo capace di ricostruire uno scheletro partendo da poche ossa. Quando il Pentagono gli telefona Jackson (William Hopper, 1915 – 1970), sta discutendo con la giornalista scientifica Margie Blaine (Alix Talton, 1920 – 1992) circa gli articoli da inserire nel prossimo numero della rivista. Pur perplesso lo scienziato va a vedere il misterioso reperto e lo esamina interessato.
Jackson: “Non mi sembra che sia un osso. Ha più l’apparenza di una cartilagine e una struttura così grande dovrebbe servire a uno scopo specifico, data la natura cartilaginosa.”
Ford: “Avete nessuna idea da dove provenga?”
Jackson: “Eh, no, non lo so davvero. Se fosse un osso partiremmo da lì. Una cosa è certa, comunque: che non appartiene a un vertebrato, perché ogni specie conosciuta di vertebrati ha lo scheletro osseo, anche la struttura dei rettili è ossea e sapete che anche gli uccelli hanno uno scheletro osseo.”
Ford: “Mi pare che così non si concluda niente.”
Jackson: “Al contrario, facciamo notevoli progressi. Quando si sa quello che non può essere si può giungere a stabilire quello che è.”
Ford: “E, dite: c’è qualcosa che non abbia lo scheletro osseo?”
Jackson: “Uhm, ci sono tanti esseri: vermi, lumache, insetti, molluschi, alcuni invertebrati hanno una sorta di scheletro esterno, si tratta di un guscio che viene chiamato esoscheletro ed è duro e solido, dovendo proteggere gli organi interni. L’insetto ha delle parti delicate e sensibili tra la testa e l’addome che gli danno la libertà di movimento e ha delle articolazioni dove le zampe sono attaccate.”
Gunther: “E’ una possibilità.”
Ford: “Un insetto?”
Jackson: “Già, ecco dove il processo di eliminazione sembra condurci. Ora, ammesso che sia un insetto, questo non ci dice di che genere sia. Lo scopriremo in parte con la conoscenza, ma soprattutto con la deduzione.”
Ford: “State facendo un’inchiesta alla Sherlock Holmes.”
Jackson: “Una specie. Professor Gunther, il fluido che usciva dall’artiglio è stato analizzato?”
Gunther: “Abbiamo fatto quello che si poteva nel tempo concesso…”
Jackson: “E poi non sapevate con esattezza quel che cercavate.”
Gunther: “Eh, infatti.”
Jackson: “Io non sono proprio un entomologo, ma mi sembra di ricordare che, salvo alcune eccezioni, il sangue degli insetti non contiene corpuscoli rossi… ora che sospettiamo che l’artiglio viene da un insetto volete analizzare il fluido e darmene l’esito?”
Gunther: “Con gran piacere.”
Jackson: “Grazie. Beh, Generale: è tutto per ora, il Professor Gunther farà l’analisi e vedremo cosa salta fuori.”
Ford: “Potremo trovare una soluzione?”
Jackson: “Speriamo.”
Per ora, in linea di massima, il film si snoda seguendo la stessa procedura di Assalto alla Terra, ma qui il mistero in realtà non esiste perché anche lo spettatore più sprovveduto sa leggere il titolo di una pellicola.
Gli esami dimostrano che si tratta di un insetto e, in una discussione che ricorda molto da vicino quella avvenuta in Il Risveglio del Dinosauro, Jackson spiega a Gunther e a Margie che l’animale che stanno cercando è di origine preistorica, che si è conservato intatto nel ghiaccio per tutti questi millenni e che il ghiaccio stesso si è sciolto a causa di una probabile vibrazione o abbassamento termico. Scoperto tutto questo Jackson stupisce ulteriormente i presenti dicendo loro di quale insetto si tratti e definendolo in questo modo:
Jackson: “In tutto il regno dei viventi non c’è più pericoloso e vorace essere della mantide religiosa.”
Ora, finalmente, possiamo vedere il mostro mentre vola: un’immagine tecnicamente decente, ma niente di più e, mentre è a terra, assale un villaggio esquimese e qui bisogna dire che la realizzazione è più che lodevole.
Intanto Jackson parte per Aquila Rossa, assieme alla sua fotografa, Margie, che si è praticamente autoinvitata.
Giunta alla base la ragazza viene accolta dai militari come se questi non solo non avessero visto una donna dai tempi di Noè, ma come se la ragazza stessa fosse di una bellezza sfolgorante. Appena un gradino più in su nel ramo della dignità è Joe Parkman il quale, dopo essersi brevemente perso negli occhi di Margie, accompagna i due nella zona dove è precipitato l’aereo e lì Jackson misura la lunghezza delle orme che sono di quasi tre metri. Al ritorno l’ufficiale conduce i due nella sala di ritrovo della base dove Margie viene inviata a ballare mentre Jackson si rifugia nella quiete di un ufficio per cercare di stabilire, con i dati a sua disposizione, le dimensioni della mantide. Non dovrà aspettare a lungo perché il gigantesco insetto attacca Aquila Rossa, anzi prima si fa vedere alla finestra da Margie in una sequenza che ricorda molto, ma molto da vicino quella analoga di Tarantola dove la ben più avvenente Mara Corday passa più volte davanti alla vetrata senza vedere gli occhi luminosi dell’aracnide.
Due valorosi, fra tutti, fronteggiano il gigantesco insetto, uno con il lanciafiamme e l’altro con il fucile, e mentre, il produttore cercava altre armi e altre comparse da mettere in scena, il mostro decolla e se ne va, salvando i protagonisti ma soprattutto William Alland da un ulteriore esborso.
Alla velocità di crociera di circa duecento chilometri all’ora il gigantesco insetto attacca dapprima una nave, ma poi è inseguito e ferito da uno stormo di bombardieri quindi continua il suo volo verso Sud, verso zone più calde. Attacca un treno, ma Parkman, tutto preso da Margie, non si rende conto che c’è lo “zampone” del mostro il quale poi si arrampica sull’Obelisco di Washington, uno struttura sempre molto a rischio nei film di fantascienza, come il Big Ben a Londra, il Colosseo in Italia e, più sfigata di tutti, la città di Tokio in Giappone.
Dopo aver sgranocchiato un autobus viene inseguita da una pattuglia aerea alla guida personale di Parkman e nuovamente l’insetto viene ferito. Scende verso la città in lunghi volteggi e atterra in un tunnel sotterraneo probabilmente lasciato sfitto dalle formiche giganti di Assalto alla Terra.
In questo cupo sotterraneo che è stato adattato, almeno in parte, a garage, il povero insetto viene dapprima gassato, poi bombardato fino a che, tra un ruggito e l’altro, non esala l’ultimo respiro. Ma il diabolico produttore ha in mente ancora una scena mozzafiato: mentre Parkman, Ford e Jackson esaminano le ferite lungo il corpo della mantide, un movimento riflesso fa muovere la zampa, peraltro molto ben fatta, del mostro, con il rischio di schiacciare Margie che, ignara, lo sta fotografando. Con la rapidità di un missile il nostro Colonnello solleva la fanciulla e la porta al sicuro. Il bacio finale non ruba la scena al mostro morto: la parola “Fine” è scritta, è il caso di dirlo, sul suo cadavere.
(7 – continua)