La vita aveva ripreso il suo corso normale. Olive, dopo le sue dimissioni, se ne stava a casa a fare le pulizie, ogni tanto andava al supermercato a comprare yogurt, leggeva biografie di cantanti. Ogni tanto si prendeva qualche sbronza, tutta sola a casa, e poi si sentiva tristissima, più triste di quello che era già, e si sentiva in colpa, perché sapeva bene di buttare via del tempo che avrebbe potuto impiegare in modo più costruttivo.
Suo padre era ripartito. Si sentivano via mail tutte le sere, John era stato impegnato a chiudere scatoloni e conti in banca e aveva l’impressione che, se si fosse tenuto occupato, la voragine che si era aperta all’altezza della bocca dello stomaco non gli avrebbe fatto male. Era evidente che tutti cercavano di reagire al dolore e che ognuno cercava di fare come poteva, nel bene e nel male.
Ecco, era in questa situazione che una mattina, intorno alle dieci, il cellulare di Olive iniziò a vibrare furiosamente. Inizialmente lei non lo sentì, aveva tolto la suoneria la sera prima perché era stata al cinema, ma poi si rese conto che quel rumorino regolare arrivava dal tavolino del salotto. Andò a vedere, la chiamata ormai era persa. Controllò chi l’aveva cercata e a momenti svenne. Chi le aveva dato il suo numero di telefono? Si sedette. Richiamare? Sì, no. Per dire che cosa? Ciao? E’ troppo presto per bere un drink, rifletté Olive, non sapeva cosa pensare. Non sapeva cosa fare, più che altro. Scrisse un messaggino al padre, che la chiamò subito.
- Ciao Olive.
- Ciao pa.
- Sei tranquilla?
- No, per niente. Quella donna mi mette ansia.
- Avrà saputo di Benedict.
- Lo credo anche io.
- Vorrà sapere se ti ha lasciato qualcosa, conoscendola.
- Credo anche questo.
- Penso che tu debba richiamarla, è pur sempre tua madre.
- Lo so, ma sono terrorizzata.
- Pronto?
Dall’altra parte la signora Westwood aveva un tono di voce glaciale. Olive pensava a quanto era capace di farti sentire inadatta a qualsiasi situazione, fosse presenziare a una cena di gala o fare una corsetta nel parco.
- Pronto. Sono Olive.
Silenzio. Neanche un sospiro dall’altra parte.
- Non pensavo che avresti richiamato.
- Non pensavo che avessi il mio numero.
- Hai già iniziato a essere estenuante?
Olive si morsicò la lingua. Cercò di rilassarsi, le sudavano le mani. Pensò che aveva finito lo yogurt.
- Ho saputo del compagno di tuo padre – riprese la signora Westwood – gli ho fatto sapere che sono molto dispiaciuta per la sua perdita.
Olive non credeva a una sola parola di quanto diceva la madre, perché se davvero non avesse avuto problemi con quella relazione, non l’avrebbe diseredata nel momento in cui lei si era riavvicinata a John.
- Olive, sei ancora lì?
- Sì – sospirò – solo non capisco il motivo di questa tua telefonata.
- Sempre prevenuta, eh?
- Me l’hai insegnato tu.
- Era per invitarti a cena, visto che il mese prossimo sono a Milano. Vorrei vederti di persona.
- Ci penserò, ora devo andare. A presto.
Non le diede neanche il tempo di rispondere. Chiuse la comunicazione, rimase a fissare il tavolino individuando in pochi secondi impronte di dita mai pulite. Decise di uscire per un paio d’ore.
Mentre si trovava alla cassa, ecco il telefono che ricominciò a suonare. Questa volta era Aurora, le aveva scritto un messaggio. Lo lesse: era libera quella domenica per andare a vedere il castello, se aveva tempo. Il castello! Se n’era completamente scordata. Appena raggiunse l’uscita, la richiamò. Si sentì molto meglio nel sentire la sua voce allegra, pensò che lei stesse reagendo alla morte di Benedict meglio di tutti loro. Si misero d’accordo per la domenica successiva e organizzarono sommariamente l’escursione.
Quella mattina era proprio evidente che l’inverno stava arrivando in tutto il suo splendore, se così lo si poteva definire: i campi erano coperti da un sottile strato di brina e la nebbia copriva il sole, che sembrava una palla giallognola sospesa a mezz’aria. Ricordando ancora il cavallo comparso dal nulla, Olive guidava come una nonnina ottantenne, ci mise mezz’ora per arrivare al luogo dell’appuntamento, benché distasse da casa sua circa quindici chilometri. Aurora l’aspettava dentro al bar, l’unico del paese. Sorseggiava un caffè caldo e quasi se lo rovesciò addosso quando vide entrare la sua nuova amica .
- Ma allora, ti avevo dato per dispersa!
- Eh, storia lunga. Senti, bevo un caffè anche io e andiamo?
- Ok!!! Conto che entro un’ora possiamo essere al castello. Certo che questa nebbia non ci voleva proprio! Va bé che si sa, in inverno la nebbia è la prassi… non credo che mi abituerò mai anche se sono nata qui!
Aurora rise. Sembrava davvero contenta. Olive rise anche lei.
- A me piace, sai? Sarà che fondamentalmente sono una persona triste, questa esprime proprio il mio stato d’animo…
Aurora si limitò a lanciarle un’occhiataccia. La vedeva un po’ sciupata e non sapeva se chiederle se tutto stesse andando per il verso giusto. Pensò che all’amica andasse parlare d’altro, allora buttò il discorso sul suo bambino e sulla sua cotta per la maestra di matematica. Risero molto. Olive si sentiva felice, finalmente.
Andarono con una sola auto e in mezz’ora arrivarono a Pellagra, piccolissima frazione di un altrettanto piccolo paese disperso nella campagna lombarda. Il castello era circondato da un fossato, ormai non più adacquato, e la sua mole si stagliava imponente nella nebbia. Non vi erano cancelli o recinzioni. A sostituzione dell’antico ponte levatoio, un passaggio fisso concluso da un portone. Si avvicinarono. Suonarono il campanello e si stupirono del fatto che ce ne fosse uno, non aveva tanto di medievale… a un tratto il portone venne aperto e un ometto ricurvo si presentò alle visitatrici.
- Buongiorno, vi aspettavo. Prego.
Non si perse in convenevoli, anzi, sembrò che quella visita lo scocciasse molto. Non proferì parola per circa dieci minuti nei quali Olive e Aurora si fissarono con aria interrogativa. Il vecchietto camminava per la corte con passo lungo, non si interessava minimamente se le due donne gli stessero dietro, l’unica galanteria nei loro confronti fu quella di farle entrare in una salotto ricavato al piano terra. Nell’enorme camino un bel fuoco scaldava la stanza e la illuminava; alle pareti si trovavano pesanti arazzi color rubino e dei drappi damascati di colore verde chiudevano le finestre. L’ambiente puzzava di chiuso. Sul tavolino tutto era stato predisposto per servire una cioccolata calda.
- Mi chiamo Lodovico Antinori e sono il custode del castello da prima che il signor Argenti lo acquistasse. Aveva confermato la mia posizione lavorativa. Al castello lui non veniva quasi mai e benché io non abbia fatto delle modifiche all’assetto delle stanze, mi sono considerato quasi come il proprietario del maniero, a torto, me ne rendo conto.
- Non sono venuta qui a recriminare niente, signor Antinori, semplicemente mi interessava conoscere questa proprietà. Sinceramente non ho idea su cosa farmene…
Il custode guardò male Olive, lei se ne accorse ma non gliene importò.
- Ovviamente, intanto che non prendo una decisione, lei è libero di fare qui dentro quello che ha sempre fatto. Solo, oggi vorremmo visitare il castello, come le avevo comunicato l’altro giorno via mail.
- Certo, signora. Se siete pronte possiamo iniziare subito.
La visita del castello prese buona parte della mattinata. Camminarono per corridoi bui su cui si aprivano stanze sbarrate, per saloni completamente affrescati con scene di vita cortese, per il cortile, sotto il quale si nascondeva un pozzetto alla veneziana, per l’approvvigionamento idrico. Le torri, con merlatura ghibellina, sembravano imponenti. Le scale all’interno di esse sembravano malconce e Olive pensò bene che l’escursione poteva terminare così.
Ringraziarono il custode, che porse la sua mano ossuta. Era gelida. Quando furono da sole e ripresero il viaggio, Aurora chiese a Olive cosa avesse intenzione di fare.
- Non ho la più pallida idea di cosa farmene. Quanto può valere la proprietà? Potrei investire dei soldi e renderlo visitabile, no? Cosa dici? Oppure farci uno di quegli alberghi fighetti che vengono affittati per conferenze e matrimoni… Boh…
- A me è sembrato che il custode fosse un po’ ostile.
- Anche a me, ma se la guardo dal suo punto di vista, capisco anche perché. Alla fine, sono l’ereditiera che potrebbe sbatterlo in mezzo alla strada. Anche se il padrone era Benedict, non credo che si sia intromesso molto nella gestione della struttura. Quel vecchio lì ha fatto il padrone per cinquant’anni, magari gli secca essere usurpato di qualcosa che comunque non è suo… se lo vendessi per beneficienza lui non credo la prenderebbe bene… Boh… ho un grosso punto interrogativo nella mia mente!!!
Aurora sorrise. Per il resto del viaggio progettarono un viaggio a New York insieme. Olive era contenta, pensava di aver trovato un’amica. Forse questo era l’ultimo regalo del suo adorato patrigno.
(2- continua)