La notizia è: Paolo Aresi sta scrivendo un secondo romanzo dedicato al genio nonché padre dell’astronautica sovietica, Sergej Pavlovich Korolev, colui che nel 1961 inviò nello spazio Yuri Gagarin, primo cosmonauta nella storia dell’uomo. “Provvisoriamente – ci dice in proposito il giornalista e scrittore bergamasco – si intitola La terza vita di Korolev. Devo dire che mi sta molto appassionando e coinvolgendo. Voglio che sia un’opera profonda e onesta e che possa davvero regalare meraviglia. Il primo romanzo (dal titolo Korolev, ndr) lo ha pubblicato Urania, sarebbe bello se anche il secondo lo facesse la collana di Mondadori… Ma non decido io”.
Paolo Aresi è noto per la sua predilezione verso la fantascienza cosmica e, in effetti, le sue opere più importanti vertono proprio su tale fascinosa tematica a cominciare da Oberon, l’avamposto tra i ghiacci (Editrice Nord, 1987) a Oltre il pianeta del vento, vincitore del Premio Urania nel 2004 (Urania Mondadori n.1492/2004), sino ad arrivare appunto a Korolev (Urania Mondadori n.1569/2011) dedicato appunto dal nostro, al grande “Costruttore capo” dell’Unione Sovietica.
Ma tanti altri sono i libri, sempre con successo di pubblico e critica, che Aresi da autore eclettico qual è ha scritto. Tra questi vale la pena citare anche L’amore al tempo dei treni perduti (Mursia, 2010), storia di amore ma anche di avventura, in cui Paolo Aresi fa emergere la sua passione verso i treni intesi, tra l’altro, come metafora del percorso di vita dell’uomo. Ritenuto dal curatore di Urania, Giuseppe Lippi, un autore della science fiction “classica” ma anche presenza tra le più importanti della fantascienza tecnologica italiana, Aresi ha una scrittura chiara e veloce, nella quale si denotano le influenze della sua professione di giornalista.
E proprio dal giornalismo iniziamo questa nostra conversazione.
PAOLO, ANZITUTTO PARTIAMO DAL TUO MESTIERE, SEI UN GIORNALISTA, COME NASCE LA TUA VOGLIA DI SCRIVERE?
Dalla lettura. Fin da bambino ho letto molto: libri e giornali. Non so perché, vengo da famiglia operaia, non avevo molti libri in casa. Però avevo la maestra che ogni giorno ci leggeva brani di romanzi. Mio padre mi lesse pagine del Cuore di De Amicis quando avevo sette anni. Lo ricordo bene. Avevo quattro grandi passioni: la lettura, il calcio, il ciclismo e l’astronomia. Crescendo, ho scoperto di avere un’abilità particolare nella scrittura, soprattutto dai quindici anni in poi. A sedici anni ero incerto se fare l’astronomo o il giornalista e magari lo scrittore. Confesso che quella del giornalista fu la via più facile per me.
IN QUALE GIORNALE HAI MOSSO I PRIMI PASSI? CI VUOI PARLARE DELLA TUA CARRIERA NEL MONDO DEL GIORNALISMO? L’ARTICOLO CHE PIU’ RICORDI CON PIACERE, L’INTERVISTA O IL REPORTAGE PIU’ INTERESSANTE…
Ho cominciato a sedici anni con un articolo per L’Eco di Bergamo, sono diventato un collaboratore “interno” a vent’anni al Giornale di Bergamo, poi sono stato a Bergamo-Oggi, Bresciaoggi (dove sono diventato professionista), quindi di nuovo a L’Eco di Bergamo, dal 2000 come inviato. Ho collaborato con Scienza e Vita, Tuttolibri e qualche altra testata.
I TUOI MAESTRI DI GIORNALISMO?
Sono giornalisti di Bergamo, in particolare Renato Ravanelli, Paolo Impellizzeri e Andrea Spada. Fra quelli nazionali ho ammirato tantissimo Norberto Bobbio, che non era proprio un giornalista, ma un filosofo: eppure scriveva da Dio, affrontava argomenti ostici con una chiarezza cristallina nei suoi articoli su La Stampa.
ACCANTO AL LAVORO C’E’ ANCHE LA PASSIONE PER LA SCRITTURA, DIVENUTA UN “SECONDO” LAVORO…
Quando a vent’anni divenni un collaboratore “interno” “abusivo” – allora si usava – dissi al direttore del giornale che volevo vivere di scrittura. La mia passione era la narrativa, ma mi rendevo conto che era un percorso impervio e quindi per vivere era forse preferibile il giornalismo. Importante era scrivere. Ho sempre portato avanti tutte e due le scritture che sono imparentate, ma alla lontana.
TRA I DUE DIVERSI MODI DI SCRIVERE QUALE PREFERISCI E PERCHE’?
Preferisco senza dubbio la scrittura di narrativa perché ti dà modo di esprimerti in maniera più profonda, completa. Ma la pratica del giornalismo è positiva perché ti richiama sempre alla necessità della concretezza e della chiarezza, della semplicità. E’ bravo il giornalista che esprime concetti difficili e sfumature in modo semplice. Lo stesso vale per lo scrittore.
COME ROMANZIERE TI PIACE SPAZIARE SIA NEL MAINSTREAM SIA NELLA NARRATIVA FANTASTICA, PERO’ DAL NUMERO DI LIBRI DEDICATI ALLA SCIENCE FICTION E’ CHIARO CHE PREDILIGI LA SECONDA. PERCHE’? QUALI EMOZIONI TI SUSCITA SCRIVERE DI FANTASCIENZA?
Mi piacciono tutte e due, leggo tutte e due. Scrivere di mainstream una volta era considerato una sfida da parte degli scrittori di fantascienza: letteratura di serie A e di serie B. In realtà non è così. Scrivere un buon libro di fantascienza è più difficile che scrivere un buon libro realistico. Devi compiere uno sforzo di immaginazione decisamente superiore. Inventarti un mondo, una cultura e dargli coerenza e verosimiglianza. Mica facile. Ho scritto letteratura mainstream e ho ottenuto un discreto successo. Il mainstream ti impegna soprattutto sul fronte psicologico dei personaggi, delle situazioni. Ma per la verità questa cura io cerco di metterla anche nei romanzi di fantascienza. Ho scritto mainstream – lo confesso – anche perché ho dovuto fare i conti con un mercato della fantascienza molto asfittico in Italia e la scelta di spaziare oltre la sf. Comunque è vero, io amo profondamente la science fiction cosmica.
CHE DIFFERENZA C’E’, A TUO PARERE, TRA LO SCRIVERE DI UN GENERE NARRATIVO E INVECE SCRIVERE DI NARRATIVA GENERALISTA? COME CAMBIA L’APPROCCIO DELL’AUTORE?
Io non cambio di molto il mio approccio, come dicevo prima, forse nella narrativa generalista sviluppo di più le sfumature e gli aspetti psicologici, ma in maniera limitata. Nella fantascienza do più peso alle idee, cerco idee. Voglio che ci sia sempre il famoso “senso del meraviglioso”.
HAI SCRITTO SIA ROMANZI SIA SAGGI DEDICATI ALLA CONQUISTA DELLO SPAZIO. COSA CREDI SIA CAMBIATO OGGI DA QUEL LUGLIO DEL 1969 QUANDO L’UOMO SBARCO’ SULLA LUNA?
C’era allora una tensione emotiva, una passione che oggi certamente non si respira, che si fatica persino a immaginare. Ti immagini tutto il mondo davanti al televisore peggio che ai mondiali di calcio? Tutto il mondo per tutta la notte a guardare quello schermo in bianco e nero per vedere il primo passo di un uomo sulla Luna? La Luna, il primo passo, un mondo alieno, un luogo che non era il nostro pianeta… Che brividi. Io avevo dieci anni ed ero lì con gli occhi incollati alla tv, nel soggiorno di casa, dopo una domenica passata alla piscina comunale con i genitori e i fratellini… Io pensavo allora che nel 2000 saremmo stati su Venere e Marte e un po’ in tutto il Sistema Solare…
TRA GLI ULTIMI EPISODI DI GRANDE DI RILIEVO NELLA CONQUISTA DELLO SPAZIO VI E’ L’ATTERRAGGIO, NEL NOVEMBRE 2014, DEL LANDER PHILAE SULLA COMETA 67P/CHURYUMOV-GERASIMENKO. DI RECENTE, POI, VI SONO STATI ALTRI MOMENTI INTERESSANTI NELL’ESPLORAZIONE SPAZIALE CHE STA PROSEGUENDO LA SUA MARCIA. PENSI CHE POSSA APRIRSI UNA “NUOVA ERA” IN QUESTO CAMPO?
Certo. Voglio ricordare Dawn su Cerere e New Horizons su Plutone, laggiù, verso la periferia del Sistema Solare. Certo che deve aprirsi una nuova era in questo campo. E si aprirà. Ci crediamo in tanti. Matt Damon e Ridley Scott lo hanno detto chiaramente che hanno lavorato a The Martian proprio in questa prospettiva. Dobbiamo contribuire al movimento di idee, di cultura che ci riporterà in maniera decisa nello spazio. Il progetto Orion della Nasa intanto va avanti.
I TUOI SCRITTI SI RIFERISCONO SPESSO ALLA COLONIZZAZIONE DELLO SPAZIO. CHE EFFETTO TI HA FATTO SENTIRE PARLARE L’ASTRONAUTA ITALIANA SAMANTHA CRISTOFORETTI DALLA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE ADDIRITTURA AL FESTIVAL DI SANREMO? NON TI VIENE DA PENSARE CHE LO SPAZIO PUO’ ESSERE CONSIDERATO COME UN POSTO QUASI ORDINARIO?
Esiste questo pericolo, da un lato. Dall’altro però queste situazioni fanno comprendere al grande pubblico come lo spazio sia qualcosa di necessario, di importante, anche di accessibile. Si sta familiarizzando con il cosmo. Questo è fondamentale per andare avanti, per fare avanzare finalmente la frontiera. L’orbita bassa è “addomesticata”: questo serve per andare avanti. Ben venga la Cristoforetti a Sanremo che ci fa pure sognare un po’.
TECNOLOGIA E SCIENZA, COSA TI SUSCITANO QUESTI DUE TERMINI?
Rispetto, entusiasmo, prudenza. Dipende dai settori. Ci sono aspetti che mi entusiasmano, tipo internet o le astronavi. Altri mi preoccupano: gli smart phone che segnalano ogni tuo movimento, ti rendono controllabile, rischiano di toglierti la libertà e il respiro. Ci sono scoperte che ampliano i nostri orizzonti, altri elementi scientifici rischiano invece di chiuderli. Banalità: dobbiamo imparare a calare tecnologia e scienza in una cultura in grado di “usare” il nuovo con maturità e consapevolezza.
COME SI COLLEGANO LA SCIENZA E LA FANTASCIENZA?
Ho conosciuto tanti scienziati di Asi ed Esa, conosco bene Guido Tonelli, fra gli scopritori del bosone di Higgs. Tutti, soprattutto in gioventù, hanno divorato fantascienza, letto quintali di Urania. Allora: l’immaginario fantascientifico alimenta la ricerca scientifica, è uno stimolo, una spinta, è il sogno che ti fa camminare. Al contrario, la scienza ispira la fantascienza, ne costituisce una base da cui spiccare il volo. Ho scritto di recente un racconto sulla vicenda delle cellule “immortali” He La: quelle cellule sono state un potentissimo stimolo per una storia fantascientifica.
E’ CAMBIATA NEL TEMPO LA TUA IDEA DI FANTASCIENZA?
No, non è cambiata. Credo che la fantascienza sia arrivata a maturità negli anni Cinquanta-Sessanta, tra Campbell (con Asimov, Simak, Bradbury…), Pohl, Dick e Ballard. Questa è la base, da lì andiamo avanti e prendiamo diverse strade espressive. Ma queste sono le fondamenta. E quindi senso del meraviglioso, analisi della società, trame concrete, psicologie e personaggi credibili, magari profondi, idee nuove sviluppate con coerenza…
OGNI SCRITTORE HA I SUOI RIFERIMENTI LETTERARI. VERSO CHI HAI MAGGIORE PREDILEZIONE SIA TRA I CLASSICI SIA TRA LE NUOVE LEVE?
I miei autori preferiti sono i classici che ho appena citato, delle nuove generazioni apprezzo Alastair Reynolds e Lucius Shepard. Anche Dan Simmons. Degli italiani ho molto apprezzato l’ultima fatica di Dario Tonani, Mondo9, veramente un’opera significativa, originale. Nel mainstream ho una passione per Pratolini e i neorealisti. Amo Steinbeck, Simenon (non i Maigret).
HAI SCRITTO ROMANZI DEDICATI AI TRENI MA ANCHE ALLA BICICLETTA. RAPPRESENTANO SICURAMENTE DELLE PASSIONI, MA ANCHE METAFORE, PRETESTI O NOSTALGIA?
Sono mie passioni. Amo i treni e le biciclette. Sono tutti e due mezzi ecologici, tutti e due legati anche all’infanzia, al desiderio di libertà e di vedere posti diversi, di scoprire luoghi e persone. Appena posso viaggio in treno. Appena ho un’ora e mezza libera mi cambio e mi metto in sella. Qualche volta mi tocca decidere se scrivere o se fare una pedalata: vorrei fare tutte e due! Difficile scelta. Certamente comunque treni e biciclette sono simboli potenti, metafora di qualcosa. Il treno è un simbolo maschile e femminile a un tempo e la psicanalisi potrebbe dirci tante cose… Idem per la bicicletta.
DALLE ASTRONAVI, AI TRENI, ALLE BICICLETTE: I VIAGGI LETTERARI DI PAOLO ARESI SONO SEMPRE AFFASCINATI. PERTANTO, A COLORO CHE ANCORA NON LO HANNO LETTO, CONSIGLIAMO VIVAMENTE QUESTO ECCELLENTE AUTORE. NON RIMARRANNO DELUSI!